martedì 29 ottobre 2019

ENTRARE







[dal diario spirituale del 2003]
Paolo Cugini

Mc. 9,41-50: Il tema del vangelo di oggi è senza dubbio entrare. Dove? Per due volte è detto nella vita e l’ultimo viene detto entrare nel Regno di Dio. Il problema è: come entrare nella vita, nel Regno di Dio. Gesù fa tre esempi che riguardano parte del corpo: mano, piede, occhio. Se uno di questi membri del corpo divengono motivo di scandalo è meglio toglierlo (il piede e la mano viene detto di tagliarlo, mentre l’occhio viene cavato).  Che cosa significa? Certamente il discorso deve essere collocato dentro il clima delle esigenze delle sequele, che è un cammino di perfezione. È un tono molto radicale. Tutto ciò che può essere oggetto di scandalo, che può impedire il cammino deve essere tagliato in modo radicale. Occorre capire allora che cosa sta rendendo scandalosa la nostra vita, la testimonianza.
Per tre volte è ripetuto: scandalizzate. È chiarissimo il riferimento alla dimensione personale della sequela. Che cosa significa? Che la priorità della sequela non è il servizio, ma la risposta personale e la disponibilità a rinnovarla. Mantenere la risposta in un clima di spogliazione e nudità assoluti.

La grande sfida dell’incarnazione è una missione fatta con i mezzi del posto in cui si vive e non impiantarli. Il fascino della missione è annunciare il Vangelo vivendo in mezzo al popolo, come la gente vive, utilizzando i mezzi della gente. È un cammino lento che deve fare i conti con la salute fisica, prima di tutto e con i tempi di adattamento. Costruire una comunità parrocchiale con i mezzi che si trovano sul posto.

Che cosa deve essere tagliato nella mia vita? Quelle mani, quei piedi, quegli occhi che tentano di costruire una autosufficienza, un’autonomia, un’indipendenza dal piano di Dio. Tagliare per essere liberi. Il cammino è duro e difficile, anche perché l’istinto di sopravvivenza è molto forte e rischia di trascinarsi dietro cose che poi impediscono la bellezza del cammino.

Dio è disceso ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Mi sembra esteticamente bellissimo e denso di significati esistenziali e spirituali, per cui è bene non appesantirlo troppo di contenuti e interpretazioni teologiche. Contemplare il mistero con lo sguardo apofatico caro alla tradizione ortodossa. Dunque, Dio è disceso dal cielo per incontrare l’umanità disorientata e persa. Riempie il cuore di gioia la consapevolezza di avere un Dio che osserva la condizione umana e fa di tutto per aiutarla a riprendere il cammino. Lo aveva già compiuto altre volte, come per esempio in Osea 11. In quell’occasione YHWH si trovava dinnanzi ad un popolo ostinato, dal cuore duro. Un popolo sordo al richiamo di YHWH: “Tanto più li chiamava, tanto più loro si allontanavano da me” (Os. 11,2). L’aspetto sorprendente è che è proprio questo popolo ostinato e sordo che YHWH decide si salvare: “Come potrei abbandonarti o Efraim, consegnarti, o Israele? Il mio cuore si contorce dentro di me, le mie interiora si commuovono” (Os. 118).

È questa compassione di Dio per l’umanità che troviamo presente nel mistero dell’incarnazione. In questa prospettiva la discesa di Dio dal cielo per soccorrere l’uomo e la donna ha tutte le sembianze di un abbassamento. Dio si è chinato sull’umanità perduta e ha deciso di intervenire. Questo intervento non avviene però dall’alto verso il basso, ma al contrario. Dio decide di intervenire – se così si può dire – non con un intervento autoritario, ma debole e nascosto. È disceso dal cielo di fatto nascondendosi, per così dire in mezzo a quell’umanità che voleva salvare. Di fatto si è talmente nascosto che nessuno lo ha notato. È nato da una donna (Gal. 4,4), da una stirpe, la stirpe di Davide (Rom. 1,3). È diventato simile agli uomini (Fil. 2,7), con una carne e un sangue simile alla loro (cfr. Eb. 2,14). Dio si è nascosto nella somiglianza umana a tal punto da risultare irriconoscibile. Infatti i suoi contemporanei assistendo ai suoi miracoli rimangono increduli perché dicono: “Non è lui il falegname, il figlio di Maria e fratello di Giacomo, di Giuseppe, di Giuda e di Simone?” (Mc. 6,3).

La discesa di Dio in cerca dell’umanità perduta non è solo un cammino di somiglianza ma anche di umiliazione. Dio nell’incarnazione non si è aggrappato alla sua condizione divina, ma si è fatto simile all’uomo. Umiliazione significa che il Figlio dell’uomo ha accettato di passare per quelle situazioni tipiche della condizione debolezza umana come la sofferenza e la morte che, senza dubbio non appartengono alla sua condizione divina. Per vivere questa obbedienza, sottomessa alla legge degli uomini ha trascorso molto tempo in ascolto. Dall’adolescenza e dalla giovinezza di Gesù di fatto non si sa nulla, ma è significativo. Di fatto prima di cominciare a parlare e a mostrare con parabole tratte dalla realtà culturale in cui viveva, del Regno di Dio, Gesù è rimasto in silenzio per molto tempo. In silenzio è nascosto: così ha preparato la sua missione. Gesù ha trascorso molto tempo in ascolto della realtà cui avrebbe annunciato il Regno di Dio. Lo si capisce dalle parabole, dalle polemiche con i farisei. Nel cammino di discesa c’è anche questo tempo di silenzio e ascolto come tempo necessario per la sua incarnazione nella sua fase di inculturazione.


domenica 29 settembre 2019

ZACCHEO





Omelia XXXI del Tempo ordinario Lc 19,1-10


Paolo Cugini

La narrazione del Vangelo di oggi è piuttosto inattuale. Si parla, infatti, di un uomo in ricerca e questo dato è strano nel nostro contesto culturale. È inattuale la ricerca di un senso che possa orientare la vita, che possa offrire un orizzonte nel quale incanalare le proprie forze. È inattuale perché il nuovo contesto postmoderno, come ci ha insegnato Zygmunt Bauman, più che la ricerca, stimola lo schiacciamento sul presente. Se la ricerca di un senso della vita indica un movimento interiore che spinge anche ad una ricerca di luoghi e persone, gli stimoli che troviamo nell’attuale contesto culturale conducono le persone in due direzioni. Da una parte, a sfruttare tutto ciò che è possibile nel presente; dall’altra a cambiare velocemente situazione, quando quella attuale è esaurita. Che cosa può dire, allora, la storia di Zaccheo all’attuale situazione culturale? A mio avviso può dire qualcosa sul tema dell’identità e dell’autenticità della vita.

La storia di Zaccheo fa riferimento, infatti, al tema dell’identità che nell’epoca moderna, a partire da John Locke dal suo Saggio sull’intelletto umano, chiama in causa la memoria. L’identità ha a che vedere con le scelte fatte durante la storia personale, scelte che devono essere in continuità con i punti di riferimenti presi dal soggetto. L’insoddisfazione assieme al senso di colpa dicono di situazioni percepite come incoerenti al quadro generale e che mettono in discussione l’identità personale. L’insoddisfazione manifestata da Zaccheo, che provoca la ricerca di qualcuno che lo possa aiutare, rivela un’identità ferita dal vuoto delle cose materiali. È proprio lui ad affermarlo: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Non si dà via qualcosa d’importante. A Zaccheo, le cose che possedeva, non gli bastavano più. Era un uomo ricco, ma infelice. Per questo desidera vedere Gesù. Già questa mi sembra un’indicazione importante. L’insoddisfazione percepita per la delusione di ciò che veniva dalla sua ricchezza, lo conduce verso Gesù. 
Apprendere ad ascoltare l’amarezza che proviene dall’insoddisfazione è un primo passo importante, che può produrre un cammino nuovo nella propria vita. Zaccheo insegna a non fuggire dalle proprie frustrazioni riempiendo il vuoto esistenziale con la materia o, come viene suggerito dall’attuale contesto culturale, a spostarsi velocemente in una nuova situazione, ma a sopportare il dolore, lasciarlo parlare, smettere le maschere dell’ipocrisia, per ascoltare ciò che il malessere esistenziale ha da insegnarci. In questo cammino di ricerca, che è allo stesso tempo interiore ed esteriore, Zaccheo comprende che non è solo: Gesù stesso lo vede e lo chiama. “Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia”. È la dimensione trascendente della vita che, nel caso specifico di Zaccheo, viene scoperta nella percezione che l’esistenza non può esaurirsi appena sul piano materiale. Non c’è, allora, solamente l’uomo e la donna alla ricerca di Dio, ma Dio stesso, come direbbe Abraham Joshua Heschel, è in una continua ricerca di noi. È interessante notare come questo incontro tra Dio e l’uomo avviene in uno spazio vuoto dell’anima, reso tale dalla materia. Tutto può contribuire a condurci a Dio, anche le esperienze che in apparenza giudichiamo negative ma che, se ascoltate, possono offrire indizi importanti per fare spazio al mistero. 
Zaccheo per essere visto da Gesù e incontrare il suo volto, ha avuto bisogno di salire su un sicomoro. Forse il testo ci vuole suggerire che, ad un certo punto del cammino, quando abbiamo già preso sul serio la nostra vita ponendoci in ascolto delle frustrazioni incontrate in essa, abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia una mano, che ci aiuti a “salire” per incontrare lo sguardo di Colui che può riempire di senso la nostra vita e, renderla così, più autentica.  



mercoledì 25 settembre 2019

La libertà di Gesù








 [Dal diario spirituale del 2003]


Paolo Cugini

Gesù chiama a sé i dodici per mandarli a predicare il Vangelo dandogli l’autorità di espellere i demoni. Che cosa significa? Senza dubbio i due elementi sono legati: annuncio della Parola e espellere i demoni. Affinché la Parola entri e produca i frutti sperati, l’anima dell’uomo deve essere libera dagli spiriti negativi. I demoni, in una lettura spirituale, rappresentano quella realtà che contrasta con la realizzazione del Regno. È l’egoismo, l’orgoglio e tutto ciò che essi generano. Allora è significativo che, colui che annuncia la Parola, deve avere questo potere, se no non riesce nella missione che gli è stata affidata. Ciò significa che l’annunciatore della Parola di salvezza deve entrare in dialogo personale con colui che riceve l’annuncio. Ancora una volta la dimensione dialogica è elemento chiave nell’opera della Chiesa. Questa infatti, chiamata ad annunciare il Vangelo creando relazioni nuove; autentiche con le persone che aderiscono alla Parola. Uno dei demoni maggiori è la discordia. Nelle comunità cristiane questo demonio deve essere debellato. La Parola, allora, entra in un cuore e un animo libero e lo libera sempre di più, rendendolo sempre più atto a creare rapporti umani liberi, autentici. Perché allora quegli attaccamenti morbosi alle persone, quelle dipendenze assurde che rendono gli uomini e le donne dipendenti?

Essere persona libera in Cristo e che crea legami di libertà non è facile. Occorre un continuo lavoro interiore su di sé, quel lavoro interiore che Gesù faceva ritirandosi da solo, allontanandosi dalle moltitudini per entrare in sé stesso, ascoltare il Padre, affinché la sua vita diventasse una risposta all’amore del Padre e non all’egoismo degli uomini. La libertà interiore come dono dello Spirito deve pagare il prezzo della solitudine. Gli uomini e le donne che incontro non sono, infatti, abituati a concepire sé stessi e a vivere la libertà in questo modo. Ci deve essere una continua attenzione a Te e agli altri: tutto deve costantemente essere rimesso nelle Tue mani per una trasformazione, per una divinizzazione. Niente posso mantenere chiuso nel mio egoismo perché va distrutto. Libertà è così docilità alla Tua Parola, ricerca quotidiana della Tua volontà, perché è la Tua volontà la fonte della libertà nuova e personale.
L’uomo cerca la realizzazione della propria libertà fuori di sé, soprattutto nel possedere (cose, persone, beni). L’uomo che non Ti conosce, si sente spinto da un bisogno interiore a cercare fuori di sé la propria realizzazione. Solo che non si accorge che facendo così diventa schiavo delle cose che possiede. Questo è il grande inganno. L’uomo capisce ciò, ma non ha il coraggio di fermarsi, perché il fermarsi, il mettersi in silenzio ad ascoltarsi, ad ascoltare la Parola di Dio gli sembra una perdita di tempo. In realtà la grande perdita di tempo è continuare nel cammino fuori di sé alla ricerca che spesso diventa disperata, della realizzazione della propria libertà. Che cos’è che ci ferma in questa pazza corsa verso la propria distruzione? Da una parte, può essere una crescente sensazione di vita che non mi lascia in pace e mi costringe a fermarmi, a pensare. Dall’altra è il bisogno di dare un senso totale alla mia vita. Questa esigenza di totalità, di radicalità è molto forte nelle persone più sensibili. È un’esigenza che spinge l’uomo ad accumulare: esperienze, situazioni, beni, ecc. Se è ben guidata, questa esigenza di radicalità, di totalità può condurre ad incontro radicale con il Signore.

GESÙ SI NASCONDE



[Dal diario spirituale del 2003]


Paolo Cugini

Perché Signore Ti nascondi? Perché non vuoi che i demoni rivelino la Tua identità? Perché scappi quando tutti Ti cercano? Che cosa vuoi dire con questo? Non vuoi lasciarti prendere dalle seduzioni del mondo, della superficialità del mondo. C’è il rifiuto di quello che il mondo offre. Non vuoi rimanere avvolto nel mondo e allora fuggi alla ricerca del Padre. Fuggi perché non vuoi cedere nulla al mondo, ma solamente il Padre. Ti nascondi anche perché non vuoi che coloro che vivono nel mondo pensino che Tu sia semplicemente colui che ha fatto quel miracolo. E allora diventi il buffone di corte, il pagliaccio. E allora diventi la soddisfazione, la tranquillità di coloro che vogliono rimanere tranquilli. Tu, invece sei venuto per inquietare, per scomodare, sei venuto per scandalizzare. E allora fuggi, perché non vuoi che qualcuno pensi che Tu sei semplicemente colui che ha fatto quel miracolo, che ha curato la suocera di Pietro. 

Tu sei molto di più di un miracolo. Per capire chi sei ci vuole tempo, ci vuole desiderio di uscire da una vita triste e senza senso, da una vita pigra, negativa, da una vita che si alimenta delle meschinità del prossimo. E allora Tu ti nascondi e, nascondendoti, costringi coloro che ti vogliono conoscere davvero, a cercarti. Solo chi è interessato a Te, chi vuole conoscerti Ti cerca e ti può trovare solamente fuori, fuori dalla propria condizione di schiavitù. Nascondendoti Tu ci inviti a cercarti, continuamente per trovarti un giorno appeso a una croce. Di lì non ti muovi. Lì sei nascosto: per sempre. Lì, appeso alla croce, tutti coloro che Ti cercano dovranno fermarsi e pensare, riflettere, tentare di capire. Nascondendoti, Tu non accetti che qualcuno possa identificarti come un semplice giocoliere, mago, furfante. Tu sei molto di più dei miracoli che fai. Tu ci costringi a pensare, a cercarti, ad andare oltre il miracolo e soprattutto a non cercarti per ricevere una soddisfazione personale. Tu vuoi il nostro amore e non il nostro egoismo. 

E allora è necessario camminare e camminando spogliarsi, per presentarsi nudi davanti a Te, spogliati di tutto l’orgoglio e l’egoismo che è dentro di noi. Tu non sei venuto per soddisfare la nostra curiosità, il nostro egoismo: e allora ti nascondi per invitarci a cercarti e per cercarti occorre muoversi, organizzarsi. Nascondendoti ci costringi ad alzare lo sguardo, a pensare a Te distogliendo i nostri pensieri dalla nostra meschinità.

mercoledì 14 agosto 2019

INCULTURAZIONE




(Dal diario spirituale del 2003)

Paolo Cugini


Esistono diversi livelli di inculturazione. L’inculturazione dice di un’attenzione costante con coloro ai quali desidero annunciare il Vangelo. Il Vangelo stesso esige una continua attenzione di attualizzazione. Ciò vale per coloro che fanno parte di una comunità cristiana. Anche loro hanno il diritto e dovere di ricevere il Vangelo in un modo comprensibile alle loro orecchie, alla loro storia.
Il Vangelo è una Parola incarnata che vuole significare qualcosa di importante, per le persone che l’ascoltano. Chi annuncia il Vangelo, oltre a conoscere la Parola, deve conoscere la vita delle persone, della cultura, della storia di quel determinato popolo o gruppo sociale. Questa conoscenza non la si acquisisce solamente attraverso la storia, ma anche e soprattutto attraverso una condizione. Per annunciare la Parola fatta carne occorre toccare la “carne” di quella cultura, di quel gruppo sociale. L’inculturazione esige l’incarnazione. L’annuncio del Vangelo esige tutte e due.
C’è una discesa verso il basso che occorre essere disposti a compiere, ma costantemente ancorati a Gesù. C’è una discesa agli inferi che occorre compiere, ma aggrappati al cielo. Questa discesa agli inferi, questo abbassamento, questa umiliazione, questa approssimazione ad una realtà che ci è distante, richiede tempo. Vincere la tentazione della fretta. Confidare in Te, Signore. Fiducia nella tua disponibilità a donare tutto il tempo necessario affinché l’annuncio si compia come e quando vuoi Tu. Donaci, Signore, l’intelligenza per capire il modo, la strada che dovremo compiere in questo annuncio. Nel tempo apprendiamo i tuoi tempi, che sono diversi dai nostri. Nel tempo cercando il tuo Regno, procurando prima di tutto il Tuo volto, aprendo i Tuoi tempi, i Tuoi nascondimenti, il Tuo silenzio. Il cammino di inculturazione che è, allo stesso tempo, un cammino di incarnazione, richiede molto silenzio, perché il silenzio è il rumore del tempo di Dio. È nel silenzio che ascoltiamo la Tua voce che ci viene incontro nel tempo presente. Ciò avviene in qualsiasi luogo, a qualsiasi latitudine. Se non si percepisce è perché la diversità, invece di essere segno della Tua presenza, ci distrae, distratti da ciò che ci dovrebbe concentrare. La diversità culturale, religiosa, etica, è il luogo della manifestazione della Tua presenza, è il cammino che ci chiedi affinché possiamo uscire da una fede monocromatica. Liberaci, Signore, da questa schiavitù! Aiutaci a vedere nelle religioni, nelle culture, nelle razze, non dei nemici, ma dei fratelli, e delle sorelle. Apri il nostro cuore all’incontro con l’altro, l’altra- È questo incontro, infatti che ci apre un sentiero verso Te. È questo incontro che c’invita al Silenzio, all’ascolto. È in questo incontro con ciò che c’è di diverso da noi, che ci viene offerta la possibilità per entrare in noi stessi, per fare sintesi, cercare l’essenziale, quello che c’ identifica, il punto nodale, irrinunciabile dell’esistenza. L’altro allora, in questa prospettiva, invece di essere una minaccia è più che mai un dono, che possiamo solo accogliere.
L’altra cultura, razza, religione, ci viene incontro nel tempo: per questo non possiamo anticiparlo con dei progetti, delle teorie. L’ascolto, l’accoglienza, presuppone il tempo presente. L’altro percepisce la nostra distrazione. L’ anticipazione teorica e progettuale dell’altro, produce conflitto: l’altro non si sente ascoltato, accolto, percepisce una differenza, una distanza, un pregiudizio. Per vivere il tempo presente ci vuole esercizio. Paradossalmente, è difficile stare con i piedi nel tempo presente. Strutturalmente siamo portati a vivere nel futuro o nel passato: il presente è il grande assente.
 Rimanere in silenzio per attenderTi: vivere nella preghiera piena di fede e speranza, la Tua attesa. Forse non vieni in questo tempo terreno: senza dubbio ci sarai nel prossimo. Attendere significa, anche, sospendere la routine, le tradizioni, le cose che si devono fare per fare, oppure significa viverle in modo differente, dandogli, cioè l’importanza che meritano: poca. RicercandoTi nel tempo presente aspettando una Tua risposta sull’altro che ci hai mandato ad incontrare: il resto diventa relativo. Possiamo compierlo, farlo, eseguirlo, ma con distanza. Di fatto, le tradizioni umane, anche le più religiose possibili, sono pur sempre qualcosa di terreno, impastate di terra. A volte questa terra con il tempo, i secoli, diventa così dura, pesante da offuscare il dato divino, religioso, che vogliamo trasmettere. E allora, ci vuole molta attenzione. Soprattutto distanza.
 Silenzio e distanza, per capire, per ascoltarti, per percepire dove il Tuo Spirito sta soffiando. È chiaro che questa distanza dal dato tradizionale, questo prenderlo non troppo sul serio, con quella serietà rigida e austera che dovrebbe, provoca sconcerto. L’incarnazione significa anche questo aspetto di distanza. Cristo incarnandosi, facendosi carne, entrando nel tempo è pur sempre rimasto Dio. L’incarnazione non è una fusione: c’è sempre un aspetto di identità e distanza. L’incarnato, colui che si è fatto uomo, fratello, servo, amico, è pur sempre rimasto Dio. Per questo l’uscire a vedere gli inganni della tradizione è importante per riuscire a cogliere l’autenticità o l’inautenticità della tradizione.


venerdì 19 luglio 2019

LE PARABOLE DELLA MISERICORDIA





LUCA 15,1-32

Paolo Cugini

Ci sono tre percorsi che il brano di oggi propone, percorsi che s’intrecciano e che rimandano allo stesso significato: l’essenza del Vangelo.
Il primo riguarda gli ascoltatori. Mentre gli scribi e i farisei mormorano nei confronti di Gesù, perché non accettano il suo messaggio, i pubblicani e i peccatori lo ascoltano, aprono spazio al messaggio autentico del Maestro. È già questa una bellissima indicazione per tutti coloro che sono alla ricerca di un senso autentico della vita. Chi è legato dalla religione delle regole e dei precetti, prova fastidio nei confronti di colui che è venuto verso di noi con la Parola della libertà e dell’amore e chiude il proprio cuore al suo messaggio.

 La seconda indicazione del brano viene da due brevi parabole che presentano lo stesso tipo di proporzione paradossale e, per certi aspetti, assurda. È il rapporto di uno a cento, di uno a dieci. È il rapporto che spezza i criteri dell’efficienza, della logica che plasma l’esistenza umana. È una proporzione che dice al mondo la novità del Vangelo, che fa esplodere qualsiasi calcolo, perché non segue la logica dell’efficienza e del merito, ma quella dell’amore e della misericordia. È questo principio che Gesù ha impresso nella storia e dice della novità del Vangelo nei confronti del quale possiamo solo aprire il cuore.

Infine, la parabola del figliol prodigo. Diceva il grande poeta francese Charles Péguy che, quando una persona sente la frase che apre la parabola: “Un uomo aveva due figli”, non può che essere colta da un fremito, dai brividi, per la forza che giunge all’anima di chi l’ascolta. Nella narrazione della parabola colpisce la libertà del padre, la sua capacità di non farsi imprigionare dalle logiche del merito, ma di rimanere sempre all’interno di qualsiasi relazione con il cuore misericordioso. Lo è con il figlio minore sia al momento della partenza che dell’arrivo. Il padre non chiede nulla: è libero in quanto ama e in questa libertà avvolge il figlio. Non chiede nulla al figlio al suo ritorno, ma lo avvolge con un abbraccio paterno che sa di amore vero e, allo stesso tempo, di libertà autentica. Dice infatti, di una relazione filiale costruita, non sulla logica dell’aspettativa, che riduce il figlio ad un esecutore passivo di un progetto prestabilito, ma della misericordia, generatrice continua di libertà. Relazione tra padre e figlio che pone al centro la dignità della persona, più che la forza del denaro, l’originalità di ogni singolo uomo, di ogni donna, più che il calcolo meritorio. Nella scena del ritorno del figliol prodigo colpisce la verità dei sentimenti del padre che non vuole sapere nulla, perché la sua gioia è grande nella possibilità di riabbracciare suo figlio. L’amore del padre nei confronti del figlio è così grande che ha accettato il rischio di perderlo, purché il figlio potesse esprimere la sua libertà, il suo specifico progetto di vita.

Lo stesso discorso vale nella relazione del padre con il figlio maggiore. Ancora una volta è l’incontro della logica del tornaconto, con la libertà che sgorga dall’amore. È l’amore del padre che è in un continuo movimento d’uscita per abbracciare, accogliere, per aiutare il figlio maggiore a compiere il cammino che conduce allo sguardo diverso, quello sguardo che sa cogliere l’essenza delle cose, il valore di ogni persona, indipendentemente dai criteri materiali che possono offuscare la qualità delle relazioni. All’indignazione del figlio rafforzata dall’argomentazione meritoria, il padre risponde esprimendo quello che in una relazione filiale rimane sotteso, vale a dire il suo amore incondizionato che passa anche attraverso la condivisione dei beni.

Questo è il Vangelo, la novità, il vino nuovo capace di rinnovare il mondo e le persone che l’accolgono.


venerdì 5 luglio 2019

ELIA





Meditazioni bibliche dal diario del 2003
Paolo Cugini
1° Re 17,1-6: Dio non lascia senza rifugio il suo Profeta. L’esperienza di Elia è l’esperienza del chiamato da Dio ad annunciare una Parola di crisi, di rottura di un contesto di sordità. Elia agisce in conformità alla Parola del Signore (V. 5): Per questo trova rifugio nel Signore. Elia si alimenta e si disseta con ciò che Dio gli dà: questa è fede, fiducia.

Andare al torrente Cherit: che cosa significa? È chiaro che prima occorre saper dire parole profetiche in questo contesto, saper illuminare questa realtà con la luce della Parola, occorre aiutare a vedere con gli occhi del Signore. E poi andare al torrente Cherit. Rifugiarsi in Te. C’è il tempo della profezia e c’è il tempo del rifugio silenzioso.

1° Re 19,9-51: Esperienza di Dio. Come Mosè (Es. 33.22) anche Elia vive una profonda e sensibile esperienza di Dio. È un uomo, Elia pieno di amore, zelo, per Dio. Come Mosè vuole conoscere Dio, la sua gloria, il suo volto. Non si accontenta più di un sentito dire: desidera un incontro personale. Da una storia di fatica, sofferenza e paura, nasce un cammino (spirituale) che conduce Elia ad un incontro più personale e profondo con Dio. Lui stesso in questa storia di ricerca, scopre il proprio immenso amore per Dio.

“Mi consumo di ardente zelo per il Dio degli eserciti”. Elia scopre dentro di sé che non c’è in Lui nessun pensiero, nessun desiderio che non sia Dio. È un pensiero, un amore, che lo consuma, lo brucia. Questa esperienza personale avviene dopo una situazione di forte tensione, che condusse Elia sulla soglia della disperazione, al punto di chiedere a Dio di togliergli la vita. Da questa situazione di grande sofferenza e solitudine, spinto dalla Parola di Dio, Elia comincia quel cammino spirituale che lo porta al centro di se stesso. E lì scopre che in realtà, tutto ciò che lo anima è un amore profondo per Dio. In questo cammino di ritorno a se stesso, riesce a cogliere in tutti avvenimenti che lo hanno accompagnato, una presenza costante: Dio.  

Tu, Dio ti manifesti. A coloro che scegli, che ami, che accompagni, non lasci di manifestarti. Come per Mosè, per Geremia, così per Elia gli fai fare quel cammino di spogliazione totale che lo rendono disponibile ad un incontro più profondo e autentico di Te. Tutto ciò che Elia ha passato, nel servizio della Tua Parola e in ciò che in questo servizio gli ha provocato di tensioni e paure era finalizzato ad un incontro più personale con Te. Alla fine Elia non è più chiamato a difenderti da re e falsi profeti: è chiamato a conoscerti.

“Che cosa fai qui Elia?” È una domanda di prova, una riflessione. Elia si guarda dentro e ci trova Dio. È curioso che prima Dio stesso lo incammini per l’Horeb e poi gli chieda che cosa fa lì. In realtà, in questa stranezza, c’è tutto il senso di un mistero: l’incontro dell’uomo con Dio. Un incontro che non può avvenire a caso, che non può essere improvvisato. Di fatto Elia percorre il deserto per quaranta giorni e quaranta notti, alimentato solo del cibo di Dio, prima di incontrarsi con Lui.


lunedì 17 giugno 2019

GEREMIA-Meditazioni






Meditazioni dal diario spirituale del 2003
Paolo Cugini
Prima di formarti nel grembo materno io ti conoscevo(Ger. 1,5).

Mistero impressionante della vocazione. È qualcosa che mi sono trovato dentro di me. Mentre crescevo percepivo qualcosa di differente dai miei amici. I miei pensieri erano diversi, i miei sogni, i miei desideri. Eri Tu, Signore, che mi attiravi per una vita totalmente consacrata a Te.

Non aver paura di loro perché io starò con Te per proteggerti(Ger. 1,8).
La paura del ministero. Tu, mi chiami per annunciare la Tua Parola ed essere segno del Tuo amore. Tu mi offri la Tua protezione, la Tua amicizia. Primo elemento del ministero è coltivare l’amicizia con Te. Vita sempre più contemplativa. Tu starai con me per proteggermi: è questa la mia forza, e lo devo diventare sempre di più. È la Tua protezione che devo cercare costantemente, in ogni azione, parola, pensiero. È questa promessa che deve fondere il mio ministero.

Per estirpare, distruggere, devastare, abbattere, costruire e piantare(Ger. 1,10).
Non si pianta se prima non si sradica. Non si costruisce se prima non si demolisce. C’è un lavoro di distruzione che deve essere fatto. Ciò che è marcio deve essere tolto. Non si costruisce su degli edifici vecchi e cadenti. Non si pianta nulla in mezzo all’erbacce. C’è allora una Parola che mi doni, che è Parola che distrugge, abbatte, devasta, senza mezzi termini. Distrugge i compromessi, tutto ciò che non permette alla grazia di fruttificare. Coraggio, allora, per non aver paura delle conseguenze della Tua Parola devastante, anche perché non è una pura e semplice distruzione. Estirpi, infatti per piantare. Demolisci per costruire. C’è una parte, un momento di sofferenza, che verrà soppiantato dall’allegria del raccolto.

Perché Geremia ha paura? Perché se da una parte sente tutta la forza e la bellezza della Tua parola, dall’altra, nonostante la giovinezza, conosce l’ampiezza della mediocrità umana. C’è una meschinità che si trasforma in cinismo, che non accetta il dialogo, che non ascolta nessuno. Questa mediocrità non può essere che distrutta. Questo cinismo meschino non può essere che abbattuto, senza troppi tentennamenti. È chiaro che come uomo Geremia avverte che, mentre annuncia questa Tua Parola di distruzione, lui stesso è immerso nella mediocrità e nella meschinità umana.   

Ger. 15,10-21: Stare alla Tua presenza. Riempire il tempo della Tua presenza a tal punto che i miei pensieri divengano i Tuoi pensieri. Cercarti in ogni istante: Gli occhi fissi su di Te. È  questo sguardo che mi purifica, mi libera da qualsiasi resistenza, progetto umano, paura, tentazione. Paura di non essere accettato, ben voluto, cercato: sentimenti umani che devono uscire dalla mia vita. Allearmi solo con Te, per rispondere in modo totale alla Tua chiamata. Crescere nella Tua chiamata. Vincere la tentazione delle grandi cose, grandi eventi: vincere la tentazione del sensazionalismo. Cercarti con amore nella sofferenza, nelle incomprensioni, nelle persecuzioni. Non cercare alleanze, ma solo la Tua comprensione. Nascondermi in Te: Questo deve essere il mio unico programma pastorale, la mia preoccupazione.
“Se ti convertirai, convertirai il Tuo cuore per sostenerti alla mia presenza” (Ger. 15,19).
Mantenere il cuore aperto alla Tua Parola per un cammino costante di conversione, per vedere che cosa ancora manca per una comunione più intima con Te, per una partecipazione più vera alla Tua morte. Fuggire, allora, qualsiasi forma di comodismo, di rilassatezza, tranquillità. Fuggire tutto ciò in una adesione più vera e autentica alla Tua Parola. Cammino costante di conversione per seguirti dove Tu mi vuoi e non dove io voglio. Cercarti sempre in ogni momento, per non dare nulla di scontato. Cercarti nel nascondimento, nella morte (ai giudizi, alle parole, negli atteggiamenti esterni) perché nella mia morte qualcuno possa essere attratto da Te. Rifiutare i compromessi, le logiche che tentano di rendere comprensibile ciò che non è: la Tua croce, la Tua morte, la Tua spogliazione. Donami pazienza per camminare per questa strada stretta. Donami il coraggio per non desistere. Donami un amore immenso per la verità per non tacere davanti all’arroganza dei potenti. Amore alla verità per “Separare il prezioso dal vile” (Ger. 15,9).

Separare: È ciò che mi devi donare, la forza di separare nella mia vita prima di tutto. È dentro al mio cuore che deve avvenire ciò, questa separazione dalla menzogna, che tutto ciò che è vile e meschino. Per non far dipendere da un luogo o da una situazione l’autenticità della mia adesione alla Tua Parola. Tu Signore rendevi diversi i luoghi con la Tua presenza senta: le persone che Ti incontravano percepivano un uomo svuotato dall’orgoglio, e dai tutti quei sentimenti umani che non sono altro che un rifiuto di Dio. È dinanzi ad una tale spogliazione – segno di un amore immenso e sublime per il Padre – la gente si avvicinava. Con gli occhi fissi sul Padre hai fatto del Tuo corpo uno spazio per l’incontro con Dio e non un luogo di passione. Donami questa totalità di attenzione a Te: donami la pazienza di porre la mia mente costantemente rivolta a Te. Donami, Signore di cercarti sempre, togliendo dalla mia vita tutto ciò che impedisce questa ricerca (Mt. 13,44-46).

“Farò di te un muro di bronzo: combatteranno contro di te, ma non prevarranno, perché io sto con te per salvarti e difenderti, dice il Signore. Io ti libererò dalle mani dei perversi e ti salverò dai prepotenti” (Ger. 15,20-21).
Grazie, Signore, per questa promessa! Donami la sapienza per affrontare i ragionamenti falsi dei prepotenti. Donami un cuore pieno di amore e verità per annunciarti con amore. Aiutami a dire la Tua verità con amore senza offendere nessuno. Aiutami, Signore, a vivere il Tuo amore, rinunciando a tutto, vivendo nella spogliazione più totale. Illumina le menti dei miei superiori affinché possano capire ciò. Donami una libertà di Spirito e una libertà materiale per annunciare d’ovunque e sempre la verità del Tuo Vangelo così com’è, senza modificazioni. Fammi sentire, Signore nei momenti di tensione, la tua presenza. Solo così potrò avere la forza per continuare la lotta.

Eucarestia: Sei Tu che Ti doni. Sei nascosto nel segno del pane. Posso mangiare del Tuo corpo, ma se non ho fede, non colgo nulla. Se non ti cerco, se non ti sto cercando con tutto me stesso non ti trovo. Posso anche andare in processione per fare la comunione, ma se in me non c’è fame di Te, se in me non c’è il desiderio di te, se in me non c’è sete di Te, se in me non c’è la voglia del tesoro che sei Tu, tutto ciò è vano, non succede nulla. È questo il grande dramma: posso anche mangiare del Tuo corpo, ma senza fede non succede nulla. E la fede che cos’è? È la consapevolezza che non sono nulla, che non ho i mezzi per realizzare la mia vita. E allora mi metto alla ricerca di ciò che può riempire di significato la mia esistenza. Solo con questa ricerca appassionata, che diventa fame e sete della Verità, posso mettermi in processione per fare la comunione. Perché quando mangio del Tuo corpo faccio di tutto che nessuno mi porti via questo tesoro.

 Ger. 18,1-6: Metodo de YHWH: Dio chiama Geremia per udire la sua Parola, ma prima dimostra una scena, che lo aiuterà a capire la Parola. Un esempio tratto dalla realtà quotidiana aiuta a capire, a cogliere, in profondità la Parola di Dio. Questo metodo dovrei utilizzarlo anch’io, soprattutto nelle comunità più povere. Il gesto, l’esempio, il vedere apre la strada alla comprensione della Parola. È chiaro che per cogliere l’esempio che possa aiutare ad aprire la mente alla Parola è necessaria una riflessione attenta e, anche, una conoscenza della realtà alla quale si intende dirigere la Parola. Questo brano di Geremia, in questa prospettiva è un esempio di inculturazione della Parola. Da una parte, infatti, c’è l’esigenza che la Parola sia compresa e, dall’altro, la Parola non viene compresa se non c’è un aggancio, un punto di riferimento. Questo aggancio deve appartenere alla storia e alla cultura del popolo che riceve la Parola. Per questo ci deve essere una conoscenza della realtà. La Parola se non è incarnata, non rimane, non scende in profondità. A questo punto posso intravedere due rischi: Rimanere nella Parola come se fosse un libro da studiare e basta; rimanere nella realtà guardandomi in essa. Solamente un rapporto autentico con Te, Signore, un rapporto quotidiano mi aiuta a vincere questi due pericoli.

Ger. 18,1-6:  “Come l’argilla nella mano del vasaio, così sarete nella mia mano, o casa d’Israele”.
Sei Tu Signore che mi plasmi. Sei Tu che mi hai formato e continuamente mi formi. Posso resistere, posso seguire i miei piani, posso distruggermi, ma Tu mi ricostruisci di nuovo.

“E si rovinò il vaso che stavo facendo, come succede con l’argilla nelle mani del vasaio. Egli fece nuovamente un altro vaso, come sembrò buono agli occhi del vasaio” (Ger. 18,4).
Niente va perduto nelle Tue mani. Costantemente nelle Tue mani. Costantemente, instancabilmente ricostruisci ciò che si è disfatto. C’è un vaso che deve essere fatto. E non importa se l’argilla si disfa: Tu sei sempre all’opera. Sai che l’argilla è fragile e quindi si può disfare. Ma è con l’argilla che si fa il vaso ed è il vaso che deve essere fatto. Nelle Tue mani: è questa la consolazione, di essere sempre, in un modo o nell’altro nelle Tue mani. Quando obbedisco alla Tua Parola o quando mi perdo sono nelle Tue mani.


sabato 8 giugno 2019

IL DENARO



Dal diario spirituale del 2003

Paolo Cugini


 Il denaro è per vivere, non deve diventare fonte di sicurezza futura: è questo il motivo della condanna del Nuovo Testamento. Solo Gesù e il Regno devono essere l’unica sicurezza della mia vita. Per questo non è un bene accumulare. Vita nel presente nella precaria condizione umana, che è una condizione di debolezza, di insicurezza, di instabilità. In questo contesto è facile cercare sicurezze umane. Più si conosce il Signore, più ci si accontenta di ciò che ogni giorno ci dona. Il lavoro spirituale quotidiano consiste nel permettere alla Spirito Santo di ripulire il cuore, l’anima, dalle incrostazioni mondane, per rimanere aperti a Te. La tentazione del denaro e di tutto ciò che lo consegue è la tentazione di costruire un mondo diverso da quello che Dio ha costruito e continuamente costruisce. Il denaro è lo strumento per creare un mondo alternativo a Dio, in uno spazio e in un tempo in cui non è più Dio a decidere ma l’uomo.

Effetto della vita dello Spirito: accettare il mondo di Dio. Accettazione attiva, partecipativa. Non è solo il ricco che corre il rischio di vivere fuori dal tempo di Dio e, di conseguenza, dalla prospettiva del Regno. Sono anche tutti quegli esclusi abituati dal sistema dei ricchi a non fare nulla, a vivere delle briciole che cadono dalla tavola dei ricchi. Annunciare il Vangelo ai poveri, a questi poveri che cosa significa? È questa la domanda che mi pongo ogni giorno. In primo luogo, ci deve essere una discesa, la ricerca di una sintonia. Il vangelo, la Parola è Cristo che si è fatto carne. Ci deve essere come primo sforzo, la ricerca di questa carne, di questa discesa, del cammino alla ricerca di una identità. Per quello che capisco è la tappa più lunga e difficile. Poi c’è un contenuto che comunico, un contenuto che è già annunciato nel cammino di discesa. L’annuncio deve prevedere, a partire da subito, la condizione e l’amore fraterno.


domenica 26 maggio 2019

CHE COSA SIGNIFICA LA MORTE DI GESÙ?




Meditazioni bibliche dal diario del 2003

Paolo Cugini

 La morte di Gesù ha voluto dire prima di tutto che per formare una coscienza cristiana ci vuole molto tempo. La gente che lo ha applaudito è la stessa che ha chiesto la sua morte. E anche i discepoli che hanno seguito Gesù per tre anni, nell’ora della prova sono fuggiti. Ciò non significa solo che ci vuole del tempo per formare una coscienza: è necessaria un’altra cosa. Di fatto la morte di Gesù, il formatore per eccellenza, mostra che il formatore deve morire. Certamente si deve intendere questa morte in senso spirituale, ma l’indicazione è questa. Il formatore non può parlare di umiltà se lui stesso non muore al suo orgoglio; non può parlare di libertà se lui non muore al suo egoismo. Non può parlare di amore se è ancora schiavo dei sentimenti umani come invidia e gelosia. Chi annuncia il Vangelo annuncia la morte del peccato che deve essere visibile, per questo è possibile, nell’annunciatore.

La morte di Gesù pone anche un interrogativo: perché Gesù è morto? La risposta è una sola: per motivi politici. Ha smascherato la corruzione del potere religioso e politico del tempo. Gesù ha cominciato la sua opera predicando in una maniera semplice, mostrando il senso autentico della legge. È chiaro che, in questo modo, chiamava di impostori i capi del popolo, mostrando come la loro sapienza in realtà era un modo per mantenere i propri interessi. Gesù ha mostrato con la sua vita che ciò che Dio vuole da noi non è una religione che deve rimanere chiusa tra le pareti del tempo, ma deve produrre vita. La religione autentica è uno stile di vita, un modo di essere che lotta affinché la giustizia sia realizzata, la pace instaurata. È chiaro che questa vita che viene da Dio dà fastidio al mondo di morte che Satana costruisce per mezzo dei suoi servi che tessono lacci di corruzione, ingiustizia. Cristo ha smascherato l’impostura di Satana che si era annidata fin dentro il tempio, addirittura servendosi dei capi religiosi.

giovedì 28 marzo 2019

Domenica V di Quaresima C




(Is 43, 16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Jo 8,1-11)

Paolo Cugini

1. Ci stiamo avvicinando alla celebrazione della Pasqua del Signore, del mistero della sua morte e Risurrezione, e la liturgia dell Parola ci spinge verso un ultimo passo del cammino di quaresima. Dopo essersi soffermata a mostrarci la realtà della nostra umanità e della possibilitá che in Cristo abbiamo di riscoprire la nostra dignità di figli, oggi abbiamo ascoltato che cosa l’incontro con Cristo dovrebbe produrre in noi. Discepolo  e discepola é colui e colei che incontra Cristo e accetta di seguirlo sino alla morte, scoprendo che, oltre la morte spirituale dei nostri peccati, c’é una possibilitá nuova di vita, un superavit di significato, che richiede alcune condizioni.

2. Che cosa significa que storia ascoltata nel Vangelo? Tante cose. Senza dubbio ci rimette dinnanzi alla nostra condizione di peccatori: fa sempre bene alla salute spirituale ricordarci chi siamo e da dove veniamo. C’é, comunque, in questo testo che narra l’incontro di Gesù con la donna sorpresa in adulterio, qualcosa di nuovo che diventa estremamente importante nel nostro cammino di fede. Questo qualcosa di nuovo é l’atteggiamento di Gesù dinanzi alla donna adultera. Gesù, infatti, non esprime nessun giudizio morale che possa in un certo modo umiliare la donna, metterla a disagio, farla sentire in colpa. Al contrario, nella scena narrata, Gesù diventa l’ancora di salvezza per questa donna, dinanzi ad un'umanità inferocita per il suo peccato. E questo é, allo stesso tempo, un quadretto abbastanza ridicolo, ironico. Non é Gesù che si scandalizza e fa della morale per il peccato commesso dalla donna, ma sono gli uomini che condividono la stessa condizione di peccato a giudicare, condannare la donna, esprimendo, in questo modo, un clamoroso autogol, come poi si rivela nel resto del racconto. Gesù non condanna, non giudica, ma fa silenzio. É questo senza dubbio un grandissimo insegnamento evangelico, del quale dovremmo fare tesoro in questo cammino di quaresima. Se abbiamo interiorizzato un pó le letture di queste domeniche, allora avremmo dovuto capire che solo Dio é santo e noi siamo tutti peccatori.

 La verità di questa presa di coscienza spirituale, la dovremmo esprimere con il nostro silenzio sul peccato degli altri, la sospensione del nostro giudizio che si trasforma in condanna, allontanamento, discriminazione. Infatti, tutti noi sappiamo molto bene quanto sia difficile liberarci dal peccato, vincere la tentazione,camminare nella fedeltà. La consapevolezza della difficoltà di vivere coerentemente il nostro rapporto con il Signore, dovrebbe aiutarci a diventare maestri di umanità, per avere verso gli altri la stessa compassione che il Signore ha avuto e continua ad avere con noi. E allora, perché Gesú tace? Perché dinnanzi alla stupiditá manifestata dai giudizi sul peccato altrui, é meglio tacere.  Silenzio come mezzo per aiutare tutti quanti a compiere una sana riflessione introspettiva e capire che, la differenza tra la donna e noi, non é poi cosí grande. E siccome c’é somiglianza nella condizione di peccato, é meglio chinare la testa e filarsela alla svelta. Gesù non giudica né la donna né la gente che voleva ucciderla: offre a tutti la possibilitá di guardarsi dentro e, in questo modo, prendere una decisione più serena e obiettiva. Gesù é la pace che aiuta l’umanitá a tornare in se stessa, a prendere tempo, a guardarsi dentro, a conoscersi meglio per maturare decisioni più libere e consapevoli, non dettate da passioni immediate o accecate da leggi fatte da uomini. Gesù é il Figlio che ci ama come fratelli e sorelle, tutti quanti allo stesso modo, e siccome ci vuole bene ci accoglie in questa relazione fraterna per condurci a guardare nell'altro, nell’altra non un nemico da uccidere, ma un fratello, una sorella da amare, abbracciare, accogliere. Sono questi atteggiamenti che manifestano la natura divina di Gesù. È questa umanità sovraccarica di amore,che riesce a intravedere una possibilitá di vita lá dove l’umanità vede solo morte, che ci conduce ad affermare la divinità di Cristo.

3. Essere Cristiani significa seguire il Signore e, mentre lo seguiamo veniamo trasformati dal suo Spirito per conformarci a Lui. É una riflessione che abbiamo già fatto nella seconda domenica di quaresima, quando tentavamo di penetrare il mistero della trasfigurazione del Signore.  Che cosa significa ciò? Quando é che avviene in noi quella capacitá di vedere negli altri dei fratelli e delle sorelle? Che cosa ci succede quando cominciamo ad avere lo stesso sguardo di Cristo sulla realtà?

Ci sbarazziamo del passato. Ce lo ricorda san Paolo nella seconda lettura e anche Isaia nella prima. “Per causa Sua ho perso tutto. Considero tutto come spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere incontrato unito a Lui” (Fil 3,8).

É quando attribuiamo la nostra forza, la nostra identità alle cose che ci sentiamo in diritto di giudicare gli altri . Quando Cristo, la nostra pace, entra nella nostra vita, produce in noi questo sentimento di libertá, di apertura totale agli altri, desiderio che si realizza nella collaborazione alla costruzione del Regno dei cieli. Quando il Signore entra davvero nella nostra vita –ed é questo che dovrebbe succedere a Pasqua- allora tutto quello che eravamo non serve più, lo possiamo gettare via, perché appartiene all’uomo vecchio, alla donna vecchia, appartiene a quel passato egoista che ci conduceva a sentirci superiori agli altri e, di conseguenza, a giudicarli.  Solo che, in Cristo siamo divenuti creature nuove ( cfr. 2 Cor 5,17) e le creature nuove camminano guardando avanti, al futuro,senza rancori e invidie, ma con l’anima ripiena di compassione e misericordia.

“Non ricordate le cose passate, non guardate per i fatti antichi. Ecco che io faccio nuove tutte le cose e già stanno sorgendo: per caso non le riconoscete?” (Is 43,18-19).
Nel Battesimo siamo divenuti creature nuove e come tali siamo stati resi capaci di cogliere la novità del Signore presente nella storia. Una storia che Gesù ha scritto con la propria sofferenza e con il proprio sangue: una storia che continua in questo stesso modo. Vediamo le cose nuove che Dio sta realizzando, quando siamo disposti ad amare sino alle estreme conseguenze, quando siamo disposti a morire al nostro egoismo, che si trasforma nell’umana tentazione di eliminare l’altro, affinché, al contrario, possa incontrare spazio, amore, accoglienza. Riusciamo a vedere le cose nuove del Signore quando apprendiamo ad offrire ai fratelli e alle sorelle che il Signore pone sul nostro cammino, non un giudizio negativo di condanna, ma una nuova possibilitá di vita. É di cristiani così aperti e nuovi che il mondo ha bisogno: di bacchettoni, possiamo anche farne a meno.

4. “Meraviglie ha fatto con noi il Signore, esultiamo di allegria!”.
 Questa esplosione di gioia che abbiamo manifestato con il salmo, possa essere espressa durante tutta la settimana attraverso quegli atti nuovi, quegli sguardi nuovi dei quali Dio Padre ci ha resi capaci attraverso il suo Figlio Gesù.





DOMENICA IV DI QUARESIMA





(Gs 5, 9-12;Sal 34; 2 Cor 5, 17-21; Lc15,1-3.11-32)

Paolo Cugini

1. Le letture della scorsa domenica ci invitavano a non rimandare il tempo della nostra conversione, ma a considerare il tempo presente come il momento favorevole per il nostro incontro con il Signore. Oggi, nella quarta domenica del tempo di quaresima, la liturgia della Parola viene al nostro incontro cercando di spiegarci il contenuto di questa conversione. Le domande che possiamo prendere come sfondo della liturgia di oggi potrebbero essere le seguenti: in definitiva che cosa significa convertirsi al Vangelo? Che cosa esige il Signore da noi? Quali sono i passi che dobbiamo realizzare nel presente della nostra esistenza, per rendere vera ed autentica la nostra adesione al Signore?

2. La prima risposta che possiamo dare a queste domande è che davanti alla proposta del Signore non possiamo rimanere neutrali. Il Vangelo di oggi, infatti, apre proprio con questa immagine. Davanti a Lui ci sono da una parte i farisei che lo criticano e, dall’altra i peccatori che si avvicinano per ascoltarlo. Chi in questa quaresima si sente troppo giusto, probabilmente avrà già iniziato a prendere le distanze dalla sequela di Gesù giudicandola sorpassata o troppo radicale. Chi, al contrario, sta lasciando la Parola del Signore penetrare dentro di sé, non starà sentendosi troppo bene. E allora sentirá l’esigenza di approfondire il discorso, di capire meglio quello che Gesù intende dire. Chi decide di prendere a serio la propria vita e quindi di smetterla di nascondersi dietro le maschere costruite nel tempo, per non stare male tutta la vita e intravedendo nella proposta di Gesù una possibile via di uscita positiva, cercherà di ascoltarlo. L’umiltà é la base per un cammino spirituale e umiltà si misura dall'idea che abbiamo di noi stessi. Se davanti al Vangelo ci sentiamo a posto, significa che siamo messi male, che il nostro cammino spirituale è veramente arrivato alla frutta. Solo Cristo é infatti il Santo di Dio e, dinnanzi al Santo, tutti siamo peccatori e bisognosi di una salvezza che non ci possiamo dare con le nostre mani, ma che viene dall’alto per puro e gratuito dono di Dio (Cfr. Rom 3). Se, al contrario, davanti ad una pagina del Vangelo ci sentiamo male, significa che stiamo ancora bene, perché siamo ancora in contatto con la realtà di noi stessi che é la percezione di qualcosa che deve essere modificato nella nostra esistenza. Se ascoltando questi primi versetti del Vangelo ci siamo identificati con i pubblicani e i peccatori, possiamo procedere nell’ascolto, perché Gesù ci rivelerà qualcosa d’importante per il nostro cammino di conversione. Se, al contrario, ci siamo identificati con i farisei, con coloro cioè che pensano di saperla più lunga di Gesù, possiamo tranquillamente chiudere il Vangelo ed uscire dalla Chiesa: il Vangelo non é roba per esseri superiori, ma per i piccoli.

3. Per noi che siamo rimasti in Chiesa, perché ci sentiamo piccoli, peccatori e bisognosi della misericordia del Signore, che cosa ha da dirci il seguito del Vangelo? Ci rivela qualcosa di noi e qualcosa di Dio.
Ci rivela, innanzitutto, qualcosa di noi nella figura dei due fratelli. Ci dice, infatti, da un lato che abbiamo la testa cosí dura, il cuore cosí chiuso dal nostro orgoglio e l’anima cosí piena di noi stessi e del nostro egoismo, che per capire che stiamo sbagliando strada, abbiamo bisogno di cadere nel fosso. Il figlio che abbandona la casa paterna e parte pensando di realizzare la propria vita, siamo noi tutte le volte che vogliamo fare di testa nostra, che pensiamo di essere i protagonisti assoluti della nostra vita e non vogliamo ascoltare niente e nessuno. Tutte le volte che agiamo in questo modo, stiamo compiendo un passo in piú verso il baratro del non senso e dell’insignificanza della vita. E allora, mentre pensiamo di realizzare una vita piena di successo, in realtà la stiamo distruggendo riempendola di nulla. E così, improvvisamente, in mezzo al cammino della nostra vita, ci sentiamo stranamente vuoti, senza nulla dentro. Chi riesce, in questa situazione esistenzialmente catastrofica, entrare in sé stesso, riconoscere i propri errori assumendo la responsabilità del proprio fallimento e chiedendo aiuto a Dio, potrà rialzarsi e con fatica rimettersi in cammino. Chi, al contrario, continua a non accettare il proprio fallimento di una vita autocentrata e egoista, cercando da tutte le parti punti di riferimento sui quali scaricare la propria rabbia, ha bisogno di mangiare ancora qualche chilo di ghiande insieme ai porci.

4.  Il figlio più vecchio che, invece di gioire con il padre per il ritorno del fratello, si arrabbia al punto di non voler entrare nella festa, è il simbolo di una vita religiosa non gratuita ma interessata. La storia di questo figlio piú vecchio dovrebbe condurci ad interrogarci: perché andiamo in Chiesa? Che cosa stiamo cercando tra le mura della parrocchia? Se non abbiamo ancora capito che in Cristo, Dio ci ha donato tutto se stesso e che nella Chiesa incontriamo tutti i mezzi della salvezza e, nonostante ció abbiamo sempre da ridire qualcosa, da criticare, da giudicare tutto e tutti, vuole dire che il nostro cammino spirituale è un poco materiale, interessato, non é cioè molto chiaro e autentico. Il tempo di quaresima diventa, allora per noi il tempo privilegiato per liberarci da tutte le nostre pretese religiose, da tutto il nostro materialismo spirituale, per camminare piú liberi e sereni dietro al Signore.

5. Che cosa ci dice e c’insegna su Dio questa pagina del Vangelo? Lo abbiamo senza dubbio già capito e cioè che Dio è un Padre immensamente buono, che fa venire la voglia di corrergli incontro per abbracciarlo. É un Padre che non guarda mai il lato negativo del figlio, ma che confida nella sua possibilità di realizzare il bene. É un Padre che non giudica, che non condanna, ma che spera con pazienza che noi suoi figli corriamo tra le sue braccia misericordiose. Contare con un Padre così è veramente una grazia immensa. É il suo amore infinito che distrugge di colpo tutti i nostri falsi idoli, tutte le nostre idee strampalate di Dio. Come si fa, infatti, ad aver paura di un Dio così? Chi ci ha messi in testa che dobbiamo avere paura di Lui? É bello ed è fantastico poter contare su un Dio così che ci aspetta sempre, che con pazienza perdona tutte le nostre colpe, che non si scandalizza dei nostri peccati, che avvolge le nostre ombre con la sua luce, che copre il nostro egoismo con il suo immenso amore. Mettiamoci in ginocchio, allora e preghiamo. Gettiamoci in ginocchio e piangiamo la nostra stupidità. Gettiamoci in ginocchio e ringraziamo il Padre del suo immenso amore per noi. Gettiamoci in ginocchio chiedendo al Padre l’umiltà di non abbandonarlo mai più.