giovedì 28 marzo 2019

DOMENICA IV DI QUARESIMA





(Gs 5, 9-12;Sal 34; 2 Cor 5, 17-21; Lc15,1-3.11-32)

Paolo Cugini

1. Le letture della scorsa domenica ci invitavano a non rimandare il tempo della nostra conversione, ma a considerare il tempo presente come il momento favorevole per il nostro incontro con il Signore. Oggi, nella quarta domenica del tempo di quaresima, la liturgia della Parola viene al nostro incontro cercando di spiegarci il contenuto di questa conversione. Le domande che possiamo prendere come sfondo della liturgia di oggi potrebbero essere le seguenti: in definitiva che cosa significa convertirsi al Vangelo? Che cosa esige il Signore da noi? Quali sono i passi che dobbiamo realizzare nel presente della nostra esistenza, per rendere vera ed autentica la nostra adesione al Signore?

2. La prima risposta che possiamo dare a queste domande è che davanti alla proposta del Signore non possiamo rimanere neutrali. Il Vangelo di oggi, infatti, apre proprio con questa immagine. Davanti a Lui ci sono da una parte i farisei che lo criticano e, dall’altra i peccatori che si avvicinano per ascoltarlo. Chi in questa quaresima si sente troppo giusto, probabilmente avrà già iniziato a prendere le distanze dalla sequela di Gesù giudicandola sorpassata o troppo radicale. Chi, al contrario, sta lasciando la Parola del Signore penetrare dentro di sé, non starà sentendosi troppo bene. E allora sentirá l’esigenza di approfondire il discorso, di capire meglio quello che Gesù intende dire. Chi decide di prendere a serio la propria vita e quindi di smetterla di nascondersi dietro le maschere costruite nel tempo, per non stare male tutta la vita e intravedendo nella proposta di Gesù una possibile via di uscita positiva, cercherà di ascoltarlo. L’umiltà é la base per un cammino spirituale e umiltà si misura dall'idea che abbiamo di noi stessi. Se davanti al Vangelo ci sentiamo a posto, significa che siamo messi male, che il nostro cammino spirituale è veramente arrivato alla frutta. Solo Cristo é infatti il Santo di Dio e, dinnanzi al Santo, tutti siamo peccatori e bisognosi di una salvezza che non ci possiamo dare con le nostre mani, ma che viene dall’alto per puro e gratuito dono di Dio (Cfr. Rom 3). Se, al contrario, davanti ad una pagina del Vangelo ci sentiamo male, significa che stiamo ancora bene, perché siamo ancora in contatto con la realtà di noi stessi che é la percezione di qualcosa che deve essere modificato nella nostra esistenza. Se ascoltando questi primi versetti del Vangelo ci siamo identificati con i pubblicani e i peccatori, possiamo procedere nell’ascolto, perché Gesù ci rivelerà qualcosa d’importante per il nostro cammino di conversione. Se, al contrario, ci siamo identificati con i farisei, con coloro cioè che pensano di saperla più lunga di Gesù, possiamo tranquillamente chiudere il Vangelo ed uscire dalla Chiesa: il Vangelo non é roba per esseri superiori, ma per i piccoli.

3. Per noi che siamo rimasti in Chiesa, perché ci sentiamo piccoli, peccatori e bisognosi della misericordia del Signore, che cosa ha da dirci il seguito del Vangelo? Ci rivela qualcosa di noi e qualcosa di Dio.
Ci rivela, innanzitutto, qualcosa di noi nella figura dei due fratelli. Ci dice, infatti, da un lato che abbiamo la testa cosí dura, il cuore cosí chiuso dal nostro orgoglio e l’anima cosí piena di noi stessi e del nostro egoismo, che per capire che stiamo sbagliando strada, abbiamo bisogno di cadere nel fosso. Il figlio che abbandona la casa paterna e parte pensando di realizzare la propria vita, siamo noi tutte le volte che vogliamo fare di testa nostra, che pensiamo di essere i protagonisti assoluti della nostra vita e non vogliamo ascoltare niente e nessuno. Tutte le volte che agiamo in questo modo, stiamo compiendo un passo in piú verso il baratro del non senso e dell’insignificanza della vita. E allora, mentre pensiamo di realizzare una vita piena di successo, in realtà la stiamo distruggendo riempendola di nulla. E così, improvvisamente, in mezzo al cammino della nostra vita, ci sentiamo stranamente vuoti, senza nulla dentro. Chi riesce, in questa situazione esistenzialmente catastrofica, entrare in sé stesso, riconoscere i propri errori assumendo la responsabilità del proprio fallimento e chiedendo aiuto a Dio, potrà rialzarsi e con fatica rimettersi in cammino. Chi, al contrario, continua a non accettare il proprio fallimento di una vita autocentrata e egoista, cercando da tutte le parti punti di riferimento sui quali scaricare la propria rabbia, ha bisogno di mangiare ancora qualche chilo di ghiande insieme ai porci.

4.  Il figlio più vecchio che, invece di gioire con il padre per il ritorno del fratello, si arrabbia al punto di non voler entrare nella festa, è il simbolo di una vita religiosa non gratuita ma interessata. La storia di questo figlio piú vecchio dovrebbe condurci ad interrogarci: perché andiamo in Chiesa? Che cosa stiamo cercando tra le mura della parrocchia? Se non abbiamo ancora capito che in Cristo, Dio ci ha donato tutto se stesso e che nella Chiesa incontriamo tutti i mezzi della salvezza e, nonostante ció abbiamo sempre da ridire qualcosa, da criticare, da giudicare tutto e tutti, vuole dire che il nostro cammino spirituale è un poco materiale, interessato, non é cioè molto chiaro e autentico. Il tempo di quaresima diventa, allora per noi il tempo privilegiato per liberarci da tutte le nostre pretese religiose, da tutto il nostro materialismo spirituale, per camminare piú liberi e sereni dietro al Signore.

5. Che cosa ci dice e c’insegna su Dio questa pagina del Vangelo? Lo abbiamo senza dubbio già capito e cioè che Dio è un Padre immensamente buono, che fa venire la voglia di corrergli incontro per abbracciarlo. É un Padre che non guarda mai il lato negativo del figlio, ma che confida nella sua possibilità di realizzare il bene. É un Padre che non giudica, che non condanna, ma che spera con pazienza che noi suoi figli corriamo tra le sue braccia misericordiose. Contare con un Padre così è veramente una grazia immensa. É il suo amore infinito che distrugge di colpo tutti i nostri falsi idoli, tutte le nostre idee strampalate di Dio. Come si fa, infatti, ad aver paura di un Dio così? Chi ci ha messi in testa che dobbiamo avere paura di Lui? É bello ed è fantastico poter contare su un Dio così che ci aspetta sempre, che con pazienza perdona tutte le nostre colpe, che non si scandalizza dei nostri peccati, che avvolge le nostre ombre con la sua luce, che copre il nostro egoismo con il suo immenso amore. Mettiamoci in ginocchio, allora e preghiamo. Gettiamoci in ginocchio e piangiamo la nostra stupidità. Gettiamoci in ginocchio e ringraziamo il Padre del suo immenso amore per noi. Gettiamoci in ginocchio chiedendo al Padre l’umiltà di non abbandonarlo mai più.

1 commento:

  1. Due figli,un padre:tre cuori.
    Il figlio che sperpera tutto sa con certezza che mal che gli vada il padre lo tratterà come uno dei suoi servi con vitto,alloggio e cure garantite.Torna a casa veramente pentito.
    Da lontano Il padre sa che se quel figlio è tornato è perché è pentito.
    Il figlio fedele (spesso ci identifichiamo in lui) che non ha mai osato chiedere un capretto per far festa con gli amici è deluso,invidioso,si sente non apprezzato,soprattutto soffre!Ma il padre gli spiega che lui è padre e non padrone e che può osare chiedergli qualsiasi cosa,anzi,può anche non chiedere:tutto ciò che mio è tuo.
    Mi piace pensare che alla fine anche questo figlio entra a far festa col fratello e che l'Amore del Padre apra i cuori più chiusi.
    Maria Teresa Q.

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