domenica 17 settembre 2023

OMELIA DOMENICA 24 SETTEMBRE 2023

 



XXV DOMENICA A TEMPO ORDINARIO

Is 55,6-9; Sal 144; Fil 1,20c-27a; Mt 20,1-16a

 

Paolo Cugini

 

Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri (Is 55, 8). È questo versetto del profeta Isaia la chiave di lettura del Vangelo di oggi. C’è una differenza di mentalità, di modo di pensare, di vedere le cose tra noi e la proposta di Gesù nel Vangelo, che è incommensurabile. Sono modi di vedere opposti e da qui si comprende molto bene perché il suo messaggio ha incontrato resistenza tra le persone religiose del tempo e incontra ancora oggi. Ciò significa che il pensiero di Gesù non è espressione di alcuna religione, ma solamente di qualcos’altro che va cercato. Del resto, è ciò che ci dice ancora il profeta Isaia nella prima lettura di oggi: Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino (Is 55,6). Il Signore non si fa trovare nei riti e nelle dottrine religiose, ma nel Vangelo, nella parola e nell’azione di Gesù. C’è una differenza nei contenuti, nella modalità di pensare e agire a vari livelli. Oggi, il contenuto che Gesù mette sotto accusa con la parabola è la dottrina del merito, che si trova agli antipodi con il criterio del dono gratuito visibile nella vita di Gesù. Proviamo, allora, a riflettere sul contenuto della parabola per cercare di comprendere il messaggio del Vangelo.

Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Quelli di Gesù non sono discorsi teorici, ma hanno come riferimento un obiettivo preciso: spiegare ai suoi discepoli e discepole che cosa significa essere parte di un’umanità che ha come criteri di comportamento non le logiche del mondo, ma quelle che vengono da altrove. È il Regno dei cieli che Gesù tenta di spiegare con le sue parabole, un regno in cui è visibile la presenza di Dio in mezzo a coloro che lo accolgono. In questo regno dei cieli, c’è un movimento costante in uscita. Il padrone esce di casa per chiamare lavoratori a giornata per la sua vigna a tutte le ore. Non rimane, quindi, chiuso in casa aspettando che qualcuno venga a bussare alla porta, ma esce. Se la Chiesa, la comunità cristiana desidera essere una manifestazione del regno dei cieli proposto da Gesù, deve imparare ad uscire, ad andare incontro all’umanità, a chiamare qualsiasi persona senza alcun tipo di distinzione. È la chiesa in uscita che chiama tutti e che accoglie tutti. Papa Francesco, da quando è arrivato a Roma, non fa altro che sottolineare questo aspetto fondamentale che è una caratteristica della comunità cristiana: un pezzo di umanità aperto, che esce a tutte le ore e accoglie chiunque viene.

Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Il padrone esce per chiamare a lavorare nella vigna e offre qualcosa. È un dato molto simile alla parabola dei talenti. Questo denaro che cosa potrebbe rappresentare nella vita di fede? Il denaro rappresenta la paga quotidiana del tempo, che permetteva alla persona di vivere. Che cos’è che ci permette di vivere dal punto di vista della fede? L’acqua del battesimo, il pane e il vino eucaristico, l’olio del crisma, la parola di Dio. È un dono che non può essere accumulato e che acquisisce valore solamente quando viviamo ciò che riceviamo. È proprio questo che san Paolo ci ricorda nella seconda lettura di oggi: Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché́ se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore (Rom 14, 7). Il dono che ci viene fatto non è per rimanere chiuso nelle nostre mani, ma deve poter produrre uno stile di vita caratterizzato dal dono gratuito, una vita per gli altri, per il Signore.

Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Questo è il centro della parabola e qui troviamo il contenuto che Gesù cerca di destrutturare per entrare nella logica del Regno. C’è una logica del merito, di natura squisitamente mondana, che è entrata a fa parte della logica della religione. Questa logica ci insegna che, per ottenere una cosa, dobbiamo meritarcela e, per meritarcela dobbiamo compiere una serie di gesti e di prove. In questa prospettiva del merito, Dio non è altro che un venditore di cose e chi le può ottenere sono i migliori, i meglio dotati, coloro che, in un modo o nell’altro, riescono a compiere tutto ciò che permette loro di raggiungere l’obiettivo. Già spiegata in questo modo si comprende molto bene come questa logica si trovi all’antipodo del Vangelo. Eppure, è stata così tanto inculcata nelle nostre menti che riteniamo giusto e religioso una simile logica. In fin dei conti, la religione dell’obbedienza dei precetti, delle regole, dei riti e dei sacrifici si trova proprio in questa direzione, che non è quella insegnata da Gesù.

“Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. È questa la logica di Dio Padre, così come Gesù lo ha manifestato all’umanità. Un Dio che non risponde alla logica del merito, ma a quella del dono gratuito e disinteressato. Un dono gratuito che tutti possono accogliere indipendentemente dal loro stato sociale e dei loro presunti talenti, perché è Dio il protagonista della nostra salvezza e non noi. Infatti, mentre il Dio inventato dagli uomini, quello che risponde al criterio del merito, scarta i più deboli e premia i così detti migliori, il Dio che Gesù ha manifestato a noi permette a chiunque di entrare nel Regno dei cieli e questo perché, come dice la parabola, Dio è buono. C’è bontà nella proposta di Gesù, una bontà donata gratuitamente che esige solamente l’accoglienza, il farle spazio. In questo cammino i piccoli, gli esclusi, i poveri e tutti coloro che soffrono in questo mondo del merito un tipo di discriminazione, sono avvantaggiati perché il mondo li ha svuotati della loro dignità e Gesù, con la sua proposta, è venuto a restituirgliela.

Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi. Non è a caso questa conclusione, ma il frutto di ciò che la parabola ha voluto esprimere. Mettiamoci in fila, allora, nella fila degli ultimi. Usciamo dalle fila di coloro che vogliono essere grandi in questo mondo, ma che poi perdono la propria anima. Finché siamo in tempo, spogliamoci della religione del merito per farci rivestire della bontà di Dio Padre. Amen.

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