XXV
DOMENICA A TEMPO ORDINARIO
Is 55,6-9; Sal 144; Fil 1,20c-27a; Mt
20,1-16a
Paolo
Cugini
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri (Is 55, 8). È questo versetto del profeta Isaia la
chiave di lettura del Vangelo di oggi. C’è una differenza di mentalità, di modo
di pensare, di vedere le cose tra noi e la proposta di Gesù nel Vangelo, che è
incommensurabile. Sono modi di vedere opposti e da qui si comprende molto bene perché
il suo messaggio ha incontrato resistenza tra le persone religiose del tempo e
incontra ancora oggi. Ciò significa che il pensiero di Gesù non è espressione
di alcuna religione, ma solamente di qualcos’altro che va cercato. Del resto, è
ciò che ci dice ancora il profeta Isaia nella prima lettura di oggi: Cercate
il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino (Is 55,6). Il
Signore non si fa trovare nei riti e nelle dottrine religiose, ma nel Vangelo,
nella parola e nell’azione di Gesù. C’è una differenza nei contenuti, nella
modalità di pensare e agire a vari livelli. Oggi, il contenuto che Gesù mette
sotto accusa con la parabola è la dottrina del merito, che si trova agli
antipodi con il criterio del dono gratuito visibile nella vita di Gesù. Proviamo,
allora, a riflettere sul contenuto della parabola per cercare di comprendere il
messaggio del Vangelo.
Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che
uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Quelli di Gesù non sono discorsi teorici, ma hanno
come riferimento un obiettivo preciso: spiegare ai suoi discepoli e discepole
che cosa significa essere parte di un’umanità che ha come criteri di comportamento
non le logiche del mondo, ma quelle che vengono da altrove. È il Regno dei
cieli che Gesù tenta di spiegare con le sue parabole, un regno in cui è
visibile la presenza di Dio in mezzo a coloro che lo accolgono. In questo regno
dei cieli, c’è un movimento costante in uscita. Il padrone esce di casa per
chiamare lavoratori a giornata per la sua vigna a tutte le ore. Non rimane,
quindi, chiuso in casa aspettando che qualcuno venga a bussare alla porta, ma
esce. Se la Chiesa, la comunità cristiana desidera essere una manifestazione
del regno dei cieli proposto da Gesù, deve imparare ad uscire, ad andare incontro
all’umanità, a chiamare qualsiasi persona senza alcun tipo di distinzione. È la
chiesa in uscita che chiama tutti e che accoglie tutti. Papa Francesco, da
quando è arrivato a Roma, non fa altro che sottolineare questo aspetto
fondamentale che è una caratteristica della comunità cristiana: un pezzo di
umanità aperto, che esce a tutte le ore e accoglie chiunque viene.
Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò
nella sua vigna. Il padrone esce
per chiamare a lavorare nella vigna e offre qualcosa. È un dato molto simile
alla parabola dei talenti. Questo denaro che cosa potrebbe rappresentare nella
vita di fede? Il denaro rappresenta la paga quotidiana del tempo, che permetteva
alla persona di vivere. Che cos’è che ci permette di vivere dal punto di vista
della fede? L’acqua del battesimo, il pane e il vino eucaristico, l’olio del
crisma, la parola di Dio. È un dono che non può essere accumulato e che
acquisisce valore solamente quando viviamo ciò che riceviamo. È proprio questo
che san Paolo ci ricorda nella seconda lettura di oggi: Fratelli,
nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché́ se noi
viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore (Rom
14, 7). Il dono che ci viene fatto non è per rimanere chiuso nelle nostre mani,
ma deve poter produrre uno stile di vita caratterizzato dal dono gratuito, una
vita per gli altri, per il Signore.
Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel
ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno
lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il
peso della giornata e il caldo”. Questo
è il centro della parabola e qui troviamo il contenuto che Gesù cerca di
destrutturare per entrare nella logica del Regno. C’è una logica del merito, di
natura squisitamente mondana, che è entrata a fa parte della logica della
religione. Questa logica ci insegna che, per ottenere una cosa, dobbiamo
meritarcela e, per meritarcela dobbiamo compiere una serie di gesti e di prove.
In questa prospettiva del merito, Dio non è altro che un venditore di cose e
chi le può ottenere sono i migliori, i meglio dotati, coloro che, in un modo o
nell’altro, riescono a compiere tutto ciò che permette loro di raggiungere l’obiettivo.
Già spiegata in questo modo si comprende molto bene come questa logica si trovi
all’antipodo del Vangelo. Eppure, è stata così tanto inculcata nelle nostre
menti che riteniamo giusto e religioso una simile logica. In fin dei conti, la
religione dell’obbedienza dei precetti, delle regole, dei riti e dei sacrifici
si trova proprio in questa direzione, che non è quella insegnata da Gesù.
“Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse
concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare
anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che
voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. È questa la logica di Dio Padre, così come Gesù lo ha
manifestato all’umanità. Un Dio che non risponde alla logica del merito, ma a
quella del dono gratuito e disinteressato. Un dono gratuito che tutti possono
accogliere indipendentemente dal loro stato sociale e dei loro presunti talenti,
perché è Dio il protagonista della nostra salvezza e non noi. Infatti, mentre
il Dio inventato dagli uomini, quello che risponde al criterio del merito,
scarta i più deboli e premia i così detti migliori, il Dio che Gesù ha
manifestato a noi permette a chiunque di entrare nel Regno dei cieli e questo perché,
come dice la parabola, Dio è buono. C’è bontà nella proposta di Gesù, una bontà
donata gratuitamente che esige solamente l’accoglienza, il farle spazio. In
questo cammino i piccoli, gli esclusi, i poveri e tutti coloro che soffrono in
questo mondo del merito un tipo di discriminazione, sono avvantaggiati perché il
mondo li ha svuotati della loro dignità e Gesù, con la sua proposta, è venuto a
restituirgliela.
Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi. Non è a caso questa conclusione, ma il frutto di ciò che la parabola ha voluto esprimere. Mettiamoci in fila, allora, nella fila degli ultimi. Usciamo dalle fila di coloro che vogliono essere grandi in questo mondo, ma che poi perdono la propria anima. Finché siamo in tempo, spogliamoci della religione del merito per farci rivestire della bontà di Dio Padre. Amen.
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