ESERCIZI SPIRITUALI - GALEAZZA 2022
Domenica 4 settembre, ore 9
L’abbiamo
riconosciuto mentre spezzava il pane
C’è un testo che in questo cammino di
riflessione biblica sull’eucarestia non possiamo lasciare fuori: Lc 24. È il
brano che narra il cammino di due discepoli che da Gerusalemme si dirigono
verso Emmaus. È un cammino significativo, perché dalla tristezza si passa alla
gioia. Com’è possibile, ci possiamo chiedere, passare da una vita religiosa
triste, ad un cammino di fede pieno di gioia? Passare da una vita di fede
passiva, indifferente, ad un cammino che ci lascia positivi, pieno di forza e
di voglia di fare?
Ed
ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di
nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e
conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre
conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con
loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Chi
sono questi due discepoli? Uno di loro, ci dirà il testo più avanti, si chiama
Clèopa mentre dell’altro non ci viene detto nulla. In ogni modo questi due
discepoli trasmettono ciò che il gruppo dei discepoli ha vissuto in quelle ore
tragiche che hanno segnato la passione e la morte del maestro. Il viaggio che
loro compiono è nel giorno di domenica e l’annuncio della sua resurrezione era
già stato dato da part di alcune donne, discepole del Signore. Ma tra chi non
l’aveva ancora visto resta la confusione, l’incredulità. La morte di Gesù ha
segnato la fine delle illusioni di una liberazione politica da parte del messia
atteso. La morte di Gesù in croce segna la fine di quell’erronea
identificazione di Gesù con il messia liberatore politico, il messia che
avrebbe organizzato un esercito per distruggere i romani. Era questa la
speranza che una parte del popolo d’Israele coltivava da secoli e l’azione di
Gesù era stata interpretata in questo modo. Eppure Gesù durante la sua vita
pubblica, sia nei suoi gesti che nelle sue parole aveva manifestato chiaramente
il suo approccio non violento alla realtà. Gesù più che il messia guerriero
incarna il messaggero di pace, l’avvento di un mondo non violento, un mondo di
pace e di giustizia. In ogni modo, chi coltiva nel cuore aspettative, sono
proprio queste a leggere la realtà, che rimane inascoltata e disattesa. Forse è
proprio questo uno dei motivi per cui i due discepoli non riconoscono Gesù in
quell’uomo che si affianca a loro nel cammino pieno di tristezza e di
confusione. Il problema della fede diventa allora, un problema di
riconoscimento della presenza di Gesù che cammina con noi e non lo vediamo.
Come fare per riconoscerlo? Perché non riusciamo a vederlo?
Ed
egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo
il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa,
gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è
accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero:
«Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno… C’è un cammino con la
faccia triste, che spesso caratterizza anche il cammino della nostra vita, pine
di tante cose svuotata di senso. I discepoli non riconoscono Gesù che si
avvicina a loro perché sono troppo pieni della loro amarezza: non c’è posto per
la novità. Gesù lo riconosciamo quando trova spazio nella nostra esistenza. Uno
degli effetti benefici della vita spirituale è lo svuotamento interiore, che è
richiesto dall’ascolto attento dalla Parola di Dio. È difficile capire la
Parola quando abbiamo il cuore pieno di parole. C’è troppa amarezza, delusione,
sentimento di fallimento nell’animo di quei due discepoli per fare spazio alla
novità che si manifesta in Gesù risorto. Sono ancora troppo intenti a
rimuginare i loro sogni di gloria, le loro proiezioni sbagliate sul personaggio
di Gesù che hanno visto con i loro occhi appeso ad una croce. La croce, in
questa prospettiva, è il simbolo della morte di tutte le idee sbagliate su Dio,
di tutte le fantasie su Gesù. Interessante è che i due discepoli quando vedono
quest’uomo accostarsi a loro, non gli chiedono nemmeno il nome, ma gli
rovesciano addosso tutta la loro delusione sugli eventi che hanno
caratterizzato la vita di quel Gesù che è lì accanto a loro. C’è un Gesù che è
accanto a noi, ma non lo riconosciamo perché siamo troppo pieni di noi stessi,
troppo concentrati sulle nostre fantasie, le nostre illusioni al punto che non
c’è spazio per la realtà. Totalmente diverso è l’atteggiamento di Gesù che si
mette al fianco di questi due discepoli totalmente disponibile ad ascoltarli,
potremmo ire, totalmente svuotato di se stesso per fare spazio a loro. È questo
un aspetto dell’amore, che non ricopre l’amato, l’amata del proprio ego, ma gli
fa spazio affinché si manifesti, gli fa spazio affinché viva. Le domande che
Gesù rivolge ai due discepoli sono tutte nella stessa direzione: farsi
consegnare il problema, permettere loro di svuotare il sacco, permettere loro
di condividere la narrazione, il problema che li rende così tristi. Quello che
i discepoli raccontano a Gesù è una narrazione minuziosa e dettagliata degli
eventi che hanno caratterizzato gli ultimi momenti della vita di Gesù, compreso
il misterioso annuncio della resurrezione portato da quelle donne andata al
sepolcro, che hanno trovato la tomba vuota e lo hanno incontrato risuscitato.
Potemmo dire, allora, che i discepoli conoscono molto bene il Vangelo, ma per
loro è una parola che non sta dicendo nulla. Attualizzando potremmo dire: c’è
una conoscenza della Parola che non produce nessun cammino di fede, perché non
scalda il cuore e non lo scalda perché quelle parole conosciute sono una
semplice lettera morta in un cuore pieno di se stesso.
«Stolti
e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non
bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua
gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in
tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Per fare in modo
che la Parola diventi significativa nella nostra vita occorre qualcuno che ce
la spieghi, ce la interpreti. Troviamo questo stesso processo d’interpretazione
della Parola nel capitolo 8 degli Atti degli Apostoli. Un funzionario della regina
di Etiopia stava ritornando dal viaggio su un carro e leggeva un brano di
Isaia. Lo Spirito Santo guida Filippo accanto a questo personaggio e gli
chiede: “Capisci quello che leggi” (Atti 8, 30). Questa domanda
assomiglia molto a quella che Gesù rivolge ai due discepoli diretti a Emmaus. Filippo
spiega all’eunuco etiope il senso di quel brano di Isaia che sta leggendo senza
capire, parlandogli di Gesù. Dopo la spiegazione il funzionario etiope chiede
il battesimo. La Parola di Dio dice qualcosa alla vita degli uomini e delle
donne se c’è qualcuno che la interpreta, se c’è Gesù o un suo discepolo che
gliela spiega. È Gesù, infatti, la chiave d’interpretazione della Scrittura,
perché tutto parla di Lui.
Quando
furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare
più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il
giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando
Gesù passa nella nostra vita, se trova accoglienza, se trova il desiderio della
sua Parola, rimane con noi. Nel cuore dei due discepoli lungo il cammino al
fianco di Gesù è successo qualcosa. Lo diranno più avanti che mentre Gesù
spiegava la Scrittura il loro cuore ardeva, perché aveva trovato spazio,
interesse e quello che Gesù spiegava. Non è un dato scontato che la parola di
Gesù trovi spazio nel cuore di chi ascolta. Infatti, quante volte i farisei
hanno ascoltato la Parola di Gesù e non l’hanno mai accolta, ma disprezzata.
Anche il giovane ricco, dinanzi alle richieste esigenti della proposta di Gesù
se n’è andato via triste. Questi due discepoli no, al contrario, insistono affinché
Gesù rimanere con loro: la sua Parola ha fatto breccia nei loro cuori. Per
questo quando Gesù spezza il pane lo riconoscono: era già dentro!
Quando
fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo
diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli
sparì dalla loro vista. È il vangelo spiegato dal
Signore e accolto nel cuore che ci permette di riconoscerlo. A quel punto non
abbiamo più bisogno della sua presenza fisica, perché è già entrato nel nostro
cuore, ha trovato spazio nella nostra anima, ha fatto svanire le nostre illusioni
e ha riempito la nostra vita con la sua realtà. La domanda allora, a questo
punto del discorso, non può essere che questa: chi ci può spiegare la Scrittura
affinché possiamo riconoscere il Signore nell’eucarestia, nel gesto dello
spezzare il pane? La risposta a questa domanda non può essere univoca, ma
presenta varie sfaccettature, In primo luogo, Cristo che spiega la parola ai
fedeli che la desiderano conoscere è presenta nella Chiesa, nel suo magistero,
nei suoi documenti. Lì troviamo un alimento sicuro. A volte però, questi testi
ci sembrano un po' difficili e con un linguaggio molto lontano dalla nostra
realtà. Per questo il secondo livello della presenza del Signore nella storia
che ci aiuta a comprendere la sua Parola è nella comunità. Uno dei compiti
principali, se non il principale, di una comunità parrocchiale è proprio
questo: aiutare i fedeli a comprendere la Parola di Dio. Questo dato ne esige
un altro, vale a dire, riproporre nel nostro vissuto di comunità
l’atteggiamento di Gesù, che non ha aspettato i discepoli in chiesa nella
sinagoga, ma li è andati a scovare, si è messo sulla strada e ha camminato con
loro, ascoltandoli con pazienza. Qui bisogna stare attenti a non identificare
l’azione di Gesù con quella del prete: è la comunità dei credenti che è
chiamata a mettersi in cammino sulle strade, per mettersi al passo con le
persone incontrate e ascoltarle. Per fare questo nella comunità ci dovrebbero
essere persone che non solo conoscono la Parola, ma sono innamorate del
Signore, perché lo hanno incontrato e lo riconoscono. Solo così, sono in grado
di affiancare le persone incontrate sul cammino per mettersi al loro passo ed
ascoltarle per poterle aiutare a comprendere la presenza del Signore, ad
annunciare loro il Vangelo. C’è un ulteriore livello della presenza del Signore
che si manifesta nel cammino della nostra vita e ci spiega la Parola senza
troppi giri di parole: i poveri. C’è una presenza misteriosa, potremmo dire
sacramentale, di Gesù nei poveri che si rivela in alcune circostanze della
vita. Che Gesù sia presente nei poveri, negli stranieri, negli esclusi della
società, è Lui stesso a dirlo: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare,
ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete
accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in
carcere e siete venuti a trovarmi" (Mt 25, 35-36). L’incontro con i
poveri provoca quel cammino di spogliazione e di svuotamento di sé che è quello
che Gesù ha provocato nei due discepoli diretti a Emmaus. Gesù diventa significativo
nella nostra vita solamente se trova spazio, se lo lasciamo penetrare dentro di
noi. Frequentare i poveri è frequentare il Signore; mettersi in cammino con i
poveri che incontriamo nella vita – e possiamo stare sicuri che ci vengono a
cercare-, dedicare loro il nostro tempo prezioso può avere un effetto benefico
più per noi che per loro.
«Davvero
il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che
era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
La
verità del nostro incontro con Gesù e che davvero ha trovato spazio in noi è
che non possiamo più tacere: diventiamo suoi annunciatori. A questo punto il
cerchio si chiude. Il Vangelo spiegato dal Signore ci svela il senso
dell’eucarestia, che ci proietta immediatamente fuori, per metterci in cammino
con le persone che incontriamo per aiutarle a fare spazio al Signore nelle loro
vite. L’eucarestia genera la missione, l’annuncio.
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