[Appunti
di Paolo Cugini]
Nel
capitolo 13 Gesù mostra l’immagine di Dio sconvolgente e scandalosa. Da sempre
in ogni religione, Dio era la proiezione delle ambizioni, delle frustrazioni
dell’uomo e il rapporto fra Dio e gli uomini era come dei servi con il loro
signore: Dio andava servito, Dio godeva delle offerte degli uomini, Dio
assorbiva le energie degli uomini, ma Gesù si mette a lavare i piedi ai
discepoli, compiendo un lavoro di servo: ecco chi è Dio. Dio non è colui che
vuole essere servito, ma colui che per amore si mette a servizio degli altri.
Gesù, il Signore si fa servo perché quelli che sono considerati servi
entrassero nella categoria di signori. Il servire liberamente, volontariamente
per amore non solo non toglie la dignità alle persone, ma dà quella vera, la
dignità divina. Il Dio che Gesù ci presenta non è in nessun modo un Dio che
vuole essere servito, ma un Dio che si mette a servire.
È
un cambio radicale, non ci sono leggi da osservare, ma c’è un amore da
accogliere. La legge è ingiusta; dal momento che c’è la legge molti si trovano
fuori legge per la loro situazione, per la loro condotta. L’amore se accolto fa
fiorire, vedremo in questo capitolo, forme nuove, inedite con le quali Dio si
vuole manifestare agli uomini. E il riassunto del capitolo 13 è nella frase del
finale di Giovanni,13,37, Gesù ha appena annunziato il tradimento di Pietro e dice:
Tutti mi abbandonerete, mi tradirete…e Pietro dirà: No, anche se tutti lo
faranno, io no perché… ed ecco la chiave del tradimento di Pietro che non ha
capito la novità di Gesù: darò la mia vita per te. Gesù dice: Tu darai la mia
vita per me? Questa notte stessa tu mi tradirai. Lo sbaglio di Pietro è che non
ha capito: c’è stata la lavanda dei piedi dove Gesù, che è Dio, non chiede la
vita degli uomini, ma lui che è Dio si offre per potenziare la vita degli
uomini. Non c’è più da dare la vita per Dio, ma accogliere un Dio che dà la
vita per gli uomini. Pietro il cui soprannome significa testardo, testa dura
non lo capisce: darò la mia vita per te! Ma chi te l’ha chiesta! Sono io che do
la mia vita per voi e Gesù annunzia il tradimento. Tra l’annunzio della morte
di Gesù e il tradimento di Pietro c’è nella comunità un’atmosfera di imbarazzo.
Comprendendo esattamente quanto l’evangelista scrive, questo capitolo è
fondamentale perché determina un cambiamento del nostro rapporto con Dio e di
conseguenza il rapporto con gli altri. L’evangelista lo cura in maniera
particolare, perché è l’ultimo giorno di vita di Gesù, sono le sue ultime
azioni.
lui
che aveva amato i suoi che erano nel mondo, fino alla fine li amò (è una
costruzione grammaticale strana e vedremo perché). L’evangelista dicendo che
l’amore di Gesù è un amore fino alla fine, ricalca la finale del libro del
Deuteronomio cap.31, dove si legge che Mosè terminò di scrivere in un libro le
parole della Legge fino alla fine; pertanto vuole sostituire la Legge con Gesù.
È la proclamazione della nuova alleanza: Quando Mosè ebbe finito di scrivere le
parole della Legge fino alla fine (deut. 31,24); Gesù ama fino alla fine. La
nuova relazione che Gesù è venuto a proporre tra Dio e gli uomini, non si basa
più sulla osservanza della Legge, che di fatto escludeva tante persone da Dio:
non tutti potevano o volevano osservare i dettami della Legge e per la loro
situazione si sentivano esclusi dalla Legge. La nuova relazione non è più
basata sulle parole della Legge, ma sulla accettazione dell’amore di Dio,
perché il Dio di Gesù non guarda i meriti delle persone, ma i loro bisogni; non
chiede obbedienza alla sua Legge, perché non tutti possono farlo, ma
accoglienza del suo amore.
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Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani, Gesù è libero, non
ha alcun obbligo, sa che è la fine e che Giuda ha deciso di tradirlo, farebbe
ancora in tempo a scappare via. Si trova a Gerusalemme e salendo il monte degli
Ulivi, incomincia subito il deserto con una miriade di caverne, cunicoli;
poteva fuggire e dire ai discepoli di coprirgli le spalle e lo avrebbero fatto!
In questo vangelo Pietro dice: sono pronto a dare la mia vita per te, ma Gesù
nel capitolo decimo aveva risposto che il pastore dà la vita per le pecore; non
è un mercenario che fugge quando vede arrivare il lupo e lascia che le pecore
siano sbranate. Gesù, fedele a quanto aveva insegnato, dà la vita per i suoi.
L’azione di Gesù è importante, perché leggendo il vangelo non facciamo una
cronistoria di 2000 anni fa, ma una teologia per i nostri giorni.
L’atteggiamento di Gesù di donare la vita non è una risposta al pericolo che i
discepoli corrono, ma lo precede e l’evangelista vuol fare comprendere che il
credente in Gesù deve stare tranquillo, il Dio di Gesù non risponde ai nostri
bisogni, ma li precede. Il dono della vita da parte di Gesù, non è in risposta
di un pericolo (che ci sarà più avanti quando arriveranno le guardie per
arrestarlo), ma lo precede. L’azione di Dio, nella vita del credente è di
precedere sempre i momenti di difficoltà. Sapendo che il Padre gli aveva dato
tutto nelle mani e che era uscito da Dio e da Dio ritornava, nel prologo Gesù è
stato presentato come la parola di Dio e fin dall’inizio il progetto della
creazione era in vista della realizzazione della parola di Dio incarnata in
Gesù. Gesù è la parola di Dio, che non può essere contenuta in un testo che,
dal momento che è scritto e pubblicato, è già vecchia e gli uomini sono
costretti ad osservare un testo che non risponde più alle loro esigenze.
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si alzò da tavola, Quando leggiamo i vangeli, questo è un po’ il nostro
compito, bisogna immedesimarsi, entrare nei testi prendendo le distanze da
quello che sappiamo. Sappiamo un po’ come si svolgono i fatti o perché li
abbiamo letti o ascoltati, ma mettiamoci nei panni dei primi lettori e
ascoltatori che non sanno come vanno a finire. Qui stanno cenando e
all’improvviso l’evangelista dice che Gesù sa che Giuda lo vuole consegnare, si
alza da tavola, interrompe la scena, poi depose il mantello. Ci saremmo
aspettati il verbo togliere, ma Gesù aveva detto al capitolo decimo: io depongo
la mia vita per poi riprenderla di nuovo. Deporre il mantello significa il dono
della vita. Gesù depose il mantello e preso un asciugatoio, non se lo cinse, il
testo greco dice cinse se stesso. Gesù toglie il mantello che dà dignità alla
persona, si cinge di un asciugatoio che sarà il suo distintivo indelebile. Gesù
non ha distintivi sacri, non ha vesti sacerdotali, ha un asciugatoio simbolo
del servizio, con cui cinge se stesso. 5 Poi versò dell’acqua nel catino
(questo è assurdo e inaccettabile e vedremo perché) e cominciò a lavare i piedi
dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. Lavare i
piedi all’ospite era un compito sgradevole perché a quell’epoca la gente andava
comunemente scalza. Le strade erano sentieri battuti e i piedi della persona
raccoglievano non soltanto terra, ma sputi, cacche. I piedi dell’individuo
erano considerati la parte più impura del corpo perché raccoglievano tutto e
c’era orrore verso i piedi dell’individuo. Gli esseri considerati inferiori
dalla società, avevano il compito di lavare i piedi agli esseri superiori. Era
compito dello schiavo non ebreo verso il padrone, della moglie verso il marito,
dei figli nei confronti del padre e i discepoli nei confronti del maestro. Il
lavaggio andava fatto prima della cena per essere pienamente puri.
L’evangelista non colloca la lavanda dei piedi né prima né dopo la cena, ma
durante e ci sta dicendo che è l’eucarestia. (Speriamo di poter fare bene il
capitolo perché se lo comprendiamo bene cambia il nostro rapporto con Dio e di
conseguenza con gli altri.) Gesù non lo ha preteso, poteva dire ai discepoli:
lavatevi i piedi prima di partecipare alla cena, che non è una cena normale, e
non è la cena ebraica della Pasqua perché dice l’evangelista che è prima della
festa della Pasqua. Gesù non celebra la cena pasquale e non vi è nessun
elemento di essa, è l’eucarestia. Gesù poteva dire ai discepoli: questa sera
facciamo qualcosa di completamente nuovo, di inedito e dovete essere puri.
Purificatevi e lavatevi i piedi. Ma la lavanda non avviene né prima né dopo, ma
durante, e l’evangelista ci indica che non occorre purificarsi per poter
partecipare all’eucarestia, ma essa rende puri. Questo è drammatico, se
pensiamo che è in un ambiente in cui Dio poteva essere avvicinato soltanto se
l’uomo si era purificato! Infatti si creava una categoria di esclusi da Dio,
perché non tutti potevano purificarsi; l’uomo che era nel peccato era impuro e solo
Dio poteva purificarlo, ma l’uomo non poteva avvicinarsi a Dio perché era
impuro. La religione è perversa, è capace di gettare le persone nella
disperazione.
verso
i fratelli. Non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi
siete puri, ma non tutti. Gesù ha lavato i piedi a tutti, eppure dice: non
tutti siete puri, perché come abbiamo accennato, non è il fatto di farsi lavare
i piedi che rende puro l’uomo, ma la sua disponibilità di lavare i piedi degli
altri. Trattando degli altri vangeli abbiamo parlato del perdono di Dio e che
mai Gesù invita a chiedere perdono a Dio, perché Dio ce lo dà in maniera
anticipata. Il perdono diventa operativo ed efficace quando si traduce in
altrettanto perdono per gli altri. È vero che Gesù lava i piedi, fa un servizio
di purificazione, ma questo diventa efficace ed operativo soltanto quando si
traduce in servizio degli altri. Chi riceve la linfa vitale, ma non la traduce
in frutto per gli altri è un tralcio inutile, lo vedremo nel capitolo
quindicesimo. 11 Sapeva infatti chi lo consegnava; per questo disse: “Non tutti
siete puri”. Gesù ha lavato i piedi anche a Giuda, Giuda accoglie il gesto
d’amore, ma non lo traduce in altrettanto amore per gli altri.
15
Vi ho dato infatti un esempio ma il termine greco indica qualcosa di più di
esempio, il termine usato dall’evangelista non indica modello, ma segno,
mostrare qualcosa che rende l’altro capace di farlo perché come io ho fatto a
voi, anche voi facciate. È un far vedere per rendere l’altro capace. Gesù non
si presenta come un modello da imitare, ma come un dono che genera un
comportamento. Gesù ci inonda del suo amore e ci rende capaci di amare come lui
ci ha amato. Tra poco Gesù lascerà alla sua comunità l’unico comandamento dell’amore.
C’è una affermazione solenne 16 In verità, in verità io vi dico è l’amen, amen
ebraico, quello che è certo, che è sicuro e l’evangelista lo usa per le
affermazioni importanti di Gesù: un servo non è più grande del suo signore,
lavando i piedi ai discepoli li ha innalzati al suo livello. Nella comunità,
chi pretende di essere servito anziché servire, si metterebbe superiore allo
stesso Gesù. Gesù non considera i discepoli dei servi, ma adoperando
un’espressione proverbiale che un servo non è più grande del suo maestro, vuol
mettere in guardia chi, nella comunità, cerca di dominare anziché servire. Se
io, il Signore, ho fatto un lavoro da servo, chi tra voi può pretendere di
dominare, di essere servito? In verità, in verità io vi dico: un servo non è
più grande del suo signore.
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Vi do un comandamento nuovo: nella lingua greca nuovo si scrive neos e lo
adoperiamo per neolaureato… e significa aggiunto, ma gli evangelisti che fanno
un uso attento e pignolo della lingua non adoperano il termine neos. Se fosse
neos significherebbe: avete già i dieci comandamenti di Mosè, adesso vi do un
altro comandamento. L’evangelista usa un termine greco, kairos, che indica una
qualità che sostituisce tutto quello che c’è in precedenza e per comprendere va
tradotto con migliore. Quando nel vangelo di Marco, 1,21, Gesù predica per la
prima volta nella sinagoga di Cafarnao, la gente dice: Cos’è questo? Un
insegnamento nuovo, ma non significa che fino adesso non lo avevano sentito e
ora ce n’è uno in più, ma un insegnamento di una qualità tale che annulla e
sostituisce quello degli scribi. Infatti c’è la reazione rabbiosa e stizzita 19
degli scribi, perché l’insegnamento di Gesù smentisce tutto quello che c’era in
precedenza. L’evangelista adopera un comandamento migliore, nel senso che Gesù
non aggiunge il suo comandamento a quelli già esistenti, ma li soppianta e se
parla di comandamento è soltanto per opporlo a quelli di Mosè, perché Gesù
comanda l’unica cosa che non si può comandare ad una persona: di volermi bene. Posso
comandare a una persona di ubbidirmi, di servirmi, ma non di volermi bene. Come
sottomesso ti ubbidirò, ti servirò e ti disprezzo dal più profondo del cuore,
ma non puoi comandarmi di volerti bene. Gesù ci comanda l’unica cosa che non
può essere comandata all’uomo! Un comandamento migliore dò a voi: Gesù non
impone, ma offre. Il comandamento è sconcertante perché in tutte le religioni,
il primo comandamento, il più importante riguarda Dio e gli obblighi nei suoi
confronti. Gesù nell’unico comandamento che lascia alla sua comunità non nomina
Dio, non solo non dice amate Dio, Dio non viene citato, ma che vi amiate gli
uni e gli altri come io vi ho amato, affinché anche voi vi amiate gli uni gli
altri. Gesù sta proponendo una nuova alleanza. Già l’evangelista ce lo aveva
fatto capire dal prologo: la legge fu data attraverso Mosè, l’amore fedele, la
grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù. Gesù è venuto a proporci una
nuova relazione con Dio, un Dio profondamente diverso. Mosè, servo del Signore
aveva imposto un’alleanza tra servi e il loro Signore, basata sulla obbedienza.
Il credente era colui che obbediva a Dio osservando le sue leggi e di fatto si
escludevano tante persone dal suo amore, perché o non volevano o non potevano
osservare le sue leggi. La legge veniva imposta con minacce e castighi. Gesù
propone una nuova alleanza, non è il servo di Dio. Nell’antichità gli uomini
avevano proiettato verso Dio il rapporto esistente nella società verso il re,
la persona più importante, di cui gli uomini erano servi; dovevano servire il
re e soprattutto offrire. Gesù viene a proporre un’alleanza tra figli e il
Padre, non basata sull’obbedienza della legge, ma sull’accoglienza e
assomiglianza del suo amore. Mentre di fatto la prima alleanza esclude tante
persone, la seconda è proposta a tutti quanti. Gesù non impone, chiede soltanto
di accogliere quest’amore incondizionato e di assomigliare a questo amore; è la
nuova alleanza. Gesù supera il precetto contenuto nel Levitico. Tutti quanti
veniamo da una grande confusione ed ignoranza catechistica e tante persone alla
domanda: qual è l’insegnamento dell’amore per il cristiano, rispondono: ama il
prossimo tuo come te stesso. Ma questo è per gli ebrei, non è per i cristiani:
ama il prossimo tuo come te stesso è un amore limitato, perché se io vi amo
come amo me, siccome io sono limitato anche l’amore è limitato. A quell’epoca
poi il prossimo era un appartenente al clan, ad Israele, non uno straniero.
Gesù supera questo precetto, la misura dell’amore non è l’individuo, ma Gesù:
amatevi gli uni gli altri come io (non usa il futuro amerò, non sta parlando di
quell’amore totale che tra poco offrirà sulla croce) vi ho amato. E Gesù che
amò i suoi fine alla fine, ha espresso il massimo del suo amore mettendosi al
loro servizio. Amatevi gli uni e gli altri come io vi ho amato, indica che
l’unico comandamento della comunità è un amore che si trasforma in servizio per
far sentire gli altri liberi e signori. È l’unico comandamento. Il Signore non
chiede nulla né per sé né per Dio, ma soltanto per gli uomini: servitevi gli
uni gli altri come io vi ho servito. Gesù non ci lascia una dottrina che può
trovare le persone, più o meno d’accordo; deve essere formulata in un
linguaggio che appartiene ad una cultura, ad una determinata area geografica,
Gesù lascia un gesto di servizio che è un linguaggio universale. Una dottrina
potrà essere più o meno compresa in altre aree geografiche, un gesto d’amore
che si fa servizio è compreso da tutti. Il linguaggio di Gesù è universale, il
come di questo amore non indica soltanto la misura, ma la motivazione: con lo
stesso amore con il quale io vi ho amato. Il Dio che Gesù manifesta non assorbe
le energie dell’uomo, gli comunica le sue. Nella religione l’uomo viene
talmente assorbito da Dio che non si occupa degli altri, perché è tutto preso
da Dio 20 da non aver tempo per gli altri. Con Gesù è diverso; Dio non ti
assorbe nella sua realtà, chiede di essere accolto per potenziare la tua
realtà. Alla base dell’unico comandamento non c’è una dottrina rivelata, ma un
gesto d’amore. Il servizio che in quell’epoca era considerato qualcosa di
disonorevole, di meschino, quando viene compiuto liberamente e volontariamente
per amore, diventa sublime. Se confrontiamo l’unico comandamento con quelli di
Mosè, vediamo che la distanza è abissale, non basta come dice Mosè, non
ammazzare, qui c’è l’impegno di dare la vita per gli altri. Gesù dice: un
comandamento, lo chiama così per contrapporlo a quelli di Mosè, ma non è un
comandamento perché comanda l’unica cosa che non può essere comandata. 35 In
questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli
altri. L’amore non è reale se non si trasforma in servizio. Non basta dire io
amo una persona, ti voglio bene, bisogna che questo amore si trasformi in un
gesto che lo comunichi. L’amore che Gesù chiede non è reale se non diventa
norma pratica di sevizio compiuto verso gli altri. L’amore che si traduce in
servizio diventa visibile ed è l’unico distintivo dei credenti in Gesù.
Mettendo questo unico distintivo, Gesù esclude tutti gli altri. Ponendo l’amore
e il servizio vicendevole come unico segno distintivo, tutti sapranno, vi
riconosceranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni e gli altri.
Quando questo non è compreso si sceglie la strada del surrogato: stemmi,
distintivi, insegne, abiti, decorazioni con le quali si vuole mostrare agli
altri che si è religiosi, ma non certo seguaci di Gesù. Non sono i paramenti,
l’unico paramento di Gesù che lo rende riconoscibile è il grembiule, segno del servizio.
Gesù mette questo unico distintivo in relazione a quanto dicevo poc’anzi.
Mentre gli abiti o le insegne religiose sono legate ad un determinato contesto
sociale, culturale, l’amore che si traduce in servizio è un linguaggio
universale, lo possono capire tutti.
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