Domenica
XXXI/B
(Dt 6,2-6; Sal 17; Eb 7,23-28; Mc
12, 28b-34)
Paolo Cugini
1. In questo mondo globalizzato e sempre più
complesso, ci viene incontro tutte le domeniche il Messaggio semplice ed
essenziale del Signore che, per essere accolto, deve incontrare semplicità e
umiltà. Oltre a ciò, per chi vive tutti i giorni bombardato da immagini e da
contenuti che esigono risposte immediate, non deve essere facile sedersi sui
banchidi una chiesa ed ascoltare una Parola che esige silenzio, attenzione,
riflessione, ponderazione. Ci vuole, allora, molta fede per prendere a serio
una Parola il cui contenuto si pone ad un livello di significato totalmente
diverso da quello che si ascolta e si vive tutti i giorni. La vita di fede è
anche questo lasciarsi mettere in discussione dalla Parola, lasciare che i suoi
contenuti interpretino i nostri stili di vita. Paradossalmente è proprio questa
Parola che viene dall’eterno,che esige da noi più disponibilità delle tante
parole “leggere” che ogni giorno ascoltiamo. Che cosa, allora, ha da dirci oggi
questa Parola, che valga la pena portare a casa?
2. “Amerai il
Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza” (Mc
12, 30).
L’amore che
viene da Dio è totalizzante, investe la totalità della persona umana. Il
Signore si rivela all’uomo per essere amato così, in questo modo assoluto. E’
bene ascoltare queste parole radicali, anche se incontrano un’umanità
tutt’altro che capace di amare in questo modo, persa nella ricerca di affermazioni
personali, protesa a soddisfare il proprio egoismo. Tra l’esigenza di Dio e la
realtà della nostra umanità c’è un abisso: come fare a superare questo enorme
divario?
In primo luogo
c’è da dire che questo comandamento è esigente per coloro che hanno incontrato
e conosciuto il Signore. In altre parole, solamente chi ha conosciuto il
Signore e chi lo ha accolto nella sua vita, può rispondere in modo così totalizzante. Non si tratta,
infatti di parole di valore giuridico, ma esistenziale e spirituale. Le abbiamo
ascoltate, infatti da Gesù, dal Figlio di Dio che è disceso dal cielo e si è
avvicinato a noi per tessere con noi una relazione nuova, non più basata da
dinamiche di antagonismo e violenza, ma sull’amore e la pace. Ebbene, questa
proposta sconvolgente, questo amore rivelati in Gesù e da Gesù non rimane sul
piano teorico, ma necessità l’impegno di
una relazione profonda e autentica con Lui, impegno da rinnovare e verificare
ogni giorno.
In secondo luogo
c’è da dire che, se da un lato vero che
una proposta così radicale ed esigente spaventa, dall’altro ci pone dinanzi il
senso del nostro cammino. Siamo cristiani per amare Dio con tutto noi stessi:
questo è l’obiettivo. Ciò significa che la vita di fede quotidiana, delle
scelte e degli impegni quotidiani, passa attraverso lo sforzo sofferto di
realizzare un tale progetto, che non può mai essere abbassato e sminuito. E’ il
Signore stesso che continuamente ci dona i mezzi necessari affinché il suo
amore sia realizzato in noi, per creare il tessuto nuovo di rapporti umani, che
rendano visibile il Regno dei Cieli. Siamo, quindi, in cammino verso questo
amore totalizzante, ed è il cammino stesso che purifica i nostri atti
egoistici, le nostre prese di posizioni orgogliose. Ed è a questo livello che
possiamo collocare la vita di preghiera personale e comunitaria, come momenti
privilegiati della nostra esistenza, in cui ci apriamo al mistero di Dio per accoglierlo
nella nostra vita. Tenendo, allora, continuamente lo sguardo fisso sul Signore
e sul suo esigente comandamento, possiamo camminare tra difficoltà e
incertezze, per lasciarci trasfigurare da Lui, per un’umanità più autentica e
realizzata nell’amore.
3. “E
questo è il secondo. Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mc 12,
31).
Se qualcuno
pensasse di sistemare la sua vita di fede con alcune preghiere e con la
partecipazione di alcuni riti, con questo versetto è sistemato. Non esiste vita
di fede che non si traduca nell’impegno incondizionato di amare i fratelli e le
sorelle, che il signore pone sul nostro cammino. Dicendo primo e secondo, Gesù
vuole dirci alcune cose.
La prima è che
non esiste amore a Dio se non si trasforma in amore al prossimo. E’ in questa
prospettiva che si comprende il fatto che la vita cristiana non è una
filosofia, una teosofia e, cioè, che non la si può ridurre ad uno sforzo
mentale di assimilazione di contenuti o ad un viaggio nelle profondità
recondite dell’essere. La tentazione dello gnosticismo, di separare la fede dalla vita, la vita spirituale dalla
vita materiale, è sempre alle
porte.
La seconda osservazione
importante sul legame tra i due comandamenti è che, se non si ama Dio con tutte
le forze, si fa fatica ad amare il prossimo, soprattutto quando è lontano dai
nostri orizzonti culturali, politici, religiosi. Sulle relazioni con i
fratelli, ci giochiamo la vita cristiana. E, allora, questi pochi versetti ci
insegnano che, tanto più ci sforziamo di amare il Signore, di cercarlo con
tutte le nostre forze, di vivere la Sua giustizia e la Sua misericordia, tanto
più riusciremo ad amare i nostri fratelli e le nostre sorelle, vale a dire a
sopportarli quando sono noiosi, a perdonarli quando ci offendono, a continuare
a rivolgere loro la parola nonostante ci stiano riempiendo di menzogne, a
rispettarli quando di noi non hanno una grandissima considerazione e fanno di
tutto perché si sappia in giro. La
qualità del nostro rapporto personale e comunitario con il Signore, è il
termometro della qualità e dello spessore delle nostre relazioni con le
persone.
C’è un’ultima
osservazione che mi sembra importante fare.
Un filosofo
francese di origine ebraica, morto alcuni anni fa – Emmanuel Lévinas-,
traduceva il versetto che stiamo analizzando in questo modo:“ Ama il
prossimo tuo: è te stesso”. Questa traduzione mi è sempre piaciuta
moltissimo, perché mette in evidenza uno dei contenuti principali
dell’antropologia biblica, vale a dire che l’uomo non è un’isola e che la
relazione con il prossimo è parte costitutiva dell’identità personale. Oltre a
ciò, c’è un altro spunto di riflessione
sul quale possiamo fermarci. L’amore al prossimo esige l’amore a se stessi. Per
amare l’altro mi devo voler bene e cioè devo stare realizzando quel cammino
esistenziale e spirituale, che mi conduce al centro della mia identità e
all’accettazione di me stesso. Tutto ciò deve avvenire in modo dinamico e cioè,
quanto più entro in relazione con gli altri, tanto più mi viene offerta la
possibilità di verificare la mia esistenza, di guardarmi dentro, di individuare
il senso del mio cammino alla luce della relazione che sto instaurando con il
Signore. Per questo faccio fatica ad amare gli altri, a cercarli, a volergli
bene, a stare dinnanzi al loro quando non sto bene con me stesso o sto vivendo
momenti di crisi personale.
4. “Il
primo è: ascolta Israele” (Mc 12, 29).
Se è vero che
l’uomo e la donna sono fatti per amare e l’amore costituisce il senso autentico
della loro vocazione, è altrettanto vero però, che l’amore lo riceviamo
da Dio. Per amare come Dio comanda, occorre ascoltarlo. L’ascolto precede
l’amore. E allora, ama davvero colui che si mette in ascolto del Signore. E’ in
questa prospettiva che si arriva a cogliere l’essenza dell’amore, che è
donazione gratuita di sé, che non esige
la reciprocità. Chi ama non aspetta che l’altro lo ami. E’ quello che ha fatto
Gesù: ci ha amati e basta. Non ci ha amati perché noi ci meritavamo il suo
amore: se fosse stato così, saremmo ancora qui ad aspettare. Di questo amore
divino, che abbiamo visto realizzato nella vita di Gesù, e che dice il senso
profondo della nostra vocazione di uomini e donne, noi non ne siamo capaci. C’
è troppo egoismo dentro di noi. Siamo troppo pieni di noi stessi per fare
spazio agli altri. E’ per questo che il primo comandamento, il primo passo che
dobbiamo realizzare in direzione di una vita più autentica, è metterci in
ascolto. Ascoltare significa tacere. Se desidero davvero ascoltare il Signore,
allora inizia tutto un cammino per silenziare le mie voci, le mie presunzioni,
quello che credo di sapere. Per ascoltare la Verità sulla mia vita e sulla
storia, devo avere l’umiltà di silenziare le false e parziali verità che, con gli anni, ho lasciato entrare
dentro di me e che guidano le mie scelte. Tutto quello che facciamo nell’ordine
dell’ascolto della Parola del Signore, non è tempo perso, ma è la scuola
migliore per apprendere ad amare. Se facciamo fatica personalmente o anche
nella vita familiare, a trovare spazio per l’ascolto della Parola è perché,
nonostante tutto, nonostante le buone intenzioni, nonostante le belle e
profonde parole, ormai ci siamo sostituiti alla Parola.
Approfittiamo,
allora, di questa Eucaristia, per riprendere quota nella vita spirituale e per
ridefinire il nostro rapporto con il Signore, affinché sia la Sua Parola a
trovare sempre più spazio e attenzione nella nostra vita.
Nessun commento:
Posta un commento