martedì 21 novembre 2023

OMELIA DOMENICA 26 NOVEMBRE 2023

 







XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

SOLENNITÀ NOSTRO SIGNORE GESÚ CRISTO RE DELL'UNIVERSO

Ez 34,11-12.15-17; Sal 22; 1 Cor 15,20-26a.28; Mt 25,31-46

 

Paolo Cugini

 

 Il brano di Vangelo che la liturgia ci propone oggi nella solennità di Cristo re dell’universo nell’anno liturgico A, è l’ultimo discorso di Gesù che si trova nel Vangelo di Matteo prima della narrazione della sua passione e morte. Si tratta, dunque, di un testo importane, che non a caso ci viene proposto oggi a conclusione dell’anno liturgico, per aiutarci non solo a verificare il cammino realizzato durante l’anno sia personalmente, che nella comunità, ma anche a capire che tipo di Dio abbiamo servito. Le parole di Gesù ci aiutano a riflettere anche, su che tipo di persone siamo diventate, che umanità esprimono le nostre scelte, i nostri pensieri. Ascoltiamo, dunque, per vivere come Lui ci dice.

Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.

La scena iniziale della bellissima parabola di oggi, riprende più o meno consapevolmente, una scena della parabola della zizzania ascoltata qualche mese fa. Infatti, mentre in quest’ultima Gesù raccomandava i discepoli di non togliere la zizzania dal campo di grano, per non correre il pericolo di strappare il frumento, nel caso della narrazione di oggi, che narra simbolicamente il giudizio finale, il primo atto è proprio una separazione. È interessante la coerenza interna dei vangeli, che si richiamano continuamente e ci aiutano ad approfondire il significato delle parole e delle narrazioni. Nel Vangelo di Giovanni leggiamo che il Padre ha lasciato a Gesù il compito di giudicare: Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio (Gv 5,22). Ciò significa che il tempo presente è il tempo in cui dobbiamo fare di tutto per farci conoscere dal Figlio, per fare in modo che, nell’ultimo giorno, non ci dica, come alle cinque vergini stolte di due domenica fa: non vi conosco o, peggio ancora, al servo della parabola di domenica scorsa che, invece di far fruttificare il talento ricevuto lo ha nascosto, sentirsi dire: servo inutile. Il problema, allora, a questo punto consiste nel capire dove incontrare Gesù per conoscerlo e farci conoscere da Lui.

perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi".

È molto interessante questo passaggio del Vangelo. Ci insegna, infatti, che alla fine dei giorni saremo verificati non sulla relazione puramente religiosa con Dio, che realizziamo nei sacrifici, nei riti, nelle celebrazioni, ma nella relazione con i nostri fratelli e sorelle e, in modo particolare, i più poveri, gli esclusi. La grande rivelazione del brano di oggi sta nel fatto che Gesù s’identifica con gli affamati, gli assetati, gli stranieri, in altre parole, con gli invisibili e gli esclusi di questo mondo. Per il cristiano che riceve lo Spirito del Signore e si alimenta di Lui nell’eucaristia, il rito è in funzione dell’incontro del Signore nei poveri. Come diceva sant’Agostino commentando il Vangelo di Giovanni, il Vangelo è come un collirio che ci aiuta a vedere Gesù dove umanamente non riusciremmo a vederlo e a riconoscerlo: nei poveri. Per i cristiani l’attenzione ai poveri non è, dunque, un fatto sociale, ma molto di più: è un dato sacramentale. È nell’attenzione ai poveri, agli esclusi, agli invisibili del mondo, che manifestiamo il nostro desiderio di collaborare al progetto del Signore, che è un progetto di uguaglianza e non accetta che ci sia qualche figlio e figlia di Dio che venga umiliato nella sua dignità e somiglianza al Padre.

Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno. Il versetto richiama Genesi, la maledizione su Caino (cfr. Gen 4,11). La maledizione è la scelta di tutti coloro che non riconoscono nei poveri il volto del Signore, e li umiliano, li escludono, li disprezzano. Tutti coloro che passano la vita accumulando beni e denaro, stanno attirando la maledizione su di sé, perché diventano collaboratori non del progetto di uguaglianza di Dio, ma del progetto di iniquità che rende il mondo disuguale, costringendo miliardi di persone a vivere senza dignità, in condizioni infami. La maledizione di chi disprezza i poveri rivela lo sguardo di Dio su di noi, sulle nostre comunità cristiane, che a volte si perdono dietro gli orpelli liturgici, perdendo di vista l’essenziale. Ascoltare come andrà finire la nostra storia e su cosa saremo valutati, ci aiuta a centrare meglio il nostro cammino di fede personale e comunitario e a lavorare sull’essenziale.

Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia (Ez 34,16). Bellissima questa immagine del profeta Ezechiele ascoltato nella prima lettura. Bella perché ci dice che, in questo cammino di vita nuova e di riconoscimento del volto del Signore nei poveri, non siamo soli: Lui stesso viene al nostro incontro. Crediamo in un Dio che ci viene a cercare e lo fa con i poveri della terra, con i volti che incontriamo nei crocicchi delle strade, con i tanti stranieri di tante nazioni che vediamo ogni giorno. Lo fa anche con le persone omosessuali, le lesbiche, i transessuali, che tanto disprezzo ricevano dai benpensanti, che si sentono con la coscienza a posto per il fatto che hanno rispettato il precetto della mesa dominicale. Lo fa con le tante donne maltrattate, abusate, fisicamente e moralmente, che rivelano lo squallore di un mondo maschilista deformato dalla cultura patriarcale. Vieni Signore al nostro incontro a salvarci dalla nostra disumanità. Amen.

 

giovedì 16 novembre 2023

ADESSO

 



Paolo Cugini

 

In quel tempo i farisei domandarono a Gesù: «Quando verrà il regno di Dio?». Egli rispose loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!» (Lc 17, 20s). Gesù pone l’attenzione sul presente. Tutte le religioni hanno una proposta dopo la morte, che sposta l’attenzione sul futuro, creando proiezioni, che spesso si riducono ad illusioni. Il discorso di Gesù è molto diverso, perché cerca di condurre gli ascoltatori a porre attenzione al presente. È come se dicesse che è adesso che dobbiamo cogliere l’eternità, i segni di un mondo diverso. “Il Regno di dio è in mezzo a voi” significa proprio questo: scoprire nel presente della nostra storia la presenza di ciò che rimane per sempre.

Non c’è bisogno di cercare nel futuro, ma è nel presente della nostra vita che vanno concentrate le nostre forze spirituali. Troviamo lo stesso tempo, anche se con sfumature diverse, nella preghiera sacerdotale riportata da Giovanni nel capitolo 17, quando Gesù afferma: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17,3). Il cristiano è la persona concentrata nel presente, che accoglie lo Spirito del Signore e agisce dentro la storia con criteri e modalità nuovi. Anche nel dialogo con Zaccheo, Gesù afferma: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa” (Lc 17,9).

Concentrati nel tempo presente, nell’oggi della vita, perché è nel presente che possiamo sentire la presenza del verbo incarnato e, in questo modo, camminare con Lui per la realizzazione di un mondo nuovo, adesso.

 

lunedì 13 novembre 2023

OMELIA DOMENICA 19 NOVEMBRE 2023

 



XXXIII DOMENICA TEMPO COMUNE

Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1 Ts 5,1-6; Mt 25,14-30

 

Paolo Cugini

 

È il tempo liturgico la chiave d’interpretazione delle letture che ascoltiamo alla domenica. Per comprendere, allora, il Vangelo di oggi, dobbiamo ricordarci che stiamo vivendo le ultime domeniche del tempo liturgico e ciò significa tempo di verifica del cammino percorso. Lo abbiamo già ricordato domenica scorsa, ma vale la pena ripeterlo. Ascolteremo, dunque, le letture con l’intuito che ci viene suggerito un materiale spirituale ed esistenziale con il quale verificare le scelte fatte durante l’anno, ponderare bene le nostre azioni, per fare in modo che il nuovo anno liturgico, che si avvicina, possa essere per noi la possibilità di vivere al meglio il Vangelo, di camminare con più armonia dentro la comunità. Vediamo, allora, che cosa ci dice il Vangelo.

«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. C’è un primo dato iniziale su cui la parabola vuole farci ragionare e riflettere. Nel viaggio della vita nessuno è partito a mani vuote: ci è stato donato qualcosa, che ci dovrebbe servire durante il cammino. Di che cosa si tratta lo vedremo in seguito, ma questo è un dato importante, perché la verifica di fine anno dovremmo farla esattamente su questo materiale ricevuto gratuitamente. Il testo ci dice che il padrone condivide i suoi beni. Ciò significa che l’atteggiamento del padrone è quella della condivisione gratuita e disinteressata, che desidera comunicare vita e che questa vita possa essere strumento di creatività per tutti e tutte. I talenti vengono distribuite secondo le capacità di ciascuno. Ciò significa che il padrone conosce bene i suoi collaboratori. Il Dio che Gesù ha manifestato ci avvolge nel suo amore di Padre e ci rivela la nostra vera identità, che dà dignità al nostro essere nel mondo: siamo figli e figlie di un Padre che ci ama e ci conosce, questo è il nostro punto di partenza e il nostro più grande talento.

Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: "Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque". "Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone". È impressionante l’atteggiamento del padrone, che è molto rivelativo, nel senso che dice qualcosa di nuovo e davvero strabiliante sul Dio che Gesù ha manifestato e che è agli antipodi da quello presentato dai capi religiosi di Israele. Infatti, il padrone non chiede indietro i talenti dati e nemmeno i frutti, ma addirittura trasforma il suddito in signore e condivide con lui i suoi beni. Questo avviene con i due servi che fanno fruttare i talenti. Se volgiamo trarre un primo insegnamento che serve per la nostra verifica, potremmo dire che il Vangelo vissuto nella nostra vita quotidiana, lo Spirito Santo lasciato agire nella nostra umanità, dovrebbe produrre già ora la sensazione di abitare in una nuova dimensione spirituale segnata dal desiderio di giustizia, dallo sforzo di realizzare un mondi di pace, da un cuore ripieno di misericordia.

"Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Le parole di colui che non ha fatto fruttare il talento ricevuto, ma lo ha nascosto, rivelano il tipo di Dio divulgato dai capi religiosi e che non corrisponde per nulla al Dio rivelato da Gesù e manifestato nel contenuto della parabola. Dio non è duro e non è vero che miete dove non si è seminato ma, al contrario, è prodigo di benefici con i suoi figli e figlie al punto di farli collaboratori del suo Regno. Anche questo aspetto è molto importante da verificare alla fine dell’anno liturgico. Ci dobbiamo chiedere: in che Dio crediamo? Che Dio stiamo servendo? Abbiamo permesso al Vangelo di sgretolare la falsa immagine di Dio impiantata in noi da un’educazione religiosa ancorata più sul Vecchio Testamento che sul Nuovo? Siamo nel centro della parabola, che ci invita a riflettere sulle modalità messe in atto quest’anno nei confronti di ciò che Dio ci dono gratuitamente ogni giorno. Se Dio ci dona il suo amore, che si manifesta nella possibilità di vivere con la dignità di figli e figlie, ciò comporta una responsabilità. L’amore che viene da Dio è dono gratuito e disinteressato e provoca il desiderio di condividere, di donarsi.

Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza, ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. La conclusione della parabola sembra molto strana e, soprattutto, incoerente con il messaggio del Vangelo. A chi si riferisce Gesù con queste parole? Come mai afferma che a chi non ha verrà tolto anche quello che ha? Non è un’affermazione assurda? In realtà, il discorso di Gesù è estremamente coerente. Infatti, non si tratta di un avere quantitativo, ma qualitativo, si tratta, cioè, di quei doni ricevuti dal Signore come il Vangelo, lo Spirito Santo, i sacramenti, che hanno come unico scopo quelli di farci vivere una qualità di vita differente e che non servono per essere messi da parte. Coloro che non hanno nella parabola di oggi, sono tutti coloro che non hanno mai vissuto ciò che hanno ricevuto dal Signore e, per questo, vengono spogliati di questi dono e dati a coloro che li hanno fatti fruttare con una vita in cui è visibile la dignità di figli e figlie di Dio.

Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie. Della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni bene. Le parole del salmo 127 con cui preghiamo in questa domenica ci offrono il contenuto che dà senso al discorso fatto. Il cammino che abbiamo intrapreso grazie all’ascolto della parola del Signore non è automatico e presenta difficoltà, che possono essere superate. C’è uno sforzo che deve essere realizzato, che consiste nel capire in che modo vivere al meglio ciò che il Signore ci dona. È proprio questo che intendiamo augurarci mentre verifichiamo alla fine dell’anno, con queste letture, il nostro cammino di sequela al Signore.

mercoledì 8 novembre 2023

OMELIA DOMENICA 12 NOVEMBRE 2023

 



XXXII DOMENICA TEMPO COMUNE

Sap 6,12-16; Sal 62; 1 Ts 4,13-18; Mt 25,1-13

 

Paolo Cugini

 

Ci stiamo avvicinando alla fine dell’anno liturgico e, come di consueto, la liturgia della Parola ci propone letture che ci possano aiutare a verificare il nostro cammino di fede personale e comunitario. Questo è un aspetto che merita di essere sottolineato. Siamo, infatti, il popolo di Dio in cammino e, proprio perché stiamo camminando su un percorso nuovo, che è quello presentato nel Vangelo, è possibile correggere gli errori fatti, misurare meglio le forse, individuare i punti sui quali possiamo lavorare, per rendere il Cammino più conforme alla proposta di Gesù. Per questo motivo, il tempo di verifica che ci viene offerto è di fondamentale importanza e va preso, dunque, sul serio. Il rischio è quello di camminare senza fermarsi e perdersi a causa di quella mancanza di umiltà che ci fa credere che possiamo andare da soli a testa bassa, senza mai fermarci. Ascoltiamo, allora, i consigli delle letture di oggi.

Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. C’è un primo dato generale nella parabola che oggi Gesù racconta, che orienta tutto il nostro percorso cristiano. Ci viene detto, infatti, che il cammino che stiamo compiendo è caratterizzato dalla gioia, è come una festa di nozze. Del resto, già i profeti, come il profeta Osea, utilizzavano l’immagine del matrimonio per simbolizzare il rapporto tra Dio- lo sposo – e la sposa, vale a dire il popolo d’Israele. Questa immagine ci ricorda che siamo chiamati interiormente ad una relazione di grande intensità, di appartenenza, che rimanda anche a delle responsabilità. Prima di tutto, però, c’è l’aspetto della gioia che segna una relazione sponsale. In cammino, dunque, con i fratelli e sorelle della comunità con un atteggiamento segnato dalla gioia, perché segnati dalla percezione di aver trovato il massimo che avremmo potuto sognare.

Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. È questo uno dei passaggi che ha visto un grande numero d’interpretazioni. Nella parabola che Gesù racconta ai suoi discepoli e alle sue discepole, le lampade e l’olio sono due elementi centrali per l’interpretazione dell’intera narrazione. Che cosa intende indicare Gesù con la lampada e con l’olio? Già ho detto poco sopra che tante sono state le interpretazioni: provo ad indicarne uno, quella che mi sembra la più coerente. Per una giusta interpretazione occorre tener presente che la lampada è una realtà che tutte le dieci vergini possiedono, mentre l’olio no. Inoltre, l’olio non solo non tutti lo possiedono, ma chi ce l’ha non lo può nemmeno imprestare. Di che cosa si tratta? Probabilmente la lampada fa riferimento all’ascolto del Vangelo, della proposta di Gesù, che tutti e tutte possono ascoltare. A questo livello si può inserire anche la dottrina della Chiesa, maturata durante i secoli e che è alla merce di tutti e tutte. L’olio, invece, ci dice la parabola, che non tutti ce l’hanno. L’interpretazione deve tener presente di ciò che abbiamo indicato come lampada, che è il Vangelo. Se il Vangelo rimane solo nella fase di ascolto cade nel vuoto della nostra vita. La lampada del Vangelo diventa luce che illumina i passi del cammino per tutti coloro che lo mettono in pratica. Ecco l’olio! Sono le buone opere suscitate dal Vangelo, che fanno riferimento ad una risposta personale. Per questo motivo, le cinque vergini sagge non possono prestarlo alle cinque stolte. C’è una saggezza indicata dal Vangelo che non fa riferimento allo studio, all’apprendimento di nozioni, ma all’intelligenza che ci spinge a vivere quello che ascoltiamo dalla Parola. È saggio, dunque, chi si sforza di vivere quello che ascolta. Non a caso abbiamo ascoltato nella prima lettura un passaggio del libro della Sapienza che ci ricorda che: La sapienza è splendida e non sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano (Sap 6,12). Trovano la sapienza coloro che la cercano vivendo quello che ascoltano.

E la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità̀ io vi dico: non vi conosco”. In questo versetto è narrato il dramma di coloro che credono di conoscere il Signore per il semplice fatto di aver ascoltato la sua Parola, di conoscere dei versetti. C’è una conoscenza del Signore che, in realtà, ci allontana da Lui. È quel tipo di conoscenza formale, sterile che non si traduce mai in azione. È la conoscenza di tipo dottrinario, fatta di nozioni mai realmente sperimentate nella propria vita. Del resto, ce lo ricorda anche il Concilio Vaticano II che, nel mistero della Parola di Dio, i fatti e le parole sono intimamente connesse, nel senso che è una Parola che rivela il suo contenuto specifico, la sua verità solamente quando è vissuta e messa in pratica. È proprio questa la sapienza che viene dall’alto e che troviamo rivelata ogni volta che la viviamo.

Ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua (Sal 62). C’è un desiderio profondo nella nostra anima, che anela verso l’alto, perché ogni persona percepisce che la nostra vita non si riduce alla mera materia: c’è qualcosa di più. È il Vangelo che ci dona l’indicazione di un cammino che può realizzare pienamente la nostra vita ed è il Cammino che percorrono tutti coloro che vivono e mettono in pratica ciò che ascoltano nel Vangelo.