martedì 31 ottobre 2023

XXXI DOMENICA TEMPO COMUNE A

 





Ml 1,14-2,2b.8-10; Sal 130; 1 Ts 2,7-9.13; Mt 23,1-12

 

Paolo Cugini

 

Finalmente, dopo più di un mese in cui abbiamo ascoltato nei vangeli, proposti dalla liturgia la estenuante polemica tra Gesù e i capi religiosi del popolo d’Israele, oggi giungiamo al termine. A differenza dei brani letti in questo periodo, in cui era Gesù stesso a prendere la parola o i capi del popolo, oggi Gesù si rivolge direttamente agli apostoli e al popolo. L’ultima volta che Gesù si era rivolto a questi due gruppi di persone era stato nel discorso della montagna. Il richiamo non è casuale. Indica, infatti, un’avvertenza, vale a dire, chi desidera vivere la pagina delle beatitudini deve guardarsi dall’insegnamento dei capi religiosi, perché “dicono, ma non fanno”. L’attacco di Gesù nei confronti di farisei e sadducei ora diviene frontale, senza sotterfugi. Non siamo, dunque, più nell’ambito della schermagli dialettica, ma nell’accusa esplicita e senza ritorno. Il capitolo 23 di Matteo, del quale il vangelo di oggi presenta solamente i primi versetti, è la pagina più dura e verbalmente più violenta di tutto il Vangelo. Gesù non si nasconde più dietro le parole e le argomentazioni, ma smaschera senza ritegno coloro che ritiene i principali responsabili della confusione, che regna in un popolo che ha perso il senso del proprio cammino.

Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Chi sono i capi religiosi del popolo? Sono coloro che si sono seduti indebitamente sulla cattedra di Mosè. Era stato proprio lui, infatti a dire che: Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto (Dt 18,15). Ebbene i farisei, gli scribi e i sadducei si sono seduti dove non dovevano, hanno identificato la loro presenza e il loro insegnamento sulla scia della grande guida di Israele, ma loro non lo rappresentano. Dal punto di vista storico, c’è stato un processo di usurpazione che ha avuto come conseguenza la sostituzione della Parola di Dio con le leggi umane di questa gente interessata al potere. Non ne poteva venire, come conseguenza, che un cammino di ingiustizia. È questa, infatti, l’accusa che il profeta Malachia, ascoltato nella prima lettura, rivolge proprio ai capi religiosi: non avete seguito le mie vie e avete usato parzialità nel vostro insegnamento (Ml 2,9). C’è un cammino di giustizia e di uguaglianza preparato dal Padre per il suo popolo, cammino realizzato con la guida di Mosè e dei profeti di Israele, ma che si è perso negli anni a causa degli attuali capi religiosi.

Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente. Gli insegnamenti dei farisei e dei sadducei sono come parole al vento, perché non trovano un riscontro concreto nel loro modo di vivere. Al contrario, quello che questi capi religiosi esigono dal popolo, loro non lo fanno. E così, mentre abbiamo da una parte un popolo sempre più schiacciato dal peso di una legge fatta di norme e decreti insopportabili e impraticabili, dall’altra ci sono i capi religiosi, che sfruttano la situazione a fini personali. In queste parole di Gesù c’è un’indicazione spirituale molto importante, sulla quale vale la pena soffermarsi. Vale quella parola che è vissuta in prima persona, esattamente come ha fatto Gesù: quello che diceva era visibile nelle sue scelte, nelle sue azioni. Possiamo insegnare quello che viviamo, altrimenti diventiamo dei ciarlatani come i capi religiosi di Israele. Ci alimentiamo della Parola del Signore per uscire dalle paludi torbide dell’ipocrisia, da quel modo di stare al mondo che cela la ricerca sfrenata del proprio interesse, che manifesta una vita in cui le relazioni umane sono falsate da scopi meschini e la vita diventa torbida, insipida, incapace di trasmettere contenuti che abbiamo un significato positivo.

Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato. È il messaggio finale del brano di oggi e, in un certo senso, la conclusione della lunga polemica tra Gesù e i capi religiosi che ci ha accompagnato nelle domeniche degli ultimi due mesi. Coloro che impostano la vita alla ricerca dei propri interessi, vogliono raggiungere la gloria del mondo. Per raggiungere questo scopo diventano disposti a tutto, persino di servirsi della religione, della parola di Dio. È come un tunnel in cui si entra, ma non si sa bene dove andrà a finire. La conseguenza di questo percorso è la perdita del senso della giustizia, la deformazione dell’immagine di Dio che portiamo dentro, in altre parole, la dispersione totale di sé. Al contrario, chi cerca il Signore e la sua giustizia, chi si sforza ogni giorno di vivere il Vangelo ascoltato alla mattina, entra in quel cammino in cui non si cerca più la gloria del mondo, ma quella di Dio, il suo volto, il suo amore. Si diventa, allora, come il granello di senape o come il lievito nella massa, non più preoccupati di apparire, ma di trasmettere vita, di lavorare per creare relazioni nuove, basate sull’uguaglianza, sull’attenzione all’altro, il rispetto. È tutto un altro cammino, un altro modo di stare al mondo, che non provoca attenzione per la sua estetica materiale, ma per lo stile di vita che realizza. 

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