lunedì 17 ottobre 2022

CHI SI ESALTA SARA' UMILIATO

 


XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - C

Lc 18,9-14

Paolo Cugini

 

 

Gesù nei vangeli non invita mai gli ascoltatori ad essere santi come Dio, ma ad essere compassionevoli come il Padre. Chi vuole portare gli uomini verso Dio inevitabilmente lascia indietro qualcuno, perché la logica del merito premia chi ha mezzi e capacità, mentre i più deboli rimangono indietro. Gesù ha fatto qualcosa di diverso, ha portato Dio verso gli uomini e le donne e, in questo modo, ha permesso che tutti e tutte potessero aver accesso al Padre. Mentre nella scalata verso di Dio quello che conta sono i meriti personali che di conseguenza, lasciano fuori i più fragili, nel cammino che ha compiuto Gesù quello che conta è il suo dono d’amore, che richiede solo di essere accolto gratuitamente. Quello che ci ha mostrato Gesù è un Dio che ama le persone non nonostante i loro peccati, ma proprio per questo li ama. Questo è l’aspetto sconvolgente del messaggio di Gesù, che ancora oggi rimane incompreso, proprio perché scardina completamente la struttura dell’impostazione religiosa.

Nella parabola che Gesù racconta nel vangelo di oggi vengono messi in contrapposizione e, quindi, agli antipodi due figure. Da una parte il fariseo e dall’altra un pubblicano. Fariseo è l’uomo che si separa dagli altri (la parola fariseo significa separato) attraverso la pratica religiosa. Dall’altra il pubblicano, un peccatore ritenuto una persona impura che anche se volesse non potrebbe più cambiare mestiere. Osservando le due preghiere dei due personaggi in questione si viene in contatto con due tipi di spiritualità completamente diversi. Il contenuto della preghiera del fariseo è quella di un uomo pieno di sé, dei suoi meriti, dei risultati raggiunti: Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Lo sforzo di raggiungere la santità come frutto personale dei propri meriti, chiude il fariseo in se stesso, al punto da non vedere attorno a sé dei fratelli e delle sorelle. Il fariseo vede negli altri solamente il negativo, perché il metro di paragone non è l’amore di Dio, ma sé stesso, i propri meriti e risultati. Il fariseo è un uomo che ce la metta tutta per raggiungere Dio: digiuna due volte alla settimana. In realtà, il digiuno obbligatoria era una volta all’anno; ebbene il fariseo esagera, perché digiuna due volte non all’anno ma a settimana: vuole proprio arrivare primo in paradiso! Anche per la decima è la stessa cosa, in quanto non paga solo quello che è prescritto, ma anche per tutto quello che possiede. Eppure Dio non aveva mai chiesto delle regole così dure. Gli stessi profeti ci ricordano che è necessario imparare che Dio vuole misericordia più che sacrifici. Come mai allora il fariseo prende questa tangente della perfezione religiosa a tutti i costi? È il cammino della religione che fa leva sull’orgoglio umano e, di conseguenza, Dio diviene uno strumento non per un cammino di conversione, ma di affermazione personale.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Il pubblicano è la persona che non ha nulla da presentare se non la sua condizione di peccatore di miseria che mette con umiltà dinanzi al Signore. Da una parte, dunque, i meriti e dall’altra il bisogno; da una parte l’orgoglio, la supponenza, mentre dall’altra l’umiltà. Nei salmi troviamo molti passi che ci dicono che Dio ama il cuore umile, perché permette l’entrata di Dio e del suo amore. La stessa Maria nel canto del Magnificat ci ricorda che Dio: ha guardato l’umiltà della sua serva. La sentenza di Gesù è sconvolgente: Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato. Perché i farisei con tutta la sua religiosità non vengono giustificati da Dio, mentre il pubblicano pieno di peccati sì? Non si tratta forse di un’ingiustizia e anche, in apparenza, di un incitamento al peccato? Sono domande lecite visto il paradosso delle affermazioni fatte da Gesù. La risposta l’abbiamo nella frase iniziale del vangelo di oggi in cui Lc ricorda il motivo della parabola raccontata da Gesù: Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. Quando la religione diventa cammino di presunzione al punto di giungere a giudicare in modo spregevole gli altri, vuole dire che c’è qualcosa che non va, che in realtà più che religione si tratta di paganesimo, di idolatria. Questo è il senso della parabola paradossale di Gesù: il pubblicano disprezzato diventa giusto mentre il fariseo no. Il Signore non ci chiede di essere santi, perché ci separa dai fratelli e dalle sorelle. Gesù ci chiede di essere misericordiosi, capaci di costruire relazioni di amore con le persone. Questa è la buona notizia di Gesù.

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