mercoledì 27 gennaio 2021

UN INSEGNAMENTO NUOVO

 



QUARTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B


 

Paolo Cugini

Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli, infatti, insegnava come uno che ha autorità” (Mc 1,21).

Gesù inizia la sua attività pubblica lontano da Gerusalemme: ci arriverà alla fine del suo percorso. Già questa è una grande indicazione di metodo che Gesù ci consegna. Chi ha visitato Cafarnao rimane sorpreso dalla sua piccolezza, dal suo essere un non spazio, una non-città, come direbbe un noto filosofo contemporaneo. Gesù riceve il compito di annunciare l’avvento del Regno di Dio a tutte le donne e gli uomini e lo fa partendo non dalla grande città, ma dal piccolo paese sconosciuto e povero. È proprio vero che non è il luogo a fare grande una persona, ma è la grande persona a far grande il luogo. Ciò che colpisce sin dall’inizio è lo stile di Gesù, il suo modo di parlare alla gente perché viene colto come una modalità diversa di dire le cose. Diversa in che senso? Il termine di paragone sono gli scribi, che avevano avuto grande credito nel popolo per il compito di studiosi della legge, che dovevano dare responsi, prendere decisioni sul modo di osservare la legge, ma anche conoscere e far conoscere con un’autorità generalmente riconosciuta («dalla cattedra di Mosè»: Mt 23,2) i responsi e le decisioni dati precedentemente, «le tradizioni degli antichi» (ibid. 15,2; Mc 7,3), di cui facevano gran conto e con la cui osservanza caricavano le coscienze. Dalle polemiche descritte nei capitoli successivi, si coglie il motivo principale di questa differenza indicata all’inizio del Vangelo di oggi sul modo d’insegnare. Diceva infatti Gesù:

“Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave” (Mc 12,38-40).

Si tratta, dunque di un insegnamento che, con l’andare del tempo, ha perso il significato della gratuità e della ricerca biblica, per lasciare il posto all’apparenza e alla ricerca dell’approvazione esterna a fini personali. Gesù condanna questo travisamento, l’uso sfacciato della conoscenza biblica per servire i propri interessi invece di servire il popolo di Dio nella crescita della conoscenza del Signore e della sua Parola. Quella di Gesù è un’accusa che diventa una denuncia pubblica e, dunque, uno smascheramento pubblico dell’ipocrisia degli scribi, del loro modo ignobile d’insegnare la Parola, della strumentalizzazione della stessa per porsi sopra il popolo e non a servizio.



Se questa è l’accusa contro gli scribi, qual è allora la novità dell’insegnamento di Gesù, che “insegna come uno che ha autorità”? Da dove gli viene questa autorità? Una prima chiave di lettura la troviamo nella prima lettura di oggi nel libro del Deuteronomio:

Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me” (Dt 18,15).

Gesù agisce come i profeti dell’Antico Testamento e, in modo particolare, il riferimento biblico della prima lettura ci suggerisce che il suo modo di agire assomiglia a quello di Mosè, uomo di Dio, che parlava faccia a faccia con YHWH e che viveva in mezzo ai suoi fratelli e sorelle. L’insegnamento di Gesù nasce dal suo profondo rapporto con il Padre, un rapporto così autentico che trasmette ai fratelli e sorelle che camminano con Lui sulla strada verso Gerusalemme. Questo suo modo di essere in mezzo al suo popolo segno dell’amore del Padre, gli dona quell’autorità che non ha bisogno di prendersi con arroganza come fanno gli scribi, ma gli viene consegnata dal popolo. Sempre sulla linea profetica, c’è un altro brano – citato, tra l’altro, in corrispondenza al brano di Marco che stiamo commentando, dalla Bibbia di Gerusalemme – che ci può aiutare ad approfondire lo stile di Gesù, il suo modo diverso d’insegnare, che gli conferisce autorevolezza.

“Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta: proclamerà il diritto con verità (Is 42, 2-3).



Sono parole che descrivono quel personaggio misterioso del servo del Signore indicato in quattro brani nella seconda parte del libro del profeta Isaia (40-55). Per proclamare il diritto con verità, il servo di JHWH non ha bisogno di alzare la voce e nemmeno di esercitare la violenza coercitiva, perché il messaggio che intende comunicare passa attraverso la sua relazione con il Signore, che gli dona pace, e alla sua fedeltà alla missione a lui affidata: “non verrà meno e non si abbatterà” (Is 42, 4). È quello stile mite, umile, delicato nelle relazioni che caratterizzerà anche lo stile di Gesù, quello stile che precede le parole pronunciate con la bocca e, allo stesso tempo, ne svela il significato profondo. Lungi dall’essere un insegnamento cattedratico e teorico, ciò che conferisce autorità all’insegnamento di Gesù è l’essere in mezzo al popolo con mitezza e docilità, segno dell’amore del Padre che viene a noi nella pace e nella comunione.



La Parola, dunque, ci invita a sperimentare l’amore di Dio nella vita quotidiana e anche nella comunità, facendo l’esperienza dell’uguaglianza tra fratelli e sorelle, del servizio ai più piccoli, della condivisione. Quando trasportiamo l’ascolto docile della Parola nella vita quotidiana impegnandoci a creare relazioni umane improntate sulla stima reciproca e sull’attenzione agli altri, questo insegnamento diviene segno della presenza di Cristo in mezzo a noi (cfr. Gv 13,35) e possibilità affinché il mondo creda in Lui.

 

 

USCIRE DALLA LOGICA DEL SACRIFICIO

 


Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato” (Eb 10,18). È il superamento della logica del sacrificio. In ogni celebrazione il popolo di Dio partecipa misticamente, ontologicamente, all’unico sacrificio che Gesù ha fatto al Padre donando la sua propria vita per amore. Ciò significa che siamo già stati perdonati una volta per tutti e, l’unica cosa che dobbiamo fare, non sono dei sacrifici o dei fioretti per ottenere il perdono, perché questo entrerebbe ancora nella logica del sacrificio che è la logica del merito. L’unica cosa è accogliere la misericordia del Padre. L’insistenza del fare sacrifici e fare penitenza per ottenere il perdono entra ancora nella logica veterotestamentario del merito, facendo dipendere il perdono di Dio dai sacrifici che si fanno. La logica del Nuovo Testamento va tutta in un’altra direzione, perché apre il cammino alla logica della misericordia, come dono gratuito e, per ottenerlo, non bisogna fare nulla, ma solo volerlo.

 

martedì 26 gennaio 2021

COME AGNELLI IN MEZZO AI LUPI

 




Paolo Cugini

 

Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te, per l’imposizione delle mani” (1 Tim 1,6). La grazia suppone la natura, come l’amore necessita di essere continuamente e periodicamente ripensato affinché non si trasformi in sentimento o, peggio ancora, passi senza aver prodotto nulla di costruttivo. Il ministero come dono che viene da Dio ha bisogno di essere continuamente rimotivato, ripensato nei nuovi contesti in cui viene vissuto e attuato.

Io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi; non portate borsa né bisaccia, né sandali” (Lc 10, 3-4). Questa è una delle immagini metaforiche più belle che delineano il cristiano nel mondo: agnelli in mezzo ai lupi. All’aggressività e violenza dei lupi, gli agnelli non oppongono resistenza e, anzi, si spogliano di qualsiasi segno di rivestimento umano. L’annuncio del Vangelo esige la spogliazione dell’esistenza, la semplicità della vita, la povertà evangelica. Tutto ciò, prima di essere un compito, diviene un modo di essere per colro che seguono l'Agnello: è lo stile di vita del cristiano. Lo Spirito Santo opera in coloro che credono in Gesù che li rende a sua somiglianza. 

 

lunedì 25 gennaio 2021

FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO

 



Paolo Cugini

 

At 22, 3-16: il battesimo di Paolo avviene dopo aver incontrato il Signore. At22,6s: La trasmissione della fede in Gesù avviene attraverso la narrazione di eventi personali che manifestano l’incontro con il risorto.

E poiché non ci vedevo più a causa del fulgore di quella luce” (At 22, 11). La luce del Signore provoca in chi non crede una cecità di tipo spirituale, conoscitiva, che si cura solo con un cammino interiore di conoscenza della Parola di Gesù. In questi versetti viene descritto in sintesi il cammino di conversione di Paolo, che parte dall’incontro sensibile con il Signore, dal momento di cecità che causa una messa in discussione del suo credo, delle sue azioni legate alla sua impostazione religiosa.

Guidato per mani dai miei compagni giunsi a Damasco” (At 22,11). Bellissimo versetto che indica il senso della comunità nella vita di fede. L’apertura al messaggio di Gesù ci toglie dalla nostra solitudine e ci apre all’amicizia dei fratelli e delle sorelle nel Signore che ci aiutano nei passi per liberarci dalle nostre schiavitù e immetterci nel nuovo stile di vita. Che bello poter incontrare nella nostra vita comunità plasmate dall’amore del Signore, che si esprime in gesti gratuiti, di condivisione, di apertura a tutti e tutte.

Andate in tutto il mondo a predicare il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). E’ impossibile incontrare l Signore, sentire il suo amore, percepire la sua libertà, la possibilità di uscire da una vita di schiavitù e vivere finalmente come figlio e figlia, e non sentire il desiderio di annunciare la sua Parola, il suo stile di vita alle persone che incontriamo nei diversi ambienti della vita in cui ci troviamo. La fede nel Signore, ce lo insegna Paolo di cui oggi festeggiamo la festa della sua conversione, non è una questione individuale, non ci lascia chiusi nella nostra solitudine, ma ci libera, ci dà la forza di uscire da noi stessi, ci pone in cammino.

 

venerdì 22 gennaio 2021

24 GENNAIO 2021 DOMENICA DELLA PAROLA DI DIO

 




TERZA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B


 

Paolo Cugini

 

Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, diceva: il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 14-15).

 

    Mi colpisce sempre molto questo versetto che parla della compiutezza del tempo, perché significa che nel modo di procedere di Dio non c’è improvvisazione, ma un pensiero, che è un aspetto importante dell’amore. C’è un Dio che ama pensando a colui, colei che ama e per noi prepara un cammino con dei significati, che rivela lentamente nel tempo. Non solo, ma tutti questi significati che Dio ha immesso nella storia d’Israele, portano alla rivelazione definitiva del Verbo di Dio, che annuncia il Vangelo di Dio. Si tratta, allora, di mettersi in cammino seguendo gli indizi seminati dalla parola nella storia delle donne e degli uomini.

     C’è stato tutto un tempo di preparazione che il Padre ha predisposto per presentarsi nelle vesti del Figlio e mostrare, in modo definitivo, la strada della vita. Secoli di preparazione non solo con segni e prodigi, ma anche con personaggi che si assomigliavano nei gesti e nei modi al Figlio, che sarebbe dovuto venire. Ci sono stati eventi, gesti, ma soprattutto una parola ricca di contenuti che è stata proclamata nelle piazze, nei crocicchi delle strade e nelle sinagoghe, che avrebbe dovuto essere riconosciuta una volta pronunciata da Colui che sin dall’inizio era uscita.

    Anni di preparazione, secoli di avvisi, d’indizi lasciati nel percorso, che segnalavano l’arrivo di Dio sulla terra e, soprattutto del valore della sua Parola. C’erano stati i profeti, uomini innamorati del Signore, che avevano fatto della loro vita un servizio a Dio nell’annuncio della sua Parola, non solo con la bocca, ma anche con la vita. Il popolo aveva lentamente compreso che quella parola così nuova pronunciata dai profeti, quei discorsi così profondi, avevano qualcosa di divino, perché non potevano essere stati elaborati semplicemente da qualche essere umano. In quei discorsi, ci doveva essere stato qualcosa di rivelato, di proveniente dall’alto.



    La forza di questa Parola, la sua veridicità, la si era capita e, la si stava capendo, con l’andar del tempo. È infatti, nel tempo che trova la sua realizzazione e la prova della sua veridicità. Parola che realizza nel tempo, negli eventi della storia ciò che annuncia e, soprattutto, a distanza di anni: chi è capace di pronunciare parole simili? Chi è capace di proferire parole che, a distanza di secoli, si avverano? Al massimo azzecchiamo, per pura fortuna, il risultato di un evento sportivo o di una situazione a cui teniamo e sulla quale puntiamo la nostra parola. Ma azzeccare eventi a distanza di anni, di decadi, di secoli nessuno può farlo se non correndo il rischio del ridicolo. Perlomeno, nessun umano, nessuna persona della nostra stirpe umana. Per parole simili, con un peso simile, ci vuole ben altro.

      Quelle parole dei profeti che parlavano della venuta futura di un uomo diverso, che avrebbe condotto il popolo nel cammino della pace e della giustizia, quando si avverarono, quando finalmente divennero realtà, dando carne ad un annuncio verbale, l’impatto nella storia fu semplicemente devastante, impressionante, unico. Si aspettavano parole di odio contro il nemico che occupava la loro terra, e dovettero ascoltare parola d’amore. Si aspettavano un re potente e, invece, colui che venne per proferire la Parola di Dio, si spogliò di tutto, di ogni simbolo si forza e potere, per camminare insieme ai poveri della terra. Si aspettavano, infine, un giudice severo, che bruciasse con il fuoco del cielo tutti i malfattori, i peccatori, e invece il Verbo venne con parole di misericordia e di perdono. Veramente una parola strana.



    La Parola nuova che Gesù è venuto ad annunciare è diversa per il fatto che non scaturisce dalla mentalità egoista, che elabora pensieri autoreferenziali, ma sgorga dall’amore di Dio, che va continuamente in direzione dell’altro, del fratello e della sorella. È una Parola che ha riempito la storia di un significato così profondo al punto che non c’è più bisogno di cercare altrove. La si trova tutte le volte che s’incontrano fratelli e sorelle che si vogliono bene. Fu lo stesso Gesù a dirlo: “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35).

Nella Domenica della Parola di Dio incamminiamoci sulle orme lasciate dal Signore, lasciando anche noi le nostre, vivendo nel mondo in comunione tra fratelli e sorelle che si vogliono bene.

LA NUOVA ALLEANZA E IL PROBLEMA DELLA XIII TRIBU'




 Paolo Cugini

Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antiquata la prima; ora, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a sparire” (Eb 8,13).

È un versetto che offre una bellissima indicazione ermeneutica per abbordare il testo Sacro. Dopo la venuta di Gesù, la Nuova Alleanza è a Lui che bisogna guardare. È Gesù la chiave di accesso al mistero di Dio, di come si è manifestato nella storia. L’antica alleanza è, per l’appunto antica, sorpassata e vale nella misura in cui ci dice qualcosa di colui che doveva venire, l’atteso, che però era già prima che il mondo fosse (cfr. Gv 1,1-18; Ef 1, 1-19). Punto di partenza per una comprensione della Parola di Dio è il Vangelo la narrazione della ita di Gesù, della sua proposta. A partire da questa comprensione del messaggio evangelico si può passare alla lettura dell’Antica Alleanza sempre, comunque, con la prospettiva di Gesù, di cogliere quello che le narrazioni, i personaggi, gli eventi dell’Antico Testamento dicono di Lui.

Salì poi sul monte” (Mc 3,13). Gesù, che ha il grande compito di annunciare al mondo la Parola di salvezza per l’umanità, si prende dei tempi di meditazione, di riflessione, di dialogo interiore. E’ una grande indicazione per ogni cristiano che prende sul seriuo il Vangelo, Non può esserci vita di fede senza prendersi dei tempi prolungati per salire sul monte, per entrare in contatto con il Padre, per imparare a valorizzare la vita interiore. Salendo sul monte Gesù spezza il tempo dell’itinerario che stava compiendo, dicendo che anche questo momento di salita sul monte è parte del vissuto quotidiano, parte del cammino della vita cristiana. Gesù sale sul monte perché si appresta a compiere una importante decisione: la scelta degli apostoli.

Chiamò a sé quelli che egli volle” Mc 3,13). La scelta dei Dodici, il perché proprio loro e non altri, rimane racchiusa nel mistero di Dio. Gesù ha scelto quelli che ha voluto: punto e a capo. C’è una volontà d’amore che dice di una libertà profonda di Gesù, che non scegli in modo avventato, ma dopo aver pregato, dialogato con il Padre. Ci sono scelte che necessitano di un dialogo con le persone care che abbiamo vicine; altre scelte, invece, hanno bisogno di preghiera, di riflessione, di apertura al mistero di Dio.

Ne costituì dodici” (Mc 3,14). Tutti gli studiosi sono d’accordo nel dire che questo numero dodici fa riferimento alle dodici tribù d’Israele, indicate dai nomi dei figli di Giacobbe e, di conseguenza, i Dodici sarebbero il segno del nuovo Israele, della Nuova alleanza. Leggendo attentamente le scritture ci si accorge, però, che i figli di Giacobbe non furono dodici, ma tredici e che il tredicesimo figlio era in realtà, una figlia: Dina. Questa Dina era la figlia che Lia aveva partorito da Giacobbe, che fu violentata da Sichem, figlio di Camor l’Eveo (Gen 34). È una brutta storia di violenza su una donna, che la tradizione ebraica ha messo a tacere e che non riappare mai più nelle narrazioni bibliche. Se nella scelta dei Dodici Gesù sembra mantenere lo schema patriarcale della tradizione ebraica, che ha cancellato Dina dai libri di Storia, la figura di Dina e di una possibile tredicesima tribù riappare nel cammino di Gesù in quelle donne che il Vangelo di Luca pone al seguito del Signore (cfr. Lc 8,1-3; Lc 24,10; At 1,14).

 

giovedì 21 gennaio 2021

LECTIO DEL GIORNO (21.1.21)

 




Paolo Cugini

“Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso” (Eb 7,26).

In che senso il sacerdozio di Cristo è maggiore dei sommi sacerdoti della tradizione ebraica? Mentre i secondi offrono sacrifici di qualcosa di esterno, come animali, Gesù ha offerto la propria vita al Padre. È infatti, Lui l’agnello immolato per l’umanità. C’è un cammino di perfezione umana che Gesù ha compiuto, ed è il cammino di un’obbedienza d’amore che lo ha condotto in un percorso segnato da grandi sofferenze, di tensioni interne ed esterne che, però, non lo hanno fatto desistere. Questo cammino è terminato con il dono della sua vita per amore al Padre, che diventa possibilità per tutti di vivere un’esistenza non da schiavi, ma da figli e figlie, nella libertà e nell’amore di Dio. Le parole dell’autore della lettera agli Ebrei sono un invito a fidarci di Cristo, a seguire il suo percorso, a vivere cercando continuamente l’amore del Padre, il dono della propria vita per gli altri. Con Gesù usciamo dalla logica del sacrificio esterno, che serve per mettere in pace la coscienza, ed entriamo nella logica del dono gratuito di sé, di una vita che esce dai cammini dell’egoismo e dell’autoaffermazione di sé, per imparare a vivere da figli e figlie. Nella stessa prospettiva è il salmo della liturgia di oggi che dice:

“Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo»
(Sal 39).

Uscire dalla logica religiosa del sacrificio per entrare nel cammino dell’amore, del dono di sé: è questa la grande novità di Gesù.

Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse (Mc 3,12). È impuro colui, colei che non può aver accesso al sacro. Lo spirito impuro riconosce ciò che è sacro, lo percepisce, lo sente. Gesù impone a questi spiriti, a queste persone impure che riconoscono il sacro presente nella storia di non rivelarlo: perché? La manifestazione dell’identità di Gesù dev’essere scoperta all’interno di un cammino di fede, di una relazione con Lui, che conduce ad assimilare la Sua Parola, il suo stile di vita. Solo sotto la croce, nel Vangelo di Marco (Mc 15,38), è possibile comprendere l’identità del Cristo, il Figlio di Dio.

 

martedì 19 gennaio 2021

LECTIO DEL GIORNO (18.1.21)

 



Paolo Cugini

 

Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 5,8-9). Che cosa significa imparare l’obbedienza dalle cose che patisce? Il rimanere nel posto scelto, nel luogo in cui si è scelto a partire da una risposta ad un appello, provoca delle tensioni. Imparare a rimanere nonostante tutto, vincendo la tentazione di fuggire, è l’obbedienza come relazione d’amore, che nasce dalla fiducia in Colui che ha chiamato. Questa obbedienza per amore che ci fa rimanere al nostro posto nonostante tutto, diviene causa di salvezza per gli altri che sono sullo stesso cammino, perché diventa uno stimolo. Il fatto che il Figlio è rimasto nella relazione con il Padre nonostante le sofferenze della passione e della croce, ha motivato e continua a motivare tutti coloro che seguono il cammino tracciato da Gesù, che troviamo nel Vangelo.

Vino nuovo in otri nuovi” (Mc 2,22). La novità di Gesù, della sua proposta di vita esige uno spazio, che avviene attraverso delle scelte. Compito della vita spirituale di ogni giorno è sistemare l’otre, la vita affinché sia conforme al vino nuovo che ci metto dentro. In altre parole, se desidero che il Vangelo illumini la mia vita, devo mettermi nelle condizioni di vivere ciò che ascolto. Il rischio è che la Parola di Gesù, inviata dal Padre come la pioggia del mattino, scorra via sulla mia vita senza lasciare traccia alcuna. Se invece desidero che rimanga e porti frutti, dev’esserci lo sforzo quotidiano di creare le condizioni affinché La Parola possa incontrare un terreno fertile.

giovedì 14 gennaio 2021

SECONDA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B

 



 

Paolo Cugini

 

     Dopo le feste del tempo di Natale la liturgia riprende con il tempo ordinario e, questa seconda domenica, ci presenta la dinamica della chiamata. La settimana scorsa il Vangelo che narrava il battesimo di Gesù ci diceva che durante il battesimo il cielo si era squarciato, permettendo l’entrata di Dio nella storia degli uomini e delle donne nel loro vissuto quotidiano. Oggi ci viene detto che il primo gesto che Gesù compie nella sua attività pubblica è consiste nel chiamare per nome, nel proporre un cammino nuovo di vita autentica, non più condizionato dalla contingenza umana, ma liberato dall’amore sovrabbondante di Dio. Seguiamo, allora, la narrazione che ci propone il Vangelo, per coglierne sia la profondità che la grande attualità.

Giovanni stava con due dei suoi discepoli”: La fede si realizza come cammino comunitario e che si trasmette lentamente, attraverso una relazione personale. Il ragazzo, il giovane, capisce che qualcosa è importante quando lo vede fare da un adulto in cui crede, in cui ha fiducia. Se questo vale in generale, vale anche e soprattutto, per quanto riguarda i contenuti della fede, che si trasmettono attraverso un rapporto quotidiano di fiducia, attraverso uno stare con qualcuno che vive ciò in cui crede. Questo aspetto offre delle grandi indicazioni educative, perché richiama ogni adulto a vigilare sulle proprie scelte, sul proprio vissuto, sulla propria coerenza e autenticità.

E fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: ecco l’Agnello di Dio”: può guidare gli altri verso l’incontro e la conoscenza del Signore colui che lo conosce, colui che dedica tempo alla sua Parola. Giovanni è colui che fissa lo sguardo su Gesù, è attento a Lui, lo conosce e riconosce: per questo può indicarlo ai suoi discepoli. Fissare lo sguardo su Gesù indica la relazione personale con Lui, l’interesse alla sua Parola, alla sua proposta e a tutto ciò che gli riguarda.

E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù”. C’è in questo versetto la verità e la libertà di un rapporto educativo. La relazione educativa nella prospettiva del Vangelo è liberante, nel senso che non lega le persone al maestro, al padre, alla figura educativa. La verità di una relazione educativa matura è quando offre gli strumenti alla persona di trovare il proprio cammino e questo può avvenire solo se avviene uno sganciamento dalla relazione iniziale.



Che cosa cercate?”: la domanda di Gesù manifesta interesse nei confronti dell’interlocutore. È una domanda che rivela un’attenzione, una disponibilità. È una domanda che apre degli spazi di possibilità per coloro che hanno esposto una richiesta. È una domanda che dice anche di un cammino. Trova il Signore, il senso della vita che dà spessore alle scelte fondamentali dell’esistenza chi si pone in ricerca, chi esce allo scoperto e si pone in cammino.

“Venite e vedrete”: la risposta di Gesù manifesta che il cammino di fede non ha una progettualità definita, ma esige che il discepolo, il giovane, faccia dei passi concreti, esige che veda con i propri occhi, che faccia esperienza diretta, che valuti con i propri criteri. Gesù non mostra ai discepoli di Giovanni un programma dettagliato: è necessario un affidarsi. La fede si apprende facendo l’esperienza dell’affidamento reale a qualcuno che ci è stato indicato. I discepoli di Giovanni, accettando la proposta di Gesù, senza averlo mai visto prima, lo seguono perché hanno fiducia in Giovanni, il loro primo maestro. Il cammino di fede passa, così, di fiducia in fiducia, ed è quindi, segnato da una storia di relazioni adulte, significative. Per questo motivo, il tradimento, è l’esperienza più drammatica della fede, perché viene meno il tramite, ciò che faceva da collante, che dava spessore al cammino.



Rimasero con lui”: una parrocchia non può pensare di trasmettere la fede ai giovani semplicemente trasmettendo dei contenuti. Un giovane ha bisogno di vedere, di fare esperienza, di toccare con mano e, soprattutto, di verificare di persona se quello che gli viene detto ha una corrispondenza nella vita reale di colui che trasmette il messaggio. Fare esperienza del Signore e della novità della sua proposta significa rimanere con qualcuno che vive ciò che dice e, in questo modo, mostra che ciò che il Vangelo insegna può avere significato nella vita reale.

“Erano circa le quattro del pomeriggio”: Giovanni, l’evangelista, scrive questo dato a circa cinquant’anni dal suo primo incontro con il Signore. È stato un incontro così significativo che Giovanni ormai vecchio, si ricorda ancora l’ora precisa. Credo che quello che possiamo fare è offrire dei momenti, degli spazi espliciti di preghiera; spazi prolungati nel tempo in cui un giovane ha la possibilità di percepire la presenza di Dio.

Andrea trovò per primo suo fratello Simone e gli disse: abbiamo trovato il Signore!”. Il Vangelo si propaga da solo, da persona a persona. Coloro che hanno incontrato il Signore e hanno fatto esperienza di Lui, non riescono a trattenerlo per loro stessi, non possono, non de la fanno e lo annunciano agli amici, ai parenti, alle persone care, come si fa con qualcosa di prezioso che volgiamo condividere.

Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa”. L’incontro con Gesù cambia la vita offrendoci una nuova identità. Il cambiamento del nome vuole significare proprio questo. D’ora innanzi Simone non sarà più lo stesso, ma una nuova persona.



Il messaggio che ci arriva in questa seconda domenica del tempo ordinario è molto chiaro. Se desideriamo essere persone nuove che non si lasciano più schiavizzare dagli elementi del mondo, ma vogliamo vivere nella libertà dei figli e delle figlie di Dio, dobbiamo alzarci, metterci in cammino alla ricerca del Signore che viene al nostro incontro per offrirci uno stile di vita nuovo e così potremo dire con il salmo di oggi: “Ecco io vengo, Signore, per fare la tua volontà” (Sal 39).

 

martedì 12 gennaio 2021

LECTIO DEL GIORNO: 12 GENNAIO 2021


 



Paolo Cugini

Avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al momento presente, però, non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa” (Eb 2,8). È questo il motivo della tensione che si genera nell’anima del cristiano, del discepolo e discepola, vale a dire, la constatazione che la presenza di Gesù nel mondo, della sua parola, del suo amore e della sua giustizia sia marginale, insignificante, una realtà che non si vede, se non nel cuore di chi crede. Più che essere sottomesso al Signore Gesù il mondo sembra essere sottomesso da altre forze, da altre realtà antagoniche al Signore. Questa tensione è descritta meglio, anche se con un’allegoria più pesante, nel libro dell’Apocalisse.

 “Conveniva infatti che Dio - per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria - rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza (Eb 2, 10). Sofferenza come cammino di perfezione: cosa significa? La sofferenza sulla croce che ha condotto Gesù alla morte, è stato il coronamento del suo percorso umano, che ha realizzato sino alla fine, compresa, dunque la morte. Per questo le sue parole sono vere, perché, pur essendo Dio, non ha preso delle scorciatoie e, in questo modo, vivendo sino alla fine conforme alla carne assunta, che lo ha condotto alla passione e morte in croce, ha reso le sue parole vere per noi, vere perché umane, parole che sanno di terra, della nostra condizione umana e, di conseguenza, credibili. Non si tratta, quindi, di un elogio alla sofferenza e del fatto che la sofferenza in sé è necessaria per la salvezza, ma il riferimento è alla condizione umana che passa attraverso questo elemento.

“nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui” (Mc 1, 23-26). Che cosa è venuto a fare Gesù? A togliere l’impurità, che non è una designazione di qualcosa che appartiene alla sfera della sessualità, ma è un’indicazione sulla relazione con Dio. Secondo la legge ebraica ci sono delle situazioni che rendono impuro l’uomo e la donna e, di conseguenza, non gli permettono di avvicinarsi al sacro. Ebbene, Gesù, con la sua presenza, con la sua Parola e i suoi gesti rende sacra ogni cosa, togli l’impurità, tutto ciò che non permette all’umanità di avvicinarsi a Dio.

 

sabato 9 gennaio 2021

BATTESIMO DEL SIGNORE

 


Paolo Cugini

 

 

È difficile cogliere l’importanza della festa di oggi nel contesto della cultura fortemente secolarizzata in cui ci troviamo. Il sacramento del Battesimo, infatti, come del resto i sacramenti dell’iniziazione cristiana, prima di essere espressione di un cammino di fede adulto, sono espressione di una dinamica culturale e sociale. Per questo motivo, i genitori cercano la Chiesa per battezzare i loro bambini e li conducono a partecipare ai percorsi di catechesi per accedere ai sacramenti nelle loro parrocchie. Se non lo facessero, i loro figli si sentirebbero discriminati rispetto alla grande maggioranza che intraprende questo tipo di attività. La festa di oggi ci permette, allora, di andare all’origine del rito del battesimo, per riscoprirne significati e motivazioni e per comprendere che, prima di essere un dato socioculturale, il battesimo può essere compreso solamente all’interno di una dinamica di fede in Dio.

Il battesimo di Gesù segna l’inizio della sua vita pubblica da adulto. La parola battesimo, come sappiamo, significa immersione e Gesù con questo gesto decide d’immerge la propria vita totalmente in Dio, affinché tutto nella sua esistenza sia plasmato e modellato dalla Parola e dalla volontà del Padre. Il battesimo diviene dunque, il segno di una rottura con la proposta del mondo e il desiderio d’incamminarsi sui sentieri di Dio. E’, dunque la scelta di una persona libera che dopo un percorso in cui si confronta con la proposta di Dio presente nella Bibbia, scegliere di vivere in un modo nuovo, rispondendo ad un appello che viene dall’alto e percepito come personale. Del resto, lo stesso profeta Isaia, nel brano di lettura che abbiamo ascoltato, ci ricorda che i pensieri del Signore sono diversi dai nostri e quindi, per poter vivere di Lui e con lui occorre incamminarsi verso una scelta definitiva e chiara, che ponga fine ad un modello di vita per iniziarne un altro. Il battesimo simbolizza, quindi, un passaggio da uno stile di vita segnato dalla schiavitù delle passioni verso una vita vissuta nella libertà dei figli e figlie di Dio. Non a caso, la predicazione dei padri della Chiesa dei primi secoli prendeva come evento di riferimento per comprendere meglio il battesimo il passaggio del popolo d’Israele nel mar Rosso (Es 14, 19-31), interpretato appunto, come passaggio dall’Egitto, terra in cui il popolo viveva in schiavitù, verso la libertà simbolizzata dalla terra d’Israele, la terra promessa.



Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo” (1 Gv 5,3). Questo versetto proclamato nella seconda lettura esprime molto bene il senso autentico del Battesimo, ne indica le motivazioni profonde. Se alla nascita siamo generati da nostra madre, che ci immette alla vita, nel battesimo siamo, per così dire, rigenerati da Dio. C’è dunque una prima nascita nella carne, una nascita biologica, ed una seconda rinascita dall’alto, nello Spirito.  La vita nello Spirito iniziata nel Battesimo, ci permette di vivere un’esistenza caratterizzata dalla pace, amore, giustizia, benevolenza, misericordia, che sono i doni dello Spirito (Gal 5, 22). Paolo ci ricorda che chi nel battesimo viene rigenerato da Dio vince il mondo, perché viene immesso in un’altra dimensione, non più condizionata dalla caducità che produce egoismo, invidie, ingiustizia, disuguaglianze, che segnano negativamente la proposta del mondo, ma dalla vita dello Spirito. Ecco perché è così importante il battesimo ed ecco perché non può che essere una scelta libera, frutto di un cammino di presa di coscienza della proposta di Gesù, che getta luce sulla realtà in cui viviamo.

E subito uscendo dall’acqua vide squarciarsi i cieli… E venne una voce dal cielo” (Mc 1,10-11). C’è un dato interessante nella narrazione del Vangelo di Marco sul battesimo di Gesù, che vale la pena sottolineare per comprendere sempre meglio il senso del sacramento del battesimo. Secondo la riflessione biblica dopo il peccato di Adamo ed Eva il cielo si chiuse, segnando una separazione definitiva tra il cielo e la terra, tra Dio e l’umanità. Questa chiusura viene espressa in alcuni brani dell’Antico testamento come, ad esempio, il profeta Isaia che implora Dio dicendo: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi” (Is 63,19). Con il Battesimo di Gesù i cieli si squarciano, permettendo, dunque, l’entrata di Dio nella storia degli uomini. D’ora in poi è possibile realizzare una vita in pienezza perché il Figlio, l’amato dal Padre, ha tracciato un cammino possibile per tutti.



Nell’episodio della morte di Gesù narrato da Marco, oltre all’espressione poco sopra commentata, vale a dire: “squarciare” (Mc 15,30: il velo del tempio si squarciò), c’è un altro termine che appare anche nell’episodio del battesimo, vale a dire: la voce. Nel contesto del battesimo si dice che: “venne una voce dal cielo” (Mc 1,11), mentre nel contesto della narrazione della morte di Gesù si dice che: “gridò a gran voce” (Mc 15, 38). Queste corrispondenze letterarie tra l’evento del battesimo di Gesù e la sua morte, hanno prodotto nella prima comunità cristiana una riflessione, vale a dire, attraverso il battesimo partecipiamo alla morte di Gesù. Come infatti, Gesù, accettando di morire ha sconfitto per sempre la forza del mondo su di sé, passando nel mondo d’amore del Padre, così anche noi attraverso il battesimo vinciamo in modo definitivo il mondo (è il tema della seconda lettura di oggi) per vivere con Cristo nell’amore del Padre. 



 

venerdì 8 gennaio 2021

EBBE COMPASSIONE

 



 

Paolo Cugini

 

Amiamoci gli uni gli altri perché l’amore è da Dio” (1 Gv 4,7). La verità della nostra fede in Dio è l’amore che abbiamo gli uni per gli altri. La novità del messaggio di Gesù è tutto racchiuso in queste parole, vale a dire, che la vera religione non si riduce ai riti, ma alle nuove relazioni dei membri della comunità rigenerati dall’amore di Dio, che continuamente riceviamo nei sacramenti e che ci fa essere persone nuove.

In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato nel mondo il suo figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui” (1 Gv 4,9). Che cos’è l’amore e che cosa significa? Seguendo l’esempio di Dio, l’amore è un movimento di uscita da sé verso l’altro. Come Dio ha donato suo figlio per noi, così noi siamo chiamati a donare la nostra vita per gli altri.

Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (Mc 6, 34). Amare significa sentire compassione, interessarsi dell’altro, dell’altra, non rimanere indifferenti. Interessante osservare come il primo gesto che Gesù fa nei confronti di coloro per i quali sente compassione, non è la condivisione di qualcosa di materiale, ma offre loro la Parola: si mette ad insegnare. L’annuncio del Vangelo dev’essere preceduto o accompagnato da gesti che spiegano quello che si annuncia, gesti che dicono dell’interesse manifestato. Compassione, dunque, che non si riduce ad un sentimento sterile, ma che si trasforma in azione concreta, come vediamo nel Vangelo annunciato oggi.



Voi stessi date loro da mangiare”. Gesù non fa nulla da solo, ma coinvolge i suoi discepoli e discepole, coinvolge la comunità. Questo è un dato significativo perché dice della dimensione comunitaria e partecipativa dell’amore ricevuto da Dio.

Quanti pani avete? Andate a vedere”. La compassione non è un movimento che passa sopra la testa delle persone, ma esige la presa di coscienza della realtà, il toccare con mane, il vedere, il rendersi conto della situazione e, anche a questo livello, c’è il coinvolgimento della comunità. Gesù invita ad uscire dallo schema egoistico individualistico che porta a risolvere i problemi da soli.

Prese i cinque pani e due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli”. Gesù si fa consegnare i pani e i pesci dalla folla e cioè, l’aiuto offerto tiene conto del poco che già c’è. È il processo di responsabilizzazione di colui che si vuole aiutare. Quante volte confondiamo la carità con il dare e basta. La compassione è autentica ed è segno dell’amore di Gesù quando segue il cammino annunciato dal Vangelo: tocca con mano la realtà, coinvolge la comunità e anche i diretti interessati.

Tutti mangiarono a sazietà”. La verità dell’amore che viene da Dio è che è sovrabbondante: tutti si saziano e ne rimane anche.

 

giovedì 7 gennaio 2021

GESÚ, LA NOVITÁ DI DIO




 Paolo Cugini

Questo è il suo comandamento: che rediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni glia altri” (1 Gv 3,23). Credere nel nome significa credere nella persona di Gesù, nella usa proposta di vita, perché il nome significa identità. Credere nel nome non è solo un atto formale, una questione di versetti appresi a memoria, ma significa vivere ciò che Lui dice, che si riassume nel comandamento dell’amore. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

Ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne è da Dio” (1 Gv 4,2). È il problema centrale della comunità di Giovanni: credere che Gesù sia Dio. Credere che Dio sia presente nella carne di Gesù significa abbandonare il Dio dei filosofi, della letteratura, il Dio che è nei cieli, lontano dagli uomini e dalle donne. Credere che Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, significa fargli spazio, ascoltarlo, lasciarsi coinvolgere dalla sua novità e, quindi, disponibilità al cambiamento.

Da allora Gesù cominciò a predicare e dire: convertiteti perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17). Accogliere la novità di Gesù significa fargli spazio, non rimanere legati a schemi del passato. Conversione significa disponibilità al cambiamento, significa puntare lo sguardo su di Lui, ascoltando la sua Parola, interiorizzandola per provare a viverla. La comunità che segue lo stile di Gesù è la comunità che si fa missionaria, che esce sulle strade, che bussa alle porte delle case per comunicare la novità sperimentata e accolta.

 

martedì 5 gennaio 2021

EPIFANIA: UN CAMMINO PER TUTTE E TUTTI

 



6 gennaio 2021

 

Paolo Cugini

 

La solennità della manifestazione del Signore all’umanità è ricca di significati e di indicazioni per il nostro cammino di fede. La narrazione dei re magi va ben al di là di un dato storico, ma offre spunti che necessitano di un’interpretazione. La comunità cristiana che legge il Vangelo, sa di avere dinnanzi non un codice con norme fisse e rigide, ma il libro della vita, che parla ad ogni uomo e ad ogni donna di tutti i tempi e, di conseguenza, necessita di uno sforzo per rendere attuale a noi questa Parola, con l’ausilio dello Spirito Santo. Che cosa ci vuole dire, allora, questo testo a noi, oggi?



Alcuni magi giunsero da oriente a Gerusalemme”. Ogni ricerca autentica della verità conduce a Dio, vale a dire, alle risposte sui grandi enigmi della vita. Chiunque può raggiungere il Signore della vita, di qualsiasi popolo, cultura, religione; l’importante è mettersi in cammino, avviare un percorso di ricerca. Ciò significa che compito di una comunità cristiana è aiutare le persone a mettersi in cammino, a stimolare la ricerca spirituale, la ricerca del senso della vita. Dall’altra parte, altro compito della comunità cristiana, consiste nel divenire comunità aperta, luogo aperto per tutti e tutte, disponibile ad incontrare coloro che stanno cercando il Signore della vita, indipendentemente dal luogo da cui provengono, dalla cultura.



Abbiamo visto sorgere una stella”. È molto difficile cogliere il senso della vita da soli. C’è bisogno di qualcosa, qualcuno, una stella, appunto, che ci aiuti in questo cammino di ricerca. Questo è un dato importante della dinamica della fede. Lo troviamo continuamente riportato nelle narrazioni vocazionali. Mosè giuda Giosuè ad assumere il comando del popolo. Eli guida Samuele nella scoperta della propria identità profetica. E poi Elia con Eliseo e tanti altri. Sino ad arrivare a Gesù con i suoi discepoli e, prima di Lui, Giovanni Battista faceva altrettanto nel deserto. A volte anche una comunità può fungere da stella, ma più spesso è una persona, una guida spirituale, che aiuta colui o colei che è alla ricerca della verità, d’incontrarla. La stella appare e sparisce, per indicare che, compito della stella, è di guidare all’incontro con il Salvatore e non di sostituirsi a Lui.

Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono. Poi offrirono i loro scrigni e… fecero ritorno al loro paese”. A questo punto potremmo chiederci: esiste un criterio per capire se abbiamo realizzato il percorso della vita in modo autentico, se la stella incontrata nel cammino ci ha condotto nel luogo giusto? Se il percorso esistenziale e spirituale ci conduce a condividere quello che abbiamo e non ad accaparrarci qualcosa, vuole dire che siamo sulla strada tracciata da Gesù che: “da ricco che era si è fatto povero” (2 Cor 8,9) e che: “non ha considerato un tesoro prezioso l’essere uguale a Dio, ma spogliò sé stesso assumendo la condizione di servo” (Fil 2,6-7). La donazione di sé attraverso una vita di amore e condivisione è il segno indistinguibile del cammino tracciato da Gesù nella storia. Il testo dice anche che, dopo essersi prostrati ad adorare e a offrire i loro scrigni, i magi continuarono il cammino. La tentazione umana porterebbe ad affermare che i magi continuarono il cammino impoveriti, in realtà lo continuarono arricchiti. Infatti, chi vive la condivisione con i fratelli e le sorelle, chi passa per questo stile di vita nuovo portato da Gesù, mentre dona si arricchisce, perché: “è donando che si riceve” come diceva san Francesco d’Assisi, che vuole dire, in altre parole, che ci arricchiamo donando.



Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode”. Oltre alla stella che illumina il cammino e produce un sorriso di soddisfazione, nel percorso alla ricerca del senso della vita incontriamo anche Erode, che incarna il male, colui che ci vuole male, ci vuole confondere, vuole distruggere ciò che per noi è più caro. Va detto subito che nella vita incontriamo più di una stella e anche più di un Erode, un nemico. L’Erode della vita si presenta spesso e volentieri in modo camuffato e, dunque, facciamo fatica a riconoscerlo e, quando lo riconosciamo, spesso è già tardi, il disastro nella nostra vita è già iniziato. Il versetto appena letto ci insegna che Erode non va mai affrontato, perché il male stimola la parte negativa di noi stessi. Nel Vangelo, spesso Gesù ci presenta situazioni come queste in cui ci invita a stare fermi, a sfuggire il male, a non affrontarlo per non venire stritolati dai suoi artigli.



C’è un cammino che ogni uomo e ogni donna è chiamato a compiere durante la vita, un cammino di ricerca del bene, dell’amore, della giustizia, che sono gli aspetti che danno sapore ad un’esistenza. Questo cammino non possiamo permetterci di farlo da soli, ma dobbiamo avere l’umiltà di farci aiutare. Quando arriveremo a vivere situazioni in cui ci accorgiamo che stiamo donando la nostra esistenza, condividendola con altri e questa condivisione produce sentimenti di gioia, potremo fermarci perché vorrà dire che avremo trovato quello che andavamo cercando: il nostro tesoro.

lunedì 4 gennaio 2021

CHI CERCATE?


 

Lectio divina su Gv 1,35-39


Paolo Cugini

Giovanni stava con due dei suoi discepoli”: La fede come cammino comunitario e che si trasmette lentamente, attraverso una relazione personale. Il ragazzo, il giovane, capisce qualcosa che è importante quando lo vede fare da un adulto in cui crede, in cui ha fiducia. Se questo vale in generale, vale anche e soprattutto, per quanto riguarda i contenuti della fede, che si trasmettono attraverso un rapporto quotidiano di fiducia. Questo aspetto offre delle grandi indicazioni educative, perché richiama ogni adulto a vigilare sulle proprie scelte, sul proprio vissuto, sulla propria coerenza e autenticità.

E fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: ecco l’Agnello di Dio”: può guidare gli altri verso l’incontro e la conoscenza del Signore colui che lo conosce, colui che dedica tempo alla sua Parola. Giovanni è colui che fissa lo sguardo su Gesù, è attento a Lui, lo conosce e riconosce: per questo può indicarlo ai suoi discepoli.

E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù”. C’è in questo versetto la verità e la libertà di un rapporto educativo. La relazione educativa nella prospettiva del Vangelo è liberante, nel senso che non lega le persone al maestro, al padre, alla figura educativa. La verità di una relazione educativa matura è quando offre gli strumenti alla persona di trovare il proprio cammino e questo può avvenire solo se avviene uno sganciamento dalla relazione iniziale.

Che cosa cercate?”: la domanda di Gesù manifesta interesse nei confronti dell’interlocutore. È una domanda che rivela un’attenzione, una disponibilità. È una domanda che apre degli spazi di possibilità per coloro che hanno esposto una richiesta.



“Venite e vedrete”: la risposta di Gesù manifesta che il cammino di fede non ha una progettualità definita, ma esige che il discepolo, il giovane, faccia dei passi concreti, esige che veda con i propri occhi, che faccia esperienza diretta, che valuti con i propri criteri. Gesù non mostra ai discepoli di Giovanni un programma dettagliato: è necessario un affidarsi. La fede si apprende facendo l’esperienza dell’affidamento reale a qualcuno che ci è stato indicato. I discepoli di Giovanni, accettando la proposta di Gesù, senza averlo mai visto prima, lo seguono perché hanno fiducia in Giovanni, il loro primo maestro. Il cammino di fede passa, così, di fiducia in fiducia, ed è quindi, segnato da una storia di relazioni adulte, significative. Per questo motivo, il tradimento, è l’esperienza più drammatica della fede, perché viene meno il tramite, ciò che faceva da collante, che dava spessore al cammino.

Rimasero con lui”: una parrocchia non può pensare di trasmettere la fede ai giovani semplicemente trasmettendo dei contenuti. Un giovane ha bisogno di vedere, di fare esperienza, di toccare con mano e, soprattutto, di verificare di persona se quello che gli viene detto ha una corrispondenza nella vita reale di colui che trasmette il messaggio.

“Erano circa le quattro del pomeriggio”: Giovanni, l’evangelista, scrive questo dato a circa cinquant’anni dal suo primo incontro con il Signore. È stato un incontro così significativo che si ricorda ancora l’ora precisa. Credo che quello che possiamo fare è offrire dei momenti, degli spazi espliciti di preghiera; spazi prolungati nel tempo in cui un giovane ha la possibilità di percepire la presenza di Dio.

 

sabato 2 gennaio 2021

LA SAPIENZA DI DIO CI CHIAMA ALLA SPERANZA

 


DOMENICA 3 GENNAIO 2021

Paolo Cugini

 

La seconda domenica dopo il Natale propone alla nostra riflessione il tema della sapienza di Dio. Una sapienza che ha donato all’umanità il suo Figlio Gesù. Questo è il grande mistero che necessita, appunto, di una sapienza che venga dall’alto, perché con i soli mezzi umani è difficile capire come Dio possa entrare nella storia umana, in un corpo umano. Per questo motivo, sin dall’inizio, sono sorti gruppi che rifiutavano questo messaggio considerato assurdo.

È curiosa l’insistenza del tema della sapienza per un discorso di tipo religioso che, a primo acchito, sembra richiamare invece, il sentimento, l’entusiasmo. Senza dubbio, l’esperienza religiosa coinvolge tutte le dimensioni della persona, compreso, dunque, il sentimento. Curioso, a mio avviso, è l’insistenza della sapienza come specifico dell’esperienza cristiana. Non si tratta, infatti, appena di credere, ma di capire ciò in cui si crede, perché più capiamo ciò in cui crediamo, più lo amiamo. L’amore, per certi aspetti, esige la conoscenza dell’amato.

[La sapienza] ha posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore è la mia eredità,
nell'assemblea dei santi ho preso dimora
(Sir 24,16)

Nella prima lettura Ben Sira, l’autore del libro del Siracide vissuto nel primo secolo prima di Cristo, scrive di una sapienza personificata in un personaggio misterioso, che però anticipa alcuni aspetti che saranno presenti nel Figlio di Dio, che ha posto la sua dimora in mezzo agli uomini e alle donne. Chi cerca la verità, chi aspira alla conoscenza di Dio, intuisce il cammino del Signore, la sua presenza nella storia.

Sottolineare il discorso della sapienza ha un primo risvolto significativo, vale a dire, che nulla è a caso, ma tutto è avvolto dalla sapienza di Dio incarnata in Gesù, che viene a noi attraverso lo Spirito. Come dice san Paolo: “tutto è stato fatto per mezzo di Lui (Gesù Cristo) e in vista di Lui” (Col 1,16), vale a dire che tutto parla di Lui, dice di Lui. L’attenzione alla realtà, la riflessione su ciò che viviamo produce una conoscenza che ci conduce a Lui. La verità del fatto che Dio è amore è che pensa alle sue creature. Ciò vale anche per noi. Dio ci ama pensandoci: Dio ci pensa. Lo spiega bene san Paolo nella seconda lettura:

In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (Ef 1,4).



Dio ci ha pensati sin dall’inizio: è questo il mistero in cui siamo avvolti, in cui è avvolta la nostra vita. Non siamo nati a caso, ma siamo stati pensati sin dall’inizio e continuiamo ad essere pensati, in quanto amati. Il pensiero non è mai fine a se stesso, ma dice sempre di una direzione, di una finalità. Paolo ci rivela il progetto del pensiero del Padre su di noi: “per essere santi e immacolati”. La santità è una parola che significa: separato. I cristiani che rispondono all’appello del Padre, che li chiama a vivere conforme al Figlio Gesù, che ha realizzato alla perfezione il progetto di una vita personale vissuta nell’amore, sono chiamati a vivere nell’amore del Padre, che ci separa dalla realtà – il mondo – che si costruisce sull’egoismo. Per questo motivo i cristiani diventano immacolati, val a dire, incontaminati, purificati e, quindi, hanno la possibilità di relazionarsi con Dio, di accedere a Lui.

 “Affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi (Ef 1, 17-18).

Per tutto quello che è stato detto, secondo san Paolo la sapienza che il cristiano assimila seguendo il cammino tracciato da Gesù, non può che produrre una vita di speranza. È questa un’idea centrale del pensiero di Paolo: il cristiano non può essere una persona triste, pessimista, perché è avvolta totalmente dall’amore di Dio che si è manifestato in Gesù e che è riversato nei nostri cuori per mezzo del suo Spirito, che ci conduce in un’esistenza che si realizza nell’amore (cfr. Rom 5,5). “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti” (Fil 4,2).



Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato
(Gv 1, 16-18).

Nel Vangelo di oggi, Giovanni ci aiuta a compiere un passo ulteriore nella conoscenza del mistero di Dio. Se, infatti, è vero che la Legge viene da Mosè, è altrettanto vero che l’amore di Dio viene da Gesù. Non solo l’amore, ma anche la verità, che è Gesù. Ciò significa che d’ora innanzi, si passa da una concezione statica di verità – quella scritta sulla pietra, valida una volta per tutte – ad una concezione dinamica e storica, che richiede un costante atteggiamento di disponibilità al cambiamento, alla novità. La verità di Gesù si fa carne in ogni cultura e, questo aspetto, richiede la distanza di ogni tentativo di massificazione e la disponibilità ad ascoltare le culture in cui si vive. Il Figlio unigenito, che è Dio, ci rivela il volto di Dio esattamente nel contesto storico e culturale in cui viviamo e ciò esige molto attenzione, molta elasticità al cambiamento e, soprattutto, un grande desiderio di conoscere.