venerdì 26 marzo 2021

IL SIGNORE DIO MI HA APERTO L'ORECCHIO

 




DOMENICA DELLE PALME/B

(Is 50, 4-7; Fil 2, 6-11; Mc 11, 1-11 e  Mc 14-15)

Paolo Cugini

 

Con la domenica delle Palme entriamo nella settimana santa, durante la quale siamo invitati a riflettere sul mistero della passione di Gesù, della sua morte e risurrezione. Sono giornate intense che, se ci lasciamo coinvolgere, senza dubbio lasceranno il segno nel nostro cammino di fede e, in generale, nella nostra vita. Accompagnando le letture che ascolteremo potremmo trarre insegnamenti e chiavi di letture che ci potranno aiutare durante tutta la settimana.

Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza” (Is 50, 5). Le parole del terzo canto del servo, che troviamo nella seconda parte del libro del profeta Isaia, ci consegnano un personaggio che, in diversi aspetti, anticipa diversi tratti di ciò che vedremo in Gesù. È un discepolo che si sente chiamato da Dio a consolare gli sfiduciati, con quella Parola che ascolta alla mattina. Il servo ha la netta percezione che la possibilità di comprendere la Parola è opera del Signore, una parola che crea dissenso tra coloro che la ricevono, al punto da mettere in pericolo la vita stessa del servo di JHWH. La profonda relazione con il Padre permette al servo del Signore di affrontare le situazioni di contrasto, di non lasciarsi intimidire. Portare una parola d’amore e giustizia, in un mondo conflittuale e carico di odio e ingiustizie, non può che provocare tensioni, incomprensioni che, se non vissute costantemente nell’orizzonte della relazione con il Padre, rischiano di travolgerci e farci male, mettendo seriamente in pericolo il nostro stesso cammino.

Svuotò se stesso assumendo la condizione di servo” (Fil 2,7). E’ la risposta di Gesù nei confronti dell’arroganza del mondo, della superbia tipica di quell’umanità che pensa di sapere già tutto e si mette nell’atteggiamento di dover insegnare agli altri. Gesù risponde, abbassando le armi, spogliandosi di tutto, di qualsiasi elemento che potrebbe paventare una grandezza e, in questo modo, toglie ogni possibilità di argomentazione arrogante, perché Lui viene nel mondo come un servo disponibile a servire, come poi farà nell’ultima cena, lavando i piedi ai suoi discepoli. Lo ripeterà tutta la vita, che il modo di stare al mondo dei discepoli e delle discepole non è quello di mostrarsi più grande degli altri, ma di farsi piccoli, di abbassarsi, così come ha fatto Lui che, da ricco che era si è fatto povero (cfr. 2 Cor 8,9) e “pur essendo nella condizione di Dio non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso” (fil 2, 6). Gesù è venuto ad inaugurare relazioni nuove, un nuovo modo di stare al mondo, di entrare in contatto con gli altri, non più misurato dalla forza, dalla volontà di potenza, ma da quella libertà che viene da un cuore ricco e pieno di amore. “Per questo Dio lo esaltò” (Fil 2, 9) perché si umiliò, si abbassò, per riuscire ad arrivare a tutti. Con il suo stile, Gesù ha creato spazio affinché tutti potessero sentirsi a loro agio e ci ha spiegato con il suo esempio, che le relazioni fondate sull’amore di Dio esigono abbassamento, umiltà, delicatezza.

Andarono e trovarono l’asinello vicino ad una porta” (Mc 11, 4). È questo stile nuovo di Gesù che ha creato sgomento, dissenso, preoccupazione, perché da colui che dice di essere Figlio di Dio, il messia atteso e, quindi, qualcuno d’importante ci aspettiamo delle azioni e delle parole che giustificano la supposta grandezza. E invece Gesù va dalla parte opposta. Non monta su un cavallo per entrare a Gerusalemme, come hanno sempre fatto tutti i re che si rispettano, ma è entrato montando su di un asinello, come fanno i servi. Gesù incarna sino in fondo, il messia venuto per instaurare un regno di pace, per trasformare le armi in strumenti per lavorare i campi, per arare e seminare, proprio come dicevano alcuni profeti (cfr. Zc 9,9; Is 11,4). E allora, Gesù entrando a Gerusalemme in questo modo, conferma le sue scelte e prende definitivamente le distanze da tutti coloro che esigevano da lui, che incarnasse le aspettative di una parte del popolo, che esigeva un messia forte, capace di guidare l’esercito contro i romani e così realizzare la liberazione d’Israele. Gesù, invece, incarnando le profezie che annunciavano la venuta di un re della pace, diviene il protagonista di una liberazione ben più profonda, capace di cambiare la storia dal di dentro, come il chicco di grano che, morendo nella terra, produce molto frutto. 

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