III DOMENICA DI PASQUA/ C
Paolo Cugini
Il tempo di Pasqua è il periodo dell’anno
in cui la Chiesa c’invita a riflettere, in modo nuovo ed originale sul senso
dell’esistenza. La Pasqua, infatti, presentando il tema del risorto, provoca la
riflessione sul tema della vita, del suo significato e su ciò che vale davvero
la pena spendere le proprie energie. In fin dei conti il Padre ha resuscitato
il corpo di suo figlio Gesù che, durante la vita, aveva scelto una vita povera,
umile, di basso profilo, non ha cercato, cioè, la gloria del mondo, il potere,
i soldi. Questo aspetto, a mio avviso, deve far riflettere. La resurrezione di
Gesù getta una luce nuova sulla storia dell’umanità e ne mette a nudo la
povertà della proposta, tutta sbilanciata sul materiale, lasciando pochissimo
spazio alla dimensione spirituale. Vediamo allora, a questo proposito, che cosa
ci dicono le letture di oggi.
Fecero flagellare [gli
apostoli] e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero
in libertà. Essi allora se ne andarono via dal Sinedrio, lieti di essere stati
giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù (At
5, 40-41).
La situazione narrata nella prima
lettura è indicativa di ciò che è avvenuto in coloro che hanno conosciuto il
Signore e lo hanno incontrato risorto. C’è stato un evidente passaggio di
prospettiva esistenziale. Sono, infatti, passati, da un atteggiamento di paura
e di abbandono nei confronti del Maestro, al punto di essere giunti a
consegnarlo, rinnegarlo e abbandonarlo, ad un atteggiamento in cui si sentono
felici per essere stati oltraggiati in nome di Gesù. È la realtà di questo
cambiamento che lascia esterrefatti e diviene una testimonianza che vale la
pena ascoltare per approfondire il discorso sulla resurrezione di Gesù, che ha
conseguenze significative sulle persone che lo incontrano. Che cos’è successo
per arrivare ad un cambiamento radicale? Com’è possibile che persone così
fragili e timorose diventino in poco tempo coraggiose e capace di argomentare
le loro azioni? Incontrare il risorto significa, tra le altre cose, proprio
questo: testimoni di un passaggio nella propria umanità che lascia un segno
profondo capace di ribaltare l’impostazione. Cambiamento che non ha una
spiegazione umana, che non si riesce a spiegare con la strumentazione scientifica,
psicologica: c’è dell’altro.
Io, Giovanni, vidi, e udii voci di molti
angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero
era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce:
«L’Agnello, che è stato immolato,
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,
onore, gloria e benedizione (Ap 5, 1s).
Giovanni vede la vittoria di
Cristo sulla morte; non vede la croce, ma un trono, segno di vittoria e sul
trono Dio stesso con accanto l’agnello immolato. Il dato interessante è che
questo agnello immolato, che chiaramente si riferisce a Gesù, è in piedi, in
segno di vittoria: nessuno è riuscito a piegarlo, a spezzarlo. L’odio del mondo
non ha avuto la meglio sull’amore di Gesù, simbolizzato dal fatto che è
immaginato come agnello sgozzato. I cristiani che seguono il Signore e si
cibano di Lui, alimentano la coscienza con le sue parole, il suo messaggio
vedono nel mondo non segnali di morte, ma di vittoria. Dove il mondo vede
morte, i cristiani vedono vita. E siccome l’agnello è in piedi e con l’amore ha
vinto l’odio, è degno di essere riverito ricevere la potenza da Dio Padre. Essere
nel mondo segno della vittoria di Cristo sull’odio e sulle dinamiche di morte:
è questo il compito dei cristiani nel mondo.
Gli disse per la terza
volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato
che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore,
tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie
pecore (Gv 21, 17).
Nel
cammino di fede non siamo verificati sul numero di riti e processioni alle
quali partecipiamo ma esclusivamente sull’amore che doniamo. Bisogno aggiungere
che se possiamo donare l’amore è perché l’abbiamo ricevuto gratuitamente dal
Figlio, per mezzo dello Spirito Santo che lo ha riversato nei nostri cuori
(cfr. Rom 5,5). Il balsamo della misericordia cura le ferite nell’anima di
Pietro che per tre volte aveva rinnegato il Signore. Non c’è senso di colpa,
disperazione, ma solamente misericordia che cura le ferite. Le relazioni che
Gesù crea hanno questa impronta inconfondibile: non scava dentro all’uomo e
alla donna per farli stare male, ma per far emergere il bene che c’è in ogni persona.
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