Paolo Cugini
Quello della veglia è un rito antichissimo – la celebrazione di una pasqua
annuale la troviamo già nella metà del II secolo e che nel 900 ha visto alcuni
cambiamenti significativi: La riforma fondamentale venne fatta nel 1951 da Pio
XII, che riportò la veglia nelle ore notturne, perché fino ad allora la si
celebrava la mattina del sabato, pur cantandosi, nell’annuncio pasquale,
“Questa è la notte…”. Nel 1955 è arrivata poi la riforma di tutta la Settimana
Santa. Il Concilio ha sviluppato certi elementi, come la scelta delle letture,
ma in sostanza ha ripreso una riforma già fatta
Il primo pensiero va al rito del fuoco, della luce. La Pasqua è il passaggio dalla
morte alla vita, dalle tenebre alla luce. Che cosa vuole dire? Che la
resurrezione di Gesù indica il cammino di umanizzazione che siamo chiamati a
compiere, che c’è d’ora innanzi, una possibilità per ognuno di noi di uscire
dai cammini di morte, per andare verso la vita. La resurrezione del Signore significa
che non tutto è perduto per sempre, che c’è una strada che Gesù ha aperto per
tutti, una strada dentro la storia che tutti possiamo percorrere: basta seguire
la luce.
Poi,
una volta in chiesa, è stato proclamato l’exultet,
un inno di un autore ignoto – alcuni dicono che sia di sant’Agostino – che esprime
in modo originale il mistero della salvezza avvenuto attraverso la resurrezione
di Gesù. «Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto
con la morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di avere un così grande
redentore!». Difficile trovare nella liturgia parole più audaci di queste dell’exultet.
Un’espressione decisamente forte, ma che si sposa con una simbologia liturgica
altrettanto suggestiva. Diceva il poeta francese Charles Péguy che il peccato è
come una breccia dentro la quale s’inserisce la grazia, l’amore di Dio.
Imparare a guardare la propria storia personale con gli occhi del Padre, per
imparare a non maltrattare i propri limiti, ma a lasciarli avvolgere dalla sua
misericordia.
abbiamo
ascoltato le letture, che ci hanno narrato una storia,
che è la storia del popolo d’Israele, che è la nostra storia. La storia di un
popolo che ha imparato a riconoscere Dio dentro gli eventi e non fuori dal
mondo. È questa la caratteristica di questo popolo. Una storia in cui il popolo
sperimenta i propri limiti, la difficoltà di gestire la propria umanità e di
orientarla nella direzione del Signore. È una storia non lineare, ma fatta di
continui ripensamenti, di fughe in avanti e bruschi arresti. Ancora una volta
bisogna dire che la storia del popolo d’Israele somiglia molto alla nostra e
viene riletta dall’inno dell’exultet, che abbiamo proclamato poco fa.
La Veglia pasquale ruota attorno a quattro segni che dicono l’umano trasformato dalla
risurrezione. La luce, con il cero pasquale; la Parola, con le
numerose letture bibliche; l’acqua, con il Battesimo; il pane e il
vino, con il banchetto eucaristico. Sono quattro elementi essenziali per
l’uomo: senza la luce non ci può essere vita; la parola, il comunicare è un
atto fondamentale; l’acqua fa crescere, lava, rigenera; poi il cibo, il
nutrimento. E la liturgia sceglie questi elementi così essenziali per dire il
mistero di Cristo. Si tratta di elementi primordiali: La luce e le tenebre, le
acque che vengono divise ecc. La risurrezione di Cristo ricrea l’universo.
Soprattutto da noi, nell’emisfero nord, la Pasqua coincide con la primavera,
quindi è forte il richiamo al mistero della risurrezione come rifiorire della
vita.
Il cero pasquale viene preparato con i grani di incenso infilati a
forma a croce, perché nel cero è impressa la forma del crocifisso risorto; il
fatto che la cera faccia luce consumandosi è un richiamo alla dimensione del dono;
la cera fa luce e intanto si consuma, offre se stessa per fare luce, come il dono
della vita di Gesù Cristo.
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