QUINTA
DOMENICA DI QUARESIMA/A
Ez
37, 12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45
Paolo
Cugini
In
quel tempo, un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua
sorella, era malato. C’è
una indicazione importante: il villaggio ed è sufficiente per chiarire quello
che verrà. Il villaggio nei vangeli è sempre negativo; è il luogo dove le
tradizioni attecchiscono, ma le novità sono viste con sospetto. Mentre in città
le mode possono andare e venire, nel villaggio le mode arrivano sempre in
ritardo e quando hanno attecchito è impossibile modificarle e vige
l’imperativo: si è fatto sempre così. Pertanto, il termine villaggio viene a
significare resistenza, incomprensione od ostilità alla novità portata da Gesù.
Con questo termine Giovanni indica che nel brano vi sarà incomprensione su
quanto Gesù è venuto a portare. È una comunità che non ha ancora rotto con
l’istituzione, è nel recinto del giudaismo, non ha ascoltato la voce del
pastore che è venuto a liberare.
Disse
allora Tommaso. compare per la prima volta il discepolo
più importante del vangelo di Giovanni. Per letture erronee ed errate del
vangelo, certi personaggi sono presentati male, basta pensare a Maria di
Magdala, una donna straordinaria che più avanti, in questo vangelo, vedremo
come leader della comunità. Per un errore commesso in passato da un papa, è
stata identificata con una prostituta che, con i capelli, asciuga i piedi a
Gesù, è poi diventata la peccatrice redenta. Ugualmente è per Tommaso, definito
l’incredulo e a proposito, ci sono espressioni proverbiali. In Giovanni è il
discepolo più importante in assoluto, è nominato sette volte, cioè la totalità,
la completezza ed in bocca a lui c’è l’espressione più alta di fede in Gesù,
contenuta in tutto il vangelo. Pietro nel vangelo di Matteo e di Marco arriva a
riconoscere Gesù, il Figlio di Dio, ma solo Tommaso in questo vangelo, si
rivolge a Gesù chiamandolo mio Signore e mio Dio. Filippo non aveva compreso e
dice mostraci il Padre e ci basta, Tommaso ha capito una grande verità, che non
Gesù è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù; non c’è da cercare altro Dio
all’infuori di quello che si vede in Gesù. Disse allora Tommaso chiamato
Didimo, che significa gemello, era conosciuto come il gemello di Gesù, come
colui che gli assomigliava di più tra i discepoli e questo è confermato in
numerosi testi apocrifi.
Maria
invece stava seduta in casa. L’incontro di Gesù con i
suoi è sempre una confluenza di due movimenti. Maria non va incontro a Gesù,
perché non lo sa, mentre Marta dunque come seppe che veniva Gesù. Però se anche
lei lo vorrà incontrare, dovrà uscire dalla casa del lutto e dal villaggio,
luogo del pianto e della tradizione. Giovanni ci anticipa la teologia comune
degli evangelisti: non si può incontrare il vivo in un mondo di morti.
Io
sono la risurrezione perché sono la vita; Marta
diceva: risusciterà nell’ultimo giorno, Gesù dice: è presente. La resurrezione
non è alla fine dei tempi, è presente perché Io sono qua. La presenza di Gesù
comporta quella della resurrezione. Chi dà adesione a Gesù ha una vita, di una
qualità tale, che è capace di superare la morte. La vita eterna per Gesù non
sarà, ma è. Abbiamo visto che nel mondo ebraico si cominciava a credere nella
vita eterna, nella resurrezione, ma sarebbe stata un premio per i giusti. Con
Gesù la vita eterna non è il premio o una speranza nel futuro, ma una
possibilità e una esperienza nel presente. Gesù non si presenta come uno che
promette la vita eterna nel futuro, ma è lui la vita eterna e cerca di cambiare
a Marta, il significato della morte e della resurrezione. Ecco due espressioni
che modificano radicalmente il concetto della morte, della vita e della
resurrezione: “Io sono la risurrezione perché sono la vita; chi crede in me,
anche se muore, vivrà; alla comunità che piange la morte di uno dei suoi
componenti Gesù assicura: chi crede in me anche se muore, Lazzaro è morto,
continua a vivere. Il discepolo vive perché ha dato adesione a Gesù, e quelli
che gli danno adesione hanno il dono dello Spirito (credere significa avere lo
Spirito di Dio) e non passano attraverso l’esperienza della morte, continuano a
vivere. Quando Gesù dice: Io sono la resurrezione e la vita, non intende la
vita biologica, bios, ma Zoe, la vita divina, una vita che ha un inizio con
l’incontro con Gesù e quando bios muore, Zoe continua ad esistere.
Chiunque vive e crede in me non morirà,
è la novità portata da Gesù, che ha liberato la comunità non dalla paura della
morte, ma dalla morte stessa e rassicura: chi vive e crede in me non morirà
mai. Alla comunità che piange un morto dice: se questa persona ha creduto in
me, anche se adesso è morta, sappiate che continua a vivere e voi che siete
vivi e mi date adesione, non farete l’esperienza della morte. È il cambio di
mentalità che Gesù vuole portare alla comunità cristiana. I primi cristiani lo
avevano capito; non credevano che sarebbero resuscitati dopo la morte, ma che
erano già resuscitati; avevano capito che Gesù non resuscita i morti, ma dona
ai vivi una vita, di una qualità tale che continua per sempre.
E disse: Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. In Giovanni non appare mai il verbo pregare, ma per tre volte il verbo ringraziare, eucaristeo, da cui deriva eucaristia: c’è due volte nell’episodio della condivisione dei pani e poi nella resurrezione di Lazzaro. Nella condivisione dei pani Gesù aveva invitato i discepoli a farsi loro, pane per gli altri. Chi con Gesù e come Gesù fa della propria vita pane per gli altri, ha una vita di una qualità tale che è capace di superare la morte. Per questo il verbo ringraziare appare due volte nella condivisione dei pani e una volta nella resurrezione di Lazzaro. Lazzaro ha una vita capace di superare la morte perché ha fatto della sua vita un dono per gli altri, è il significato dell’eucaristia, l’impegno di orientare la propria vita per il bene degli altri. Nel momento che lo facciamo, Dio ci comunica un flusso ancora più forte della vita capace di superare la morte. Noi non ci accorgeremo di morire. Gesù non deve chiedere, deve ringraziare.
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