CHIESA DI GALEAZZA
A. Is
2, 1-4: la pace perpetua (testo parallelo a Mi 4,1-3)
È una visione che parla
di Gerusalemme e del tempio posto sul monte Sion. La profezia “vede” l’afflusso
di popoli provenienti da tutte le parti attirati dalla Parola del Signore che
esce dal tempio. Mentre vanno verso Gerusalemme, i popoli s’invitano tra di
loro per salire al tempio (cfr. i salmi della salita 120-134).
3.
viene poi descritta la qualità del messia (egli): sarà giudice tra le genti e
arbitro tra molti popoli. È una tautologia per dire che la qualità specifica
del messia sarà quella di giudice giusto.
4. Che cosa produrrà la giustizia del messia? Un
clima di pace, la fine della guerra. Questo versetto mostra che la presenza del
messia nella storia porterà la pace. Vengono immediatamente alla mente le
parole di Gesù dopo la resurrezione quando appare ai suoi discepoli dicendo: la
pace sia con voi! (Gv 20,19). La presenza del messia porta la comunità a vivere
come agnelli in mezzo ai lupi (Lc 10,3). Paolo legge la presenza di Cristo
nella storia come colui che ha riconciliato il mondo diviso e in guerra
attirando l’odio sopra di sé, nella sua carne (Ef 2, 14-18). Lo stile del servo
è la mitezza (Is 42,1-2).
Che cosa significano questi versetti per il cammino
personale e per la comunità cristiana? Impegno a divenire costruttori di pace,
l’impegno a togliere dalla nostra vita personale e comunitaria le dinamiche
aggressive e di prepotenza, per fare spazio allo spirito del Signore, alla
mansuetudine, benevolenza, misericordia (cfr. Mt 5).
B. Is
25,6-10a Vittoria sulla morte
L’apocalittica
di Isaia arriva in questi versetti al suo apice: c’è l’annuncio della
risurrezione.
C’è un monte (Gerusalemme) dove s’imbastisce un
banchetto. Questo è il centro della terra (24,13) perché qui convergono tutti i
popoli (Is 2) per un banchetto straordinariamente abbondante.
Quale
banchetto? È un banchetto o una strage? Tutta la tradizione
ebraica lo legge in questo senso. I commentatori ebrei interpretano questo
testo all’interno della tradizione della “guerra interrotta” o dell’aggressione
delle genti contro Gerusalemme. Forse è
meglio collocare questo testo nello spazio ecumenico inaugurato da Isaia 2, nel
filone del pellegrinaggio a Gerusalemme delle genti.
Problema
2: è un banchetto regale o sacrificale? È più probabile la seconda ipotesi di
un sacrificio di comunione. Questo banchetto deve dunque aver luogo nel tempio.
Quale
velo? Solitamente si fa riferimento al velo del lutto,
perché chi è in lutto si copre la faccia (cfr. 2 Sam 15,30; 19,5). Perciò
togliere il velo sarebbe l’equivalente di asciugare le lacrime dagli occhi. Oppure
questo velo può essere quello della non conoscenza di Dio, del Dio di Israele.
Isaia lo dice dello stesso Israele che non capisce (ha come gli occhi velati
(cfr. 29,10), ma è soprattutto vero delle nazioni, avvolte da una fitta nebbia
(cfr. 60,2). Su questo monte Dio rimuove il velo che face va da schermo, che
impediva alle genti di riconoscerlo. Siamo, quindi, dinanzi ad un testo
rivelativo (apocalittico) dove diviene importante il parallelo di Is 2, con
l’accoglienza della Torà che esce da Gerusalemme.
Quale
morte? 25,8 parla di un superamento della morte, ma in quali
termini? Morte in ebraico e spesso viene personificata (cfr. Os 13,14). Nella
tradizione ebraica ma morte è sempre il complemento oggetto del verbo ingoiare,
con Dio come soggetto sottinteso e può voler dire: Dio spoglierà la morte del
suo potere. La traduzione greca traduce questo versetto in questo modo: la
morte è stata ingoiata per la vittoria. Può essere intesa come un’anticipazione
della risurrezione dei morti? Forse non è ancora un annuncio esplicito di
questo, ma per san Paolo (1 Cor 15, 54) lo è divenuto in maniera irreversibile.
La morte è stata vinta e tutte le genti saranno salvate, perché se anche non lo
fossero nel tempo presente, lo saranno nell’avvenire della resurrezione.
Come
possiamo leggere questo brano nel quadro della liturgia del tempo di avvento? In
che modo questo brano orienta la spiritualità tipica dell’avvento?
C. Is
26, 1-6 Un canto per Gerusalemme
Questo è il canto che si canterà profeticamente riguardo a
Gerusalemme. In che cosa consiste la sua forza? Essa è circondata da mura e da
un baluardo, ma la sua forza non è nelle armi. Al contrario è la pace (shalom
c’è due volte nel v. 3). Gerusalemme sarà un giorno quello che deve essere
secondo il progetto stabile di Dio. Una città di pace. In questo unicamente
consiste la sua forza. Ma questa forza disarmata è sufficiente a espugnare la
cittadella orgogliosa (v. 5 alla lettera: esaltata). La cittadella viene
calpestata dai passi del debole: viene sottomessa dalla mitezza. Occorre
risaltare che questi piedi poveri e deboli secondo il midrash, sono i passi del
messia. Interessante il fatto che Gerusalemme non è neppure menzionata. La
“città forte” e “la città orgogliosa” sono entrambe senza nome. Potrebbe darsi
che sano la stessa città. Questo breve cantico segnerebbe, perciò il passaggio
dalla Gerusalemme distrutta a quella ricostruita, dalla Gerusalemme orgogliosa
a quella pacificata e, questo passaggio, si attua grazie alla mitezza del
messia.
D.
Is 29,17-24 Guai ai sapienti
La meraviglia della salvezza ha per effetto di confondere la
sapienza dei saggi e dagli intelligenti (v.14). Il messaggio di Isaia è
possibile collegarlo a Mt 11,25 e anche a 1 Cor 1,19. Chi sono questi sapienti?
Sono quelli che s’illudono di sottrarsi ai disegni di Dio, di sfuggire alle sue
meraviglie, per il comprensibile disagio di essere costantemente spiazzati,
disorientati. Costoro escogitano paini a propria misura e li tengono nascosti,
pensando così, che Dio non li veda, non se ne accorga (v.15). “Approfondiscono
nel nascondimento”, come dire che questo atteggiamento intellettuale è abituale
e progressivo. Essi continuano a cavare, approfondiscono sempre di più questo
loro camuffamento.
v.16: inizia un paragone creazionale con l’argilla
e il vasaio che avrà uno sviluppo storico nella seconda parte del libro (45,9).
17-24: c’è una trasposizione dal negativo al
positivo che è teologica e non antropologica: Dio solo può riscattare non solo
Abramo, ma perfino Abramo e, in lui, la sua discendenza.
Il riscatto di Abramo. Solo qui si parla di un riscatto di
Abramo. Perfino gli eletti hanno bisogno di una trasformazione delle facoltà
naturali per essere all’altezza della loro vocazione di santità. Forse è per
questo motivo che qui si parla della santificazione del “Santo Giacobbe”, che
caratterizza la tortuosità del terzo Patriarca e l’inganno con cui ha strappato
la benedizione. Questo allude alla trasformazione antropologica che egli ha
dovuto attraversare: il cambiamento del nome (Gen 32,29), cioè dell’identità
più profonda.
E.
Isaia 30,18;26 Benedizione divina
Questo brano è considerato un testo redazionale, una
riscrittura della tradizione isaiana, con stampo teologico e stile letterario
deuteroisaiano. Sviluppa gli oracoli
isaiani di giudizio in oracoli di salvezza.
È descritto il futuro di Gerusalemme delineato dal punto
di vista postesilico.
19. YHWH non aspetta altro che farvi grazia
Dopo il pane misurato e l’acqua razionata dell’esilio,
esso prevede il ritorno delle piogge e la conseguente ripresa di una vita
agricola e pastorale in terra d’Israele. Questo quadro idilliaco si coniuga con
uno scenario apocalittico: “su ogni collina elevata fluiranno rivi d’acqua” (25)
proprio nel giorno della grande strage. La luce del sole e della luna si
moltiplicherà in intensità, ma non sarà per nuocere, bensì per curare le ferite
d’Israele. In questa sorprendente combinazione di immagini idilliache e
catastrofiche, è evidente che si tratta di un passo posteriore della redazione.