Paolo
Cugini
Diceva
il filosofo Mircea Eliade che, uno dei riti comuni incontrati nei popoli
antichi, consisteva nel narrare l’origine delle cose prima di una semina.
Questa narrazione, costituiva una specie di benedizione per il raccolto, perché
era un modo per riporre ordine nella realtà, per ritornare simbolicamente
all’epoca degli inizi. Riascoltare la narrazione del Natale del Signore può
avere, dunque, il significato profondo di ripercorrere il cammino che nella
storia ha compiuto il messaggio di Gesù. È una sorta di “ritorno alle origini”,
che permette di ripartire daccapo, di tentare di colmare quella distanza che
sembra incolmabile tra Vangelo e cristianesimo, tra Gesù e la dottrina, tra
l’inizio della storia e l’oggi della comunità.
“Maria
diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una
mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio”
(Lc 2, 7). È sempre affascinante ascoltare la pagina del Vangelo di Luca, in
cui viene narrata la nascita di Gesù. Una narrazione strana per il profondo
realismo che contiene. Chi avrebbe potuto inventare, infatti, una storia
simile, in cui la nascita del Salvatore del mondo è descritta in un modo così
diverso da come ci si aspetterebbe? Chi mai avrebbe potuto narrare la nascita
di un re in un contesto di povertà e di rifiuto? Si tratta, dunque, di un dato
importante, che va tenuto in considerazione per tutti coloro che s’identificano
con il massaggio del Vangelo. Il primo modo per essere fedele al Vangelo
consiste nell’aderenza alla realtà così come Dio l’ha voluta manifestare, senza
volerla abbellire o edulcorare, perché è nella realtà che si manifesta la
verità. Forse, mai come in questo contesto culturale postmoderno, l’occidente
ha avuto la possibilità di aderire alla realtà, per ascoltarla così com’è,
senza precederla con sistemi concettuali. Un primo insegnamento del presepio,
mi sembra proprio questo: rimetterci in silenzio, in ascolto della realtà, per
essere disponibili a cogliere il mistero della vita per come di manifesta, per
lasciarci stupire, così come fanno i bambini quando scoprono le cose. Non
diceva, infatti Gesù: “se non ritornerete come bambini non entrerete nel
regno dei cieli” (Mt 18,3)? Natale significa, allora, disponibilità a
mettere da parte le nostre presunzioni, le nostre precomprensioni, per
ascoltare la realtà come fanno i bambini, vale a dire, come se fosse la prima
volta.
Che verità incontriamo quando ci poniamo in
ascolto della manifestazione della realtà così com’è? Senza dubbio non
coglieremo la verità nella forma della dottrina, ma dell’evento che si realizza
nella storia e, di conseguenza, cambia nel tempo perché è caratterizzata dalla
contingenza. In occidente identifichiamo la verità con l’astrazione, per
metterci al riparo dall’inquietudine che la manifestazione della realtà nel
tempo presente provoca. Per questo, abbiamo elaborato le dottrine, per stare
tranquilli, per ripararci dalla realtà, per non permetterle di scombinare i
nostri piani. In questa prospettiva, il Natale rappresenta il più grande
sovvertimento delle dottrine umane, dei progetti precostituiti, delle teologie
fatte su misura. Dio è entrato nella storia in modo sorprendente, prendendoci
alla sprovvista, obbligandoci a smantellare i nostri sistemi presuntuosi.
Davanti al presepio, non abbiamo possibilità di scelta: o lo ascoltiamo e
accogliamo i contenuti che quell’evento ci vuole rivelare, o lo rifiutiamo
edulcorandolo, che è la forma pervertita di ogni teologia che non accetta di
essere smascherata e, di conseguenza, modificata. Non a caso a fare festa
dinnanzi al presepio non c’erano i dottori della legge, ma i pastori; non
c’erano i ricchi mercanti, ma i poveri.
“Mentre si trovavano in quel luogo si
compirono per lei i giorni del parto” (Lc 2, 6). Alla faccia delle progettazioni e degli schemi
pastorali! Il compimento del tempo annunciato dai profeti avviene in modo
inaspettato e in un luogo non pianificato. Che cosa significa questo dato così
strano, ma portatore di significati? Forse che l’accoglienza del Vangelo esige
la capacità di accompagnare gli eventi così come si manifestano, anche perché il
mistero di Dio è annunciato nell’evento. Educarsi all’attenzione è uno dei
compiti più importanti che abbiamo dinnanzi a noi perché, come diceva Simone
Weil: “L’attenzione consiste nel sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo
disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto […] ogni volta che si presta
veramente attenzione si distrugge un po’ di male in sé stessi” (Simone Weil, Attesa
di Dio). Natale, allora, significa rieducarsi alla sorpresa
dell’evento, significa l’umiltà di lasciarsi spogliare dalle proprie teologie,
dai propri modi di pensare Dio, per deporre le nostre armature di difesa ed
essere, in questo modo, disponibili ad accogliere il mistero di Dio, così come
si manifesta nel tempo presente della comunità e della nostra personalissima
storia.
“Lo avvolse in fasce e lo pose in
una mangiatoia” (Lc 2,7). Che liturgia spettacolare! Dinanzi a questa
meraviglia di semplicità, che comunica il modo autentico di Dio di venire in
contatto con l’umanità, colpisce per contrasto, il residuo visibile nelle
nostre liturgie dei culti pagani che, per dire Dio, hanno bisogno di rivestirlo
con la pesantezza del sacro. La liturgia del presepio narrato da Luca,
smaschera le strutture pagane del sacro, rompe gli incantesimi della religione,
comunicando che, d’ora innanzi, chi intende incontrare Dio, non ha più bisogno
di aggrapparsi alle forme sacrali della religione inventata dagli uomini, ma
può incontrarlo nella semplicità ed essenzialità della vita famigliare. Che
meraviglia di messaggio! L’umanità come spazio dell’incontro con Dio. Natale,
in questa prospettiva, significa una proposta di umanizzazione per tutti gli
uomini e le donne che desiderano vivere in modo autentico. Significa, anche,
l’umiltà di trovare il tesoro della propria esistenza nello spazio della vita
quotidiana della famiglia. Il Natale è la stella luminosa che indica il cammino
che l’umanità può percorrere: dalla religione patriarcale degli uomini alla
comunità di discepoli e discepole uguali creata da Gesù; dal sacro che dice
distanza da Dio, alla riscoperta della sua approssimazione a noi attraverso il
Figlio, che vuole dire la possibilità d’investire in modo significativo nelle
relazioni umane; dalla dottrina dei sapienti, alla semplicità del Vangelo, che
parla ai piccoli ed esige umiltà.
Avviciniamoci, allora, anche noi al
presepio, contempliamolo come se fosse la prima volta, lasciamoci inebriare
dalla sorpresa del Natale del Signore, per fare in modo che le nostre vite, le
nostre comunità corrispondano all’evento contemplato ed accolto. Proviamo a
vivere ciò che con semplicità contempliamo.
Semplicemente Buon Natale
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