Paolo Cugini
“Tu
gli perdonerai” (Lc 17,5).
Sono
queste le parole strane di Gesù, le dichiarazioni che provocavano stupore nei
suoi uditori. Parole che scuotono, che ribaltano la logica comune, che sembrano
quasi folli agli occhi di chi è abituato al calcolo e alla giustizia del
merito. Eppure, proprio in questa follia risiede la sapienza di Dio. Il
perdono, per Gesù, non è una semplice raccomandazione ma un imperativo
assoluto: si deve perdonare sempre, senza misura, senza calcoli opportunistici.
Perché è così importante il perdono per Gesù? Non è forse questa richiesta in
netto contrasto con la logica del mondo, che premia chi lavora e punisce chi si
sottrae al proprio dovere? Gesù capovolge la prospettiva: il Suo sguardo non si
ferma alle apparenze né alle sentenze umane. Là dove la società vede
fannulloni, casi perduti, cuori induriti e incapaci di cambiamento, Gesù scorge
ancora un barlume di vita, una fessura di luce nella notte più buia.
Come
mai bisogna perdonare anche di fronte all’evidenza di un fallimento definitivo?
Forse proprio per questo: perché agli occhi di Gesù nulla e nessuno è perduto
per sempre. Una porta, anche appena socchiusa, può sempre essere varcata. Un
cuore, anche il più ostinato, può essere toccato nuovamente dalla grazia. Nel
perdono c’è la fiducia estrema in una possibilità che supera ogni sentenza,
ogni statistica, ogni storia personale segnata dal male. Nell’invito a
perdonare sempre, si svela l’estrema fiducia che Gesù ripone nell’umanità.
“Dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia”, diceva san Paolo. Lì dove noi
abbiamo già archiviato un verdetto inappellabile, Gesù intravede ancora
l’immagine e la somiglianza di Dio. Là dove per noi c’è solo un cuore spento,
indurito, incurabile, Egli vede una scintilla capace di ridestarsi. Il perdono
è dunque il cammino della speranza, la via che riapre scenari di vita anche
laddove tutto sembra morto. Ecco il senso profondo della Chiesa: essere una
comunità che offre al perduto la possibilità di ritrovarsi, di ricominciare, di
sperimentare nuovamente la misericordia. Senza perdono, la Chiesa smarrisce il
suo stesso cuore, si trasforma in tribunale, in luogo di esclusione invece che
di accoglienza.
Affidarsi
al perdono e non alle logiche umane significa aprire la porta al Mistero
rivelato in Cristo, permettere al Suo Spirito di penetrare nelle pieghe più
oscure dell’umanità per trasfigurarla dall’interno. È vita che soffia dove
regnava la morte, amore che rifiorisce là dove odio e rancore hanno devastato
il terreno del cuore. In questa prospettiva, il perdono non è debolezza, ma
forza creatrice, profezia di un’umanità sempre ricominciata. Perdonare sempre
non è facile né spontaneo, va contro la logica della reciprocità su cui il
mondo si regge. Eppure, è proprio qui che risplende la novità del Vangelo: dare
una possibilità a chiunque, sempre, senza stancarsi mai. Gesù, profeta del
possibile, ci insegna che finché c’è perdono, c’è nuova vita.
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