domenica 28 agosto 2022

EGLI SI VOLTO' E DISSE

 



XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C

Lc 14,25;33

 

Paolo Cugini

 

C’è una corrente spirituale piuttosto significativa all’interno del cristianesimo, che è arrivata sino a noi, che identifica la vita cristiana con la sofferenza e, in questa prospettiva sembra che più una persona soffre e più si avvicina a Dio. Forse è per questo motivo che tanti giovani, che desiderano tutt’altro che soffrire, quando vengono a contatto con adulti della comunità che gli presentano questa spiritualità della sofferenza se ne vanno e non tornano più. Il Vangelo che abbiamo ascoltato sembra contenere alcuni versetti che sono su questa linea del cristianesimo sofferenza. Per questo vale la pena soffermarci un poco e tentare di capire.

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro

La sequela dietro al Signore non è un fenomeno di massa, anche se è diventato così, ma è una risposta personale ad una proposta esigente. Non dobbiamo stancarci di sottolineare questo aspetto; solo in questo modo riusciamo a smetterla di scandalizzarci se le chiese sono vuote, se i giovani non vanno a messa. Imparare a misurare la validità della proposta del Vangelo non dalle quantità, dai numeri, ma dalla qualità, dalla bellezza e profondità dello stile di vita, dalla diversità che propone. È bello essere seguaci del Signore, cristiani, non perché siamo in tanti, ma perché ci vogliamo bene, perché nella comunità abbiamo imparato a metterci all’ultimo posto, a deporre le nostre vesti per allacciarci un asciugamano alla cinta e lavare i piedi ai fratelli e alle sorelle più bisognose.

«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

Ecco due versetti che esprimono molto bene la radicalità evangelica, la differenza della proposta di Gesù rispetto a tante altre proposte che incontriamo. La prima domanda che questi versetti pongono a noi ascoltatori è questa: vuoi essere discepolo del Signore? La risposta a questa domanda determina il cammino che siamo disposti a compiere. Essere discepolo del Signore significa essere mossi dal desiderio da una vita nuova, differente. Significa essere mossi dalla ricerca di un senso della vita che riempia l’esistenza. Chi nella propria vita riesce a percepire il vangelo, la presenza del Signore come l’alimento definito che cerca, allora è disposo a tutto, a compiere qualsiasi taglio, qualsiasi rinuncia, ad orientare la propria vita. L’amore per Gesù deve arrivare al punto da fondare qualsiasi relazione, di reimpostare qualsiasi modalità d’esistenza, perché è l’amore fondante. Questa esigenza spiega anche quella successiva. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Di che croce sta parlando Gesù? Della scelta che un discepolo fa nel nome del Signore. Perché la scelta è una croce? La coerenza delle scelte fatte per amore del Signore, un amore gratuito che cerca la giustizia, l’uguaglianza, l’attenzione ai più poveri in un contesto che nega tutti questi valori provoca tensioni, sofferenze, croce. Non è che seguire il Signore voglia dire soffrire: tutt’altro. Uno segue il Signore perché sperimenta nella sua Parola una luce nuova mai vista prima, un balsamo di sollievo mai percepito prima, una pace interiore definitiva. E allora perché la sofferenza? La sofferenza non la porta il Signore, ma il mondo, che non accetta la bellezza della sua proposta, la semplicità, la sia beatitudine. Il mondo è invidioso della gioia che è la presenza del Signore, non sopporta la pace che vivono i suoi discepoli, odia la loro serenità, il loro modo di vivere gratuito e disinteressato. Per questo il mondo fa guerra ai discepoli e alle discepole del Signore. Del resto, lo stesso Gesù li aveva avvisati durante l’ultima cena quando disse loro: Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi hanno odiato me. Se foste del mondo il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia (Gv 15,18-19). Con la sua presenza Gesù ha smascherato il vuoto, il nulla della proposta del mondo, che offre una felicità effimera basata sulle cose, sul possesso, sullo sfruttamento dei più deboli. Una gioia che è tale solo per pochi. L’azione e la Parola di Gesù aprono le coscienze, sveglia le persone che si avvolgono dell’inganno subito e scoprano che la pace vera non dipende dalle cose, ma dall’amore che si ha e che la gioia non dipende dal potere, ma dal rendere felici gli altri, soprattutto i più poveri.

Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine?

Per imparare a stare nel mondo senza lasciarci affogare, incatenare dalle sue logiche, occorre dedicare del tempo per studiare la situazione, per capire dove sta l’inganno, per smascherare la struttura menzognera della proposta del mondo. Non solo. Occorre imparare a prendersi del tempo per riempire la nostra anima dell’amore del Signore, riempire i nostri polmoni della forza che viene dal suo Spirito. Come dice san Paolo: Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza Ef 6,10). È proprio questo quello che noi facciamo alla domenica: ci accostiamo all’altare del Signore per alimentarci della sua gioia, del suo amore, per abbeverarci della sua sete di giustizia e di uguaglianza. Ci avviciniamo a Lui perché solamente con Lui abbiamo il coraggio di vivere pienamente quello che ascoltiamo per riuscire ad infischiarcene se il mondo ci odia.

 

domenica 21 agosto 2022

INVITA I POVERI

 



XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

LC 14, 1.7-14

 

Paolo Cugini

 

 

La Parola di Dio che ascoltiamo alla domenica non è un codice da applicare, ma uno spirito da vivere, da immettere nelle nostre scelte quotidiano. È lo Spirito del Signore risorto che agisce nel Vangelo che assimiliamo e che ci aiuta a vivere conforme alla sua Parola e, in questo modo, cambiare il mondo dal di dentro, trasformarlo affinché tutto diventi amore, giustizia, pace. È in questa prospettiva che leggiamo le letture di oggi e, in modo particolare, il Vangelo.

quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”.

Gesù si comporta proprio come un guastafeste! È invitato a casa di uno dei capi dei farisei e crea subito scompiglio. Gesù offre alcune indicazioni che vanno al di là di norme educative, di buon costume, ma rivelano fino a che punto deve scendere il Vangelo, che dovrebbe condizionare e trasformare ogni situazione della vita e, dunque, anche il contesto di un semplice invito a pranzo. Secondo gli storici ai primi posti venivano messi i personaggi più importanti perché i primi piatti che venivano serviti erano i migliori. Scegliere l’ultimo posto, che è l’indicazione che fornisce Gesù, non è una semplice indicazione di buon costume, o di umiltà. Si tratta di scegliere l’ultimo posto non per umiltà, ma per amore, per favorire l’altro, per fare in modo che gli invitati possano godere dei cibi migliori.

«Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Nella seconda parte del Vangelo Gesù offre un’altra indicazione evangelica sul comportamento nelle feste. Sembra strano che Gesù si occupi di questi problemi. Evidentemente anche le situazioni di festa fanno parte di quel vissuto che il Vangelo deve poter penetrare con la sua novità. La proposta di Gesù non solo è strana, ma sembra fuori posto. Tutti, infatti, ad una festa invitano amici e parenti, perché allora, Gesù dice di lasciarli a casa? La logica che regge il Vangelo è l’amore e la qualità dell’amore che viene da Dio è la gratuità, il disinteresse. Una festa diventa il banco di prova del cammino di fede, fino a che punto lo stiamo lasciando penetrare nella nostra vita. Anche una festa deve, dunque, essere caratterizzata dal disinteresse e dalla gratuità, cosa che non può avvenire se vengono invitati amici e parenti dai quali si pretende, implicitamente, un regalo, un invito. Il Vangelo ci consiglia di non invitare per interesse o per calcolo, ma di generare anche in questo spazio, un clima disinteressato e gratuito. E allora, come si fa a fare una festa dal sapore evangelico? Semplice, s’inviano persone che non potranno mai ricambiare a causa della loro condizione economica e sociale. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Gesù elenca quelle categorie di persone che erano escluse dal tempio e lo sta facendo a casa di un capo dei farisei. Bisogna proprio dire che non aveva peli sulla lingua!

Sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Troviamo sparse nel vangelo di Luca diverse beatitudini: qui ce n’è una. La beatitudine è l’indicazione di una situazione che nella prospettiva del Vangelo rende le persone felici. Nel cammino di ciò che abbiamo detto sopra commentando la proposta di Gesù, possiamo dire che la felicità non consiste nel fare le cose per interesse, ma nel fare fare le cose per amore, che per sua natura è disinteressato e gratuito. Provare a trasferire queste semplici considerazioni di Gesù nel nostro vissuto quotidiano avrebbe dei risvolti estremamente significativi. Cosa succederebbe se qualche coppia che ha un cammino di fede intenso alle spalle provasse a mettere in pratica l’insegnamento di Gesù nell’organizzare la propria festa di nozze? Oppure, che cosa succederebbe e che cosa causerebbe se i genitori nei compleanni dei loro figli invitassero persone povere, bisognose? Solo provando possiamo cogliere la grandissima forza della semplice parola evangelica.

                                                        


sabato 20 agosto 2022

NON VI CONOSCO

 




XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Lc 13,22-30

 

Paolo Cugini

 

Nei vangeli che ascoltiamo alla domenica è difficile trovare Gesù in luoghi e spazi statici: è sempre in movimento. Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Anche nel Vangelo di oggi Gesù passa per insegnare e il suo insegnamento è strettamente legato al suo movimento. Insegna quello che vede sulla strada, quello che incontra nella realtà e lo interpreta alla luce del suo rapporto con il Padre. È un cammino che ha una direzione perché Gesù sa dove vuole andare. Questo è il primo insegnamento di oggi: imparare a camminare dietro a Gesù, a vedere la realtà sulla strada e non da uno schermo, realtà che, se ascoltata, manifesta dei tratti del Mistero.

«Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.

Il tema del brano di oggi è la salvezza. La domanda che viene posta a Gesù rivela un’idea diffusa tra gli ebrei, i quali credevano che solo il loro popolo era stato destinato alla salvezza. Gesù nella sua risposta, ribalta tutta l’impostazione classica, perché afferma che non è l’appartenenza ad un popolo che decide sulla salvezza. Per comprendere le parole di Gesù occorre cogliere il tipo di discorso. Siamo, infatti, dinanzi ad un brano escatologico, che parla della fine dei tempi. Nella parabola che Gesù narra, il padrone di casa si alza per chiudere. la porta La porta è stretta perché è già chiusa. Il problema, a questo punto, è capire come si fa ad essere dentro prima che la porta si chiuda e chi è che rimane fuori.

Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.

Chi è che rimane fuori dalla porta che è stretta perché è già chiusa? La sensibilità religiosa comune potrebbe individuare le classiche categorie identificate come peccatori, vale a dire, i ladri, gli spacciatori, le prostitute, ecc. Gesù, invece, ancora una volta ci sorprende e ci stupisce. Fuori dalla porta, infatti ci sono persone che hanno partecipato alla messa e hanno ascoltato la sua Parola. A coloro che avanzano nei confronti di Dio Padre dei diritti acquisiti dalla vita religiosa, dalla partecipazione ai culti liturgici, il Padre nella parabola risponde in modo sorprendente: non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia! Perché una risposta del genere? Perché persone religiose che durante La vita hanno frequentato le messe ed ascoltano la Parola di Dio rimangono fuori dalla porta? La domanda è inquietante ed esige una risposta. Se la vita liturgica, il nostro rapporto con Dio che coltiviamo nel culto non si trasforma in una relazione autentica con i fratelli e le sorelle vuole dire che c’è qualcosa che non va. Lo dicevano anche i profeti, parole che poi Gesù riprende in diverse occasioni: voglio misericordia non sacrifici! Partecipare ai culti, alle liturgie ci deve aiutare a trasformare la parola di Gesù in amore, attenzione agli altri, soprattutto i più poveri.

Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique,
togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi
e spezzare ogni giogo?
Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà
(Is 58,6-8).

Nelle sue parabole Gesù riprende ed approfondisce quello che i profeti già dicevano.

Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

La conclusione della parabola è un invito a non fermarsi sulle apparenze, ma a guardare con gli occhi della fede le situazioni storiche. Coloro che ad uno sguardo umano diremmo che rimangono fuori dal Regno di Dio, come i ladri, le prostitute, in realtà saranno i primi ad entrare, perché la loro condizione gli permette di chiedere perdono e di aprirsi alla misericordia del Padre. Al contrario, coloro che riteniamo primi perché persone religiose, in realtà saranno ultimi nel Regno di Dio perché così arroganti e pieni di sé al punto da non fare spazio alla Parola di Dio, perché si ritengono già salvi. 


venerdì 19 agosto 2022

E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

 



Paolo Cugini

 

E nessuno se lo aspettava. È vero che era da molto tempo che si diceva che sarebbe venuto: ma proprio ora? E nessuno lo rispettava anche perché, chi è che pensa più a Dio, chi è che fa spazio a Dio, nel suo cuore, nel proprio cuore così pieno di tante cose, forse tutte buone, vere sante, ma che si rivelano tutte vuote dinnanzi a colui che “è venuto ad abitare in mezzo a noi”? Perché Lui di fatto è venuto, ma è venuto in un modo tanto naturale, normale, che nessuno se l’aspettava e, per di più, nessuno l’ha riconosciuto.

Al massimo ci si aspettava che venisse dalla parte dei ricchi, dei potenti, e invece è arrivato dall’altro lato, dalla parte della cantina; è venuto povero, dalla parte dei poveri. È stato così inatteso, così una sorpresa, che anche oggi, sebbene tutti parlino di Lui, nella realtà pochi sanno che c’è, o per lo meno che è arrivato, anche perché nessuno lo vuole vedere là. Nessuno mette il naso nella puzza dei poveri. Può darsi che qualcuno il naso ce lo metta pure, ma per poi tirarlo via subito. È Lui, il Figlio di Dio, il Kurios, il Signore della storia, che ha riempito il Kairos con la sua presenza: Lui è là, povero tra i poveri, escluso tra gli esclusi, in silenzio. Perché da quando è morto tace.

È chiaro che i morti non parlano, ma poi è risuscitato, è apparso, ha mandato il Suo Spirito. E lo Spirito non lo vedi se non ci credi, se non credi che è arrivato alla sua maniera e non alla nostra; lo Spirito non si vede e non si crede che è venuto ad abitare in mezzo a noi, che si è fatto uomo, che si è abbassato, si è fatto piccolo, povero, che si è umiliato, che si è rinnegato. Lo Spirito non lo vediamo se non crediamo a queste verità, che sembrano assurde, ma che sono tutte vere, vere perché scritte e le troviamo tutte nel Vangelo. E il Vangelo è lì alla portata di tutti, è facile da leggere, non ci vuole molta intelligenza per capirlo.

Ci vuole un po’ di amore, un po’ di amore per Dio e allora qualcosa lo capiamo; ci vuole un po’ di amore per Lui e allora tutte quelle cose che ci sembrano strane all’improvviso ci sembrano più chiare. Anche perché con un po’ di amore per Dio, ci viene voglia di viverle quelle parole. Ci viene voglia di sperimentarle, di cercarle nella nostra vita, di metterle alla prova. E con un po’ di amore per Dio scopriamo che quelle parole sono proprio vere. E non ci vuole un teologo che ci venga a dire che quelle parole lì, in quel libro così piccolo, sono vere: basta la nostra vita. E se per qualcuno la nostra vita è meschina, è cosa da poco, scopriamo che per Lui, il Figlio di Dio, colui che è venuto ad abitare in mezzo a noi, colui che si è fatto piccolo, umile, colui che si è abbassato al nostro livello, proprio Lui la nostra piccola vita non la trova inutile, ma bella.

A Gesù piace la nostra vita anche perché ce l’ha donata Lui. A Gesù piace la nostra vita e ci carica sulle sue spalle, ci porta con sé, perché sa che siamo deboli, che se anche leggiamo le sue semplici parole non riusciamo a viverle fino in fondo, perché siamo deboli. Ma Lui non ci fa una piega, ci prende con la nostra puzza e ci carica sulle sue spalle ed è lì, da quella posizione privilegiata che non tutti possono permettersi – perché bisogna avere peccato per essere portati sulle spalle di Gesù (e chi non ha peccato tiri la prima pietra); bisogna averne fatte delle grosse perché Gesù lasci le 99 pecore per venirci a prendere; bisogna essere fuggiti, perché Lui si scomodi e corra a prenderci per gettarci sulle sue spalle – ed è sulle sue spalle che scopriamo che anche lui non profuma, che anche lui puzza, ed è la puzza di sudore, la puzza dei poveri, che non si lavano, non perché non ne hanno voglia, ma perché non c’è tempo. Perché il tempo è per lavorare e per cercare lavoro, il tempo è per pulire la casa e accudire ai figli, il tempo è per amare. E allora scopriamo, lì sulle sue spalle, che anche Lui ha i nostri problemi con il tempo, che anche Lui sta lavorando per noi suoi figli; che anche Lui sta sudando per noi suoi figli; che anche Lui sta pulendo la casa per accogliere noi suoi figli: scopriamo che Lui ci ama.

E poi ci mette giù, ci mette a terra perché camminiamo tranquilli; e poi ci mette a terra perché possiamo finalmente camminare con le nostre gambe. E appena tocchiamo terra ci ricordiamo di Lui, della sua puzza, del suo sudore, del suo amore. Ci ricordiamo delle sue mani forti, del suo esserci venuto a cercare. E allora una volta a terra ci mettiamo a cercarlo. Da cercati a cercatori (esercitazioni peguyane, diario 2000). 

mercoledì 17 agosto 2022

GLI ULTIMI SARANNO I PRIMI

 



Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi (Mt 20, 15-16).

La parabola ascoltata aiuta a riflettere sulla logica del merito che rischiamo di trasferire nella relazione con Dio, il cui amore non si merita, ma si accoglie gratuitamente. Questa idea semplice e profonda, distrugge dall’interno la religione dei precetti, dei fioretti, degli sforzi personali, la religione del sacrificio, che pone l’accento non tanto sul dono, ma sullo sforzo personale per ottenere la grazia. In questa logica la religione diventa la palestra per diventare i migliori e coltivare dei privilegi personali nei confronti di Dio. Inoltre, questa religione del merito, si poggia su una visione antropologica di tipo individualista, che non lascia spazio alla dimensione comunitaria della fede.

La religione del merito è il perno della religione del precetto che nei secoli si è infiltrata nel cristianesimo quando ha interrotto il legame con il Vangelo, facendo entrare altri tipi di logiche. Per ultimo, la religione del merito stimola la logica del migliore, il fatto che davanti a Dio non partiamo allo stesso modo e che Lui privilegia solo alcuni a scapito dei più deboli. È tutto il contrario della visione cristiana. L’amore del Padre come dono da accogliere, al contrario, pone tutte le persone sullo stesso piano, perché l’essere un figlio, figlia di Dio non dipende da meriti personali, ma dall’accoglienza gratuita del dono. In questo modo, si esce dallo sforzo individualista di voler essere il migliore o il primo, perché nella prospettiva del Vangelo: gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi.

Il Vangelo ci aiuta ad uscire dalla logica della prestazione per entrare nella dimensione del dono gratuito.

 

martedì 9 agosto 2022

Ti farò mia sposa

 


Paolo Cugini

Ti farò mia sposa per sempre,
ti farò mia sposa
nella giustizia e nel diritto,
nell’amore e nella benevolenza,
ti farò mia sposa nella fedeltà
e tu conoscerai il Signore»
(Os 2,21-22).

Vivere l’esperienza di fede come un’esperienza d’amore sponsale, che vuole dire relazione personale legata in modo inscindibile dal dono dell’amore. Il testo di Osea parla proprio della volontà di Dio di fare d’Israele la sua sposa. Se c’è una volontà significa che c’è liberta che conduce ad una scelta. e tu conoscerai il Signore: solo all’interno dell’amore c’è la possibilità di conoscere il Signore. Solo in questa prospettiva d’amore è possibile un cammino di fede che accompagna tutta la vita di una persona.

Non a caso il testo di Osea fa riferimento ad un ‘esperienza del passato che fonda e regge tutta la storia successiva: l’esperienza del deserto. Ecco, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto (Os 2,16). Se non c’è questa memoria storica che rimanda ad un evento unico di amore che rimane impresso per sempre nella vita di una persona, è molto difficile la fedeltà. Sono brani profetici come questo che dirigono una critica implicita alla religione del culto, dei sacrifici, alla religione basata sui precetti e sugli obblighi. Un rapporto così fatto con Dio non regge nel tempo, non riesce a resiste dinnanzi alle intemperie della vita, alle tentazioni delle illusioni che si presentano nei momenti di confusione. Solo un evento vero d’amore, che rimane indelebilmente impresso nella memoria può essere la fonte delle scelte, ispirazione nel cammino, sollievo nelle difficoltà.

Ed è proprio dentro un cammino che all’origine ha un evento d’amore che rimane impresso nella memoria che ci permette di conoscere il Signore, non più rivestito con le vesti del giudice severo, ma con il vestito nuovo dello sposo, che viene al nostro incontro per abbracciarci. 

lunedì 8 agosto 2022

Io guardavo

 



Era l’anno quinto della deportazione del re Ioachim, il cinque del mese: la parola del Signore fu rivolta al sacerdote Ezechiele, figlio di Buzì, nel paese dei Caldei, lungo il fiume Chebar. Qui fu sopra di lui la mano del Signore. Io guardavo… Così percepii in visione la gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra (Ez 1, 1.28).

La vocazione di Ezechiele avviene in terra straniera, vicino all’attuale Iraq, con un’esperienza eccezionale di visione. Il testo dice proprio così: io guardavo --- e vidi. Vengono alla mente le parole di Maria maddalena quando, dopo aver incontrato il risorto va dai discepoli e dice: ho visto il Signore! Ezechiele nel vedere il contenuto di una visione sorprendente, percepisce la presenza della gloria di Dio e, dinanzi a questa esperienza straordinaria, cade con la faccia a terra. Ezechiele, come sappiamo era di famiglia sacerdotale, ma lui stesso non vivrà il sacerdozio, ma agirà come profeta.

La scelta di Ezechiele è stata una riposta ad una realtà che gli è venuta incontro, che ha visto, percepito come qualcosa di sorprendente, dinanzi alla quale non ha potuto che cadere con la faccia a terra. Il Signore gli è venuto incontro in vesti non umane. La descrizione che Ezechiele fa di questa esperienza rispecchia la sua visione, quello che lui ha visto. Il profeta ci comunica una particolare esperienza di Dio, diversa, molto di versa da altre visioni. Dio si manifesta come vuole e non in modo uniforme, nel senso che non si manifesta allo stesso modo ai profeti, che lo descrivono, quindi, in modi diversi, a partire da ciò che vedono. Isaia vede un trono, Geremia sente una voce. Imparare a vedere Dio nella molteplicità delle manifestazioni, per imparare a non fissarsi i n un’unica idea. Dio è più grande delle nostre idee.

La percezione della molteplicità di manifestazioni di Dio esige una mente aperta, in cammino, disponibile al cambiamento.

 

domenica 7 agosto 2022

SONO VENUTO A GETTARE IL FUOCO SULLA TERRA!

 



XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Lc 12,49-53

Paolo Cugini

 

Il Vangelo di Luca, che stiamo leggendo in queste domeniche, è senza dubbio quello che più di tutti propone il tema della pace, come contenuto portante il messaggio di Gesù. Il Vangelo si apre con il coro angelico che annuncia la nascita del messia augurando la pace agli uomini di buona volontà e termina con l’annuncio di pace del Cristo resuscitato. Messaggio centrale, dunque, perché la pace che Gesù dona è la sua stessa persona che pone fine alla ricerca di qualcosa che possa dare un senso alla vita: è Lui il senso delle cose perché, come ci ricorda san Paolo, in Lui tutto è stato fatto. Proprio per questo le parole del Vangelo di oggi destano scalpore, perché invece di annunciare la pace annunciano la divisione. Che cosa ha voluto dire Gesù con tali parole, che cosa significa questo discorso? Ascoltiamolo.

Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Il messaggio del Vangelo è una proposta fatta per tutti, ma la si accoglie personalmente. Gesù propone il suo messaggio e non forza mai nessuno a seguirlo. La prova di questo è l’incontro con il giovane ricco che, dopo alcune battute positive, che facevano intravedere una risposta positiva, all’ultima richiesta di Gesù di vendere tutto e darlo ai poveri, se ne andò via triste. Probabilmente questa dimensione libera e personale della proposta di Gesù non riusciamo ad inquadrarla bene, visto che la storia è andata in tutt’altra direzione. Dal IV secolo d.C., infatti, le conversioni avvenivano in massa: una nazione diveniva cristiana a partire dalla conversione del re e della regina. Sappiamo, comunque, che molte storie di santi, di persone che hanno aderito personalmente la Vangelo sono esistite anche in questi secoli di cristianesimo forzato e di massa. Un po' di questo stile di cristianesimo di massa è rimasto anche nei nostri giorni. Il sistema dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, che vengono somministrati ai bambini durante il periodo scolastico, tutti allo stesso tempo, ha poco a che fare con lo stile libero e personale di Gesù. Quando in una casa una persona accoglie con gioia e libertà il Vangelo e cerca di viverlo nel vissuto quotidiano, provoca immediatamente delle divisioni, delle incomprensioni, delle liti. È quello che abbiamo ascoltato nella prima lettura che narra le incomprensioni, gli insulti e le violenze che il giovane profeta Geremia ha dovuto subire dai suoi concittadini per il semplice fatto che li metteva al corrente del giudizio di Dio sulla loro meschina condotta: In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremia, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male” (Ger 38,4s). nonostante tutto, però, Geremia che viene da una profonda esperienza persona della presenza del Signore, non si sente abbandonato. È questo che esprime il salmo di oggi: Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido (Sal 39).

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

Vengono in mente le lingue di fuoco simbolo dello Spirito Santo disceso sugli apostoli e le appostole nel cenacolo nel giorno di Pentecoste, ad inaugurare la nuova realtà portata da Gesù. È questo il fuoco che porta Gesù, il suo Spirito. Gesù non vede l’ora che i suoi discepoli instaurino un modo nuovo di relazionarsi con Dio, non più mediato da leggi, precetti, obbligazioni che rimangono chiuse nella logica del merito, ma all’interno di una relazione personale e d’amore con il Padre. Affinché questo fuoco scenda dal cielo è necessaria l’immersione di Gesù nella sua morte come segno del suo amore per i suoi. È questo il battesimo di cui Gesù parla oggi nel Vangelo: è la sua morte. Del resto, san Paolo ci ricorda che attraverso il battesimo siamo battezzati nella sua morte, sepolti con Lui al peccato: O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? (Rom 6,3).

Imparare a fare spazio al Signore nella nostra vita per uscire da un’adesione di massa della fede verso un’esperienza persona e d’amore. Solamente in questo modo, come ci ricorda oggi l’autore della lettera agli Ebrei, possiamo correre con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento (Eb 12, 2).

sabato 6 agosto 2022

A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto

 



XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

 

Lc 12,32-48

 

Paolo Cugini

Come potrà un uomo tenere diritto il proprio cammino? Custodendo la Tua Parola. È un versetto del salmo 119, che è una lunga e profonda catechesi sulla Parola di Dio, e che ci aiuta ad introdurre la riflessione di Oggi. Il Vangelo è una proposta bella, una buona novella, appunto, che esige spazio, interiorizzazione, affinché la sua diversità possa entrare a fare parte del nostro stile di vita. Non possiamo permetterci di leggere un brano di Vangelo in modo superficiale. Divenire discepoli del Signore significa trovare tempo per Lui, la sua parola, la sua proposta, affinché diventi nostra.

 

Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

Continua il discorso sul nostro rapporto con il denaro, con i beni terreni. Il cristiano è invitato ad avere un atteggiamento di spoliazione con le cose, di non attaccamento. Lavorare per avere un tesoro sicuro nei cieli, significa imparare a donare ciò che si ha, ciò che si possiede. Se abbiamo qualcosa è per condividerlo con chi non ha nulla: questo è il messaggio cristiano, la forza del Vangelo, la differenza del messaggio di Gesù che diventa lievito nella massa. Come mai, potremmo chiederci, c’è questa proposta così esigente, controcorrente? Perché dev’essere chiaro chi stiamo seguendo, a chi stiamo affidando la nostra vita. Dice il Vangelo: Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. La nostra coscienza è il luogo dove stiamo mettendo il nostro tesoro. E allora, se la nostra vita la stiamo facendo dipendere dai soldi che abbiamo, il nostro pensiero sarà costantemente fisso nel conto in banca, nei mezzi per aumentare il capitale. Se il nostro tesoro è in Dio, allora la nostra mente sarà preoccupata di realizzare il Regno dei cieli e, in questo percorso, coinvolgerà anche i propri beni. Gesù non demonizza il denaro, ma il come viene utilizzato, soprattutto quando questo prende il sopravvento nella vita personale. Quando ciò accade, la vita religiosa smette di incidere sulle scelte personali e diviene un aspetto decorativo nella vita della persona, che serve per mantenere tranquilla la coscienza. L’attaccamento al denaro, dunque, rivela la falsità della mia religione. Nei Vangeli si dice che i farisei, i custodi della religione del tempio, della religione dei precetti, erano attaccati al denaro. Chi ha la mente nel denaro, non ha spazio per Dio. Questo è il cuore del discorso di Gesù sul rapporto dei discepoli e delle discepole con il denaro.

Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli.

Essere pronti significa vivere il proprio vissuto quotidiano alla luce del Vangelo. È ponto colui, colei che ogni giorno assimila la parola del Signore e cerca nelle scelte che fa di vivere il Vangelo. In definitiva, tutti coloro che stanno cercando una relazione costante tra fede e vita, sono pronti e, l’arrivo del Signore, non ci trova sorpresi, ma all’opera.

Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.

È il pericolo della doppia vita. Vado a messa, compio tutti i riti religiosi, ma la mia vita personale è in un’altra direzione. È la logica del: rimando a domani il compito di sistemare la mia vita e adesso me la godo. È oggi il tempo della conversione e il Signore in questa Eucarestia ci concede un tempo per prendere in mano la nostra vita e metterla sul cammino che il Signore ha tracciato.

A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

È un versetto da leggere nell’ottica spirituale. Certamente, chi è abituato a lamentarsi di tutto, non è in grado di cogliere la ricchezza spirituale dei doni ricevuti dal SignoreN on c’è un discorso di soldi, cose, bene. Il dare e affidare molto è nell’ordine dei doni spirituali che guidano la vita. E allora a tutti coloro che sono stati donati i sacramenti, la Parola di Dio, una comunità Gesù chiede di far fruttare questi doni, per non correre il rischio di vivere come se da Lui non avessimo ricevuto nulla. Per questo, ogni momento formativo che ci aiuta a scoprire la bontà, la forza e il potenziale dei beni ricevuti va valorizzato. I sacramenti, come qualsiasi dono che riceviamo dall’alto non sono nella logica del mondo e cioè, non vanno messi da parte, perché i doni che riceviamo da Dio sono da condividere. I doni cher iceviamo da Dio sono nell'ottica del Ragno di Dio, donati per poter vivere ciò che siamo: figli e figlie di Dio.