venerdì 14 aprile 2023

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 15

 



 

[Annotazioni di Paolo Cugini]

 

Al termine del capitolo 14 Gesù dice: Alzatevi, andiamo via di qui, e in origine il vangelo proseguiva con il capitolo 18, dove l’evangelista scrive: Detto questo Gesù uscì con i suoi discepoli. Nel vangelo originario non c’erano i capitoli 15-16-17, è stata la maturazione della comunità cristiana, la sua riflessione nella eucarestia (che era libera e vivace, in cui c’era la voce profetica del Signore che continuamente insegnava alla sua comunità) che ha elaborato i tre capitoli. Sono dei capitoli preziosissimi che contengono il patrimonio dell’esperienza della comunità cristiana delle origini, ma sono soprattutto dei brani che vanno letti in chiave eucaristica, cioè sono sorti durante la celebrazione dell’eucarestia. Vedremo che i riferimenti all’eucarestia sono molteplici.

1 Io sono la vite quella vera e il padre mio è il vignaiolo. Gesù dice: Io sono la vite, perché la vite insieme alla pianta del fico, rappresentava il popolo di Israele. Quando i testi biblici o i profeti volevano parlare del rapporto tra Dio e il suo popolo, usavano l’immagine della vite. Era molto conosciuto sia il capitolo cinque del profeta Isaia: il cantico d’amore per la vigna, l’amore di Dio per la sua vigna, sia la dichiarazione del Signore, nel profeta Geremia 2,21, dove dice: Io ti avevo piantato come una vite scelta. La vite rappresentava il popolo di Dio, poi in questa rappresentazione si è infilata una corrente nazionalista, che ha fatto sì che questa vite fosse la prediletta al punto che per piantarla, Dio trapiantasse tutti gli altri popoli. Nel Salmo 80,8 si legge: Hai sradicato una vite dall’Egitto, hai scacciato le genti e l’hai trapiantata. La corrente nazionalistica giustificava l’oppressione da parte di Israele sugli altri popoli: è Dio stesso che ha scacciato le genti per trapiantare la sua vite. Questa linea teologica verrà contestata dai profeti. Ad esempio, Amos 9,7, mette in bocca a Dio delle parole tremende: Non siete voi come gli Etiopi, figli di Israele? Non sono io che ho fatto uscire Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da Caftor (i Filistei sono i nemici storici del popolo di Israele). Dio attraverso il profeta Amos dice: quello che ho fatto a voi di liberarvi dalla schiavitù egiziana, è quello che faccio con tutti i popoli che sono oppressi. Non dovete pensare di essere un popolo particolare, un popolo eletto che ha dei privilegi esclusivi. Quello che Israele considerava episodio unico, esclusivo della sua storia, viene messo dal profeta Amos alla stregua delle emigrazioni degli altri popoli e dell’azione di liberazione da parte di Dio, verso tutti quelli che sono oppressi, inclusi anche i nemici storici di Israele, come i Filistei.

2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, l’importanza di portare frutto è evidenziata dall’evangelista che la ripete, in questo brano, ben sette volte cioè la totalità. Un tralcio della vite non porta frutto quando ne succhia la linfa vitale e non la trasforma in frutto, lo toglie. Gesù sottolinea che il tralcio (immagine del discepolo) pur ricevendo la linfa vitale (l’amore dalla unione con lui), non la trasforma in amore per gli altri, è un tralcio inutile. Abbiamo detto che sono narrazioni che vanno prese nell’ambito dell’eucarestia: quanti nell’eucarestia si cibano del pane, che è Gesù, ma poi rifiutano di farsi pane per gli altri, sono inutili perché assorbono energie vitali che non le rimettono agli altri. Gesù è molto chiaro: ogni tralcio che in me non porta frutto lo toglie (è l’appartenete alla comunità cristiana che assorbe soltanto energie vitali, che prende soltanto dagli altri, ma poi è incapace di dare perché pensa soltanto a se stesso, ai propri bisogni e necessità, non si accorge dei bisogni, delle necessità degli altri. Ci sono persone nutrienti e tossiche. Le prime sono persone che incontri, nemmeno le conosci e senti una attrazione, una simpatia perché sono piene di vita che la comunicano. Le altre invece sono piene di elementi negativi e solo la loro vicinanza rende nervosi, mette a disagio perché intossica. Sono solo capaci di prendere senza mai dare.). L’azione di togliere non compete agli altri tralci, non compete neanche alla vite, ma compete al Padre. Soltanto il Padre sa considerare, calcolare la fecondità del tralcio e decidere se bisogna mantenerlo o è soltanto un elemento inutile che succhia le energie vitali della comunità cristiana e non le traduce in amore: è un elemento negativo che deve essere eliminato perché ne va di mezzo la produttività di tutta la vite. Non sono gli altri tralci che devono dire: tu non porti frutto e vai eliminato; neanche Gesù che comunica vita, è il Padre, l’unico, ad essere capace di calcolare la fecondità del tralcio, lo toglie, e ogni tralcio che porta frutto lo purifica perché porti più frutto. L’evangelista fa un gioco di parole nella lingua greca che è difficile riprodurre nella lingua italiana, ma è molto importante per comprendere questa traduzione. In passato e purtroppo ancora in molte edizioni di oggi del vangelo, si legge: e ogni tralcio che porta frutto lo pota. Il Signore non pota, ma purifica ed è un’azione pienamente positiva: ogni tralcio che non porta frutti lo toglie -airo-, ogni tralcio che porta frutto lo purifica -kathairò. L’evangelista 3 vuol dire che il Padre elimina dal tralcio ogni preoccupazione che non sia quella di trasformare la linfa vitale che riceve, per amore di Dio, in un frutto sempre più abbondante. Il tralcio, immagine del discepolo, non viene invitato a concentrarsi sulla propria perfezione interiore, ma sul dono di sé. Questo è importante perché cambia la vita. Non c’è una perfezione alla quale l’individuo deve tendere, cercando di individuare quali sono i propri limiti, difetti, per cercare di estirparli o eliminarli. Quando si fa questo l’effetto è molto controproducente, perché la persona non fa altro che centrarsi su se stesso e l’effetto è che quel difetto, quella tendenza, quel elemento negativo che si vuole eliminare si rafforza, perché si è centrati solo su di sé. Invece Gesù invita al dono totale di sé senza nessuna preoccupazione. Il credente è invitato soltanto ad accogliere la linfa vitale e a trasformarla in amore per gli altri. Se in lui ci sono elementi negativi ci penserà il Padre - non il credente, non gli altri tralci, ne la vite - che comunica linfa vitale. L’azione di pulizia del Padre consiste in una maggiore trasmissione della linfa d’amore e conduce il discepolo in maniera progressiva, crescente, a una sempre maggiore capacità d’amore, di dono. Se in questa crescita ci sono elementi nocivi, ci pensa il Padre. Quell’esame scrupoloso di coscienza o l’attenzione ai propri difetti, ai propri limiti va eliminato. Non mi devo preoccupare di nient’altro se non di aumentare ogni giorno la mia capacità d’amore. Più mi dono, più acconsento alla vitalità di entrare nella vita. Più mi dono agli altri e più permetto al Padre di donarmi e se c’è in me qualcosa di negativo ci pensa il Padre ad eliminarlo, non io. È la serenità totale.

 3 Voi siete già puri, la conferma che il verbo utilizzato dall’evangelista non poteva essere potare è perché riscrive di nuovo kathairo e non: siete già potati per il messaggio, per la parola che io vi ho annunziato. Il termine che traduciamo con messaggio è logos ed indica tutto l’insegnamento che Gesù ha dato ai suoi discepoli, un insegnamento che non si traduce in una dottrina, ma in una azione. Ricordo che il brano segue il capitolo 13 che iniziò con queste parole: Avendo amato i suoi che erano nel mondo, Gesù li amò fino alla fine. Tutto l’insegnamento di Gesù si è tradotto nel lavare i piedi dei suoi discepoli. Non è un messaggio che va tradotto in una dottrina, è un messaggio che va tradotto in un’azione che comunica vita agli altri. Ricordo che siamo in un ambiente eucaristico e Gesù non ha lavato i piedi ai discepoli prima della cena, per renderli degni di partecipare alla cena, ma ha lavato i piedi ai discepoli durante la cena a significare che quello era l’effetto della cena.

4 Rimanete in me ed io in voi, rimanere è un verbo caratteristico di Giovanni, nel suo vangelo compare ben 36 volte contro le tre di Matteo, le due di Marco e le sette di Luca. In questo brano compare per undici volte, rimanete in me ed io in voi. È la teologia di Giovanni, il Dio di Gesù non è esterno o estraneo all’uomo, è un Dio intimo. Non è un Dio che va cercato, è un Dio che va accolto, è un Dio che ama talmente gli uomini che chiede di essere accolto nella loro esistenza per fondersi con loro e dilatarne la capacità d’amore. Rimanete in me e io in voi, chi rimane in questo atteggiamento di amore che si fa servizio con gli altri, alimenta continuamente l’unione con il Signore. C’è da parte di Gesù una espansione nell’individuo che si traduce in azioni concrete d’amore. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Quanti si staccano dalla vite vanno incontro alla sterilità, solo il servizio è quello che rende feconda la vita del discepolo e permette la comunione continua con il Signore. Oggi, come facciamo a sapere se siamo in piena comunione con il Signore?, una volta si usava il termine essere in grazia. È semplice. Se siamo in un atteggiamento di amore che si fa servizio per gli altri, è la garanzia che siamo in comunione con lui. Lo dice lui: rimanete in me e io in voi, e Gesù rivendica la condizione divina:

5 Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, questi porta molto frutto, siamo in ambiente eucaristico e l’evangelista non fa altro che citare quello che Gesù ha detto nella sinagoga di Cafarnao sul discorso dell’eucarestia: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Chi accoglie questo pane che si fa vita per noi ed è disponibile a farsi pane, vita per gli altri, ha la garanzia della piena comunione con il Signore.

6 Se non rimane in me viene gettato fuori, non dice che sia il Padre a gettarlo fuori. Adesso c’è una serie di espressioni impersonali, come il tralcio si inaridisce; e adopera lo stesso verbo presente nel profeta Ezechiele 37,2 che ha una visione e dice: vedo una valle di ossa inaridite (ossa senza spirito senza vita e rappresentavano il popolo di Israele), poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Gesù in questa affermazione, si rifà ad un brano molto conosciuto, per questo ha adoperato, oltre il fatto che la vite rappresenti Israele, il legno della vite. Il capitolo 15 del profeta Ezechiele si apre con queste parole: Mi fu rivolta la parola del Signore: Figlio dell’uomo, che pregi ha il legno della vite di fronte a tutti gli altri legni della foresta? Si adopera forse quel legno per farne un oggetto? Ci si fa forse un piolo per attaccarci qualcosa? Ecco lo si getta sul fuoco a bruciare, il fuoco ne divora i due capi e anche il centro è bruciacchiato. Potrà essere utile per farvi un oggetto? Anche quando era intatto non serviva a niente: ora, dopo che il fuoco lo ha divorato, si potrà forse ricavare qualcosa.(Ez.15,1-5).

7 Se (c’è la condizione. È interessante come noi siamo pronti a trovare le scorciatoie. Tutti conosciamo questo detto di Gesù eliminando la condizione: chiedete quello che volete e vi sarà dato, però, chissà perché ne ignoriamo la parte in cui ci sono le condizioni e rimaniamo male. Abbiamo chiesto e non ci è stato dato. Ma la prima parte del versetto cosa dice? Non so. Ora te lo dico io.) rimanete in me, è l’adesione a Gesù, e le mie parole rimangono in voi, non basta l’adesione, bisogna che le sue parole siano radicate nella persona. Tante volte abbiamo detto che quello di Gesù non è un codice esterno all’uomo, al quale l’uomo si deve riferire per sapere come comportarsi! Questo era per la legge dell’Antico Testamento, che era un codice esterno all’uomo e l’uomo per sapere come comportarsi, se un’azione era buona o cattiva, lo andava a consultare. Se era permessa era buona, se era proibita era malvagia. Il messaggio di Gesù non è un codice esterno all’uomo, è una realtà interiorizzata dall’uomo e fa parte della sua esistenza. L’uomo per sapere come comportarsi non deve andare a confrontarsi con le parole di Gesù, ma sono le sue parole che sono state talmente interiorizzate, che di fronte alle situazioni o occasioni si manifestano in forma nuova, originale e creativa. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi quel che volete chiedete e vi sarà fatto. Gesù assicura che quanti accolgono il suo messaggio e la sua persona si identificano con lui in un processo di crescita e di assomiglianza. Il Padre vedendo in queste persone lo stesso profilo, comportamento del Figlio, collaborerà e l’aiuterà. È naturale che quando uno rimane in Gesù e le sue parole rimangono in lui: quel che volete, chiedete e vi sarà dato, non chiederà mai qualcosa di nocivo, di negativo che faccia male agli altri.

8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. La proiezione delle ambizioni dell’uomo e delle sue frustrazioni in Dio ha fatto 7 si che per molto tempo la gloria di Dio, glorificare Dio, consistesse in opere spettacolari, in opere grandiose. Conosciamo la scritta a maggior gloria di Dio. Facciamo edifici sempre più spettacolari, più ricchi, più sontuosi, opere straordinarie tutto a maggior gloria di Dio. Gesù che pure parla della gloria del Padre dice che la gloria del Padre non si esprime attraverso opere grandiose, lussuose o straordinarie: in questo è glorificato il Padre mio, c’è una precisazione da parte di Gesù, non in opere chissà quali. Che portiate molto frutto, solo nell’abbondanza del frutto, diventando poi discepoli di Gesù, viene glorificato il Padre, viene resa visibile e manifesta la presenza e l’attività di un Dio amore a favore degli uomini.

Rimanete nell’amore mio. Quanti accolgono Gesù, accolgono il suo amore e lo prolungano in un servizio verso gli altri, rimangono nel servizio, unica sfera dell’amore.

10 Se osserverete i miei comandamenti, quando Gesù deve parlare dei comandamenti sottolinea sempre i miei da non confondere con quelli di Mosè. Questo discorso segue il capitolo 13, dove Gesù ha lasciato il comandamento nuovo: che vi amiate gli uni e gli altri come io vi ho amato, così amatevi anche voi.

11 Questo vi ho detto, perché la gioia, non una gioia qualunque, quella mia, dell’uomo Dio, sia in voi e la vostra gioia sia piena. sentiamo quanto è lontana la spiritualità dei vangeli da certa spiritualità triste, nefasta, deprimente, opprimente di certa teologia che non si è alimentata dai vangeli! Per la prima volta nel vangelo, Gesù parla di gioia e lo ha fatto dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli. Sottolinea che la sua gioia, quella che lui vuole comunicare e desidera che questa gioia raggiunga nell’uomo una pienezza incontenibile.

12 Questo è il comandamento quello mio, Gesù ogni volta che deve parlare di comandamento, sottolinea che è quello suo. Perché? Al capitolo 13,34 Gesù aveva lasciato un comandamento e l’aveva sottolineato: vi lascio un comandamento nuovo, non un nuovo comandamento; non è che avete già quelli di Mosè e adesso vi lascio un nuovo comandamento che va ad aggiungersi a quelli, ma vi lascio un comandamento nuovo di una novità, di una qualità, che sostituisce tutti gli altri. Gesù parla di comandamento per contrapporli a quelli di Mosè e alla nuova alleanza da lui proposta. Mentre l’antica alleanza era basata sull’obbedienza alla legge di Dio, la nuova alleanza è basata sull’accoglienza dell’amore del Padre. Mentre nella prima alleanza il credente era colui che obbediva a Dio osservando le sue leggi, nella nuova alleanza il credente è colui che assomiglia al Padre, praticando un amore simile al suo.

13 Nessuno ha un amore più grande di questo che qualcuno la sua vita (se stesso) metta per i propri amici. L’evangelista gioca con i termini che abbiamo già visto. Per l’evangelista vita si esprime in tre maniere:

 1) bios, la vita biologica, la vita che ha un inizio, una crescita, un declino e la fine;

 2) zoe, è la vita che ha un inizio, una crescita, ma non declina e continua per sempre. Quando arriva la fine della parte biologica, zoe rimane e Gesù può usare espressioni paradossali chi osserva la mia parola non morirà mai; chi vive e crede in me non morirà mai; tutti andiamo incontro alla morte della ciccia, ma essa non scalfisce la nostra esistenza.

 3) Psyche è il termine che adoperato qui dall’evangelista e che possiamo indicare come se stesso. È l’identità della persona. Nessuno ha un amore più grande di questo che qualcuno se stesso (non è il momento in cui c’è bisogno di dare la vita per l’altro, è tutta l’esistenza orientata a favore del bene degli altri) metta per i propri amici. Non è il momento estremo in cui uno è portato a dare la vita per gli altri, è l’orientamento di tutta una esistenza a servizio degli altri, che può portare al dono, come ha fatto Gesù.

14 Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Dopo aver parlato per la prima volta di gioia, per la prima volta parla dei suoi discepoli come amici. Le sue parole, per la 11 cultura dell’epoca sono incomprensibili perché il discepolo era il servo del suo maestro. Il rapporto dei discepoli con i loro maestri era un rapporto di sottomissione, di obbedienza. Gesù elimina tutto questo e al capitolo 13 aveva sottolineato: io sono il maestro, io sono il Signore; elimina ogni distanza tra sé e i discepoli. Perché questo? La religione aveva scavato un abisso tra Dio e gli uomini e ne aveva bisogno perché senza questo non ci sarebbe posto per lei. L’istituzione religiosa aveva fatto credere alla gente che non poteva rivolgersi a Dio, che aveva bisogno di un individuo particolare, l’uomo del sacro, il sacerdote; che non poteva rivolgersi a Dio dove voleva, ma c’era bisogno di un luogo particolare, il tempio; che non poteva farlo con le parole che venivano in mente, ma attraverso una liturgia. L’istituzione religiosa aveva scavato un abisso tra Dio e gli uomini. Dio era reputato lontanissimo, inavvicinabile, impossibile da raggiungere. Gesù che è Dio (nel prologo l’evangelista ha dichiarato che in Gesù c’è la pienezza della divinità: Dio nessuno l’ha mai visto, solo il Figlio ne è stata la rivelazione, cap.1,18), è venuto ad eliminare la distanza che la religione aveva scavato tra Dio e gli uomini.

15 Non vi ho mai considerati (chiamati) servi, molti purtroppo traducono non vi chiamo più servi, ma Gesù non ha mai chiamato i discepoli servi. Non è che per un tempo Gesù li ha considerati servi e adesso c’è un cambiamento di rotta. No. L’espressione adoperata dall’evangelista è un rafforzativo: No, non vi ho mai considerati servi. Il rapporto di Gesù con i suoi discepoli, fin dal primo istante, non è stato quello di un superiore con dei servi, ma un rapporto di amicizia. Gesù lo dice: perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici , la prova che la traduzione non vi chiamo più servi è sbagliata, Gesù stesso dice: vi ho chiamati amici. Fin dall’inizio ha avuto con i suoi seguaci, una relazione di amicizia. perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Gesù è un Dio a servizio degli uomini e non ha bisogno di servi, ma di amici, di collaboratori, che condividano pienamente con lui la sua azione. Fin dal primo momento in cui ha invitato i discepoli a seguirlo, li ha chiamati come amici. Abbiamo la prova al capitolo 11, quando Lazzaro viene definito l’amico di Gesù. Gesù chiede rapporto di amicizia tra lui e i discepoli.

16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi, la scelta compiuta da Gesù è di individui che possono lavorare con lui. È interessante: Non voi avete scelto me, è Gesù che ha scelto i suoi discepoli e non è stata una scelta felice. Se avessi dovuto dare dei consigli a Gesù, avrei eliminati undici dei dodici che ha scelto, non so se ne rimaneva uno perché peggio non ne ha saputo trovare! Perché non hai scelto, dovendo trovare dei collaboratori che ti aiutassero nella tua azione, andando prendere qualche santo monaco in qualche monastero? Perché non hai scelto qualcuno dei farisei, perfetti osservanti? Perché nel tuo gruppo non c’è neanche un rabbino, persona colta e nei hai scelti dodici che… veramente avevi gli occhi tappati! Pietro lo tradisce, Giuda lo vende al nemico, gli altri non capiscono niente, sempre ottusi. Questo ci rasserena e san Paolo lo dice nella prima lettera ai Corinti: Sapete perché il Signore vi ha scelti? Perché peggio non ha saputo trovare. Se non c’è questa profonda convinzione, non c’è l’inizio della partenza della collaborazione con Gesù, in modo che quello che emerge si sappia che non è frutto nostro o solo nostro, ma è frutto della potenza di Dio che emerge tra noi. Non voi avete scelto me (l’autore della prima lettera di Giovanni dirà: Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi), ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate. È un verbo di movimento. Il credente, la comunità scelta da Gesù è stata scelta perché cammini, non perché sia immobile.

17 Questo vi comando, affinché vi amiate gli uni gli altri. Gesù unisce strettamente il tema del chiedere con il tema dell’amore e per la terza volta ritorna su questo comando dell’amore. L’insistenza di Gesù su questo comando dell’amore, fa capire che c’è una forte resistenza da parte della sua comunità. Quando nei vangeli, Gesù deve insistere come qui, significa che trova resistenza. I discepoli hanno capito che l’amore di Gesù consiste nel servire gli altri.

18 Se il mondo vi odia sappiate che prima di voi ha odiato me. L’odio è la conseguenza di un amore che si fa servizio, - esercitato verso gli altri - che si offre come un’alternativa alla società basata sull’interesse, sull’odio, sul predominio, sistema di potere che regge la società. Per il mondo non si intende il creato, per mondo si intende il sistema di potere che regge la società.

19 Se foste del mondo, (in passato c’è stata confusione su questo invito di Gesù e molti hanno pensato di dover abbandonare il mondo, di creare delle isole felici), non significa che noi non siamo nel mondo; il credente è nel mondo, ma non è del mondo. L’invito di Gesù non è come purtroppo è stato inteso in passato: separiamoci dalla società che è perversa, depravata e andiamo a creare delle cittadelle angeliche di santità, di bontà. Non è questo. L’invito di Gesù è di non essere del mondo, di non accettare quei valori che reggono la società, basati sui tre verbi maledetti dell’avere, salire e comandare. Gesù è venuto a creare una società differente dove al posto dell’avere ci sia il condividere e al posto del comandare ci sia il servizio.

20 Ricordate la parola che ho detto a voi: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola osserveranno anche la vostra. Gesù richiama il proverbio popolare, un detto che aveva già espresso dopo aver lavato i piedi ai discepoli: un servo non è più grande del suo padrone, 13,16, collegando strettamente la persecuzione al servizio da lui reso con la lavanda dei piedi. In una società dove tutti tendono ad arrivare e a sopraffare gli altri, il servizio liberamente, volontariamente espresso, viene visto come un atto di accusa nei suoi confronti e per questo non scatena la riflessione, ma la persecuzione. La persecuzione è compresa nel programma del discepolo. Non c’è da meravigliarsi quando si scatena la persecuzione, c’è 15 da preoccuparsi quando non c’è perché significa che sono stati accettati i valori ingiusti del sistema. Se si è fedeli a Gesù, al suo messaggio, la persecuzione nelle sue varie forme, larvata o evidente, aperta o mascherata, è sempre presente all’ombra. Gesù dice: se hanno perseguitato me. Perché lo hanno perseguitato e dove in questo vangelo incomincia la persecuzione a Gesù? Nel quinto capitolo con l’episodio dell’invalido nella piscina.

21 Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, avendo aderito a me al mio messaggio, perché non conoscono colui che mi ha mandato. Ciò che dice è tremendo: Attenti a questi sommi sacerdoti, a questi scribi, a questa casta sacerdotale che si veste in modo particolare per fare vedere di avere un rapporto privilegiato con il Signore, che porta stemmi, distintivi, ed ha tanti titoli per fare vedere la propria particolare appartenenza al Signore, perché non conoscono Dio. Quando vi dicono qualcosa in nome di Dio, siccome non lo conoscono, non è vero che parlano in suo nome, vi parlano in nome del loro interesse. Tante volte abbiamo detto, che non sorprende che Gesù sia stato ammazzato, sorprende che sia riuscito a campare così tanto. Uno che dice queste cose è da eliminare subito! Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato.

22 Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, Gesù ha parlato più volte ai capi e ogni volta è stato uno scontro. Ha parlato nel Tempio; ha parlato in occasione della guarigione dell’invalido nella piscina; nella festa delle capanne; ha parlato loro quando si è proclamato pastore; ha parlato loro nella festa della dedicazione.

23 Chi odia me, odia anche il Padre mio. La persecuzione che si scatena contro Gesù e i suoi discepoli è una persecuzione religiosa che avviene per difendere l’immagine di Dio. Quale Dio? Gesù afferma che ciò avviene perché questi non conoscono il Padre, ma in nome di che Dio si scatena la persecuzione? L’odio diretto a Gesù è in realtà un odio diretto al vero Dio, che è nemico del progetto di dominio da parte delle autorità religiose. Non è pensabile di potere amare Dio e allo stesso tempo perseguitare Gesù. Abbiamo un caso clamoroso proprio nel Nuovo Testamento, il caso di Saulo. Saulo (Paolo) era un fariseo, osservante integrale, tradizionalista e osservava tutti i precetti. Quando ha saputo che c’era l’eresia, la pazzia, la novità portata da Gesù da Nazareth, animato dallo zelo per Dio, indubbiamente era un buono, ma era uno zelante, un devoto, si è messo a perseguitare i seguaci di questa nuova dottrina.

24 Se non avessi fatto in mezzo a loro le opere che nessun altro mai ha fatto, perché mai nessuno aveva liberato il popolo dalla legge che era stata imposta e che gravava su di esso; mai nessuno aveva liberato il popolo dalla legge, che si credeva proveniente da Dio; non avrebbero alcun peccato; ma ora le hanno viste, non si tratta di insegnamento, non hanno creduto a quello che ho detto, ma hanno visto le opere frutto dell’insegnamento e hanno odiato me e il Padre. Gesù non si richiama più soltanto all’insegnamento, alla dottrina, ma all’amore e alla dimostrazione pratica di questo amore, cioè alle opere che i dirigenti hanno visto. Sono proprio le opere, tutte di liberazione dell’uomo, che sono inaccettabili per le autorità religiose. Il crimine compiuto da Gesù è aver reso le persone mature, mentre la religione mantiene gli individui in una condizione infantile. La religione non fa crescere le persone, si è sempre come bambini che hanno bisogno di un padre, a volte di un santo padre che dica cosa fare, come fare e quando fare. La persona non è mai matura: posso fare questo? È peccato fare quest’altro?… L’autorità gongola di questo, dice quello che si deve fare invadendo gli spazi della vita dell’individuo.

25 Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza motivo. Gesù non è mosso dalla legge, ma dall’amore. Quando deve parlare della legge, legge di Mosè, che è espressione di Dio per tutto il popolo di Israele e Gesù è un 19 ebreo, dice: Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge, doveva dire nella nostra legge, ma prende le distanze; è nella loro legge, non è la legge di Gesù. Gesù non ha niente a che fare con questa legge, perché denuncia come una grande mistificazione quel complesso di libri chiamato la Legge di Dio. È la loro legge, creata per i loro interessi.

26 Quando verrà il Protettore il soccorritore. L’attività dello Spirito è di soccorrere e Gesù ci ha parlato di gioia perché nella sua comunità c’è lo Spirito, Paraclitos che non è il 20 cognome dello Spirito, ma è l’attività, è l’aiuto, è colui che soccorre, ma non viene in situazioni di emergenza, le precede ed ecco la gioia. che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità, l’amore è la verità, è l’amore che determina quello che è vero o che è falso che procede dal Padre egli testimonierà di me; L’azione dello Spirito che sarà a favore di Gesù, a favore degli oppressi, renderà chiaro da che parte sta Dio, da che parte sta il Padre e capiterà, lo vedremo nei prossimi capitoli, che gli accusatori si troveranno ad essere i veri accusati, i giudici i colpevoli e la verità dello Spirito di verità sarà rivelata a tutti. 27 e anche voi mi testimonierete perché siete stati con me fin dal principio. Stare con Gesù fin dal principio non è una indicazione cronologica, altrimenti potevano stare con lui soltanto i primi quattro discepoli, ma è un’indicazione qualitativa e indica l’accoglienza di tutto Gesù, non solo quello glorioso, il Cristo risuscitato, ma anche il Cristo perseguitato in tutta la sua vita. Pertanto significa situarsi con lui e come lui dalla parte dei deboli, mai dalla parte dei prepotenti. Sempre con chi viene emarginato e mai da chi emargina, sempre con chi viene escluso, mai da chi esclude anche se chi esclude lo fa in nome di Dio. Se si esclude una persona in nome di Dio, Dio sta dalla parte dell’escluso non dalla parte di chi esclude. La comunità dei credenti è invitata a situarsi dalla parte di Gesù, dalla parte degli ultimi.

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