[Annotazioni di Paolo
Cugini]
Al termine del capitolo
14 Gesù dice: Alzatevi, andiamo via di qui, e in origine il vangelo proseguiva
con il capitolo 18, dove l’evangelista scrive: Detto questo Gesù uscì con i
suoi discepoli. Nel vangelo originario non c’erano i capitoli 15-16-17, è stata
la maturazione della comunità cristiana, la sua riflessione nella eucarestia
(che era libera e vivace, in cui c’era la voce profetica del Signore che
continuamente insegnava alla sua comunità) che ha elaborato i tre capitoli.
Sono dei capitoli preziosissimi che contengono il patrimonio dell’esperienza
della comunità cristiana delle origini, ma sono soprattutto dei brani che vanno
letti in chiave eucaristica, cioè sono sorti durante la celebrazione
dell’eucarestia. Vedremo che i riferimenti all’eucarestia sono molteplici.
1 Io sono la vite quella
vera e il padre mio è il vignaiolo. Gesù dice: Io sono la
vite, perché la vite insieme alla pianta del fico, rappresentava il popolo di
Israele. Quando i testi biblici o i profeti volevano parlare del rapporto tra
Dio e il suo popolo, usavano l’immagine della vite. Era molto conosciuto sia il
capitolo cinque del profeta Isaia: il cantico d’amore per la vigna, l’amore di
Dio per la sua vigna, sia la dichiarazione del Signore, nel profeta Geremia
2,21, dove dice: Io ti avevo piantato come una vite scelta. La vite rappresentava
il popolo di Dio, poi in questa rappresentazione si è infilata una corrente
nazionalista, che ha fatto sì che questa vite fosse la prediletta al punto che
per piantarla, Dio trapiantasse tutti gli altri popoli. Nel Salmo 80,8 si
legge: Hai sradicato una vite dall’Egitto, hai scacciato le genti e l’hai
trapiantata. La corrente nazionalistica giustificava l’oppressione da parte di
Israele sugli altri popoli: è Dio stesso che ha scacciato le genti per
trapiantare la sua vite. Questa linea teologica verrà contestata dai profeti. Ad
esempio, Amos 9,7, mette in bocca a Dio delle parole tremende: Non siete voi
come gli Etiopi, figli di Israele? Non sono io che ho fatto uscire Israele dal
paese d’Egitto, i Filistei da Caftor (i Filistei sono i nemici storici del
popolo di Israele). Dio attraverso il profeta Amos dice: quello che ho fatto a
voi di liberarvi dalla schiavitù egiziana, è quello che faccio con tutti i
popoli che sono oppressi. Non dovete pensare di essere un popolo particolare,
un popolo eletto che ha dei privilegi esclusivi. Quello che Israele considerava
episodio unico, esclusivo della sua storia, viene messo dal profeta Amos alla
stregua delle emigrazioni degli altri popoli e dell’azione di liberazione da
parte di Dio, verso tutti quelli che sono oppressi, inclusi anche i nemici
storici di Israele, come i Filistei.
2 Ogni tralcio che in me
non porta frutto, l’importanza di portare frutto è
evidenziata dall’evangelista che la ripete, in questo brano, ben sette volte
cioè la totalità. Un tralcio della vite non porta frutto quando ne succhia la
linfa vitale e non la trasforma in frutto, lo toglie. Gesù sottolinea che il
tralcio (immagine del discepolo) pur ricevendo la linfa vitale (l’amore dalla
unione con lui), non la trasforma in amore per gli altri, è un tralcio inutile.
Abbiamo detto che sono narrazioni che vanno prese nell’ambito dell’eucarestia:
quanti nell’eucarestia si cibano del pane, che è Gesù, ma poi rifiutano di
farsi pane per gli altri, sono inutili perché assorbono energie vitali che non
le rimettono agli altri. Gesù è molto chiaro: ogni tralcio che in me non porta
frutto lo toglie (è l’appartenete alla comunità cristiana che assorbe soltanto
energie vitali, che prende soltanto dagli altri, ma poi è incapace di dare
perché pensa soltanto a se stesso, ai propri bisogni e necessità, non si
accorge dei bisogni, delle necessità degli altri. Ci sono persone nutrienti e
tossiche. Le prime sono persone che incontri, nemmeno le conosci e senti una
attrazione, una simpatia perché sono piene di vita che la comunicano. Le altre
invece sono piene di elementi negativi e solo la loro vicinanza rende nervosi,
mette a disagio perché intossica. Sono solo capaci di prendere senza mai
dare.). L’azione di togliere non compete agli altri tralci, non compete neanche
alla vite, ma compete al Padre. Soltanto il Padre sa considerare, calcolare la
fecondità del tralcio e decidere se bisogna mantenerlo o è soltanto un elemento
inutile che succhia le energie vitali della comunità cristiana e non le traduce
in amore: è un elemento negativo che deve essere eliminato perché ne va di
mezzo la produttività di tutta la vite. Non sono gli altri tralci che devono
dire: tu non porti frutto e vai eliminato; neanche Gesù che comunica vita, è il
Padre, l’unico, ad essere capace di calcolare la fecondità del tralcio, lo
toglie, e ogni tralcio che porta frutto lo purifica perché porti più frutto.
L’evangelista fa un gioco di parole nella lingua greca che è difficile
riprodurre nella lingua italiana, ma è molto importante per comprendere questa
traduzione. In passato e purtroppo ancora in molte edizioni di oggi del
vangelo, si legge: e ogni tralcio che porta frutto lo pota. Il Signore non
pota, ma purifica ed è un’azione pienamente positiva: ogni tralcio che non
porta frutti lo toglie -airo-, ogni tralcio che porta frutto lo purifica
-kathairò. L’evangelista 3 vuol dire che il Padre elimina dal tralcio ogni
preoccupazione che non sia quella di trasformare la linfa vitale che riceve,
per amore di Dio, in un frutto sempre più abbondante. Il tralcio, immagine del
discepolo, non viene invitato a concentrarsi sulla propria perfezione
interiore, ma sul dono di sé. Questo è importante perché cambia la vita. Non
c’è una perfezione alla quale l’individuo deve tendere, cercando di individuare
quali sono i propri limiti, difetti, per cercare di estirparli o eliminarli.
Quando si fa questo l’effetto è molto controproducente, perché la persona non
fa altro che centrarsi su se stesso e l’effetto è che quel difetto, quella
tendenza, quel elemento negativo che si vuole eliminare si rafforza, perché si
è centrati solo su di sé. Invece Gesù invita al dono totale di sé senza nessuna
preoccupazione. Il credente è invitato soltanto ad accogliere la linfa vitale e
a trasformarla in amore per gli altri. Se in lui ci sono elementi negativi ci
penserà il Padre - non il credente, non gli altri tralci, ne la vite - che
comunica linfa vitale. L’azione di pulizia del Padre consiste in una maggiore
trasmissione della linfa d’amore e conduce il discepolo in maniera progressiva,
crescente, a una sempre maggiore capacità d’amore, di dono. Se in questa
crescita ci sono elementi nocivi, ci pensa il Padre. Quell’esame scrupoloso di
coscienza o l’attenzione ai propri difetti, ai propri limiti va eliminato. Non
mi devo preoccupare di nient’altro se non di aumentare ogni giorno la mia
capacità d’amore. Più mi dono, più acconsento alla vitalità di entrare nella
vita. Più mi dono agli altri e più permetto al Padre di donarmi e se c’è in me
qualcosa di negativo ci pensa il Padre ad eliminarlo, non io. È la serenità
totale.
3 Voi siete già puri,
la conferma che il verbo utilizzato dall’evangelista non poteva essere potare è
perché riscrive di nuovo kathairo e non: siete già potati per il messaggio, per
la parola che io vi ho annunziato. Il termine che traduciamo con messaggio è
logos ed indica tutto l’insegnamento che Gesù ha dato ai suoi discepoli, un
insegnamento che non si traduce in una dottrina, ma in una azione. Ricordo che
il brano segue il capitolo 13 che iniziò con queste parole: Avendo amato i suoi
che erano nel mondo, Gesù li amò fino alla fine. Tutto l’insegnamento di Gesù
si è tradotto nel lavare i piedi dei suoi discepoli. Non è un messaggio che va
tradotto in una dottrina, è un messaggio che va tradotto in un’azione che
comunica vita agli altri. Ricordo che siamo in un ambiente eucaristico e Gesù
non ha lavato i piedi ai discepoli prima della cena, per renderli degni di
partecipare alla cena, ma ha lavato i piedi ai discepoli durante la cena a
significare che quello era l’effetto della cena.
4 Rimanete in me ed io in
voi,
rimanere è un verbo caratteristico di Giovanni, nel suo vangelo compare ben 36
volte contro le tre di Matteo, le due di Marco e le sette di Luca. In questo
brano compare per undici volte, rimanete in me ed io in voi. È la teologia di
Giovanni, il Dio di Gesù non è esterno o estraneo all’uomo, è un Dio intimo.
Non è un Dio che va cercato, è un Dio che va accolto, è un Dio che ama talmente
gli uomini che chiede di essere accolto nella loro esistenza per fondersi con
loro e dilatarne la capacità d’amore. Rimanete in me e io in voi, chi rimane in
questo atteggiamento di amore che si fa servizio con gli altri, alimenta
continuamente l’unione con il Signore. C’è da parte di Gesù una espansione
nell’individuo che si traduce in azioni concrete d’amore. Come il tralcio non
può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non
rimanete in me. Quanti si staccano dalla vite vanno incontro alla sterilità,
solo il servizio è quello che rende feconda la vita del discepolo e permette la
comunione continua con il Signore. Oggi, come facciamo a sapere se siamo in
piena comunione con il Signore?, una volta si usava il termine essere in
grazia. È semplice. Se siamo in un atteggiamento di amore che si fa servizio
per gli altri, è la garanzia che siamo in comunione con lui. Lo dice lui:
rimanete in me e io in voi, e Gesù rivendica la condizione divina:
5 Io sono la vite e voi i
tralci. Chi rimane in me e io in lui, questi porta molto
frutto, siamo in ambiente eucaristico e l’evangelista non fa altro che citare
quello che Gesù ha detto nella sinagoga di Cafarnao sul discorso
dell’eucarestia: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e
io in lui. Chi accoglie questo pane che si fa vita per noi ed è disponibile a
farsi pane, vita per gli altri, ha la garanzia della piena comunione con il
Signore.
6 Se non rimane in me
viene gettato fuori, non dice che sia il Padre a gettarlo
fuori. Adesso c’è una serie di espressioni impersonali, come il tralcio si
inaridisce; e adopera lo stesso verbo presente nel profeta Ezechiele 37,2 che
ha una visione e dice: vedo una valle di ossa inaridite (ossa senza spirito
senza vita e rappresentavano il popolo di Israele), poi lo raccolgono e lo
gettano nel fuoco e lo bruciano. Gesù in questa affermazione, si rifà ad un
brano molto conosciuto, per questo ha adoperato, oltre il fatto che la vite rappresenti
Israele, il legno della vite. Il capitolo 15 del profeta Ezechiele si apre con
queste parole: Mi fu rivolta la parola del Signore: Figlio dell’uomo, che pregi
ha il legno della vite di fronte a tutti gli altri legni della foresta? Si
adopera forse quel legno per farne un oggetto? Ci si fa forse un piolo per
attaccarci qualcosa? Ecco lo si getta sul fuoco a bruciare, il fuoco ne divora
i due capi e anche il centro è bruciacchiato. Potrà essere utile per farvi un
oggetto? Anche quando era intatto non serviva a niente: ora, dopo che il fuoco
lo ha divorato, si potrà forse ricavare qualcosa.(Ez.15,1-5).
7 Se
(c’è la condizione. È interessante come noi siamo pronti a trovare le
scorciatoie. Tutti conosciamo questo detto di Gesù eliminando la condizione:
chiedete quello che volete e vi sarà dato, però, chissà perché ne ignoriamo la
parte in cui ci sono le condizioni e rimaniamo male. Abbiamo chiesto e non ci è
stato dato. Ma la prima parte del versetto cosa dice? Non so. Ora te lo dico
io.) rimanete in me, è l’adesione a Gesù, e le mie parole rimangono in voi, non
basta l’adesione, bisogna che le sue parole siano radicate nella persona. Tante
volte abbiamo detto che quello di Gesù non è un codice esterno all’uomo, al
quale l’uomo si deve riferire per sapere come comportarsi! Questo era per la
legge dell’Antico Testamento, che era un codice esterno all’uomo e l’uomo per
sapere come comportarsi, se un’azione era buona o cattiva, lo andava a
consultare. Se era permessa era buona, se era proibita era malvagia. Il
messaggio di Gesù non è un codice esterno all’uomo, è una realtà interiorizzata
dall’uomo e fa parte della sua esistenza. L’uomo per sapere come comportarsi
non deve andare a confrontarsi con le parole di Gesù, ma sono le sue parole che
sono state talmente interiorizzate, che di fronte alle situazioni o occasioni
si manifestano in forma nuova, originale e creativa. Se rimanete in me e le mie
parole rimangono in voi quel che volete chiedete e vi sarà fatto. Gesù assicura
che quanti accolgono il suo messaggio e la sua persona si identificano con lui
in un processo di crescita e di assomiglianza. Il Padre vedendo in queste
persone lo stesso profilo, comportamento del Figlio, collaborerà e l’aiuterà. È
naturale che quando uno rimane in Gesù e le sue parole rimangono in lui: quel
che volete, chiedete e vi sarà dato, non chiederà mai qualcosa di nocivo, di
negativo che faccia male agli altri.
8 In questo è glorificato
il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. La
proiezione delle ambizioni dell’uomo e delle sue frustrazioni in Dio ha fatto 7
si che per molto tempo la gloria di Dio, glorificare Dio, consistesse in opere
spettacolari, in opere grandiose. Conosciamo la scritta a maggior gloria di
Dio. Facciamo edifici sempre più spettacolari, più ricchi, più sontuosi, opere
straordinarie tutto a maggior gloria di Dio. Gesù che pure parla della gloria
del Padre dice che la gloria del Padre non si esprime attraverso opere
grandiose, lussuose o straordinarie: in questo è glorificato il Padre mio, c’è
una precisazione da parte di Gesù, non in opere chissà quali. Che portiate
molto frutto, solo nell’abbondanza del frutto, diventando poi discepoli di
Gesù, viene glorificato il Padre, viene resa visibile e manifesta la presenza e
l’attività di un Dio amore a favore degli uomini.
Rimanete nell’amore mio.
Quanti accolgono Gesù, accolgono il suo amore e lo prolungano in un servizio
verso gli altri, rimangono nel servizio, unica sfera dell’amore.
10 Se osserverete i miei
comandamenti, quando Gesù deve parlare dei comandamenti
sottolinea sempre i miei da non confondere con quelli di Mosè. Questo discorso
segue il capitolo 13, dove Gesù ha lasciato il comandamento nuovo: che vi
amiate gli uni e gli altri come io vi ho amato, così amatevi anche voi.
11 Questo vi ho detto,
perché la gioia, non una gioia qualunque, quella mia,
dell’uomo Dio, sia in voi e la vostra gioia sia piena. sentiamo quanto è
lontana la spiritualità dei vangeli da certa spiritualità triste, nefasta,
deprimente, opprimente di certa teologia che non si è alimentata dai vangeli!
Per la prima volta nel vangelo, Gesù parla di gioia e lo ha fatto dopo aver
lavato i piedi ai suoi discepoli. Sottolinea che la sua gioia, quella che lui vuole
comunicare e desidera che questa gioia raggiunga nell’uomo una pienezza
incontenibile.
12 Questo è il
comandamento quello mio, Gesù ogni volta che deve parlare di
comandamento, sottolinea che è quello suo. Perché? Al capitolo 13,34 Gesù aveva
lasciato un comandamento e l’aveva sottolineato: vi lascio un comandamento
nuovo, non un nuovo comandamento; non è che avete già quelli di Mosè e adesso
vi lascio un nuovo comandamento che va ad aggiungersi a quelli, ma vi lascio un
comandamento nuovo di una novità, di una qualità, che sostituisce tutti gli
altri. Gesù parla di comandamento per contrapporli a quelli di Mosè e alla
nuova alleanza da lui proposta. Mentre l’antica alleanza era basata
sull’obbedienza alla legge di Dio, la nuova alleanza è basata sull’accoglienza
dell’amore del Padre. Mentre nella prima alleanza il credente era colui che
obbediva a Dio osservando le sue leggi, nella nuova alleanza il credente è
colui che assomiglia al Padre, praticando un amore simile al suo.
13 Nessuno ha un amore più
grande di questo che qualcuno la sua vita (se stesso) metta per i propri amici.
L’evangelista gioca con i termini che abbiamo già visto. Per l’evangelista vita
si esprime in tre maniere:
1) bios, la vita biologica, la vita che ha un
inizio, una crescita, un declino e la fine;
2) zoe, è la vita che ha un inizio, una
crescita, ma non declina e continua per sempre. Quando arriva la fine della
parte biologica, zoe rimane e Gesù può usare espressioni paradossali chi
osserva la mia parola non morirà mai; chi vive e crede in me non morirà mai;
tutti andiamo incontro alla morte della ciccia, ma essa non scalfisce la nostra
esistenza.
3) Psyche è il termine che adoperato qui
dall’evangelista e che possiamo indicare come se stesso. È l’identità della
persona. Nessuno ha un amore più grande di questo che qualcuno se stesso (non è
il momento in cui c’è bisogno di dare la vita per l’altro, è tutta l’esistenza
orientata a favore del bene degli altri) metta per i propri amici. Non è il
momento estremo in cui uno è portato a dare la vita per gli altri, è
l’orientamento di tutta una esistenza a servizio degli altri, che può portare
al dono, come ha fatto Gesù.
14 Voi siete miei amici,
se fate ciò che io vi comando. Dopo aver parlato per
la prima volta di gioia, per la prima volta parla dei suoi discepoli come
amici. Le sue parole, per la 11 cultura dell’epoca sono incomprensibili perché
il discepolo era il servo del suo maestro. Il rapporto dei discepoli con i loro
maestri era un rapporto di sottomissione, di obbedienza. Gesù elimina tutto
questo e al capitolo 13 aveva sottolineato: io sono il maestro, io sono il
Signore; elimina ogni distanza tra sé e i discepoli. Perché questo? La
religione aveva scavato un abisso tra Dio e gli uomini e ne aveva bisogno
perché senza questo non ci sarebbe posto per lei. L’istituzione religiosa aveva
fatto credere alla gente che non poteva rivolgersi a Dio, che aveva bisogno di
un individuo particolare, l’uomo del sacro, il sacerdote; che non poteva
rivolgersi a Dio dove voleva, ma c’era bisogno di un luogo particolare, il
tempio; che non poteva farlo con le parole che venivano in mente, ma attraverso
una liturgia. L’istituzione religiosa aveva scavato un abisso tra Dio e gli
uomini. Dio era reputato lontanissimo, inavvicinabile, impossibile da
raggiungere. Gesù che è Dio (nel prologo l’evangelista ha dichiarato che in
Gesù c’è la pienezza della divinità: Dio nessuno l’ha mai visto, solo il Figlio
ne è stata la rivelazione, cap.1,18), è venuto ad eliminare la distanza che la
religione aveva scavato tra Dio e gli uomini.
15 Non vi ho mai
considerati (chiamati) servi, molti purtroppo
traducono non vi chiamo più servi, ma Gesù non ha mai chiamato i discepoli
servi. Non è che per un tempo Gesù li ha considerati servi e adesso c’è un
cambiamento di rotta. No. L’espressione adoperata dall’evangelista è un
rafforzativo: No, non vi ho mai considerati servi. Il rapporto di Gesù con i
suoi discepoli, fin dal primo istante, non è stato quello di un superiore con
dei servi, ma un rapporto di amicizia. Gesù lo dice: perché il servo non sa
quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici , la prova che la
traduzione non vi chiamo più servi è sbagliata, Gesù stesso dice: vi ho
chiamati amici. Fin dall’inizio ha avuto con i suoi seguaci, una relazione di amicizia.
perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Gesù è un
Dio a servizio degli uomini e non ha bisogno di servi, ma di amici, di
collaboratori, che condividano pienamente con lui la sua azione. Fin dal primo
momento in cui ha invitato i discepoli a seguirlo, li ha chiamati come amici.
Abbiamo la prova al capitolo 11, quando Lazzaro viene definito l’amico di Gesù.
Gesù chiede rapporto di amicizia tra lui e i discepoli.
16 Non voi avete scelto
me, ma io ho scelto voi, la scelta compiuta da Gesù è di
individui che possono lavorare con lui. È interessante: Non voi avete scelto
me, è Gesù che ha scelto i suoi discepoli e non è stata una scelta felice. Se
avessi dovuto dare dei consigli a Gesù, avrei eliminati undici dei dodici che ha
scelto, non so se ne rimaneva uno perché peggio non ne ha saputo trovare!
Perché non hai scelto, dovendo trovare dei collaboratori che ti aiutassero
nella tua azione, andando prendere qualche santo monaco in qualche monastero?
Perché non hai scelto qualcuno dei farisei, perfetti osservanti? Perché nel tuo
gruppo non c’è neanche un rabbino, persona colta e nei hai scelti dodici che…
veramente avevi gli occhi tappati! Pietro lo tradisce, Giuda lo vende al
nemico, gli altri non capiscono niente, sempre ottusi. Questo ci rasserena e
san Paolo lo dice nella prima lettera ai Corinti: Sapete perché il Signore vi
ha scelti? Perché peggio non ha saputo trovare. Se non c’è questa profonda
convinzione, non c’è l’inizio della partenza della collaborazione con Gesù, in
modo che quello che emerge si sappia che non è frutto nostro o solo nostro, ma
è frutto della potenza di Dio che emerge tra noi. Non voi avete scelto me
(l’autore della prima lettera di Giovanni dirà: Non siamo stati noi ad amare
Dio, ma è lui che ha amato noi), ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché
andiate. È un verbo di movimento. Il credente, la comunità scelta da Gesù è
stata scelta perché cammini, non perché sia immobile.
17 Questo vi comando,
affinché vi amiate gli uni gli altri. Gesù unisce strettamente
il tema del chiedere con il tema dell’amore e per la terza volta ritorna su
questo comando dell’amore. L’insistenza di Gesù su questo comando dell’amore,
fa capire che c’è una forte resistenza da parte della sua comunità. Quando nei
vangeli, Gesù deve insistere come qui, significa che trova resistenza. I
discepoli hanno capito che l’amore di Gesù consiste nel servire gli altri.
18 Se il mondo vi odia
sappiate che prima di voi ha odiato me. L’odio è la conseguenza
di un amore che si fa servizio, - esercitato verso gli altri - che si offre
come un’alternativa alla società basata sull’interesse, sull’odio, sul
predominio, sistema di potere che regge la società. Per il mondo non si intende
il creato, per mondo si intende il sistema di potere che regge la società.
19 Se foste del mondo,
(in passato c’è stata confusione su questo invito di Gesù e molti hanno pensato
di dover abbandonare il mondo, di creare delle isole felici), non significa che
noi non siamo nel mondo; il credente è nel mondo, ma non è del mondo. L’invito
di Gesù non è come purtroppo è stato inteso in passato: separiamoci dalla
società che è perversa, depravata e andiamo a creare delle cittadelle angeliche
di santità, di bontà. Non è questo. L’invito di Gesù è di non essere del mondo,
di non accettare quei valori che reggono la società, basati sui tre verbi
maledetti dell’avere, salire e comandare. Gesù è venuto a creare una società
differente dove al posto dell’avere ci sia il condividere e al posto del
comandare ci sia il servizio.
20 Ricordate la parola
che ho detto a voi: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno
perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola
osserveranno anche la vostra. Gesù richiama il
proverbio popolare, un detto che aveva già espresso dopo aver lavato i piedi ai
discepoli: un servo non è più grande del suo padrone, 13,16, collegando
strettamente la persecuzione al servizio da lui reso con la lavanda dei piedi.
In una società dove tutti tendono ad arrivare e a sopraffare gli altri, il
servizio liberamente, volontariamente espresso, viene visto come un atto di
accusa nei suoi confronti e per questo non scatena la riflessione, ma la
persecuzione. La persecuzione è compresa nel programma del discepolo. Non c’è
da meravigliarsi quando si scatena la persecuzione, c’è 15 da preoccuparsi
quando non c’è perché significa che sono stati accettati i valori ingiusti del
sistema. Se si è fedeli a Gesù, al suo messaggio, la persecuzione nelle sue varie
forme, larvata o evidente, aperta o mascherata, è sempre presente all’ombra.
Gesù dice: se hanno perseguitato me. Perché lo hanno perseguitato e dove in
questo vangelo incomincia la persecuzione a Gesù? Nel quinto capitolo con
l’episodio dell’invalido nella piscina.
21 Ma tutto questo vi
faranno a causa del mio nome, avendo aderito a me al mio messaggio, perché non
conoscono colui che mi ha mandato. Ciò che dice è
tremendo: Attenti a questi sommi sacerdoti, a questi scribi, a questa casta
sacerdotale che si veste in modo particolare per fare vedere di avere un
rapporto privilegiato con il Signore, che porta stemmi, distintivi, ed ha tanti
titoli per fare vedere la propria particolare appartenenza al Signore, perché
non conoscono Dio. Quando vi dicono qualcosa in nome di Dio, siccome non lo
conoscono, non è vero che parlano in suo nome, vi parlano in nome del loro
interesse. Tante volte abbiamo detto, che non sorprende che Gesù sia stato
ammazzato, sorprende che sia riuscito a campare così tanto. Uno che dice queste
cose è da eliminare subito! Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome,
perché non conoscono colui che mi ha mandato.
22 Se non fossi venuto e
non avessi parlato loro, Gesù ha parlato più volte ai capi e
ogni volta è stato uno scontro. Ha parlato nel Tempio; ha parlato in occasione
della guarigione dell’invalido nella piscina; nella festa delle capanne; ha
parlato loro quando si è proclamato pastore; ha parlato loro nella festa della
dedicazione.
23 Chi odia me, odia
anche il Padre mio. La persecuzione che si scatena contro
Gesù e i suoi discepoli è una persecuzione religiosa che avviene per difendere
l’immagine di Dio. Quale Dio? Gesù afferma che ciò avviene perché questi non
conoscono il Padre, ma in nome di che Dio si scatena la persecuzione? L’odio
diretto a Gesù è in realtà un odio diretto al vero Dio, che è nemico del
progetto di dominio da parte delle autorità religiose. Non è pensabile di
potere amare Dio e allo stesso tempo perseguitare Gesù. Abbiamo un caso
clamoroso proprio nel Nuovo Testamento, il caso di Saulo. Saulo (Paolo) era un
fariseo, osservante integrale, tradizionalista e osservava tutti i precetti. Quando
ha saputo che c’era l’eresia, la pazzia, la novità portata da Gesù da Nazareth,
animato dallo zelo per Dio, indubbiamente era un buono, ma era uno zelante, un
devoto, si è messo a perseguitare i seguaci di questa nuova dottrina.
24 Se non avessi fatto in
mezzo a loro le opere che nessun altro mai ha fatto,
perché mai nessuno aveva liberato il popolo dalla legge che era stata imposta e
che gravava su di esso; mai nessuno aveva liberato il popolo dalla legge, che
si credeva proveniente da Dio; non avrebbero alcun peccato; ma ora le hanno
viste, non si tratta di insegnamento, non hanno creduto a quello che ho detto,
ma hanno visto le opere frutto dell’insegnamento e hanno odiato me e il Padre.
Gesù non si richiama più soltanto all’insegnamento, alla dottrina, ma all’amore
e alla dimostrazione pratica di questo amore, cioè alle opere che i dirigenti
hanno visto. Sono proprio le opere, tutte di liberazione dell’uomo, che sono
inaccettabili per le autorità religiose. Il crimine compiuto da Gesù è aver
reso le persone mature, mentre la religione mantiene gli individui in una
condizione infantile. La religione non fa crescere le persone, si è sempre come
bambini che hanno bisogno di un padre, a volte di un santo padre che dica cosa
fare, come fare e quando fare. La persona non è mai matura: posso fare questo?
È peccato fare quest’altro?… L’autorità gongola di questo, dice quello che si
deve fare invadendo gli spazi della vita dell’individuo.
25 Questo perché si
adempisse la parola scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza motivo.
Gesù non è mosso dalla legge, ma dall’amore. Quando deve parlare della legge,
legge di Mosè, che è espressione di Dio per tutto il popolo di Israele e Gesù è
un 19 ebreo, dice: Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro
Legge, doveva dire nella nostra legge, ma prende le distanze; è nella loro
legge, non è la legge di Gesù. Gesù non ha niente a che fare con questa legge,
perché denuncia come una grande mistificazione quel complesso di libri chiamato
la Legge di Dio. È la loro legge, creata per i loro interessi.
26 Quando verrà il Protettore il soccorritore. L’attività dello Spirito è di soccorrere e Gesù ci ha parlato di gioia perché nella sua comunità c’è lo Spirito, Paraclitos che non è il 20 cognome dello Spirito, ma è l’attività, è l’aiuto, è colui che soccorre, ma non viene in situazioni di emergenza, le precede ed ecco la gioia. che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità, l’amore è la verità, è l’amore che determina quello che è vero o che è falso che procede dal Padre egli testimonierà di me; L’azione dello Spirito che sarà a favore di Gesù, a favore degli oppressi, renderà chiaro da che parte sta Dio, da che parte sta il Padre e capiterà, lo vedremo nei prossimi capitoli, che gli accusatori si troveranno ad essere i veri accusati, i giudici i colpevoli e la verità dello Spirito di verità sarà rivelata a tutti. 27 e anche voi mi testimonierete perché siete stati con me fin dal principio. Stare con Gesù fin dal principio non è una indicazione cronologica, altrimenti potevano stare con lui soltanto i primi quattro discepoli, ma è un’indicazione qualitativa e indica l’accoglienza di tutto Gesù, non solo quello glorioso, il Cristo risuscitato, ma anche il Cristo perseguitato in tutta la sua vita. Pertanto significa situarsi con lui e come lui dalla parte dei deboli, mai dalla parte dei prepotenti. Sempre con chi viene emarginato e mai da chi emargina, sempre con chi viene escluso, mai da chi esclude anche se chi esclude lo fa in nome di Dio. Se si esclude una persona in nome di Dio, Dio sta dalla parte dell’escluso non dalla parte di chi esclude. La comunità dei credenti è invitata a situarsi dalla parte di Gesù, dalla parte degli ultimi.
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