DOMENICA XIX/B
Paolo
Cugini
In queste domeniche estive stiamo meditando il
capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, che ci propone una riflessione sul mistero
dell’eucarestia, il suo significato più profondo. È un testo complesso, di non
facile intendimento, che richiede attenzione, disponibilità al cambiamento,
alla messa in discussione. È un testo che ci dice chiaramente che Gesù, la sua
parola e la sua azione non possiamo leggerla e comprenderla semplicemente con
uno sguardo orizzontale, umano: c’è qualcosa di più, di qualitativamente molto
diverso.
Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non
conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?
È
questo il problema: pensare che Gesù sia qualcosa che possiamo valutare
solamente dal punto di vista umano. E così, dinanzi alla novità del suo
messaggio, dei suoi gesti, del suo stile, lo schiacciamo immediatamente verso
ciò che conosciamo e riduciamo la novità al già dato, al già conosciuto. Sono
le strutture culturali assimilate nel tempo, formatesi e consolidatesi dalla
forza istintuale che plasma la realtà e la stessa coscienza, al punto da non
accettare nulla che la possa mettere in discussione, perché avverte la
minaccia. La proposta di Gesù di una comunità di discepoli e discepole uguale,
il suo modo di proporre la condivisione dei beni, la priorità della vita
spirituale sulla vita materiale: tutto proposte considerate come minaccia per
le stesse strutture religiose dominati.
Nessuno può venire a me,
se non lo attira il Padre che mi ha mandato
Dinanzi
alle obiezioni dei Giudei Gesù pone questa affermazione strabiliante. L’incontro
con Lui, la comprensione del suo Mistero, non è il mero frutto di ricerche
personali, di fioretti, digiuni, di artifizi meritocratici, ma si tratta di un
dono gratuito del Padre. Siamo, dunque, fuori da una mera ricerca individuale,
di una proiezione antropomorfica: c’è qualcosa di più, che va oltre le
speculazioni razionali, gli sforzi morali. C’è questo primo livello da
accettare per proseguire il discorso, per immergersi nel mistero del Figlio che
si offre come alimento per la nostra vita. Ciò significa che non è possibile
capirlo con logiche umane, ma si tratta di affidarsi, di lasciarsi attrarre.
Sta scritto nei profeti:
“E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato
da lui, viene a me.
C’è
una bellissima indicazione sul cammino da compiere. Come arrivare a Gesù? In
che modo essere attratti dal Padre per essere condotti a Lui? La risposta di
Gesù è chiarissima: ascoltando il Padre che ha parlato ai profeti. Il Padre che
parla nei profeti, che parla nella creazione, che parla ogni volta che nella
storia si realizza un’esperienza di amore, di uguaglianza, di accoglienza e
così ci sentiremo attratti verso Gesù.
chi
crede ha la vita eterna
Fiducia in Gesù, nella sua parola, nella su proposta
significa lasciarsi plasmare da Lui, dalla sua parola, che trasforma la nostra
esistenza in amore, che ci aiuta a costruire pace là dove ci sono situazioni di
odio; che ci aiuta ad entrare nel mondo di lupi come pecore; che ci aiuta a
conquistare il mondo non con l’arroganza, ma con la mitezza. Questa è la vita
eterna: la partecipazione degli stessi sentimenti, dello stesso stile che ha
caratterizzato la vita di Gesù, che è passato da questo mondo di morte al mondo
di vita del Padre.
Io sono il pane vivo,
disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che
io darò è la mia carne per la vita del mondo
Gesù
si offre come alimento per ricordarci che abbiamo bisogno di una relazione
quotidiana e costante con Lui se volgiamo vivere degnamente, facendo brillare l’immagine
di Dio che portiamo. Mangiare il pane che è Lui significa masticare ogni giorno
la sua parola, affinché diventi mentalità nuova, capace di influenzare i nostri
pensieri, le nostre scelte. Abbiamo bisogno come l’aria di quel pane che è Gesù
quando ci accorgiamo del vuoto che abbiamo dentro e che si è formato per i cibi
scandenti che mangiamo, quegli alimenti di cui ci riempiamo la testa, ma che ce
la fanno svuotare di senso e di significato autentico. Vivere in eterno
significa che le scelte che metteremo nella nostra vita come conseguenza del
pane del cielo che mangeremo quotidianamente, che assimileremo, non moriranno
mai.
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