sabato 2 gennaio 2021

LA SAPIENZA DI DIO CI CHIAMA ALLA SPERANZA

 


DOMENICA 3 GENNAIO 2021

Paolo Cugini

 

La seconda domenica dopo il Natale propone alla nostra riflessione il tema della sapienza di Dio. Una sapienza che ha donato all’umanità il suo Figlio Gesù. Questo è il grande mistero che necessita, appunto, di una sapienza che venga dall’alto, perché con i soli mezzi umani è difficile capire come Dio possa entrare nella storia umana, in un corpo umano. Per questo motivo, sin dall’inizio, sono sorti gruppi che rifiutavano questo messaggio considerato assurdo.

È curiosa l’insistenza del tema della sapienza per un discorso di tipo religioso che, a primo acchito, sembra richiamare invece, il sentimento, l’entusiasmo. Senza dubbio, l’esperienza religiosa coinvolge tutte le dimensioni della persona, compreso, dunque, il sentimento. Curioso, a mio avviso, è l’insistenza della sapienza come specifico dell’esperienza cristiana. Non si tratta, infatti, appena di credere, ma di capire ciò in cui si crede, perché più capiamo ciò in cui crediamo, più lo amiamo. L’amore, per certi aspetti, esige la conoscenza dell’amato.

[La sapienza] ha posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore è la mia eredità,
nell'assemblea dei santi ho preso dimora
(Sir 24,16)

Nella prima lettura Ben Sira, l’autore del libro del Siracide vissuto nel primo secolo prima di Cristo, scrive di una sapienza personificata in un personaggio misterioso, che però anticipa alcuni aspetti che saranno presenti nel Figlio di Dio, che ha posto la sua dimora in mezzo agli uomini e alle donne. Chi cerca la verità, chi aspira alla conoscenza di Dio, intuisce il cammino del Signore, la sua presenza nella storia.

Sottolineare il discorso della sapienza ha un primo risvolto significativo, vale a dire, che nulla è a caso, ma tutto è avvolto dalla sapienza di Dio incarnata in Gesù, che viene a noi attraverso lo Spirito. Come dice san Paolo: “tutto è stato fatto per mezzo di Lui (Gesù Cristo) e in vista di Lui” (Col 1,16), vale a dire che tutto parla di Lui, dice di Lui. L’attenzione alla realtà, la riflessione su ciò che viviamo produce una conoscenza che ci conduce a Lui. La verità del fatto che Dio è amore è che pensa alle sue creature. Ciò vale anche per noi. Dio ci ama pensandoci: Dio ci pensa. Lo spiega bene san Paolo nella seconda lettura:

In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (Ef 1,4).



Dio ci ha pensati sin dall’inizio: è questo il mistero in cui siamo avvolti, in cui è avvolta la nostra vita. Non siamo nati a caso, ma siamo stati pensati sin dall’inizio e continuiamo ad essere pensati, in quanto amati. Il pensiero non è mai fine a se stesso, ma dice sempre di una direzione, di una finalità. Paolo ci rivela il progetto del pensiero del Padre su di noi: “per essere santi e immacolati”. La santità è una parola che significa: separato. I cristiani che rispondono all’appello del Padre, che li chiama a vivere conforme al Figlio Gesù, che ha realizzato alla perfezione il progetto di una vita personale vissuta nell’amore, sono chiamati a vivere nell’amore del Padre, che ci separa dalla realtà – il mondo – che si costruisce sull’egoismo. Per questo motivo i cristiani diventano immacolati, val a dire, incontaminati, purificati e, quindi, hanno la possibilità di relazionarsi con Dio, di accedere a Lui.

 “Affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi (Ef 1, 17-18).

Per tutto quello che è stato detto, secondo san Paolo la sapienza che il cristiano assimila seguendo il cammino tracciato da Gesù, non può che produrre una vita di speranza. È questa un’idea centrale del pensiero di Paolo: il cristiano non può essere una persona triste, pessimista, perché è avvolta totalmente dall’amore di Dio che si è manifestato in Gesù e che è riversato nei nostri cuori per mezzo del suo Spirito, che ci conduce in un’esistenza che si realizza nell’amore (cfr. Rom 5,5). “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti” (Fil 4,2).



Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato
(Gv 1, 16-18).

Nel Vangelo di oggi, Giovanni ci aiuta a compiere un passo ulteriore nella conoscenza del mistero di Dio. Se, infatti, è vero che la Legge viene da Mosè, è altrettanto vero che l’amore di Dio viene da Gesù. Non solo l’amore, ma anche la verità, che è Gesù. Ciò significa che d’ora innanzi, si passa da una concezione statica di verità – quella scritta sulla pietra, valida una volta per tutte – ad una concezione dinamica e storica, che richiede un costante atteggiamento di disponibilità al cambiamento, alla novità. La verità di Gesù si fa carne in ogni cultura e, questo aspetto, richiede la distanza di ogni tentativo di massificazione e la disponibilità ad ascoltare le culture in cui si vive. Il Figlio unigenito, che è Dio, ci rivela il volto di Dio esattamente nel contesto storico e culturale in cui viviamo e ciò esige molto attenzione, molta elasticità al cambiamento e, soprattutto, un grande desiderio di conoscere.


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