DOMENICA
VII/A
Paolo
Cugini
Continua
la lettura del discorso della Montagna, la proposta programmatica di Gesù per i
suoi discepoli e discepole. È una proposta, per certi versi, shoccante, perché ribalta
i criteri di comportamento, il modo d’intendere la relazione con le persone.
Sono esigenze nuove quelle proposte da Gesù, che richiedono una disponibilità
al cambiamento, al mettersi in discussione. Come dirà lo stesso Gesù: vino
nuovo in otri nuovi (Mc 2,22). Continuiamo, allora, a lasciarci provocare
dalle sue parole, nella speranza che la provocazione generi nuovi cammini di
conversione.
“Avete
inteso che fu detto… Ma io vi dico”. Gesù è l’interprete della legge, delle
parole antiche che sono state trasformate dall’uomo per renderle più
sopportabili. Quello che facevano passare come legge, parola di Dio, in realtà
non si trattava altro che di tradizioni umane. Per questo Gesù sente l’esigenza
di reinterpretarle, per dare a questa legge di Dio il vero significato. Questo esercizio
d’interpretazione di Gesù apre le porte per una prospettiva interpretativa
che ogni persona ed ogni comunità deve compiere. La parola di Dio esige di essere
interpretata, attualizzata, verificata, per non correre il rischio di obbedire
a dettami umani, più che a qualcosa che viene dall’alto. Ogni trasformazione
umana è un’operazione al ribasso, dettata dall’egoismo, per questo il cammino
esige la verifica costante di una parola che tende fossilizzarsi ed essere
modificata. Il criterio di questa verifica è il Padre: siate santi come il
Padre vostro è santo. Che cosa significa e come si attua concretamente? Se è
vero che ci sono pochissime definizioni sul Padre nella Bibbia, è a queste che
si deve costantemente tornare. Vale a dire, Se Dio è amore, misericordia e se,
come ci ricorda l’apostolo Giovanni nelle sue lettere, Dio è amore, allora ogni
legge che incontriamo, ogni affermazione della Chiesa e del Magistero
dev’essere verificato su questo punto: esprime amore? Esprime misericordia? Se
la risposta è positiva, allora si può proseguire. Al contrario, se prevale
nella legge l’esigenza di una giustizia umana impastata spesso e volentieri di
rancori, tornaconti personale, allora è meglio lasciare perdere e verificare
immediatamente il peso delle parole pronunciate.
Il
Vangelo è una prospettiva nuova: per questo il metro di misura non può
essere che il Padre. Pensare alla relazione che ho con le persone a partire
dalla misericordia del Padre. Da questo sguardo si sviluppano prospettive nuove
che sovvertono le logiche del vissuto quotidiano nel mondo. E così, dalla
logica del merito si passa a quella del dono. Il Vangelo è una proposta
esagerata, che non fa calcoli, come è l’amore vero, quello che viene da Dio e
che si è manifestato in Gesù Cristo, il quale, se avesse fatto dei calcoli
umani, non si sarebbe di certo lasciato crocefiggere.
Avete inteso che fu
detto: "Occhio per occhio e dente per dente". Ma io vi dico di non
opporvi al malvagio. È una bellissima indicazione spirituale che ha un valore esistenziale
e che, allo stesso tempo, rivela un contenuto diverso da quello che emanano gli
istinti. Se, infatti, l’istinto di sopravvivenza risponde in modo immediato al
male ricevuto con un altro male, non così i cristiani che sono mossi non dagli
istinti, ma dallo Spirito del Signore, che è lo Spirito dell’amore. Al male non
si risponde con dell’altro male perché rispondendo si permette al male di
entrare nella propria anima e devastarla. Si può distruggere il male solamente
rispondendo con il bene: è questa la logica sbalorditiva del Vangelo. Questa profonda
idea ha trovato eco nella comunità primitiva. La troviamo infatti sia nelle
lettere di Petro (1 Pt 3,9) he in Paolo (Rom 12,17; 1 Ts 5,17). Certamente, non
si tratta di un atteggiamento semplice da mettere in atto: richiede l’assimilazione
dello Spirito del Vangelo. Ha, dunque, ragione Paolo quando invita i membri
della comunità di Roma a non lasciarsi vincere dal male, ma a vincere il male
con il bene (Cfr. Rom 12,21). Il modo per disinnescare il male nel mondo
consiste nel rispondergli con il bene. Arrivare a questo punto del cammino
cristiano significa imparare a fare spazio allo Spirito del Signore, a
discernere ogni azione con ciò che ispira il Vangelo.
Avete inteso che fu
detto: "Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico". Ma io vi
dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. Altro versetto
sbalorditivo che va nella direzione opposto del sentire comune. Perché queste
parole, questa indicazione così dura e radicale da sembrare impossibile da compiere?
Come si fa ad amare i nemici? È il segno della differenza della vita del cristiano,
del discepolo, della discepola del Signore: un amore che arrivo sino al punto
di amare i nemici. Senza dubbio si tratta di un cammino da percorrere, che
esige lo svuotamento di sé, il non essere attaccato a nulla, nemmeno alla
propria immagine. Amare i nemici e pregare per loro è il frutto di cammino di
liberazione da ogni tentativo di difendere il proprio egoismo, le proprie
strutture istintive. Arrivare ad amare i nemici significa aver appreso quella
lezione che Paolo indica alla sua comunità di Roma: “nessuno di noi vive per
se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il
Signore” (Rom 14, 7-8). Sono parole che ci stimolano a vivere puntando in
alto, aspirando ad uno stile di vita che ha il sapore del Vangelo. Per questo
Gesù ci invita oggi ad essere perfetti come è perfetto il Padre vostro
celeste. Il cammino della santità è l’amore senza condizioni. Cammino
arduo, ma possibile con il suo aiuto. Per Gesù, infatti, non si tratta solamente
di parole. Sul legno della croce ha perdonato coloro che lo stavano uccidendo,
cioè i suoi nemici. Ha pregato per loro, come aveva insegnato durante la vita.
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