lunedì 6 febbraio 2023

XX DOMENICA ANNO B

 



Pr 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58

 

 

È la quarta di cinque domeniche che la liturgia dell’anno B dedica al capitolo sei del Vangelo di Giovanni, che è una profonda catechesi sul tema dell’eucarestia. Continuiamo, allora, a seguire le indicazioni di questo Vangelo per tentare di comprendere meglio il mistero eucaristico.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo (Gv 6,51).

È importante sottolineare che Gesù non consegna ai suoi discepoli l’anima, ma il corpo e il sangue. Il brano di oggi parla di carne: molto forte. È una scelta chiara di Gesù, l’ha pensata attentamente, non è stata una svista, un equivoco. Fa scalpore, soprattutto, nel contesto culturale dell’epoca, dominato dalla filosofia di stampo platonico, che alimentava una visione antropologica di tipo dualista. Platone sosteneva che il corpo è la prigione dell’anima e il cammino del filosofo consiste in un percorso di liberazione dell’anima. Per questo, Socrate non si ribella alla condanna a morte che gli era stata inflitta, per dare un esempio ai suoi discepoli, l’esempio di una vita che cercava con la riflessione e lo studio di liberare l’anima dal peso insopportabile del corpo. Questa sottolineatura rende ancora più eclatante e rivoluzionaria la proposta di Gesù. In un clima culturale che evidenziava fortemente la dimensione invisibile della persona, la sua anima, Gesù, al contrario, sottolinea la visibilità, la corporeità. Ancora una volta, sin nelle parole finali dell’ultima cena, Gesù manifesta la grande novità del cristianesimo, vale a dire che in Lui, nella persona e nel corpo di Gesù, Dio si è fatto visibile e il suo corpo rivela i tratti del Mistero. Il principio dell’incarnazione del verbo accompagna tutta l’esistenza di Gesù dall’inizio alla fine.

Nel linguaggio biblico, dunque, corpo indica la persona in quanto vive la sua vita in un corpo, che è la condizione normale dell’uomo e della donna. Corpo indica, quindi, tutta la vita. Dicendo: “io darò è la mia carne per la vita del mondo”, Gesù non ci ha donato delle fibre, delle ossa, ma ci ha donato tutta la sua vita, con le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze, le lotte e le umiliazioni: tutto se stesso. Ci ha donato anche il suo sangue, che è senza dubbio un simbolo di vita, ma che nella prospettiva aperta dalla riflessione che stiamo svolgendo, è anche il simbolo della sua morte. Non va dimenticato, infatti, che le parole che Gesù ha pronunciato nell’ultima cena, costituiscono non solamente un dono per i suoi amici e amiche, ma anche e, forse soprattutto, una profezia, la profezia della sua morte. L’eucarestia diviene, dunque, il simbolo della vita di Gesù, che Egli stesso consegna ai suoi, perché questa sua vita, che è un corpo spezzato e un sangue versato per tutti e tutte - la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda -, diventi il punto di partenza della vita nuova in Cristo, il punto di partenza della comunità dei discepoli e delle discepole del Signore.  

C’è un’altra riflessione che possiamo fare a questo punto del discorso. In sintesi, si potrebbe dire: Gesù ha comunicato la divinità di Dio, attraverso la mediazione del suo corpo. Tutta la divinità di Dio si trova nel corpo di Gesù e tutto quello che con il corpo Gesù ha espresso.  Consegnandoci il suo corpo e il suo sangue, Gesù ci ha consegnato anche lo spazio in cui sono maturate le sue scelte. Cosa c’è in quel piccolo pezzo di pane divenuto corpo di Cristo? C’è tutto Gesù, le sue scelte, il suo modo di essere, di vivere, il suo modo di pensare che veniva comunicato proprio attraverso il suo corpo. In quel frammento che è l’ostia consacrata, c’è lo Spirito del Signore che ci aiuta a vivere come Lui, a creare relazioni nuove non più basate sull’istinto di sopravvivenza, che provoca invidie e tensioni, ma sul dono gratuito di sé, che genera amore, disponibilità al servizio.

Se proviamo ad estendere questa intuizione alle situazioni della nostra esistenza, potremmo cogliere qualche insegnamento utile per la nostra vita, non solo per il nostro cammino di fede. Spesso, confrontandoci con le immagini che presenta il mondo, viviamo situazioni di frustrazione e angoscia. Ci sentiamo, infatti, inadeguati perché non partecipiamo allo sfarzo, non viviamo in una grande città e ci sentiamo isolati dal mondo. Eppure, se pensiamo a Gesù, constatiamo che i suoi numeri, le sue dimensioni, sono molto simili alle nostre. È nato in quel frammento del mondo chiamato Betlemme, alla periferia di Gerusalemme e non nella città. Ha iniziato a predicare e ad annunciare il Regno di Dio non nella grande città, ma in quel frammento di terra che era Cafarnao. Al suo seguito non c’erano i signori, i re, i potenti del tempo, ma il frammento dell’umanità esclusa, i poveri, gli indigenti. Il messaggio che arriva da queste considerazioni è molto chiaro: la grandezza della nostra vita non dipende da un discorso di quantità, ma di qualità. C’è una dignità umana che non dipende dalla quantità che accumuliamo, ma dalla dignità di essere figli e figlie di Dio. Avvicinarci al corpo di Cristo, a questo frammento misterioso e assimilarlo significa riscoprire la gioia di essere amati dal Signore. Capire questa grandezza è uno dei doni più belli della vita, che ci conduce continuamente ad abitare con gioia i frammenti esistenziali, nella consapevolezza che è proprio in questi frammenti che il Signore ha nascosto la sua grandezza.

 

 

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