Ml
1,14-2,2b.8-10; Sal 130; 1 Ts 2,7-9.13; Mt 23,1-12
Paolo
Cugini
Finalmente,
dopo più di un mese in cui abbiamo ascoltato nei vangeli, proposti dalla
liturgia la estenuante polemica tra Gesù e i capi religiosi del popolo d’Israele,
oggi giungiamo al termine. A differenza dei brani letti in questo periodo, in
cui era Gesù stesso a prendere la parola o i capi del popolo, oggi Gesù si
rivolge direttamente agli apostoli e al popolo. L’ultima volta che Gesù si era
rivolto a questi due gruppi di persone era stato nel discorso della montagna.
Il richiamo non è casuale. Indica, infatti, un’avvertenza, vale a dire, chi
desidera vivere la pagina delle beatitudini deve guardarsi dall’insegnamento
dei capi religiosi, perché “dicono, ma non fanno”. L’attacco di Gesù nei
confronti di farisei e sadducei ora diviene frontale, senza sotterfugi. Non
siamo, dunque, più nell’ambito della schermagli dialettica, ma nell’accusa
esplicita e senza ritorno. Il capitolo 23 di Matteo, del quale il vangelo di
oggi presenta solamente i primi versetti, è la pagina più dura e verbalmente
più violenta di tutto il Vangelo. Gesù non si nasconde più dietro le parole e
le argomentazioni, ma smaschera senza ritegno coloro che ritiene i principali
responsabili della confusione, che regna in un popolo che ha perso il senso del
proprio cammino.
Sulla
cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate
tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono
e non fanno. Chi sono i capi religiosi del popolo? Sono
coloro che si sono seduti indebitamente sulla cattedra di Mosè. Era stato
proprio lui, infatti a dire che: Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in
mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto (Dt
18,15). Ebbene i farisei, gli scribi e i sadducei si sono seduti dove non
dovevano, hanno identificato la loro presenza e il loro insegnamento sulla scia
della grande guida di Israele, ma loro non lo rappresentano. Dal punto di vista
storico, c’è stato un processo di usurpazione che ha avuto come conseguenza la
sostituzione della Parola di Dio con le leggi umane di questa gente interessata
al potere. Non ne poteva venire, come conseguenza, che un cammino di
ingiustizia. È questa, infatti, l’accusa che il profeta Malachia, ascoltato
nella prima lettura, rivolge proprio ai capi religiosi: non avete seguito le
mie vie e avete usato parzialità nel vostro insegnamento (Ml 2,9). C’è un
cammino di giustizia e di uguaglianza preparato dal Padre per il suo popolo,
cammino realizzato con la guida di Mosè e dei profeti di Israele, ma che si è
perso negli anni a causa degli attuali capi religiosi.
Legano
infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della
gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere
le fanno per essere ammirati dalla gente. Gli insegnamenti
dei farisei e dei sadducei sono come parole al vento, perché non trovano un
riscontro concreto nel loro modo di vivere. Al contrario, quello che questi
capi religiosi esigono dal popolo, loro non lo fanno. E così, mentre abbiamo da
una parte un popolo sempre più schiacciato dal peso di una legge fatta di norme
e decreti insopportabili e impraticabili, dall’altra ci sono i capi religiosi,
che sfruttano la situazione a fini personali. In queste parole di Gesù c’è un’indicazione
spirituale molto importante, sulla quale vale la pena soffermarsi. Vale quella
parola che è vissuta in prima persona, esattamente come ha fatto Gesù: quello
che diceva era visibile nelle sue scelte, nelle sue azioni. Possiamo insegnare
quello che viviamo, altrimenti diventiamo dei ciarlatani come i capi religiosi
di Israele. Ci alimentiamo della Parola del Signore per uscire dalle paludi
torbide dell’ipocrisia, da quel modo di stare al mondo che cela la ricerca sfrenata
del proprio interesse, che manifesta una vita in cui le relazioni umane sono
falsate da scopi meschini e la vita diventa torbida, insipida, incapace di
trasmettere contenuti che abbiamo un significato positivo.
Chi
tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato
e chi si umilierà sarà esaltato. È il messaggio finale del
brano di oggi e, in un certo senso, la conclusione della lunga polemica tra
Gesù e i capi religiosi che ci ha accompagnato nelle domeniche degli ultimi due
mesi. Coloro che impostano la vita alla ricerca dei propri interessi, vogliono
raggiungere la gloria del mondo. Per raggiungere questo scopo diventano disposti
a tutto, persino di servirsi della religione, della parola di Dio. È come un
tunnel in cui si entra, ma non si sa bene dove andrà a finire. La conseguenza
di questo percorso è la perdita del senso della giustizia, la deformazione dell’immagine
di Dio che portiamo dentro, in altre parole, la dispersione totale di sé. Al
contrario, chi cerca il Signore e la sua giustizia, chi si sforza ogni giorno
di vivere il Vangelo ascoltato alla mattina, entra in quel cammino in cui non
si cerca più la gloria del mondo, ma quella di Dio, il suo volto, il suo amore.
Si diventa, allora, come il granello di senape o come il lievito nella massa,
non più preoccupati di apparire, ma di trasmettere vita, di lavorare per creare
relazioni nuove, basate sull’uguaglianza, sull’attenzione all’altro, il
rispetto. È tutto un altro cammino, un altro modo di stare al mondo, che non
provoca attenzione per la sua estetica materiale, ma per lo stile di vita che
realizza.