martedì 31 ottobre 2023

XXXI DOMENICA TEMPO COMUNE A

 





Ml 1,14-2,2b.8-10; Sal 130; 1 Ts 2,7-9.13; Mt 23,1-12

 

Paolo Cugini

 

Finalmente, dopo più di un mese in cui abbiamo ascoltato nei vangeli, proposti dalla liturgia la estenuante polemica tra Gesù e i capi religiosi del popolo d’Israele, oggi giungiamo al termine. A differenza dei brani letti in questo periodo, in cui era Gesù stesso a prendere la parola o i capi del popolo, oggi Gesù si rivolge direttamente agli apostoli e al popolo. L’ultima volta che Gesù si era rivolto a questi due gruppi di persone era stato nel discorso della montagna. Il richiamo non è casuale. Indica, infatti, un’avvertenza, vale a dire, chi desidera vivere la pagina delle beatitudini deve guardarsi dall’insegnamento dei capi religiosi, perché “dicono, ma non fanno”. L’attacco di Gesù nei confronti di farisei e sadducei ora diviene frontale, senza sotterfugi. Non siamo, dunque, più nell’ambito della schermagli dialettica, ma nell’accusa esplicita e senza ritorno. Il capitolo 23 di Matteo, del quale il vangelo di oggi presenta solamente i primi versetti, è la pagina più dura e verbalmente più violenta di tutto il Vangelo. Gesù non si nasconde più dietro le parole e le argomentazioni, ma smaschera senza ritegno coloro che ritiene i principali responsabili della confusione, che regna in un popolo che ha perso il senso del proprio cammino.

Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Chi sono i capi religiosi del popolo? Sono coloro che si sono seduti indebitamente sulla cattedra di Mosè. Era stato proprio lui, infatti a dire che: Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto (Dt 18,15). Ebbene i farisei, gli scribi e i sadducei si sono seduti dove non dovevano, hanno identificato la loro presenza e il loro insegnamento sulla scia della grande guida di Israele, ma loro non lo rappresentano. Dal punto di vista storico, c’è stato un processo di usurpazione che ha avuto come conseguenza la sostituzione della Parola di Dio con le leggi umane di questa gente interessata al potere. Non ne poteva venire, come conseguenza, che un cammino di ingiustizia. È questa, infatti, l’accusa che il profeta Malachia, ascoltato nella prima lettura, rivolge proprio ai capi religiosi: non avete seguito le mie vie e avete usato parzialità nel vostro insegnamento (Ml 2,9). C’è un cammino di giustizia e di uguaglianza preparato dal Padre per il suo popolo, cammino realizzato con la guida di Mosè e dei profeti di Israele, ma che si è perso negli anni a causa degli attuali capi religiosi.

Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente. Gli insegnamenti dei farisei e dei sadducei sono come parole al vento, perché non trovano un riscontro concreto nel loro modo di vivere. Al contrario, quello che questi capi religiosi esigono dal popolo, loro non lo fanno. E così, mentre abbiamo da una parte un popolo sempre più schiacciato dal peso di una legge fatta di norme e decreti insopportabili e impraticabili, dall’altra ci sono i capi religiosi, che sfruttano la situazione a fini personali. In queste parole di Gesù c’è un’indicazione spirituale molto importante, sulla quale vale la pena soffermarsi. Vale quella parola che è vissuta in prima persona, esattamente come ha fatto Gesù: quello che diceva era visibile nelle sue scelte, nelle sue azioni. Possiamo insegnare quello che viviamo, altrimenti diventiamo dei ciarlatani come i capi religiosi di Israele. Ci alimentiamo della Parola del Signore per uscire dalle paludi torbide dell’ipocrisia, da quel modo di stare al mondo che cela la ricerca sfrenata del proprio interesse, che manifesta una vita in cui le relazioni umane sono falsate da scopi meschini e la vita diventa torbida, insipida, incapace di trasmettere contenuti che abbiamo un significato positivo.

Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato. È il messaggio finale del brano di oggi e, in un certo senso, la conclusione della lunga polemica tra Gesù e i capi religiosi che ci ha accompagnato nelle domeniche degli ultimi due mesi. Coloro che impostano la vita alla ricerca dei propri interessi, vogliono raggiungere la gloria del mondo. Per raggiungere questo scopo diventano disposti a tutto, persino di servirsi della religione, della parola di Dio. È come un tunnel in cui si entra, ma non si sa bene dove andrà a finire. La conseguenza di questo percorso è la perdita del senso della giustizia, la deformazione dell’immagine di Dio che portiamo dentro, in altre parole, la dispersione totale di sé. Al contrario, chi cerca il Signore e la sua giustizia, chi si sforza ogni giorno di vivere il Vangelo ascoltato alla mattina, entra in quel cammino in cui non si cerca più la gloria del mondo, ma quella di Dio, il suo volto, il suo amore. Si diventa, allora, come il granello di senape o come il lievito nella massa, non più preoccupati di apparire, ma di trasmettere vita, di lavorare per creare relazioni nuove, basate sull’uguaglianza, sull’attenzione all’altro, il rispetto. È tutto un altro cammino, un altro modo di stare al mondo, che non provoca attenzione per la sua estetica materiale, ma per lo stile di vita che realizza. 

domenica 22 ottobre 2023

OMELIA DOMENICA 29 OTTOBRE 2023

 



XXX DOMENICA TEMPO COMUNE

LETTURE: Es 22,20-26; Sal 17; 1 Ts 1,5c-10; Mt 22,34-40

 

Paolo Cugini

 

La polemica estenuante di Gesù con i capi religiosi del popolo ha avuto per questi ultimi un effetto fortemente negativo. Nella pericope precedente al Vangelo proposto oggi, dopo l’ennesimo attacco portato da uno dei gruppi religiosi di Israele, i sadducei, sul tema delicato della resurrezione, la risposta di Gesù era stata così profonda ed eclatante che le folle, dice l’evangelista Matteo, “rimasero estasiate con il suo insegnamento” (Mt 22,33). Più la polemica avanza sui vari temi della religione e sempre di più si rafforza agli occhi del popolo l’immagine di Gesù come nuovo profeta, il vero e proprio Maestro di Israele. Probabilmente è questo il motivo che conduce i farisei nel brano di oggi, a coinvolgere un dottore della legge per cercare di mettere in difficoltà Gesù. Vediamo, allora, come procede la scena, per cogliere in profondità l’insegnamento che oggi Gesù ha da dirci.

un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Anche il dottore della legge è posto sullo stesso piano dei farisei e degli erodiani, protagonisti del brano di Vangelo ascoltato domenica scorsa, vale a dire coloro che cercano Gesù non per ascoltare la sua Parola, ma per metterlo alla prova, esattamente come aveva fatto satana all’inizio dell’attività pubblica di Gesù (Mt 4,1-11). È questa una modalità letteraria che l’evangelista utilizza, per mettere in guardia il lettore, per essere attento ad analizzare bene le parole dell’interlocutore, per capire dov’è l’inganno e così cogliere la profondità della risposta di Gesù. Infatti, la domanda del dottore della legge è una trappola ambigua, perché voleva mettere in bocca a Gesù l’unica risposta che i farisei si aspettavano, vale a dire, che il più grande comandamento è l’osservanza del sabato. Dio stesso e i suoi angeli, secondo la tradizione ebraica, rispettava questo comandamento, considerato il perno su cui reggeva tutta la Torà, la Legge ebraica. Proprio su questo comandamento, era stato ripreso diverse volte Gesù, che si era mostrato non proprio scrupoloso nell’obbedienza al precetto, realizzando miracoli nel giorno di sabato. La domanda è quindi, sibillina, fatta esattamente per mostrare davanti a tutto il popolo l’inadeguatezza di Gesù come Maestro e, in questo modo, denigrarlo, screditarlo.

Gli rispose: «"Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Questo è il grande e primo comandamento. Ancora una volta Gesù manifesta tutta la sua intelligenza con questa risposta sorprendente e inattesa. Gesù, non solo non cita il grande comandamento che il dottore della Legge si aspettava di sentire, per poi attaccare e sbugiardarlo, ma non cita nemmeno gli altri. La risposta rivela quello che il Maestro aveva colto come fondamentale nell’insegnamento della Tradizione ebraica, vale a dire che prima di tutto e fondamento di tutto è l’amore a Dio. Anche in questo caso Gesù utilizza un classico brano della religione ebraica – lo Shemà Israel - e lo interpreta. Il testo citato da Gesù dice letteralmente: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze (Dt 6,5). Al posto di forze Gesù dice: con tutta la tua mente (alcune traduzioni hanno: con tutto il tuo spirito). Ciò significa che per Gesù, nell’amore autentico non ci può essere forza, non ci può essere violenza. Il brano è in linea con quello citato nel Vangelo di Luca, all’inizio dell’attività pubblica di Gesù quando, in giorno di sabato entra nella sinagoga, legge il brano di Isaia 61,1-2, ma non lo legge tutto. Si ferma, infatti, ad un certo punto per non leggere il versetto che dice: un giorno di vendetta del nostro Dio (Is 61, 2). Gesù entra nel mondo e completa la Legge, la realizza, ne spiega il senso e la direzione. Il centro della Legge è l’amore a Dio, che passa per la totalità della persona umana ed esige cuore, anima e mente, ma non la forza.

Il secondo poi è simile a quello: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti. Anche questa seconda risposta non segue le aspettative del dottore della Legge. Gesù cita un altro brano famoso della Torà ebraica, vale a dire Levitico 19,18. In questo modo, Gesù mostra la sua profonda conoscenza della Sacra Scrittura, al punto da mostrarne il vero significato, elevando a fondamento di tutto il comandamento dell’amore. Non è possibile amare Dio con tutto il cuore, l’anima e la mente senza amare il prossimo, che è l’immagine di Dio sulla terra. È questa la grande verità che Gesù indica a tutto il popolo d’Israele, smascherando, in questo modo, il grande inganno operato dai capi religiosi, che non hanno fatto altro che sostituire la Parola di Dio con le loro tradizioni umane. Come sappiamo, nelle prime comunità cristiane, l’indicazione di Gesù venne presa in grande considerazione. Giovanni ricorda alla sua comunità che: “se qualcuno dicesse: amo Dio, ma odia suo fratello, è un bugiardo” (1 Gv 4, 20). Anche Giacomo è sulla stessa linea quando afferma: “La fede senza le opere è morta” (Gc 2,17). L’amore a Dio esige l’amore ai fratelli e alle sorelle: è questo il centro della Legge.

Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore (Sal 17). Facciamo nostre le parole del salmo che abbiamo ascoltato: è il Signore l’unico che ci può liberarci dalla falsa religione, per entrare in una relazione nuova con il Padre, con un amore autentico che ci conduce ad amare i fratelli e le sorelle che incontriamo nel nostro cammino.

martedì 17 ottobre 2023

NON MI VERGOGNO DEL VANGELO

 




Paolo Cugini

 

Io non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (Rom 1,16). È uno dei versetti di Paolo che mi piacciono di più. Qui c’è tutto Paolo, la sua storia, il suo cammino, la sua teologia. Paolo ha capito la forza impressionante del Vangelo, perché le sue parole trasmettono la potenza di Dio, come capacità salvifica per coloro che l’accolgono. Il Vangelo salva da cosa? In primo luogo, dal vuoto esistenziale, perché riempie l’anima di significati, di parole nove che sono, allo stesso tempo, delle indicazioni di percorsi nuovi che possono essere realizzati dal credente. In secondo luogo, il Vangelo assimilato e accolto porta nell’uomo e nella donna l’essenza di Dio, vale a dire la sua misericordia. Chi accoglie il Vangelo viene inebriato dalla sua misericordia: è questo l’aspetto centrale del Vangelo, dell’annuncio di Gesù. E poi il Vangelo trasmette la giustizia di Dio, che è il balsamo contro ogni forma di disuguaglianza e discriminazione.

Il Vangelo, dunque, salva l’uomo e la donna dal pericolo di una vita materiale e istintuale, che blocca la possibilità di una libertà capace di guardare altrove e non identificarsi con ciò che sente nell’immediato. Questo Paolo lo ha compreso molto bene, per questo l’espressione: è il Vangelo che salva, nelle sue lettere diviene come un mantra che risuona nelle comunità delle origini e, per tutti coloro che assimilano il contenuto è capace di sgretolare le incrostazioni della religione degli uomini che, invece di salvare, imprigiona le forze vitali legandole a interessi personali.

È il Vangelo che salva: ricordiamocelo. 

domenica 15 ottobre 2023

OMELIA DOMENICA 22 OTTOBRE 2023

 



XXIX DOMENICA TEMPO COMUNE

Is 45,1.4-6; Sal 95; 1 Ts 1,1-5b; Mt 22,15-21

 

 

Paolo Cugini

Continua anche oggi la polemica di Gesù con i capi religiosi, polemica che ormai ci accompagna da due mesi nei vangeli della domenica. In ogni modo, oggi c’è una novità. Infatti, mentre nei vangeli ascoltati nelle domeniche precedenti era Gesù che prendeva la parola con parabole che coinvolgevano i capi religiosi, oggi avviene il contrario. Sono i farisei e gli erodiani che cercano Gesù per interrogarlo su alcune questioni religiose, con l’unico obiettivo di coglierlo in fallo. Nel Vangelo di Matteo, che stiamo ascoltando, la vita pubblica di Gesù inizia con l’evento delle tentazioni, in cui il diavolo si manifesta come il tentatore, colui che vuole ingannare e fare cadere Gesù (cfr. Mt 4, 1s). Ebbene, nella pagina di oggi, l’evangelista Matteo pone la narrazione in modo tale da far apparire i farisei nel ruolo di satana, il tentatore. Come vedremo, la situazione non si volgerà a loro favore: Gesù non si lascia ingannare. Accompagniamo la narrazione del brano di oggi.

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli. Il dato interessante è che, dal punto di visata storico, farisei ed erodiano si odiavano, erano nemici, Mentre i farisei, uomini pii della classe dirigente di Israele, non sopportavano la presenza dei romani in terra giudaica, al contrario gli erodiani li appoggiavano e facevano interessi con loro. L’obiettivo comune di cogliere in fallo Gesù per denigrarlo dinanzi al popolo, provoca l’amicizia dei nemici storici. Il quadro diventa, allora, sempre più chiaro. Da una parte, infatti, abbiamo dei gruppi religiosi che hanno fatto della religione un motivo di ascesa personale, e coltivano, dunque, i loro interessi; dall’altra c’è Gesù con la sua proposta di una vita totalmente donata in modo disinteressato e gratuito. Sono due mondi che si trovano totalmente agli antipodi ed è chiaro che lo stile di Gesù, la sua proposta di amore disinteressato, provochi l’odio di tutti coloro che hanno fatto della religione un motivo di guadagno personale.

Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Dinanzi alle parole d’inganno piene di ipocrisia e di ideologia, Gesù pone in atto il principio di realtà. La domanda dei farisei e degli erodiani era insidiosa, perché era posta in modo tale che, in qualsiasi modo Gesù rispondesse, sarebbe caduto nel loro tranello. Del resto, è lo stesso Gesù che, rispondendo loro ne smaschera dinanzi al popolo l’ipocrisia, che significa che in loro non c’è la ricerca della verità, che caratterizza, invece, la vita e la proposta di Gesù, ma l’ostentazione dell’apparenza, la ricerca dell’immagine. Per questo motivo Gesù sposta letteralmente il contenuto della disputa dal piano ideologico a quello della realtà. La risposta di Gesù è un grande insegnamento per la comunità cristiana, perché ci aiuta a prendere sul serio il principio di Incarnazione da lui stesso inaugurato. Tutte le volte che rimaniamo sul piano delle teorie, delle ideologie, che è un male tipico della cultura occidentale, scadiamo nelle diatribe ideologiche, nelle schermaglie culturali, che non sono altro che uno sfoggio di estetica culturale. Al contrario, Gesù ci insegna che è nella realtà che si manifesta la verità. Chiedendo di vedere la moneta del tributo, Gesù rivela che la realtà precede ed è più importante dell’idea, nel senso che è possibile abbozzare un’idea su ciò che si vuole parlare, solamente quando si ha la possibilità di accedere alla realtà delle cose.

Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. La conclusione di tutto il dibattito polemico è un saggio d’intelligenza. Nella risposta che Gesù offre a coloro che lo hanno provocato, c’è tutto il cammino che l’umanità deve compiere. Gesù, infatti, nasconde il contenuto del proprio messaggio in una tipica espressione semitica, in cui l’elemento principale è in secondo piano. La risposta, dunque, dei suoi interlocutori non deve iniziare dalla domanda: che cosa dobbiamo a Cesare, che coinvolgerebbe solamente il piano politico e sociale dell’interlocutore. La vera domanda, che è la chiave di tutto il dibattito sta nella seconda parte della frase di Gesù: che cosa dobbiamo dare a Dio? La risposta è di per sé banale: a Dio dobbiamo dare tutto, perché tutto riceviamo da Lui. E allora, se a Dio dobbiamo dare tutto, che cosa dobbiamo dare a Cesare? Seguendo la logica del discorso verrebbe da rispondere: niente. In realtà non è così. Infatti, se a Dio dobbiamo tutto, a Cesare, che è il simbolo della vita sociale e politica dobbiamo dare Dio. È questo il senso della vita cristiana, di una comunità che si riconosce nel Vangelo di Gesù. Ci alimentiamo ogni giorno di Lui, al punto di fare della nostra vita una risposta alla sua Parola, affinché trasformi la nostra mente e ci aiuti a discernere conforme la sua volontà, Ebbene, è proprio questo che la comunità cristiana è chiamata a portare nel mondo: un modo diverso di vivere, quel modo caratterizzato dall’amore gratuito e disinteressato che Gesù ci ha insegnato e che si trova agli antipodi dello stile di vita dei farisei e dei capi religiosi di Israele.

Ti renderò pronto all'azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall'oriente e dall'occidente che non c'è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n'è altri (Is 45,6). Le parole di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura, prima di essere una proclamazione del monoteismo più radicale, è la manifestazione della totalità di vita e di pensiero che caratterizza chi segue il Signore e che troviamo indicata nella risposta che oggi Gesù dà ai farisei e agli erodiani. Può affermare che non esiste nulla fuori dalla proposta del Vangelo solamente chi l’ha trovato e sperimentato. Prendiamo questa affermazione come l’indicazione che c’è speranza nel mondo, perché c’è un contenuto che è in grado di riempire l’anima e la vita. 

domenica 8 ottobre 2023

OMELIA DOMENICA 15 OTTOBRE 2023

 



XXVIII DOMENICA TEMPO COMUNE

Is 25,6-10a; Sal 22; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14

 

Paolo Cugini

 

Nel Vangelo di oggi ascoltiamo la terza parabola che Gesù pronuncia per i capi dei sacerdoti e i farisei. La polemica è estenuante, ma ricca di contenuti. Ci sono delle novità interessanti che possono aiutarci nel nostro cammino di assimilazione della proposta di Gesù, che richiede disponibilità al cambiamento e docilità nell’ascolto della sua Parola. Lasciamoci, allora, guidare da Lui: ascoltiamo.

Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Il Regno dei cieli è la metafora che Gesù utilizza nelle parabole per indicare la novità di vita e di stile, che lui stesso è venuto ad inaugurare. La sua proposta consiste nell’aiutate gli ascoltatori a comprendere la propria vocazione di figli e figlie di Dio chiamati a vivere la dignità di essere creati ad immagine e somiglianza del Padre. Nella parabola di oggi Gesù ci dice che il Regno dei cieli è come una festa di nozze. È la proposta contraria alla religione proposta dai capi religiosi di Israele, fatta di prescrizioni rigide difficili da obbedire, di sacrifici, di tasse da pagare, in altre parole, una serie di elementi che rendono infelice la vita dell’uomo. Ebbene, Gesù ci dice che la proposta del Padre va in tutt’altra direzione: è una festa di nozze. Del resto, la liturgia ci ha fatto ascoltare nella prima lettura, un brano preso da quella che è definita la piccola apocalisse di Isaia, in cui il profeta annuncia come sarà la venuta del futuro messia: Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati (Is 25,6). La festa annunciata, si è trasformata in sofferenza, lacrime, in una vita dura da sopportare: è questa l’accusa di Gesù ai capi religiosi del popolo.

Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. C’è un rifiuto che segna la nuova proposta del Regno dei cieli. Anche in questo caso la parabola accusa il rifiuto dei capi religiosi che, invece d’interessarsi alla novità proposta e ad aiutare il popolo ad entrarvi, non s’interessano, perché pensano ai propri affari. C’è, anche in questa parabola, il riferimento della sorte toccata ai profeti, annunciatori della Parola di Dio, maltrattati e uccisi dai capi religiosi. La parabola è un chiaro invito al popolo a stare lontano da coloro che non hanno avuto riguardo nemmeno dei profeti, gli uomini di Dio inviati per aprire cammini di conversione.

Poi disse ai suoi servi: "La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze". Due dati importanti sono contenuti in questo versetto. Il primo, è il metodo dell’annuncio che la prima comunità e anche la nostra è chiamato a fare. L’annuncio del Regno deve partire dai crocicchi, vale a dire, dalle periferie. Come ci spiegano gli esegeti, infatti, i crocicchi sarebbero i punti in fondo alle città in cui iniziano le stradine che portano alle campagne. È la Chiesa in uscita di Papa Francesco che, prima di essere uno slogan, è un’indicazione specifica di Gesù. È l’invito a non stancarsi mai di invitare fratelli e sorelle nel cammino del Regno e, soprattutto, a non dimenticare mai che il punto di partenza di questo annuncio non è il centro, ma la periferia, perché il Regno dei cieli è degli ultimi. La seconda indicazione, che troviamo nel versetto in questione è l’apertura universale per la salvezza. L’invito a partecipare, non è infatti rivolto solo a qualcuno, ma a tutti quelli che troverete. Ancora una volta, non ci troviamo dinanzi ad uno slogan - la Chiesa inclusiva -, ma ad una priorità del Vangelo, un invito che non esclude nessuno, ma che la Chiesa deve essere uno spazio in cui, soprattutto gli esclusi, devono sentirsi a casa loro.

Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. Se è vero che tutti sono invitati nel Regno di Dio, che è il regno dell’amore e della giustizia, è altrettanto vero che per entrare occorre l’abito nuziale. Che cosa significa questo abito? Il riferimento è chiaramente al battesimo in cui, dopo il rito viene data una veste bianca da indossare. Il Regno dei cieli è la proposta d’amore e di giustizia di Gesù che, per appartenervi, occorre compiere un cammino di conversione, di cambiamento di mentalità, passare dall’uomo vecchi all’uomo nuovo. È proprio questo cambiamento che i capi religiosi di Israele hanno rifiutato e non sono stati disposti a compiere. Questo passaggio non s’improvvisa ed occorre essere disponibili a compierlo. L’inclusione va di pari passo con la conversione: è il messaggio finale del Vangelo di oggi.

Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me (Sal 22). Le parole del Salmo che siamo invitati a recitare oggi, riassumono molto bene il cammino che la pagina del Vangelo ci ha invitati a compiere. Nella festa del Regno dei cieli, alla quale tutti sono invitati, ci si arriva solamente se accompagnati dal Padre. Cogliere e percepire la sua presenza nella storia è fondamentale. La nostra presenza al banchetto eucaristico vuole significare proprio questa nostra percezione: sappiamo dove trovare il Signore e desideriamo rimanere con Lui in ogni momento della nostra vita. 

giovedì 5 ottobre 2023

PAROLA DI PACE




 Paolo Cugini



I leviti spiegavano la legge al popolo e il popolo stava in piedi. Essi leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura (Ne 8,5s). Sono versetti ricchi di significato per il cammino storico del popolo d’Israele, ma che hanno un valore anche per il cammino delle comunità cristiane. Che cosa significa attualizzare questi versetti? Rivelano il senso di una comunità che si riconosce nel messaggio di Gesù e ne indica il compito: leggere e interpretare le Scritture. Una comunità cristiana ha senso solamente quando si appropria della propria identità che scaturisce dal Vangelo. Occorre, allora, leggere il Vangelo e fare in modo che qualcuno nella comunità lo spieghi perché, come dice san Paolo, la fede dipende dall’ascolto della Parola (cfr. Rom 10,17). Nei versetti di Neemia il contesto è un giorno di festa per tutto quello che il popolo aveva vissuto. Certamente, per noi cristiani il giorno del Signore è il giorno privilegiato per leggere la Parola, comprenderla per poi viverla.

Non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada (Lc 10,2). La Parola ascoltata, quando è interiorizzata e compresa, spoglia, rende la vita essenziale. Mi sembra questo l’insegnamento del vangelo di oggi. Per questo abbiamo bisogno del Vangelo per capire il senso della vita, che non sta nelle cose, ma nella qualità della vita, delle relazioni che viviamo.

In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!” (Lc 10, 4). La Parola assimilata e compresa ci fa annunciatori di pace, perché è la Parola di colui che è venuto a portare pace sulla terra. Questo ci fa capire di quanto abbiamo bisogno del Vangelo e di come il mondo ha bisogno di cristiani inondati di Vangelo. Portatori di pace con il metodo di Gesù che ha creato pace tra i popoli in conflitto non annientando i nemici, ma attirando il loro odio sulla propria carne (cfr. Ef 2,14). Lo Spirito Santo che riceviamo nei sacramenti ci trasmette la pace del Signore, ci dono il suo desiderio di un mondo nuovo, il mondo pensato dal Padre e che diventa realizzabile grazie proprio allo Spirito del Signore che soffia sul mondo e in noi.  

mercoledì 4 ottobre 2023

FRANCESCO: IL PICCOLO DI DIO

 



Paolo Cugini

 

Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura (Gal 6,15). Capire questo è molto importante. Capire che il cammino di sequela non è un cammino di appartenenza ad un gruppo che garantisce qualcosa, ma è un dinamismo che dura tutta la vita. Dentro questo dinamismo siamo coinvolti quotidianamente a lasciarci trasformare, a cambiare i nostri pensieri, per assimilare il pensiero di Cristo, il suo modo di vedere le cose. Assimilare il Vangelo per assimilare i tratti dell’umanità di Gesù, il suo modo di gestire la forza degli istinti, la sua capacità di rimanere ben concentrato sulla sua missione. E tutto questo con grande serenità, trasparenza, mitezza.

Ebbene, i tratti dello stile di Gesù sono stati ben visibili nella vita di Francesco di Assisi. Per questo vale la pena meditare sui suoi testi ma, soprattutto, sulla sua vita, le sue scelte, il suo modo di stare al mondo, il suo modo di stare dinanzi al Padre. C’è molto amore nella vita di Francesco, desiderio di amare tutti e tutte. La sua vita povera, spogliata di tutto rivela il suo desiderio di amare in modo incondizionato. Amore che dice totalità, qualcosa di così grande che lo conduce a non cercare più nient’altro, perché ha già trovato tutto nel Vangelo. In Francesco, nella sua vita diventano visibili le parole che Gesù dice nelle sue parabole, come quella del tesoro nel campo e della perla preziosa. Francesco ha davvero trovato il tesoro nel campo e, per questo, si spoglia di tutto, non gli interessa più nulla se non essere immerso in questo tesoro. Un grande insegnamento per noi oggi.

In Francesco è visibile il cammino dell’uomo che diventa bambino, del grande che si fa piccolo, proprio come insegna il Vangelo di oggi: Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli (Mt 11,25). Francesco è diventato piccolo per il mondo, ma grande davanti a Dio. C’è una grandezza che si manifesta nella piccolezza, nell’umiltà, nella mansuetudine, nella dolcezza, nella semplicità dei gesti, nella povertà evangelica. È in questa piccolezza che si sperimenta l’amore del Signore come dono totale di sé. 

lunedì 2 ottobre 2023

PICCOLO COME UN BAMBINO

 



Paolo Cugini

 

In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli (Mt 18,4). È l’indicazione della giornata. Lavorare per farsi piccolo, per non cercare la grandezza del mondo, la visibilità, la considerazione degli altri. Questo è il senso del cammino spirituale evangelico: mantenere un profilo basso. Ciò è possibile non solo attraverso un lavoro di riflessione e meditazione, ma soprattutto frequentando i poveri, gli ultimi, gli esclusi, le persone emarginate, discriminate. Stare con loro aiuta a sgretolare l’individualismo e le forme di egoismo che spingono verso la visibilità, la ricerca dell’affermazione di sé. Diventare come i bambini, che non vivono la complessità del mondo e che sono ancora pieni di sogni, di desideri semplici. I bambini giocano, si divertono e, quando sono nel bisogno, cercano la mamma il papà, cercano il loro abbraccio.

 Il bambino sa di aver bisogno: è un dato naturale. Diventare come bambini ha anche questa indicazione profonda: recuperare la relazione naturale con il Padre e percepire la propria identità di figlio. Ciò significa un cammino di uscita dalla mentalità che spinge le persone verso l’individualismo, l’affermazione di sé, la ricerca del proprio interesse, per rimanere con i piedi per terra, nella realtà che ci ricorda che siamo in quando viviamo la relazione originaria di figli-bambini che hanno bisogno del Padre. Tornare bambini per uscire dalle logiche di grandezza che offuscano la mente e ci conducono in percorsi disumani, che invece di farci sentire tutti fratelli e sorelle, ci spingono alla competizione, alla rivalità.

Torniamo bambini per vivere come figli amati dal Padre. Del resto, se ci pensiamo bene, è il lavoro dello Spirito Santo che agisce cercando di immettere dentro di noi il pensiero del Figlio, i suoi desideri di amore, la sua sete di giustizia, di attenzione ai fratelli e alle sorelle più povere e bisognose. Lasciamo plasmare dallo Spirito del Signore, che ci fa piccoli nel mondo e grandi nel Regno dei cieli.

 

domenica 1 ottobre 2023

OMELIA DOMENICA 8 OTTOBRE 2023

 




XXVII DOMENICA TEMPO COMUNE

Is 5,1-7; Sal 79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43

 

Paolo Cugini

 

Anche la parabola di oggi ha come protagonisti negativi i capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo. Non si placa, dunque, la polemica durissima di Gesù nei confronti delle guide religiose del popolo d’Israele: come mai? La domanda è lecita anche perché, come ho anticipato domenica scorsa, la polemica si concluderà solamente al capitolo 23 con parole ancora più dure. Gesù vuole fare di tutto per smascherare davanti al popolo coloro ai quali era stata affidata la guida religiosa, ma che invece, hanno utilizzato il loro ruolo per fini personali, per convenienza, abbandonando il popolo a loro stessi. Sono come dei mercenari senza scrupoli che, invece di avvicinare il popolo a Dio, lo allontanano, perché hanno sostituito la Parola di Dio con le loro tradizioni (Mc 7, 7-9). Era necessario che emergesse la verità, anche a costo di pagare un prezzo carissimo: la propria vita. Gesù è morto per mostrarci la verità delle cose, quella verità che gli uomini religiosi hanno nascosto, perché accettarla significava cambiare vita. Chi è attaccato al potere, chi ha fatto della propria vita una ricerca costante della convenienza, non è disposto a cambiare pelle.

Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. L’immagine della vigna la troviamo spesso nella Scrittura. Non a caso nella prima lettura abbiamo ascoltato l’inizio del capitolo 5 di Isaia, che riporta un cantico che ha come protagonista la vigna. Il tema della parabola non riguarda il frutto della vigna, ma di come è gestita da coloro a cui è stata affidata dal padrone. È una metafora della storia o, meglio, una teologia della storia che narra il rapporto del popolo d’Israele con quel Mistero percepito negli eventi storici e chiamato con vari nomi: El, JHWH, Eloim. I contadini della parabola sono i capi religiosi del popolo, che durante i secoli si sono messi la posto di Dio e hanno trattato male e anche ucciso tutti coloro che Dio inviava per orientare il popolo. La storia del profetismo in Israele non può che confermare le parole di Gesù. Emblematica, fara tutte, è la storia del profeta Geremia, chiamato per allertare il popolo dell’imminente distruzione di Gerusalemme e del suo tempio, fu insultato, maltrattato e torturato proprio da coloro, i capi religiosi, che per primi avrebbero dovuto ascoltare la sua Parola per salvare il popolo d’Israele dalla distruzione.

La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? La storia che Dio costruisce non passa per i palazzi dei re e per le strade principali. Sono logiche diverse quelle che Dio utilizza. Del resto, lo abbiamo ascoltato anche recentemente che: i miei pensieri non sono i vostri pensieri (Is 55, 8). Ciò che i capi religiosi stanno clamorosamente scartando, vale a dire Gesù Cristo, sarà la pietra di scarto utilizzata da Dio per costruire il regno dei cieli. È l’uomo che i capi religiosi hanno scartato e crocefisso perché ritenuto un impostore, che Dio porrà come pietra che regge tutta la Chiesa. Sono i crocefissi, gli scartati dal mondo delle logiche di potere, che Dio utilizza per costruire il suo Regno. È con i poveri, i rifugiati, le donne maltrattate, le persone omosessuali che Dio costruisce la sua Chiesa. Perché la vigna è sua e ne fa quel che vuole. La chiesa non è un edificio, ma uno stile di vita, anche perché, come ha annunciato Gesù nel dialogo con la samaritana, è giunto il giorno in cui: né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre… viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità (Gv 4, 21-23). È questa la realtà nuova che Gesù è venuto ad inaugurare e tutti coloro che hanno trascorso la vita nell’inganno, nella ricerca costante del proprio interesse, a curare l’apparenza, avranno perso di vista il vero senso della storia, che passa attraverso ciò che ogni giorno i potenti del mondo scartano. C’è una forza d’amore dentro la storia che Gesù ha immesso grazie alla sua vita totalmente donata gratuitamente e che ora vien a noi attraverso il suo Spirito. Ed è proprio questo Spirito d’amore che soffia nelle anime di coloro che l’accolgono per continuare a costruire il Regno di Dio, la civiltà dell’amore tutta protesa a dare dignità ai crocefissi della storia, alle pietre che il mondo scarta.

Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta. Questi versetti finali della parabola ascoltata oggi la liturgia li ha ommessi. È strano questo taglio, perché sono la chiave di lettura del brano in prospettiva futura. Dinanzi alle parole lucide e chiare di Gesù i capi dei sacerdoti e i farisei, che capiscono molto bene che Gesù aveva parlato di loro, non si battono il petto ed iniziano un percorso di cambiamento, ma cercano di catturarlo. Questi versetti sono per noi. Cosa facciamo dinanzi alla parola di Gesù, che atteggiamento abbiamo? Il cammino che la liturgia ci propone è quello di conformare la nostra vita a quella del Signore (Gal 4,19). Ciò richiede umiltà, disponibilità all’ascolto, capacità di mettersi in gioco.

Non angustiatevi per nulla, ma In ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù (Fil 4,6-7).

Stare davanti al Signore con la disponibilità a fare spazio a Lui e alla sua Parola per lasciarsi docilmente condurre nel suo cammino di giustizia e di amore: è questo il senso della nostra presenza nell’eucaristia, attraverso la quale Gesù viene dentro di noi per donarci la sua pace.