Paolo Cugini
Nel Cammino che la liturgia ci sta proponendo in
questo tempo di quaresima, cammino in cui siamo invitati a fare spazio al
Vangelo e alla sua proposta d’amore e di giustizia, nella terza domenica ci
viene chiesto di verificare il nostro rapporto con la religione. Da che
religione proveniamo? È questa la domanda che sembra rivolgerci la liturgia
attuale. Non solo, ma mentre c'interroghiamo sul Dio in cui crediamo, siamo chiamati a valutare anche il nostro modo di stare nel mondo, per capire in che relazione stiamo con il creato.
“Portate
via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato”
(Gv 2, 16).
Gesù
ci mostra che il volto di Dio è il volto del Padre e, per questo motivo, c’è
prossimità, vicinanza. Avrebbe voluto trovare nel tempio un ambiente di
prossimità al Padre, un ambiente di relazione filiale, e invece trova un
mercato con i mercanti, segno di un processo di degrado che il tempio aveva
vissuto, al punto da non rendersene nemmeno conto. Questo è, senza dubbio, un
aspetto del problema. Quando si perde il contatto con il contenuto della
rivelazione, la materia assimila e ingloba progressivamente anche ciò che è
spirituale e, in questo caso, la vita del tempio al punto da indurre a pensare
che il tempio s’identifichi con il mercato, con gli affari. Forse è questo uno
dei danni più gravi che la vita religiosa, slegata dalla sua origine, può
provocare nel cuore delle persone, perdendo di vista il fine del rapporto con
il Padre. In Gesù, il Padre si è avvicinato ad ogni persona e, di conseguenza,
non c’è più bisogno di offrire sacrifici o di fare sacrifici (i famosi
fioretti!), ma di seguire il suo esempio donando la nostra vita gratuitamente
ai fratelli e alle sorelle che incontriamo, soprattutto ai più deboli e agli
esclusi dalla religione. Mettendo la sua dimora in mezzo a noi (Gv 1,14) Gesù
inizia il processo di desacralizzazione della religione, mostrando che d’ora
innanzi ogni cosa è sacra, perché tutto è stato creato dal Padre, che desidera
una relazione di prossimità con Lui. I riti, le liturgie dovrebbero dunque
esprimere il segno di questa vicinanza e, allo stesso tempo, manifestare un
nuovo modo di stare al mondo, non più segnato da giochi d’interesse, ma dall’amore
gratuito, dal servizio disinteressato.
“Egli
parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,21).
È
difficile comprendere la profondità delle parole di Gesù, soprattutto perché
arrivano nel contesto di una cultura e di una religione che per secoli ha disprezzato
il corpo, considerandolo ostacolo per la vita spirituale, per essere sede delle
passioni, delle emozioni, che possono distrarre la persona che cerca l’intimità
con Dio. Gesù ribalta totalmente la prospettiva affermando che, non solamente
il corpo non ostacola l’incontro con Dio, ma lo facilita, perché il corpo è il
santuario della Spirito. Relegare la possibilità dell’incontro con Dio ad un
unico luogo chiuso fatto di pietre, significa limitare pesantemente l’incontro
delle persone con Dio, ed aprire il varco ad un controllo incondizionato della
sfera del divino da parte di qualcuno. Anche Paolo nella lettera ai Corinzi
arriva ad affermare che: “Non sapete che il vostro corpo è tempio dello
Spirito Santo che è in voi?” (1 Cor 6, 19). Ci sono delle contaminazioni
culturali o religiose che, alla distanza, sono valutate come positive, perché
aprono il discorso su nuovi orizzonti inesplorati; e ci sono contaminazioni che
sono invece nocive, perché deturpano il messaggio evangelico, inserendo
contenuti negativi ad un messaggio prettamente positivo. Uno di questi incontri
che ha fatto male alla proposta del Vangelo riguarda la prospettiva
antropologica del platonismo, che si è infiltrato nel cristianesimo che, senza
pensarci troppo, ha sviluppato nei secoli a seguire una visione negativa del
corpo e della sessualità totalmente estranee alla prospettiva aperta da Gesù.
Il corpo come tempio dello Spirito significa valorizzazione al massimo della
vita personale e comunitaria, perché è con il corpo che entriamo in relazioni
con gli altri, con la natura, con il cosmo. È su questa linea che è possibile
sviluppare una spiritualità positiva del creato, dell’armonia dell’uomo e della
donna con la natura circostante, tutti aspetti che raramente sono stati
sviluppati dalla spiritualità cattolica. In questo tempo di quaresima siamo,
dunque, chiamati, a valutare non solo il nostro rapporto con il creato,
ma anche e soprattutto nel contesto socio-politico in cui viviamo, il nostro
contributo per la realizzazione di un mondo sano, attento alla natura,
rispettoso di ogni aspetto della vita, collaboratori per una costruzione
armonica del creato in cui tutto è in relazione con tutto.
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