martedì 27 dicembre 2022

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 7

 



 

[Annotazioni di Paolo Cugini]

Con il cap.7 si apre una nuova sezione che comprende i capp.7-9; capitoli che pur formando unità narrative a sé stanti e ben circoscritte, sono tuttavia legati tra loro da una continuità narrativa geografica e temporale. Quanto all'aspetto geografico l'azione si svolge in tutti tre i capitoli a Gerusalemme (7,10). Nei primi due essa si svolge nel tempio, ma in due giorni successivi. Il cap. 7,37a infatti attesta che era l'ultimo giorno della festa delle Capanne, il più grande, mentre il cap.8,2a si apre affermando che “Sul far del giorno, giunse nuovamente al tempio”, da cui esce al termine del cap.8,59b. Il cap.8 pertanto è circoscritto da un'inclusione data da un movimento uguale e contrario: entrata e uscita dal tempio. Quanto all'aspetto temporale il cap.7 è incorniciato all'interno della festività delle Capanne (7,2.8.10.11.14.37), mentre i capp.8-9 si collocano il giorno successivo a quello dell'ultimo giorno della festa delle Capanne, il giorno che Lv 23,36b definisce come l'ottavo giorno. Questo costituisce una sorta di transizione tra il periodo della festa delle Capanne, la cui durata era di sette giorni (Lv 23,36a), e il normale periodo feriale che sanciva il ritorno alle attività quotidiane. L'ottavo giorno quindi non appartiene più alla festa delle Capanne propriamente detta; anche la quantità dei sacrifici, che dal primo al settimo giorno si ripetevano in 13 giovenchi, 2 arieti e 14 agnelli; giovenchi che scalavano uno per giorno fino a giungere a sette giovenchi al settimo giorno (Nm 29,12-33), all'ottavo giorno essi diventavano “un giovenco, un ariete e sette agnelli” (Nm 23,36); anche il ritmo narrativo che si ripete costante dai vv.12-35, giunti all'ottavo giorno (Nm 23,35) cambia improvvisamente e compaiono nuove regole rispetto a quelle della precedente settimana. Quanto al cap.9, in cui si colloca il racconto del cieco nato, esso si svolge sempre nell'ottavo giorno; Gesù, infatti, uscito dal tempio (8,59b) si imbatte in un uomo cieco dalla nascita (9,1).

Il cap.7 potremmo definirlo come il capitolo delle incomprensioni, degli interrogativi, dei contrasti e delle divisioni che si addensano attorno alla figura di Gesù. Ben 18 sono gli interrogativi che percorrono l'intero capitolo provenienti dalle folle e dai Giudei su Gesù e da quest'ultimo verso la gente e verso i Giudei; interrogativi spesso senza risposta o volutamente retorici e sottesi talvolta da una venatura polemica. Questo denso amalgama di tese relazioni umane è percorso dal filo rosso della morte che si sta lentamente avvolgendo attorno a Gesù a partire da questo capitolo e in modo sempre più evidente con l'andare del racconto evangelico. A questo si contrappone il tema dell'ora che non è ancora giunta e che per questo ogni tentativo di sopraffazione viene vanificato; ma ciononostante è l'ora verso la quale Gesù è ineluttabilmente avviato. Tuttavia, in Giovanni il tema della morte non è mai angosciante come invece appare nel racconto lucano (Lc 22,44) e in quelli matteano e marciano (Mt 26,38; Mc 14,34). Per Giovanni, infatti, il cammino di Gesù verso l'ora è colto come un percorso verso la sua intronizzazione regale e verso la sua glorificazione. Il Gesù giovanneo è sempre presente a se stesso e appare in ogni circostanza come il dominatore degli eventi, che si stanno compiendo attorno a lui. Preso nel suo insieme questo capitolo genera un clima di forte tensione e segna una svolta decisiva, una sorta di sterzata all'interno della narrazione del vangelo, che punta diritta verso il Golgota. Infatti, se fino a tutto il cap.6 emergeva prevalentemente l'incredulità, lasciando sullo sfondo il tema del morire, dal cap.7 in poi queste si trasformano in atteggiamenti aggressivi, che ben presto diventano progetti di morte, sempre più appariscenti e sempre più determinati, da parte delle autorità giudaiche. In altri termini dal cap.7 la tensione sale e le diatribe si fanno sempre più frequenti, mentre il tema della passione e della morte si fa sempre più dominante. L'ora che fino al cap.8 non era ancora venuta, a partire dal cap.12 si dirà che essa è giunta.

L'idea che nasce da questo concentramento di diatribe, che lasciano più spazio alla storia che alla teologia, sembra essere quella di raccogliere in un unico capitolo quegli aspetti storici da cui traspare la forte tensione che aleggiava attorno a Gesù. In un colpo solo quindi l'autore informa il suo lettore del clima storico e sociale in cui si svolgeva l'azione missionaria di Gesù e in cui si collocava la sua stessa persona; un clima che prelude alla sua fine drammatica, quale sua logica conseguenza. È certamente questo un capitolo che dà una svolta decisiva all'intero racconto giovanneo, indirizzandolo verso l'ora della glorificazione di Gesù. In conclusione, il cap.7 è una sorta di piccola antologia, formata da nove brevi unità narrative giustapposte l'una accanto all'altra, tenute assieme sia dalla festività delle Capanne, sia da una forte tensione e dal tema del morire che le accomunano tutte e da cui ne esce un Gesù molto contrastato: da un lato accolto come persona buona ed onnisciente, riconosciuta nella sua identità di profeta e di Cristo; dall'altro incompreso, rifiutato e perseguitato; una figura che certamente creava attorno a sé divisioni e discordie e che comunque non lasciava indifferente la gente.

1-13: Questi primi due versetti danno il tono all'intero capitolo. Il v.1 mette subito in evidenza la grave situazione che si era venuta a creare attorno a Gesù dopo la guarigione del paralitico presso la piscina di Betzatà (5,1-9a) in giorno di sabato (5,9b), la quale cosa gli costò i propositi omicidi delle autorità religiose, non solo per aver violato il sabato (5,16.18a), ma anche perché si era giustificato appellandosi alla sua figliolanza divina, ponendosi alla pari di Dio (5,17.18b). Le arie, dunque, per Gesù non erano buone in Giudea, meglio rimanersene in Galilea, sua terra di origine e dove, a Cafarnao, secondo il racconto matteano, aveva stabilito la sua dimora (Mt 4,13). La seconda parte del v.1 vede contrapposte tra loro due regioni: la Galilea e la Giudea; la prima è la terra familiare di Gesù, da cui è originario (Mt 2,22; Lc 4,16a) e dove egli è stato anche bene accolto dai suoi concittadini (4,45) e dove si sente sicuro (7,1b.9). È qui in Galilea che egli ha compiuto i primi due segni, quello delle nozze di Cana (2,1-12) e la guarigione del figlio del funzionario regio (4,46-54), ottenendo qui i primi successi della sua missione (2,11; 4,53); qui, dopo il suo duro discorso sul pane, ottiene la piena solidarietà e la piena adesione dei Dodici (6,67-69), i suoi intimi, anche se accompagnata amaramente dalla defezione di molti suoi discepoli (6,66). Qui, in Galilea, secondo la tradizione sinottica, egli aveva dato inizio alla sua missione e della Galilea erano i suoi primi discepoli. Galilea, dunque, ambiente familiare e caro a Gesù dove egli suole rifugiarsi nei momenti di difficoltà (Mt 4,12; Gv 4,1-3). Di tutt'altro tenore è la Giudea dove egli si scontrerà con la pervicace chiusura dei Giudei, che in Giovanni sono divenuti sinonimo di inintelligenza e incredulità invincibili; e dove i ripetuti scontri con le autorità religiose, fautrici di tentativi di arresto (7,30.32.44) e di progetti omicidi, lo porteranno, infine, sul Golgota. La contrapposizione è rilevata anche dai due verbi, che accompagnano le due regioni: “camminava” in Galilea e “non voleva camminare” in Giudea.

la festa delle Tende, terza festività del pellegrinaggio, assieme a quella della Pasqua e della Pentecoste, è strettamente legata al Tempio; Dt 16,16-17 stabilisce infatti che tre volte all'anno, nella festa degli azzimi, delle settimane e delle capanne ogni maschio dovrà presentare una propria offerta al Signore “nel luogo che egli avrà scelto”, cioè nel tempio. Non a caso, poi, tutte le vicende e i grandi discorsi di Gesù riportati nei capp.7 e 8 sono incorniciati non solo all'interno della festività, ma anche del Tempio, che formerà da sfondo all'intero cap.8. Festa delle Tende e Tempio, quindi, sono due aspetti che non vanno scissi, se pensiamo, ancora una volta, come il primo Tempio, quello di Salomone, fu inaugurato solennemente proprio durante la festa delle Capanne (1Re 8,2.65-66), creando una sorta di connubio che non poteva essere dimenticato e che certamente la festa delle Capanne in qualche modo richiamava. Il primo Tempio, poi, fu costruito in sostituzione della Tenda in cui dimorava l'Arca dell'Alleanza (2Sam 7,1-3; 1Re 8,17-21), che aveva accompagnato Israele nel suo lungo peregrinare nel deserto. Una Tenda e un Tempio che Jhwh aveva riempito della sua presenza (Shekinah), della sua presenza gloriosa (Es 33,9-10; Ez 10,4). Tenda, Tempio e festa delle Tende costituiscono pertanto nel cuore dell'israelita un trinomio sacro e inscindibile.

Chi sono questi fratelli di Gesù e a quali discepoli essi alludono? Quanto ai fratelli essi vanno intesi in senso carnale. Il termine adelfós, infatti, compare nel N.T. 343 volte e in tutti i casi il termine indica soltanto due tipologie di persone: i fratelli in senso carnale e, a seconda del contesto, indica i fratelli di fede. In nessun caso, comunque, viene usato per indicare la parentela né in senso stretto né in quello più generico. Del resto, il greco possiede una ventina di termini specifici per indicare le varie sfumature dei diversi gradi di parentela, non si comprenderebbe quindi perché l'evangelista, che scrive in greco, debba usare il termine per indicare la parentela di Gesù (cfr. G. Lonardi, commento al V. di Giovanni).

v. 4: La coscienza della propria identità nasce sempre attraverso un processo piuttosto complesso di confronto-scontro tra il sé e l'altro da sé; ma in quale modo Gesù è pervenuto alla coscienza della sua divinità e della missione da compiere quale inviato diretto e personale del Padre? Forse il confronto con le Scritture? La lettura dei Profeti? Il suo relazionarsi al Padre attraverso la preghiera? Tutte cose queste che forse provocavano in lui forti vibrazioni o strane sensazioni, aprendogli un po' alla volta la mente e facendogli nascere lentamente dall'interno la coscienza della sua appartenenza divina.

v. 6: Non si tratta del tempo comunemente inteso, quello scandito dal calendario e dall'orologio, per il quale il greco usa il termine (crónos), ma di un particolare tempo definito dal suo contenuto. Si tratta di un tempo giusto, opportuno, la buona occasione, il momento propizio. Questo tempo è qualificato da due aggettivi possessivi tra loro contrapposti “il mio”-”il vostro”, che collocano questo tempo in due campi avversi, perché diversi sono i contenuti di questo tempo: quello di Gesù è scandito dal disegno salvifico del Padre, che Gesù sta attuando nella sua stessa persona. Il tempo di Gesù, dunque, è quello del Padre; un tempo che non gli appartiene, per questo Gesù non può muoversi secondo le logiche umane. I tempi in cui Gesù si sta muovendo sono scanditi dal progetto del Padre, che ha preso forma in lui e in lui si sta attuando. Per questo il mondo non si riconosce in Gesù e lo disprezza, perché non gli appartiene; eppure, ricorda l'autore, in un gioco di doppi sensi non privi di una sottile ironia, egli era nel mondo (luogo fisico) e il mondo fu fatto da lui (creazione), ma il mondo (uomini) non lo riconobbe (1,10).

10-13: Questa breve pericope ha la funzione narrativa di presentare il clima di tensione che si percepiva attorno a Gesù: da un lato i Giudei si interrogano sul “Dov'è quello” (v11); un interrogativo che in qualche modo allude allo smarrimento delle autorità giudaiche, che non sanno dove collocare Gesù nel quadro sociale e religioso che caratterizzava il giudaismo; esse, infatti, non sanno dove “quello” si trovi. L'uso del pronome al posto del nome dice proprio questa loro inintelligenza circa la persona di Gesù; dall'altro, si hanno le folle (v.12), nome collettivo anonimo, che dice la generalità della gente, che si presenta come una società nettamente divisa su Gesù: “è buono”-“è un ingannatore”. Questa genericità delle definizioni di Gesù e l'anonimato delle folle danno l'idea di una sorta di statistica, di sommario generale sulla situazione che si era venuto a creare attorno a Gesù. Infine, sullo sfondo l'autore annota che il tutto si muove in un clima di paura delle autorità giudaiche (v.13), che avevano decretato l'espulsione dalla sinagoga chi avesse riconosciuto Gesù come il Cristo (9,22; 12,42); quindi anche il parlarne poteva essere sospetto. Questo clima di tensione, al cui interno si muovono inintelligenza e divisioni, anticipa e introduce in qualche modo i singoli quadri seguenti, che ne diventano una sorta di illustrazione dettagliata.

14-18: Gesù, la conoscenza e l'insegnamento che vengono da Dio

La finalità di questo breve racconto è mettere in rilievo come il dire di Gesù è lo stesso dire del Padre (v.16), creando una sorta di identificazione tra Gesù e il Padre, che rimanda in qualche modo a 14,9-11, dove Gesù, rispondendo alla curiosità di Filippo, gli dice: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse”.

Va posto un chiarimento sull'espressione, che può risultare equivoca: “Come costui conosce le Scritture non avendo studiato?”. Il termine “grammata” (grámmata), tradotto “Scritture”, significa di per sé “scritti, libri, trattati, leggi scritte” e simili; di conseguenza sembrerebbe che la gente si interroghi sul sapere umano di Gesù, come dire come fa costui ad essere così dotto se non ha nessun titolo di studio. Anche se l'espressione porta a comprendere questo, tuttavia il contesto storico dice una cosa ben diversa. Il sistema scolastico obbligatorio ai tempi di Gesù era già funzionante. Per essere un buon ebreo osservante era necessario che questi sapesse leggere e comprendere la Torah. In tal senso Rabbì Simeon ben Shetach (120-40 a.C.), studioso fariseo e capo del sinedrio sotto il regno di Alessandro Ianneo (103-76 a.C.), favorì la fondazione nelle grandi città di scuole primarie con indirizzo religioso, in cui si insegnava a leggere e a scrivere ai fini dell'apprendimento della Torah e della sua pratica. Fino a quel tempo, anche se si mantenne successivamente, l'insegnamento della Torah era affidato esclusivamente al padre secondo le disposizioni della stessa Torah, su di lui incombeva il dovere dell'istruzione. Poiché non tutti i padri erano in grado di assumersi l'onere di un adeguato insegnamento, né tutti i cittadini erano in grado di pagarsi un tutore, si avvertì ben presto la necessità di avere una struttura pubblica che assolvesse a tale compito educativo in modo diffuso e uniforme. L'insegnamento era esclusivamente orientato ai testi religiosi. Si trattava di imparare a leggere e a comprendere i testi sacri. I bambini erano obbligati alla frequenza dall'età di sei/sette anni. Successivamente alla formazione della Mishnah (II sec. d.C.), il trattato pirqé Abot (5,21) scandiva le tappe fondamentali dell'educazione pubblica dei fanciulli: “a cinque anni alla Bibbia, a dieci anni alla Mishnah, a tredici anni ai comandamenti, a quindici anni al Talmud, a diciotto anni al matrimonio”. Benché questa specie di calendario formativo sia databile intorno al II sec. d.C. e quindi molti decenni dopo la venuta di Gesù, tuttavia, esso riporta e codifica in sé antiche tradizioni. È quindi pensabile che Gesù avesse frequentato questa scuola dell'obbligo che si teneva presso la sinagoga locale e pertanto sapesse leggere e scrivere e avesse almeno una rudimentale conoscenza generica della Torah e dei doveri che essa imponeva. Lo stupore per la sua conoscenza “senza aver studiato” non va riferita pertanto al suo livello culturale primario o di base, comune alla generalità degli ebrei, ma alla sua capacità d'insegnamento delle Scritture (cfr. G. Lonardi, commento al V. di Giovanni).

19-24: Ricomprendere la Legge a favore dell'uomo

Che Gesù non fosse un fanatico delle osservanze giudaiche, del sabato o delle regole sulla purità e sui digiuni lo si arguisce molto bene dai vangeli; così come questi ci attestano che egli non vedeva di buon occhio la miriade di commenti che formavano la Torah orale e scandivano, normandolo minuziosamente, quasi in modo ossessivo, il vivere quotidiano del pio ebreo; così che Gesù definì tutta questa elaborazione dottrinale,  “precetti di uomini” (Mt 15,9; Mc 7,7) e pesi inutili e insostenibili, accusando le stesse autorità religiose di inosservanza (Mt 23,4). Il deciso e duro intervento di Gesù presso il tempio di Gerusalemme, malmenando i venditori di colombe e i cambiavalute, aumentò non poco la forte tensione tra lui e la classe sacerdotale, che su questi commerci alimentava le proprie entrate. Il gesto simbolico e profetico del rovesciamento dei banchi dei venditori alludeva simbolicamente al rovesciamento e al rinnovamento cultuale che egli era venuto a portare (Mt 23,37). Il suo stesso rapporto con le autorità religiose, rappresentanti e conservatrici del sistema religioso, imperniato sulla rigida e formalistica osservanza della Legge mosaica, non fu tra i più distensivi. Lo scontro quindi tra Gesù e il giudaismo verté essenzialmente sull'autenticità e sul rinnovamento del culto, che per l'ebreo aveva delle forti risonanze sul proprio modo di vivere e di rapportarsi a Dio.

25-30: Due conoscenze a confronto: quella del giudaismo e quella di Gesù

La struttura della pericope è scandita in due parti: la prima (vv.26-27) riguarda il sapere proveniente dalla tradizione giudaica circa la venuta del Messia, del tutto insufficiente per identificare Gesù; la seconda parte (vv.28-29) indica la provenienza del suo sapere, sconosciuto al giudaismo, troppo legato a Mosè; un legame che gli impedisce di andare oltre.

31-36: timori e interrogativi

37-44: L'annuncio di tempi nuovi crea tra la folla disaccordi sull'identità di Gesù

Il racconto di questa pericope si colloca all'interno della festa delle Capanne, che ha avuto una evoluzione teologica e un arricchimento di significati con l'andar del tempo. Quella delle Capanne è una festa carica di storia e densa di significati. Il Gesù che si erge nel momento più solenne di questa festa e lancia il suo proclama dottrinale e rivelativo, riassume in se stesso tutto ciò che di sacro e di solenne porta con sé questa festività, divenendone di fatto il compimento. Da un punto di vista strutturale la pericope in esame è scandita in due parti: la prima (vv.37-39), il cui tenore è rivelativo e dottrinale, è teologicamente molto densa e nel contempo alquanto complessa; la seconda parte (vv.40-44) presenta la reazione della folla al breve proclama di Gesù. Torna nuovamente qui il tema della messianicità di Gesù, che percorre l'intero cap.7 (vv.26-27; 31; 41-42), quasi a rispondere alle attese messianiche che caratterizzavano la festività delle Capanne.

45-53: Contrasti e divisioni all'interno delle autorità giudaiche

Narrativamente questa pericope riprende il racconto iniziatosi ai vv.31-32 in cui i Farisei e i sommi sacerdoti all'udire tra la folla insinuazioni messianiche su Gesù, ne dispongono l'arresto. Tra l'ordine di arresto, impartito nel contesto del v.14, allorché la festa era giunta a metà, e il ritorno dei servi a mani vuote, avvenuto nel contesto dell'ultimo giorno della festa (v.37) dovrebbero essere passati all'incirca quattro giorni, un lasso di tempo eccessivo per eseguire un ordine di cattura nei confronti di una persona che era pubblicamente esposta. Tuttavia, in questo caso la tempistica giovannea non sembra avere rilevanza teologica e probabilmente il particolare è sfuggito anche al suo redattore finale. La struttura della pericope è scandita in due momenti: a) il rapporto dei servi sul mancato arresto di Gesù con la conseguente reazione stizzita delle autorità; b) la spaccatura all'interno del gruppo delle autorità per l'intervento a favore di Gesù operato da parte di Nicodemo, che causa lo scioglimento del gruppo stesso (v.53), decretandone il fallimento. Il lettore, già edotto dal v.30b, sa che niente può ancora succedere contro Gesù, perché non è ancora giunta la sua ora. Elemento di congiunzione e di passaggio tra le due parti è il giudizio che l'autore mette in bocca alle autorità giudaiche al v.49, posto non casualmente al centro della pericope e che ricadrà proprio sulle teste delle autorità stesse. 

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