XVIII
DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Lc
12,13-21
Paolo
Cugini
La
dimensione spirituale della vita se no ha una ripercussione, una ricaduta sulla
vita materiale, è destinata ad inaridire. Nell’insegnamento di Gesù il legame
tra fede e vita, tra spirituale e materiale è visibile. La relazione d’amore con
il Padre, diviene visibile nelle relazioni gratuite e disinteressate che Gesù
instaura con le persone che incontra. L’ascolto della Parola, che orienta la
vita dei fedeli ad essere portatori dell’immagine di Dio, divine visibile nell’attenzione
ai poveri. Infine, la liturgia celebrata nel tempio, si trasforma nella vita
fraterna che conduce a vedere negli altri dei fratelli e delle sorelle. Nel
Vangelo di oggi Gesù ci mostra le conseguenze negative di una vita spirituale
che non ha alcuna ricaduta sulla vita reale e rimane richiusa tra le pareti del
sacro, producendo il contrario di quello che aspira, morte invece di vita.
«Fate
attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è
nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Il
valore della vita di una persona non dipende da quello che ha, ma da quello che
dà. Questo è in sintesi il messaggio riassuntivo del vangelo di oggi, che è un
invito a non lasciarsi abbagliare dalle illusioni della ricchezza. Quello, infatti,
che si trattiene e si accumula non si possiede, ma ci possiede. Gesù nel
Vangelo di oggi viene intrattenuto sul tema dell’eredità. La risposta di Gesù è
categorica. L’eredità è un frutto avvelenato, perché chi lascia un’eredità significa
che nella sua vita ha accumulato e l’accumulo è la conseguenza di una scelta
egoistica. Si pensa che, lasciando in eredità qualcosa per i posteri si fa del
bene, in realtà si consegna qualcosa di negativo che produce divisioni. L’eredità
è dunque, il simbolo della cupidigia, di una vita concentrata si se stessi,
senza la minima attenzione nei confronti degli altri, soprattutto i più poveri.
Ciò che si ha è per condividere. Sotteso
al discorso c’è l’idea che l’accumulo, frutto della cupidigia, sia una forma di
idolatria, che sostituisce Dio.
Poi
disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto
abbondante… Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei
raccolti?
Il
ricco è un malato terminale di egoismo e per lui non c’è salvezza. Può sembrare
un’affermazione dura, ma il contenuto è ripreso in altri testi del Vangelo. Ad
esempio, la narrazione dell’incontro di Gesù con il giovane ricco. Il finale di
questa storia Gesù afferma perentoriamente che difficilmente un ricco entrerà
nel regno di Dio. Nella parabola di oggi Gesù cerca di spiegare la struttura di
pensiero di un ricco, la logica esistenziale sottesa all’accumulo. Come pensa
la persona ricca? Pensa esclusivamente per sé e non ha un minimo di attenzione
per gli altri e, tra questi, men che meno i poveri. Ai ricchi tutto gli è
dovuto. Gesù descrive l’ingordigia, la cupidigia. Nella mente del ricco, nel
suo raziocinio, se così lo si può chiamare, non c’è un minimo un accenno alla
solidarietà, perché il ricco pensa solo a sé stesso: è il prototipo dell’egoismo.
Il personaggio della parabola è già ricco e avendo un raccolto abbondante, non
pensa di condividere con i più poveri, visto che lui stesso non avrebbe
bisogno, ma, chiuso nel suo egoismo, pensa a come aumentare i suoi magazzini. È
importante sottolineare che al tempo di Gesù il ricco era considerato una persona
benedetta da Dio, mentre il povero era una persona punita. Gesù smaschera questo
pensiero ipocrita, tipico della religione formale, che mantiene separati la
fede dalla vita, il tempio dalla piazza, il sacro dal profano. Questa divisione
non può che produrre un’esistenza schizofrenica, per cui nel tempio adori il
Dio creatore della vita e poi nella vita quotidiana, il ricco toglie la
possibilità di vita ai poveri, accumulando beni per sé stesso.
Ma
Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E
quello che hai preparato, di chi sarà?”.
Che
cosa pensa Gesù dei ricci, che passano tutta la vita accumulando beni e denaro?
Che sono stolti. L’espressione che Gesù utilizza è un po' attenuata dalla
traduzione che sarebbe: scemo! Chi accumula pensando solo a sé stesso è uno
scemo, perché non riesce a pensare e a cogliere la propria stessa vita in un
orizzonte che vada al di là del proprio ombelico, della propria storia
temporale. Il ricco è, nella prospettiva del Vangelo, una persona che non sa
ragionare, è incapace di pensare: è stolto, scemo. Nella parabola narrata da
Gesù, il ricco è scemo perché non riesce a godere di quello che ha accumulato, perché
la ricchezza ha annebbiato la sua mente.
Così
è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
La
domanda sottesa a questa affermazione perentoria e significativa di Gesù, è la
seguente: come ci si arricchisce presso Dio? Dando agli
altri. Negli Atti degli Apostoli, sempre scritti da Luca, si afferma che c’è
più gioia nel dare che nel ricevere. Il segreto evangelico della felicità è che
non la si misura in quello che si ha e si accumula, ma in quello che si dona e
si condivide generosamente con chi ne ha bisogno. Questo è il Vangelo! È questo
messaggio che dobbiamo annunciare al mondo non solo con le parole, ma
attraverso delle scelte concrete di condivisione e di solidarietà con i più
poveri.
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