sabato 28 aprile 2018

TOCCATEMI E GUARDATE





Paolo Cugini
Sono parole strane quelle che Gesù rivolge ai suoi discepoli dopo la Risurrezione, per spronarli dinanzi alla loro incredulità. Quel: “toccatemi e guardate” suonano strane nel contesto di una religione abituata a lavorare su dati spirituali, a incentivare il cammino interiore. Eppure, l’invito di Gesù a toccare il suo corpo e a guardare i segni delle ferite lasciati dai chiodi della croce, indica il cammino della Chiesa. Il Dio di Gesù Cristo non è un fantasma: ha un corpo. D’ora innanzi la religione non può più essere accusata di fantasia, perché il Dio che annuncia il cristianesimo ha i contorni ben definiti. Non è qualsiasi cosa che viene annunciato, ma quel corpo che è possibile toccare e vedere. Questo è il compito della Chiesa: aiutare il mondo a toccare e vedere il Signore. E’ il compito della chiesa perché oggi è proprio la Chiesa il corpo di Cristo, come ci ha insegnato san Paolo nelle sue lettere. Per essere vista e riconosciuta come il corpo di Cristo, deve portare i segni dei chiodi, che sono il segno di un amore senza limiti. Deve poter mostrare il fianco ferito dall’odio del mondo e risanato dalla potenza di Dio che lo ha risuscitato.

lunedì 16 aprile 2018

IL BUON PASTORE




GIOVANNI 10, 11-18

Paolo Cugini

Il brano di Vangelo proposto dalla Liturgia di oggi ci stimola a riflettere sui modelli di maternità e paternità che adottiamo e, di conseguenza, sulla qualità delle relazioni che sappiamo instaurare. Che cosa significa essere padre e madre nella società sempre più liquida e post cristiana, società in cui non solo è sempre più difficile decidersi per qualcosa di definitivo, ma anche identificarsi?  Il teologo Armando Matteo, alcuni anni fa, faceva notare come la prima generazione incredula, vale a dire i diciottenni attuali, sono stati i primi ad avere dei padri e delle madri che non hanno trasmesso loro la fede. Invece, infatti, di preoccuparsi di dire Dio ai loro figli, hanno pensato a loro stessi, sono stati per così dire, utilizzando la metafora del Vangelo, dei mercenari. Lo psicoterapeuta Massimo Recalcati nei saggi: Le mani della madre e Il ritorno del padre, evidenzia la difficoltà che oggi gli adulti hanno di assumere il loro ruolo. Mentre la donna fa sempre più fatica ad identificarsi totalmente nel ruolo di madre (finalmente!) come avveniva un tempo, entrando a suo dire in derive di tipo narcisista; l’uomo, a sua volta, non riesce più ad imporsi come il garante familiare della Legge, scivolando in un tipo di relazioni deresponsabilizzanti, che non riescono più ad imprimere nel figlio un significato, le motivazioni di un vissuto. 
Senza dubbio, oggi facciamo più fatica a definire ruoli che un tempo, ma questa difficoltà non è tutta negativa. Più che avere dei riferimenti forti sui quali appoggiarci per tutta la vita, siamo stimolati cercare continuamente nel vissuto quotidiano il modo evangelico per incontrare l’altro, per tessere relazioni che aprano cammini di libertà. Come possiamo essere sicuri della bontà evangelica delle nostre relazioni? Come possiamo percepire la bontà della nostra maternità e della nostra paternità? Il Vangelo di oggi ci suggerisce un criterio: “E ho altre pecore che non provengono da questo recinto, anche quelle io devo guidare”. La paternità e la maternità che noi esercitiamo è autentica quando non si chiude in se stessa, ma si apre al mondo, a tutti coloro che Dio mette sul nostro cammino, quando cioè pensa a chi è fuori. Alzare lo sguardo, guardare al di fuori del recinto delle nostre vite, e pensare all’altro, a colui che non crede, a colui che è nel bisogno e che non è nel giro degli amici e dei parenti, non è qualcosa di normale, ma è il segno di una conversione, il segno che la Parola del Pastore è entrata in noi e sta squarciando il nostro cuore, il segno di un avvenuto riconoscimento reciproco. Quando il povero, l’affamato, chi ha perso casa o lavoro, chi è smarrito, chi è solo come un cane, chi è vittima di pregiudizi entra nel nostro pensiero e vi trova spazio, allora, caro mio, qualcosa di grande è avvenuto. Vengono in mente le parole di Papa Francesco dell’Evangeli Gaudium, quando esortava le comunità ad uscire da una pastorale di conservazione, per uno stile pastorale in uscita. 
Sentire la responsabilità di chi non è in mezzo a noi, di pensare a loro, di coinvolgere chi ci è vicino per uscire, significa essere padri e madri sullo stile del buon Pastore. Alzare lo sguardo per guardare al di là del recinto, del cancello: è il contrario che alzare dei muri per non vedere, per mantenere le distanze, per non sentire le grida dei disperati, la puzza dei poveri, la realtà dei rifiuti umani, come li chiamava Bauman. Mi viene da dire che, proprio in questo contesto culturale in cui sembra non esserci più nulla di definitivo su cui appoggiarci e avere la scusa per demandare a qualcuno più in alto le nostre responsabilità, siamo interpellati in prima persona da coloro che sono al di là del recinto delle nostre case, delle nostre chiese, dei nostri gruppi.
Paolo Cugini, parroco dell’Unità Pastorale Santa Maria degli Angeli-Reggio Emilia

lunedì 9 aprile 2018

ERANO UN CUOR SOLO - DOMENICA IN ALBIS






Il tempo di Pasqua è pieno di positività. La si respira nelle pagine dei vangeli in cui si parla di vita, di una vita che va al di là della morte, di una vita che diviene quindi motivo di speranza nel presente, nel vissuto quotidiano. I discepoli hanno la possibilità di dialogare con il loro Maestro, nonostante fosse stato crocefisso qualche giorno prima. E’ un dato incredibile perché non solo fa luce sull’identità di Gesù, ma soprattutto perché rivela la forza della sua Parola e come questa Parola possa rialzare chi è caduto, posso offrire un cammino. Basta credere in Lui; basta accogliere la sua Parola. E’ bello il tempo di Pasqua perché ci narra la bellezza delle prime comunità: quanta speranza! Erano così pieni di fede della presenza del Signore in mezzo a loro, che non solo si trovavano spesso insieme a pregare, ma le cose non esercitavano più nessuna attrattiva su di loro. E allora, chi aveva di più condivideva con chi aveva meno, affinché nessuno nella comunità vivesse nel bisogno. E’ la fede che s’incarna nella vita. Che voglia di vivere come loro! Don Paolo