sabato 7 febbraio 2015

ALLEGRIA





DOMENICA  II DI AVVENTO-C
(Bar 5,1-9; Sal 126; Fil 1,4-6.8-11; Lc 3,1-6)

Paolo Cugini

1. Il tempo liturgico di Avvento intende condurci alla meraviglia per la venuta del Figlio di Dio sulla terra. É un cammino che dobbiamo compiere, cammino fatto di tappe, ognuna delle quali estremamente importanti per la realizzazione dell’obiettivo. Domenica scorsa la liturgia ci invitava ad alzare la testa, a metterci in piedi, a focalizzare la nostra attenzione verso il futuro, per cercare d’intravedere colui che deve venire. Durante questa settimana dovremmo aver lavorato, spiritualmente parlando, sull’attenzione, sullo sforzo spirituale di concentrarci sul futuro che Dio ci ha preparato. É un’esercizio spirituale non indifferente e che richiede un grande sforzo. Si tratta, infatti, di distogliere l’attenzione dal futuro che ogni giorno stiamo preparando con le nostre mani, questi nostri piccoli futuri plasmati a nostra immagine e somiglianza –le ferie, il conto in banca, la bella casa, la settimana bianca, la pensione- per concentrarci su qualcosa di totalmente differente da tutti i punti di vista. Per poter accolgiere il futuro di Dio la liturgia della Parola ci chiede la disponibilitá a cambiare di abito, a deporre la veste di lutto per rivestirci della gloria di Dio (Cfr. Baruc 5, 1). É unímmagine molto bella ed espressiva, che si collega a quella espressa nel Vangelo di oggi, nel quale troviamo Giovanni Battista che nel deserto predica un battesimo di conversione. Nel tempo di avvento la liturgia ci invita a fare spazio nella nostra vita, affinché il Signore possa trovare posto. Ci possiamo allora chiedere: quali sono le condizioni che rendono possibile la venuta del Signore nella nostra esistenza?

2. “Si, Dio guida Israele com allegria” (Baruc 5,9)
La prima condizione é togliere la tristezza dalla nostra vita. Il problema é che la tristezza non si forma all’improvviso, ma ce la troviamo addosso come un vestito, come qualcosa che improvvisamente si é messa al nostro lato. La tristezza si forma lentamente dalle scelte che facciamo, dallo stile di vita che abbiamo assunto. Togliere la tristezza dalla nostra vita significa darsi il tempo per cambiare direzione. Per questo, un pó di silenzio non fa male, ma aiuta ad entrare in noi stessi, ad ascoltare Dio che parla nel profondo del nostro cuore, della nostra coscienza. Solo nel silenzio possiamo trovare l’umiltá e il coraggio di mettere il peccato davanti al giudizio misericordioso di Dio, per toglierlo definitivamente dalle nostre mani ingannatrici, che fanno di tutto per nascondercelo e, cosí, non riconoscerlo. Nel deserto Giovanni Battista predicava un battesimo di conversione dei peccati, per liberare la nostra umanitá dal peso del nostro egoismo e fare cosí spazio alla gloria del Signore. In questo tempo di avvento, che rappresenta una grandissima occasione che la Chiesa ci offre per ridefinire la nostra vita cristiana, prepariamo la venuta del Signore chiedendogli di aiutarci ad andare alla radice della nostra tristezza, per estirparla dalla nostra vita.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: ma come si fa ad essere allegri in questo mondo? Non é una forzatura? Non é esigere troppo? Come si fa ad essere allegri quando tutti i giorni la gente si ammazza e quando i problemi invece di diminuire sembrano aumentare all’inverosimile? Non sarebbe meglio che la liturgia di avvento ci invitasse a piangere?
Ascoltando attentamente le letture si coglie immediatamente che, quello che ci viene detto, non é la negazione della realtá umana, ma la rivelazione del piano di Dio, che é un progetto di vita piena, di luce, di gloria. Il profeta Baruc, nella prima lettura, fa di tutto per rivelare al popolo d’Israele che cosa sta succedendo, nonostante il presente di tristezza per causa dell’esilio, e cioé che “Dio guiderá Israele con allegria, alla luce della sua gloria, manifestando la misericordia e la giustizia che procedono da Lui” (Bar 5, 9).
Lo stesso invito a guardare la realtá nella prospettiva di come la guarda Dio, lo incontriamo nel salmo, in cui il salmista invita gli ascoltatori a vedere  che cosa il Signore sta preparando e cioé il cammino di ritorno dall’esilio: “Quando il Saignore ricondusse i prigionieri dall’esilio ci sembrava di sognare” (Sal 126,1). Anche Paolo dalla prigione di Efeso, conforta i suoi amici di cammino con delle preghiere piene di allegria, incitandoli a crescere sempre di piú nell’amore al Signore e nella giustizia che viene da Lui (cfr. Fil 1, 4.11).
Apprendere a guardare la realtá e la storia cosí come la guarda Dio: é questo che la liturgia di avvento vuole insegnarci. E, allora, scopriamo che c’é davvero da saltare di gioia perché, nonostante i nostri peccati, la nostra testa dura, il nostro cuore di pietra (sono tutte espressioni bibliche), il Signore ha giá preso la sua decisione e cioé di perdonarci tutti e di coprirci con il suo amore. E, allora, come facciamo ad essere tristi con un Dio cosí? Come facciamo a continuare a vivere lamentandoci di tutto e di tutti, quando il Padre ha giá deciso di adottarci come suoi figli? Come facciamo a continuare la nostra vita triste da condannati a morte, quando Dio ha giá emanato il suo verdetto di vita e di salvezza per tutta l’umanitá?

3. La seconda condizione che la liturgia della Parola ci indica come cammino per fare spazio al Signore nella nostra vita, é la capacitá di camminare con i piedi per terra. Puó sembrare una contraddizione con ció che dicevamo sopra, ma non lo é. Guardare la storia come la guarda Dio non significa, infatti, vivere nelle nuvole. Gesú é disceso dal cielo e si é fatto carne, vivendo in mezzo a noi con una vita del tutto simile alla nostra, eccetto il peccato.  Ció significa che, come Gesú, anche noi dobbiamo scendere dalle nostre nuvole religiose, dalle nostre devozioni alienanti, che ci distolgono dallo sforzo di evangelizzare la nostra vita, per cullarci nei nostri paradisi fatti a nostra misura e consumo. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci dice che la vita di fede é qualcosa di diverso da una semplice fuga dalle nostre paure.  La lista impressionante di nomi e di riferimenti storici che l’Evangelista Luca mette all’inizio del brano di oggi, serve per allertarci che la storia di Gesú, il Figlio di Dio fatto uomo, non é una favola, ma é storia . É vero che c’é sempre il furbo di turno che si diverte con l’ignoranza biblica dei cattolici, seminando stupidaggini sulla veridicitá dei vangeli. Quello che per noi fa testo, comunque, non sono solo le tonnellate di documenti interni ed esterni che attestano la veridicitá storica dei vangeli, ma soprattutto quello che lo Spirito Santo produce in noi, nella Chiesa e cioé la testimonianza di una presenza viva, che quotidianamente ci accompagna per la salvezza della nostra esistenza. Il fatto che il Verbo si é fatto carne ed é entrato nel tempo e nella storia, significa che il Signore ci invita a prendere a serio la nostra vita reale. É infatti, il nostro vissuto che Il Signore é venuto a salvare, a riqualificare, a dare una direzione. Lasciamoci, allora, in questo tempo di avvento, convertire dalla Parola che ascolteremo, per una vita piú autentica e piú vera, per una storia piú umana e piú sincera.



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