giovedì 29 dicembre 2022

MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO - SOLENNITÀ

 



Paolo Cugini

 

(Nm 6, 22-27; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21)

 

È il primo giorno dell’anno e siamo in un contesto liturgico per mettere le nostre vite nelle mani di Dio e impegnarci di vivere bene, cercando con i mezzi a nostra disposizione di aiutare le persone che incontreremo a vivere in pace. Come cristiani cerchiamo soprattutto nella parola di Dio ispirazione per le nostre promesse e i propositi di quest’anno che ci aspetta. Vediamo che cosa ci dicono le letture ascoltate.

Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace
(Nm 6, 25).

Apriamo ogni anno ascoltando la benedizione che Dio insegna a Mosè da recitare verso il popolo d’Israele e, quindi, la facciamo valere anche per noi. Che cosa significa questa benedizione? Si chiede che il volto di Dio risplenda per il popolo, a suo favore. Alcune traduzioni hanno su di te. In ogni modo, è l’invocazione della presenza del Signore, che è luce. Il volto indica l’identità e, di conseguenza, è il richiamo al Dio personale che conosce personalmente. L’invito è, dunque, di essere accompagnati da Dio durante l’anno, proprio Lui che ci conosce personalmente, che mette la faccia per noi, ci difende. Si tratta, senza dubbio, di una preghiera ricca di antropomorfismi ma che, in ogni modo, esprime un concetto profondo, il desiderio di una presenza vicina.

quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli (Gal 4,4). Molto più profonda e teologicamente ricca è invece l’affermazione di Paolo che abbiamo ascoltato nella lettera agli Efesini. Paolo afferma che la venuta di Gesù, che proviene da Dio, ha riempito il tempo, per cui d’ora innanzi, non c’è più bisogno di cercare nulla: tutto viene da Lui, perché Cristo è il senso di tutto le cose. Chi incontra Gesù, lo conosce e si lascia conoscere, non ha più bisogno di nulla. Non a caso nei Vangeli troviamo a più riprese situazioni che dicono di questa pienezza, dell’abbondanza portata da Gesù. Nella moltiplicazione dei pani e dei pesci si fa menzione delle ceste rimaste dopo che tutti i presenti si sono saziati. Nel Vangelo di Giovanni Gesù stesso afferma he è venuto affinché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (cfr. Gv 10, 10). Quest’abbondanza ci attira in un cammino di uscita dalle situazioni di carenza e di privazione causate, prima di tutte dalla religione. Gesù è venuto, ci dice Paolo, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, vale a dire, coloro che erano sotto il giogo della religione dei precetti e del merito che, con l’andar del tempo, svuota l’esistenza rendendola sterile. Dalla schiavitù della Legge Gesù ci conduce verso la libertà dei figli di Dio, all’interno di una relazione d’amore con Dio, che solo un figlio, una figlia può avere. È questo un grande augurio che la liturgia ci fa all’inizio dell’anno. È l’augurio che coloro che frequentano il tempio siano persone libere, in grado di condividere l’abbondanza di doni ricevuti da Dio.

 Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore (Lc 2,16-21). Ascoltare questa narrazione nel primo giorno dell’anno è molto stimolante. Ci dice, infatti, che la grandezza della vita non dipende dal numero dei follower, ma dalla qualità dell’amore che ci preoccupiamo di mettere. Questa qualità per crescere ha bisogno di essere custodita nel silenzio e nel nascondimento, che esige un atteggiamento riservato. Maria è l’esempio di questo stile di vita. Infatti, non va a sbandierare ai quattro angoli della terra di essere la madre del salvatore, ma custodisce questo mistero dentro di sé. L’arte della meditazione è una delle ricchezze più grandi che le tradizioni religiose ci hanno comunicato. Contiene l’insegnamento dell’educazione alla vita interiore, dell’imparare che i contenuti significativi della vita sono personali e, di conseguenza, vanno custoditi, assimilati lentamente, protetti. I misteri di Dio appartengono a quei contenuti che solo la meditazione costante può aiutarci a comprenderne un po'. Si tratta, certamente, di un’altra dimensione rispetto a ciò che apprendiamo oggi, dove le conoscenze sono immediate e non accettano alcuna attesa. All’inizio dell’anno Maria ci indica un cammino che per noi oggi è nuovo, inesplorato: il cammino della meditazione, che ci aiuta a proteggere dalla volgarità i contenuti importanti della nostra vita. Buon anno!

martedì 27 dicembre 2022

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 7

 



 

[Annotazioni di Paolo Cugini]

Con il cap.7 si apre una nuova sezione che comprende i capp.7-9; capitoli che pur formando unità narrative a sé stanti e ben circoscritte, sono tuttavia legati tra loro da una continuità narrativa geografica e temporale. Quanto all'aspetto geografico l'azione si svolge in tutti tre i capitoli a Gerusalemme (7,10). Nei primi due essa si svolge nel tempio, ma in due giorni successivi. Il cap. 7,37a infatti attesta che era l'ultimo giorno della festa delle Capanne, il più grande, mentre il cap.8,2a si apre affermando che “Sul far del giorno, giunse nuovamente al tempio”, da cui esce al termine del cap.8,59b. Il cap.8 pertanto è circoscritto da un'inclusione data da un movimento uguale e contrario: entrata e uscita dal tempio. Quanto all'aspetto temporale il cap.7 è incorniciato all'interno della festività delle Capanne (7,2.8.10.11.14.37), mentre i capp.8-9 si collocano il giorno successivo a quello dell'ultimo giorno della festa delle Capanne, il giorno che Lv 23,36b definisce come l'ottavo giorno. Questo costituisce una sorta di transizione tra il periodo della festa delle Capanne, la cui durata era di sette giorni (Lv 23,36a), e il normale periodo feriale che sanciva il ritorno alle attività quotidiane. L'ottavo giorno quindi non appartiene più alla festa delle Capanne propriamente detta; anche la quantità dei sacrifici, che dal primo al settimo giorno si ripetevano in 13 giovenchi, 2 arieti e 14 agnelli; giovenchi che scalavano uno per giorno fino a giungere a sette giovenchi al settimo giorno (Nm 29,12-33), all'ottavo giorno essi diventavano “un giovenco, un ariete e sette agnelli” (Nm 23,36); anche il ritmo narrativo che si ripete costante dai vv.12-35, giunti all'ottavo giorno (Nm 23,35) cambia improvvisamente e compaiono nuove regole rispetto a quelle della precedente settimana. Quanto al cap.9, in cui si colloca il racconto del cieco nato, esso si svolge sempre nell'ottavo giorno; Gesù, infatti, uscito dal tempio (8,59b) si imbatte in un uomo cieco dalla nascita (9,1).

Il cap.7 potremmo definirlo come il capitolo delle incomprensioni, degli interrogativi, dei contrasti e delle divisioni che si addensano attorno alla figura di Gesù. Ben 18 sono gli interrogativi che percorrono l'intero capitolo provenienti dalle folle e dai Giudei su Gesù e da quest'ultimo verso la gente e verso i Giudei; interrogativi spesso senza risposta o volutamente retorici e sottesi talvolta da una venatura polemica. Questo denso amalgama di tese relazioni umane è percorso dal filo rosso della morte che si sta lentamente avvolgendo attorno a Gesù a partire da questo capitolo e in modo sempre più evidente con l'andare del racconto evangelico. A questo si contrappone il tema dell'ora che non è ancora giunta e che per questo ogni tentativo di sopraffazione viene vanificato; ma ciononostante è l'ora verso la quale Gesù è ineluttabilmente avviato. Tuttavia, in Giovanni il tema della morte non è mai angosciante come invece appare nel racconto lucano (Lc 22,44) e in quelli matteano e marciano (Mt 26,38; Mc 14,34). Per Giovanni, infatti, il cammino di Gesù verso l'ora è colto come un percorso verso la sua intronizzazione regale e verso la sua glorificazione. Il Gesù giovanneo è sempre presente a se stesso e appare in ogni circostanza come il dominatore degli eventi, che si stanno compiendo attorno a lui. Preso nel suo insieme questo capitolo genera un clima di forte tensione e segna una svolta decisiva, una sorta di sterzata all'interno della narrazione del vangelo, che punta diritta verso il Golgota. Infatti, se fino a tutto il cap.6 emergeva prevalentemente l'incredulità, lasciando sullo sfondo il tema del morire, dal cap.7 in poi queste si trasformano in atteggiamenti aggressivi, che ben presto diventano progetti di morte, sempre più appariscenti e sempre più determinati, da parte delle autorità giudaiche. In altri termini dal cap.7 la tensione sale e le diatribe si fanno sempre più frequenti, mentre il tema della passione e della morte si fa sempre più dominante. L'ora che fino al cap.8 non era ancora venuta, a partire dal cap.12 si dirà che essa è giunta.

L'idea che nasce da questo concentramento di diatribe, che lasciano più spazio alla storia che alla teologia, sembra essere quella di raccogliere in un unico capitolo quegli aspetti storici da cui traspare la forte tensione che aleggiava attorno a Gesù. In un colpo solo quindi l'autore informa il suo lettore del clima storico e sociale in cui si svolgeva l'azione missionaria di Gesù e in cui si collocava la sua stessa persona; un clima che prelude alla sua fine drammatica, quale sua logica conseguenza. È certamente questo un capitolo che dà una svolta decisiva all'intero racconto giovanneo, indirizzandolo verso l'ora della glorificazione di Gesù. In conclusione, il cap.7 è una sorta di piccola antologia, formata da nove brevi unità narrative giustapposte l'una accanto all'altra, tenute assieme sia dalla festività delle Capanne, sia da una forte tensione e dal tema del morire che le accomunano tutte e da cui ne esce un Gesù molto contrastato: da un lato accolto come persona buona ed onnisciente, riconosciuta nella sua identità di profeta e di Cristo; dall'altro incompreso, rifiutato e perseguitato; una figura che certamente creava attorno a sé divisioni e discordie e che comunque non lasciava indifferente la gente.

1-13: Questi primi due versetti danno il tono all'intero capitolo. Il v.1 mette subito in evidenza la grave situazione che si era venuta a creare attorno a Gesù dopo la guarigione del paralitico presso la piscina di Betzatà (5,1-9a) in giorno di sabato (5,9b), la quale cosa gli costò i propositi omicidi delle autorità religiose, non solo per aver violato il sabato (5,16.18a), ma anche perché si era giustificato appellandosi alla sua figliolanza divina, ponendosi alla pari di Dio (5,17.18b). Le arie, dunque, per Gesù non erano buone in Giudea, meglio rimanersene in Galilea, sua terra di origine e dove, a Cafarnao, secondo il racconto matteano, aveva stabilito la sua dimora (Mt 4,13). La seconda parte del v.1 vede contrapposte tra loro due regioni: la Galilea e la Giudea; la prima è la terra familiare di Gesù, da cui è originario (Mt 2,22; Lc 4,16a) e dove egli è stato anche bene accolto dai suoi concittadini (4,45) e dove si sente sicuro (7,1b.9). È qui in Galilea che egli ha compiuto i primi due segni, quello delle nozze di Cana (2,1-12) e la guarigione del figlio del funzionario regio (4,46-54), ottenendo qui i primi successi della sua missione (2,11; 4,53); qui, dopo il suo duro discorso sul pane, ottiene la piena solidarietà e la piena adesione dei Dodici (6,67-69), i suoi intimi, anche se accompagnata amaramente dalla defezione di molti suoi discepoli (6,66). Qui, in Galilea, secondo la tradizione sinottica, egli aveva dato inizio alla sua missione e della Galilea erano i suoi primi discepoli. Galilea, dunque, ambiente familiare e caro a Gesù dove egli suole rifugiarsi nei momenti di difficoltà (Mt 4,12; Gv 4,1-3). Di tutt'altro tenore è la Giudea dove egli si scontrerà con la pervicace chiusura dei Giudei, che in Giovanni sono divenuti sinonimo di inintelligenza e incredulità invincibili; e dove i ripetuti scontri con le autorità religiose, fautrici di tentativi di arresto (7,30.32.44) e di progetti omicidi, lo porteranno, infine, sul Golgota. La contrapposizione è rilevata anche dai due verbi, che accompagnano le due regioni: “camminava” in Galilea e “non voleva camminare” in Giudea.

la festa delle Tende, terza festività del pellegrinaggio, assieme a quella della Pasqua e della Pentecoste, è strettamente legata al Tempio; Dt 16,16-17 stabilisce infatti che tre volte all'anno, nella festa degli azzimi, delle settimane e delle capanne ogni maschio dovrà presentare una propria offerta al Signore “nel luogo che egli avrà scelto”, cioè nel tempio. Non a caso, poi, tutte le vicende e i grandi discorsi di Gesù riportati nei capp.7 e 8 sono incorniciati non solo all'interno della festività, ma anche del Tempio, che formerà da sfondo all'intero cap.8. Festa delle Tende e Tempio, quindi, sono due aspetti che non vanno scissi, se pensiamo, ancora una volta, come il primo Tempio, quello di Salomone, fu inaugurato solennemente proprio durante la festa delle Capanne (1Re 8,2.65-66), creando una sorta di connubio che non poteva essere dimenticato e che certamente la festa delle Capanne in qualche modo richiamava. Il primo Tempio, poi, fu costruito in sostituzione della Tenda in cui dimorava l'Arca dell'Alleanza (2Sam 7,1-3; 1Re 8,17-21), che aveva accompagnato Israele nel suo lungo peregrinare nel deserto. Una Tenda e un Tempio che Jhwh aveva riempito della sua presenza (Shekinah), della sua presenza gloriosa (Es 33,9-10; Ez 10,4). Tenda, Tempio e festa delle Tende costituiscono pertanto nel cuore dell'israelita un trinomio sacro e inscindibile.

Chi sono questi fratelli di Gesù e a quali discepoli essi alludono? Quanto ai fratelli essi vanno intesi in senso carnale. Il termine adelfós, infatti, compare nel N.T. 343 volte e in tutti i casi il termine indica soltanto due tipologie di persone: i fratelli in senso carnale e, a seconda del contesto, indica i fratelli di fede. In nessun caso, comunque, viene usato per indicare la parentela né in senso stretto né in quello più generico. Del resto, il greco possiede una ventina di termini specifici per indicare le varie sfumature dei diversi gradi di parentela, non si comprenderebbe quindi perché l'evangelista, che scrive in greco, debba usare il termine per indicare la parentela di Gesù (cfr. G. Lonardi, commento al V. di Giovanni).

v. 4: La coscienza della propria identità nasce sempre attraverso un processo piuttosto complesso di confronto-scontro tra il sé e l'altro da sé; ma in quale modo Gesù è pervenuto alla coscienza della sua divinità e della missione da compiere quale inviato diretto e personale del Padre? Forse il confronto con le Scritture? La lettura dei Profeti? Il suo relazionarsi al Padre attraverso la preghiera? Tutte cose queste che forse provocavano in lui forti vibrazioni o strane sensazioni, aprendogli un po' alla volta la mente e facendogli nascere lentamente dall'interno la coscienza della sua appartenenza divina.

v. 6: Non si tratta del tempo comunemente inteso, quello scandito dal calendario e dall'orologio, per il quale il greco usa il termine (crónos), ma di un particolare tempo definito dal suo contenuto. Si tratta di un tempo giusto, opportuno, la buona occasione, il momento propizio. Questo tempo è qualificato da due aggettivi possessivi tra loro contrapposti “il mio”-”il vostro”, che collocano questo tempo in due campi avversi, perché diversi sono i contenuti di questo tempo: quello di Gesù è scandito dal disegno salvifico del Padre, che Gesù sta attuando nella sua stessa persona. Il tempo di Gesù, dunque, è quello del Padre; un tempo che non gli appartiene, per questo Gesù non può muoversi secondo le logiche umane. I tempi in cui Gesù si sta muovendo sono scanditi dal progetto del Padre, che ha preso forma in lui e in lui si sta attuando. Per questo il mondo non si riconosce in Gesù e lo disprezza, perché non gli appartiene; eppure, ricorda l'autore, in un gioco di doppi sensi non privi di una sottile ironia, egli era nel mondo (luogo fisico) e il mondo fu fatto da lui (creazione), ma il mondo (uomini) non lo riconobbe (1,10).

10-13: Questa breve pericope ha la funzione narrativa di presentare il clima di tensione che si percepiva attorno a Gesù: da un lato i Giudei si interrogano sul “Dov'è quello” (v11); un interrogativo che in qualche modo allude allo smarrimento delle autorità giudaiche, che non sanno dove collocare Gesù nel quadro sociale e religioso che caratterizzava il giudaismo; esse, infatti, non sanno dove “quello” si trovi. L'uso del pronome al posto del nome dice proprio questa loro inintelligenza circa la persona di Gesù; dall'altro, si hanno le folle (v.12), nome collettivo anonimo, che dice la generalità della gente, che si presenta come una società nettamente divisa su Gesù: “è buono”-“è un ingannatore”. Questa genericità delle definizioni di Gesù e l'anonimato delle folle danno l'idea di una sorta di statistica, di sommario generale sulla situazione che si era venuto a creare attorno a Gesù. Infine, sullo sfondo l'autore annota che il tutto si muove in un clima di paura delle autorità giudaiche (v.13), che avevano decretato l'espulsione dalla sinagoga chi avesse riconosciuto Gesù come il Cristo (9,22; 12,42); quindi anche il parlarne poteva essere sospetto. Questo clima di tensione, al cui interno si muovono inintelligenza e divisioni, anticipa e introduce in qualche modo i singoli quadri seguenti, che ne diventano una sorta di illustrazione dettagliata.

14-18: Gesù, la conoscenza e l'insegnamento che vengono da Dio

La finalità di questo breve racconto è mettere in rilievo come il dire di Gesù è lo stesso dire del Padre (v.16), creando una sorta di identificazione tra Gesù e il Padre, che rimanda in qualche modo a 14,9-11, dove Gesù, rispondendo alla curiosità di Filippo, gli dice: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse”.

Va posto un chiarimento sull'espressione, che può risultare equivoca: “Come costui conosce le Scritture non avendo studiato?”. Il termine “grammata” (grámmata), tradotto “Scritture”, significa di per sé “scritti, libri, trattati, leggi scritte” e simili; di conseguenza sembrerebbe che la gente si interroghi sul sapere umano di Gesù, come dire come fa costui ad essere così dotto se non ha nessun titolo di studio. Anche se l'espressione porta a comprendere questo, tuttavia il contesto storico dice una cosa ben diversa. Il sistema scolastico obbligatorio ai tempi di Gesù era già funzionante. Per essere un buon ebreo osservante era necessario che questi sapesse leggere e comprendere la Torah. In tal senso Rabbì Simeon ben Shetach (120-40 a.C.), studioso fariseo e capo del sinedrio sotto il regno di Alessandro Ianneo (103-76 a.C.), favorì la fondazione nelle grandi città di scuole primarie con indirizzo religioso, in cui si insegnava a leggere e a scrivere ai fini dell'apprendimento della Torah e della sua pratica. Fino a quel tempo, anche se si mantenne successivamente, l'insegnamento della Torah era affidato esclusivamente al padre secondo le disposizioni della stessa Torah, su di lui incombeva il dovere dell'istruzione. Poiché non tutti i padri erano in grado di assumersi l'onere di un adeguato insegnamento, né tutti i cittadini erano in grado di pagarsi un tutore, si avvertì ben presto la necessità di avere una struttura pubblica che assolvesse a tale compito educativo in modo diffuso e uniforme. L'insegnamento era esclusivamente orientato ai testi religiosi. Si trattava di imparare a leggere e a comprendere i testi sacri. I bambini erano obbligati alla frequenza dall'età di sei/sette anni. Successivamente alla formazione della Mishnah (II sec. d.C.), il trattato pirqé Abot (5,21) scandiva le tappe fondamentali dell'educazione pubblica dei fanciulli: “a cinque anni alla Bibbia, a dieci anni alla Mishnah, a tredici anni ai comandamenti, a quindici anni al Talmud, a diciotto anni al matrimonio”. Benché questa specie di calendario formativo sia databile intorno al II sec. d.C. e quindi molti decenni dopo la venuta di Gesù, tuttavia, esso riporta e codifica in sé antiche tradizioni. È quindi pensabile che Gesù avesse frequentato questa scuola dell'obbligo che si teneva presso la sinagoga locale e pertanto sapesse leggere e scrivere e avesse almeno una rudimentale conoscenza generica della Torah e dei doveri che essa imponeva. Lo stupore per la sua conoscenza “senza aver studiato” non va riferita pertanto al suo livello culturale primario o di base, comune alla generalità degli ebrei, ma alla sua capacità d'insegnamento delle Scritture (cfr. G. Lonardi, commento al V. di Giovanni).

19-24: Ricomprendere la Legge a favore dell'uomo

Che Gesù non fosse un fanatico delle osservanze giudaiche, del sabato o delle regole sulla purità e sui digiuni lo si arguisce molto bene dai vangeli; così come questi ci attestano che egli non vedeva di buon occhio la miriade di commenti che formavano la Torah orale e scandivano, normandolo minuziosamente, quasi in modo ossessivo, il vivere quotidiano del pio ebreo; così che Gesù definì tutta questa elaborazione dottrinale,  “precetti di uomini” (Mt 15,9; Mc 7,7) e pesi inutili e insostenibili, accusando le stesse autorità religiose di inosservanza (Mt 23,4). Il deciso e duro intervento di Gesù presso il tempio di Gerusalemme, malmenando i venditori di colombe e i cambiavalute, aumentò non poco la forte tensione tra lui e la classe sacerdotale, che su questi commerci alimentava le proprie entrate. Il gesto simbolico e profetico del rovesciamento dei banchi dei venditori alludeva simbolicamente al rovesciamento e al rinnovamento cultuale che egli era venuto a portare (Mt 23,37). Il suo stesso rapporto con le autorità religiose, rappresentanti e conservatrici del sistema religioso, imperniato sulla rigida e formalistica osservanza della Legge mosaica, non fu tra i più distensivi. Lo scontro quindi tra Gesù e il giudaismo verté essenzialmente sull'autenticità e sul rinnovamento del culto, che per l'ebreo aveva delle forti risonanze sul proprio modo di vivere e di rapportarsi a Dio.

25-30: Due conoscenze a confronto: quella del giudaismo e quella di Gesù

La struttura della pericope è scandita in due parti: la prima (vv.26-27) riguarda il sapere proveniente dalla tradizione giudaica circa la venuta del Messia, del tutto insufficiente per identificare Gesù; la seconda parte (vv.28-29) indica la provenienza del suo sapere, sconosciuto al giudaismo, troppo legato a Mosè; un legame che gli impedisce di andare oltre.

31-36: timori e interrogativi

37-44: L'annuncio di tempi nuovi crea tra la folla disaccordi sull'identità di Gesù

Il racconto di questa pericope si colloca all'interno della festa delle Capanne, che ha avuto una evoluzione teologica e un arricchimento di significati con l'andar del tempo. Quella delle Capanne è una festa carica di storia e densa di significati. Il Gesù che si erge nel momento più solenne di questa festa e lancia il suo proclama dottrinale e rivelativo, riassume in se stesso tutto ciò che di sacro e di solenne porta con sé questa festività, divenendone di fatto il compimento. Da un punto di vista strutturale la pericope in esame è scandita in due parti: la prima (vv.37-39), il cui tenore è rivelativo e dottrinale, è teologicamente molto densa e nel contempo alquanto complessa; la seconda parte (vv.40-44) presenta la reazione della folla al breve proclama di Gesù. Torna nuovamente qui il tema della messianicità di Gesù, che percorre l'intero cap.7 (vv.26-27; 31; 41-42), quasi a rispondere alle attese messianiche che caratterizzavano la festività delle Capanne.

45-53: Contrasti e divisioni all'interno delle autorità giudaiche

Narrativamente questa pericope riprende il racconto iniziatosi ai vv.31-32 in cui i Farisei e i sommi sacerdoti all'udire tra la folla insinuazioni messianiche su Gesù, ne dispongono l'arresto. Tra l'ordine di arresto, impartito nel contesto del v.14, allorché la festa era giunta a metà, e il ritorno dei servi a mani vuote, avvenuto nel contesto dell'ultimo giorno della festa (v.37) dovrebbero essere passati all'incirca quattro giorni, un lasso di tempo eccessivo per eseguire un ordine di cattura nei confronti di una persona che era pubblicamente esposta. Tuttavia, in questo caso la tempistica giovannea non sembra avere rilevanza teologica e probabilmente il particolare è sfuggito anche al suo redattore finale. La struttura della pericope è scandita in due momenti: a) il rapporto dei servi sul mancato arresto di Gesù con la conseguente reazione stizzita delle autorità; b) la spaccatura all'interno del gruppo delle autorità per l'intervento a favore di Gesù operato da parte di Nicodemo, che causa lo scioglimento del gruppo stesso (v.53), decretandone il fallimento. Il lettore, già edotto dal v.30b, sa che niente può ancora succedere contro Gesù, perché non è ancora giunta la sua ora. Elemento di congiunzione e di passaggio tra le due parti è il giudizio che l'autore mette in bocca alle autorità giudaiche al v.49, posto non casualmente al centro della pericope e che ricadrà proprio sulle teste delle autorità stesse. 

domenica 25 dicembre 2022

OMELIA DEL GIORNO DI NATALE 2022

 




Gv 1,1-18

Paolo Cugini

 

Quello che abbiamo appena ascoltato è il frutto maturo della riflessione della comunità cristiana alla fine del primo secolo. C’è ormai, la presa di coscienza che quel bambino nato a Betlemme in una mangiatoia, sia Dio. È incredibile da dire e da credere, ma è questa la conclusione della riflessione alla quale è giunta la prima comunità cristiana. Il punto di partenza che ha permesso questo tipo di riflessione è la resurrezione di Gesù. Da questo evento straordinario è sorta l’esigenza di capire com’era nato quest’uomo straordinario. Come sappiamo, quando parliamo di risurrezione, entriamo nel campo della fede. Dal punto di vista storico, ciò che abbiamo come dati certi è una tomba vuota. Il resto della storia è affidato alla testimonianza di coloro – discepoli e discepole – che lo hanno incontrato come risorto dai morti e lo hanno trasmesso agli altri. Che cosa hanno capito, allora, le prime comunità cristiane del mistero di Gesù, che vale la pena ascoltare e può essere utile per il nostro cammino di fede?

Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e in vista di Lui”. Se Cristo era prima che il mondo fosse e per mezzo di lui sono state create tutte le cose (Col 1,16), ciò significa che tutto parla di Lui. Dio si è reso visibile, mediato dal corpo di Gesù e, in un certo senso, in tutta la realtà ci sono i segni della sua presenza. Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (Gv 1,18). Ascoltando queste parole verrebbe da dire che, d’ora innanzi, è impossibile non vederlo. Perché è importante vederlo? Ce lo hanno ricordato i padri della Chiesa: perché Gesù rivela l’uomo all’uomo e alla donna che, in altre parole significa, che ascoltando e meditando la sua Parola ci viene comunicato il senso della nostra vita, come si realizza in pienezza. Per cui, è vero che possiamo vivere anche senza di Lui, ma rinunciamo alla possibilità di realizzare pienamente noi stessi. Gesù ci ha rivelato che la nostra umanità è fatta per amare, è stata, per così dire, programmata per vivere in pace, a cercare la giustizia, ad intessere relazioni improntate sulla misericordia e sulla bontà. Gesù è, dunque, la luce vera, quella che illumina ogni uomo, ogni donna, è luce che mostra il cammino della vita, che ne mostra il senso e la riempie di significato.

Il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. La visibilità di Dio in Gesù Cristo contrasta con il suo rifiuto. Perché questo rifiuto, questa mancanza di riconoscimento? Perché il mondo si è abituato a vivere con una seconda pelle, non più guidato dalla semente della giustizia, della pace e dell’amore, ma dell’egoismo che genera conflitto e disuguaglianza. Sono tanti gli episodi che manifestano questa realtà di rifiuto. Ne cito solo alcuni. Il freddo che gli abitanti dell’Ucraina devono subire per la malvagità di coloro che hanno bombardato le infrastrutture per costringere migliaia di civili al freddo. Il pianto delle giovani universitarie afgane all’annuncio della loro espulsione dall’università in quanto donne. I sei mila operai morti in Qatar per costruire gli stadi dei mondiali. Le decine di barboni sotto i portici di Bologna che ogni notte dormono al freddo. La lista è lunga di queste testimonianze del rifiuto della luce del Natale da parte dell’umanità che crede di poter vivere senza di Lui.

Che cosa significa, allora, il Natale per noi oggi? La possibilità reale di permettere che lo Spirito del Signore ricostruisca la nostra coscienza dall’interno. Questa è la fede: fiducia nella sua Parola.  Significa che la luce di Cristo può davvero trasformarci con la sua Parola. Come dice il profeta Isaia che abbiamo ascoltato nel tempo di avvento: ascoltate e vivrete (Is 55). Ascoltiamo, allora il Signore, per fare in modo che la sua Parola generi in noi pensieri nuovi, scelte nuove, capaci di generare vita, di costruire ponti di pace e di collaborare per la realizzazione di un mondo più giusto. Buon Natale.

 

OMELIA DELLA VIGILIA DI NATALE 2022

 




Paolo Cugini

 

L’esperienza pastorale che vivo come prete a contatto con giovani e adulti, mi ha portato ad una conclusione che è questa: il cammino della vita di fede di una persona dipende molto dalla narrazione iniziale, da come gli è stata raccontata e trasmessa all’inizio. Accompagnando giovani e adulti mi accorgo, ad un certo punto del cammino, che la narrazione iniziale su Dio non era corretta. Negli adolescenti me ne accorgo attraverso le risposte alle mie domande. Mi accorgo quando il virus spirituale, tipicamente occidentale, dell’individualismo esistenziale è già entrato e ha già devastato l’anima. Ascoltare dei ragazzi che affermano che a loro Dio non serve, significa che c’è stato un processo rapido di assimilazione di contenuti sbagliati, spacciati per religione che li ha condotti ad una conclusione negativa nei confronti di Dio e di tutto ciò che rappresenta. Del resto davanti ai loro occhi hanno adulti che confermano le loro affrettate conclusioni: è possibile vivere senza Dio e, spesso, è molto meglio. Eppure, vivere senza Dio non è un’opzione indolore, perché significa rifiutare il mistero dell’esistenza, il senso autentico della vita.

Qual è, allora il senso di Gesù nella storia degli uomini e delle donne? Ha rivelato al mondo che cosa significhi essere fatti ad immagine e somiglianza di Dio. Sei un uomo autentico, una donna autentica, quando ami in modo disinteressato e gratuito. Questo è ben visibile in Gesù che ha fatto della sua vita un dono per tutti e tutte. Gesù ha amato indipendentemente dal fatto di ricevere amore. Non ha amato per riceve amore in contraccambio: ha amato e basta. Proprio questo gli hanno rinfacciato i suoi nemici mentre era morente sulla croce: “Salva te stesso, tu che hai salvato gli altri” (). Gesù ha slavato gli altri donando se stesso, il proprio tempo, la propria vita. Ha amato i suoi amici e le sue amiche sino alla fine: non li ha abbandonati (cfr. Gv 13,1).

Gesù ha manifestato che l’uomo e la donna ad immagine di Dio hanno sete di Giustizia (Cfr. Mt 5, 3s). Infatti, vediamo Gesù, durante la sua vita pubblica, sempre dal lato dei poveri, affermando che il ricco non entrerà nel regno dei cieli. Ci entrano solo i ricchi che distribuiscono i beni ai poveri. Gesù ci ha aiutato a capire che la povertà distrugge il progetto di uguaglianza di Dio e che occorre andare alla radice del problema, sanare alla radice le ingiustizie che, con il tempo, generano le disuguaglianze e producono gli schieramenti, le tensioni. Paolo, riflettendo su questo mistero, giunge ad affermare che in Cristo: “non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina perché tutti siamo uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Anche Pietro arriva a comprendere che “Dio non fa differenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia” (At 10, 34s).

L’ultimo aspetto che voglio sottolineare dell’essere a somiglianza di Dio che Gesù è venuto a manifestare è la pace. Vive male chi vive generando tensioni, aggredendo gli altri. Gesù è uomo di pace. Ha costruito una comunità di uomini e donne lavorando continuamente affinché fra loro vi fosse armonia. Siamo figli e figlie di Dio quando lavoriamo per stemperare le tensioni nei luoghi in cui viviamo. “Pace a voi” (Gv 20, 19). È questo il saluto di Gesù risorto fatto ai suoi discepoli. Realizziamo pienamente la nostra umanità quando viviamo in pace e questa pace ha un prezzo: la rinuncia a far valere ad ogni costo la propria ragione. Per questo Gesù durante la passione è rimasto in silenzio.

Questo stile di vita, questo modo di stare al mondo tra gli uomini e le donne per poter essere interiorizzato e compreso ha bisogno di un luogo esistenziale specifico: il presepio. Il Natale ci insegna che il punto di partenza per una vita autentica è la precarietà, l’essenzialità, in altre parole: la povertà evangelica. Non puoi dire di essere un discepolo e una discepola del Signore e vivere nell’abbondanza, perché ti metti già dalla parte di chi produce disuguaglianza. Per comprendere e interiorizzare il messaggio di Gesù occorre sempre mettersi dalla sua parte, che è la parte dei poveri, degli emarginati. Non puoi cibarti del corpo di Cristo, che è il corpo di colui che ha condiviso tutto di sé e poi accumulare beni: è una contraddizione.

La domanda che potremmo farci ora è la seguente: esiste un criterio per capire se abbiamo ascoltato la narrazione giusta nel posto esatto? Esiste. Il criterio lo troviamo voltando pagina, dove troviamo scritto che Gesù venne ricercato per essere ucciso e che poi assieme a Giuseppe e Maria sono dovuti fuggire in Egitto. E poi, sfogliando ancora, troviamo Gesù adulto perseguitato dai capi religiosi, sbeffeggiato dagli uomini del tempio, odiato perché faceva cose prodigiose e la gente lo seguiva. Ecco, se nella nostra vita siamo odiati e perseguitati a causa delle scelte che facciamo in nome del Vangelo, vuole dire che la narrazione ascoltata nell’infanzia era quella giusta, narrata nel posto giusto.

A Natale siamo invitati a riavvolgere il nastro della narrazione su Gesù, per ascoltarla bene questa storia e non correre il rischio di costruire una casa sulla sabbia, senza fondamenta. Sembra bella, per un tempo ma, alla fine dell’anno, viene giù. Buon Natale. 

mercoledì 14 dicembre 2022

IV DOMENICA DI AVVENTO ANNO A

 



Paolo Cugini

 

 

Nel tempo di avvento che stiamo accompagnando, la liturgia ci conduce ad immergerci nel mistero della venuta del Salvatore in modo nuovo. Lo fa, in primo luogo, offrendoci le letture dei profeti che annunciano l’arrivo di un messia. Ascoltando le profezie messianiche di Isaia, si rimane colpiti per la bellezza delle immagini e la ricchezza dei contenuti. In secondo luogo, la liturgia ci propone delle guide che ci conducono accanto alla grotta di Betlemme per imparare a vedere il mistero di Gesù con occhi nuovi, gli occhi della fede. E così, siamo stati accompagnati da Maria, poi da Giovanni Battista e, oggi, da Giuseppe. La riflessione che propongo non sarà sulla figura di Giuseppe, ma sui contenuti specifici delle letture. Vediamo.

Siamo arrivati all’ultima domenica del tempo di avvento e la liturgia ci pone dinanzi delle letture che dovrebbero aiutarci a comprendere qualcosa del mistero di Gesù. Il Vangelo di questa domenica è una narrazione della comunità che, dopo la Pasqua, rilegge la storia di Gesù e la interpreta. Questo primo lavoro della comunità collega la nascita di Gesù alle profezie dell’Antico Testamento e, in modo particolare, a quelle profezie messianiche che facevano derivare da Davide la nascita del futuro messia. Matteo, che parla ad una comunità di giudei, è molto attento a mostrare il legame tra Gesù e le parole dei profeti. Questa è già una prima indicazione spirituale molto importante. Per capire e conoscere Gesù Cristo dobbiamo prendere in mano la Bibbia e sfogliarla. Dice, infatti Matteo: Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta (Mt 1,22). Il brano citato dall’evangelista è preso da Isaia 7, 10-14, che abbiamo ascoltato nella prima lettura e ci vuole aiutare a porre attenzione alla storia della salvezza, che ci narra di un Dio presente in mezzo alla storia degli uomini e delle donne e agisce dentro questa stessa storia. Si tratta, allora, di coglierne la presenza, di accoglierla con fede per immetterci anche noi dentro questo cammino di vita nuova.

Anche Paolo comprende il mistero di Gesù alla luce dei testi dei profeti, ma aggiunge qualcosa. Nel brano che abbiamo ascoltato Paolo afferma: Dio aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore (Rom 1, 1s). C’è in Paolo la percezione della doppia origine della nascita di Gesù. La prima è secondo la carne e viene dal seme di Davide, proprio come era stato profetizzato dal profeta Natan (2 Sam 7,14s) e poi ripreso dai profeti e, in modo speciale, dal profeta Isaia. Paolo intuisce che, a partire dall’evento della risurrezione dai morti, non è più possibile pensare a Gesù solamente come una persona che viene dalla carne, dalla storia degli uomini e delle donne, ma c’è qualcosa di più. Paolo dice che Gesù è costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo spirito di santità. Figlio di Dio è un titolo messianico che troviamo solo nel profeta Daniele, uno scritto del terzo secolo prima di Cristo e, quindi, uno dei più recenti dell’Antico Testamento. Questo titolo messianico è l’unico che cela una derivazione divina del futuro messia. Paolo dice chiaramente che questo legame tra Gesù e il Figlio di Dio è dovuta alla resurrezione dei morti, che diviene l’evento centrale per comprendere il mistero di Gesù e della sua identità.

Questo secondo aspetto appena analizzato, ci conduce verso un’ultima considerazione. Nel brano del Vangelo di oggi, Matteo parla di compimento, nel senso che gli eventi che si realizzano attorno alla vita di Gesù portano a compimento quello che era stato detto dai profeti. Leggendo attentamente i vangeli e ponendo attenzione alla vita di Gesù ci si accorge che, sin dalla nascita, il compimento delle profezie non è un’operazione matematica: tutt’altro. Gesù interpreta le profezie, le vive e le conduce a compimento a modo suo. Per questo motivo il suo modo di agire crea stupore, imbarazzo al punto che, come abbiamo ascoltato domenica scorsa, lo stesso Giovanni Battista, che lo aveva annunciato all’umanità, arriva a chiedersi: “Sei tu colui che deve venire o ne dobbiamo aspettare un altro?”.

Il valore di un cammino come quello dell’avvento consiste nell’aiutarci a scrollarci di dosso le nostre conoscenze religiose, per fare posto alla novità del Vangelo. La liturgia, dunque, ci aiuta a concentrare l’attenzione su Gesù Cristo, per imparare a conoscerlo e seguire non le vane dottrine, ma la sua Parola e il suo esempio.

 

 

domenica 4 dicembre 2022

La Luce e le tenebre

 




 

Avvento 2022

Galeazza domenica 4 dicembre

 

All’inizio c’è la creazione della luce ma che si alterna con le tenebre. Ma alla fine del cammino dell’uomo c’è una vittoria di luce definitiva e completa. San Giovanni accenna una definizione misteriosa e straordinaria di Dio quando dice:

«(…) Dio è luce e in lui non ci sono tenebre» (1 Gv 1, 5). Se ricordate la prima pagina della Bibbia dice proprio questo: «In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: Sia la luce! E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre]e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno» (Gen 1, 1-5).

 

E se andate all’ultima pagina della Bibbia, il Libro dell’Apocalisse al cap. 22, 5 proprio l’ultimo, si legge: «Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli». All’inizio c’è la creazione della luce ma che si alterna con le tenebre: c’è il momento della luce, e poi c’è il momento del buio e della tenebra. Ma alla fine del cammino dell’uomo c’è una vittoria di luce definitiva e completa: «non ci sarà più notte»! E l’affermazione si lega con l’altra: «non ci sarà più maledizione» (Ap 22, 3)! E vuole dire che non ci sarà più la morte e con tutto quello che accompagna la realtà della morte; tutto questo viene cancellato. E si può immaginare e pensare al tempo che noi viviamo come il tempo del conflitto tra la “luce” e la “tenebra”, tra la vita e la morte. E siamo chiamati a partecipare a questo conflitto, a prendere la nostra posizione a favore della luce, a favore della vita, a prendere la posizione del Signore. E quello che noi celebriamo in questo tempo di Natale si può riassumere lì: in questa manifestazione della luce.

«grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte (…)» (Lc 1, 78-79; Is 9, 1).

«[30] i miei occhi hanno visto la tua salvezza (…) [32]luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2, 30.32).

Quando il Vangelo racconta l’inizio della predicazione di Gesù lo interpreta con queste parole:

«Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra di ombra di morte su di loro si è manifestato uno splendore, una gloria» (Mt 4, 16). E Gesù è essenzialmente questo. Dice nel Vangelo di Giovanni:

« Io sono la luce del mondo; chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12). E viene da chiedersi: perché Gesù pretende questo? In che cosa consiste la Luce che lui ha portato al mondo? E perché pretendere di potere dirigere e illuminare l’esistenza di ogni uomo?

Fondamentalmente perché Gesù è parola di amore che Dio ha pronunciato nei confronti del mondo.

È come se Dio avesse detto al mondo: pace! “Pace” vuole dire che, nonostante tutti i contrasti e le cattiverie e le violenze che ci sono dentro al nostro mondo, Dio ha detto pace! Dio ha detto questa parola di amore con una dedizione senza riserve. Da parte di Dio non c’è ostilità né rifiuto nei confronti dell’uomo, c’è invece una presa di posizione di amore. Ed è questo che è in Lui, perché vuole dire che noi non siamo gettati nella fredda immensità dell’universo. Ma vuole dire che c’è Qualcuno che ci ha in nota, c’è Qualcuno davanti al quale siamo preziosi. E vuole dire che non siamo nemmeno nell’incertezza per quanto riguarda il senso della nostra vita. Il senso della nostra vita è “Luce”. Il senso della nostra vita è quell’amore con cui cerchiamo nella nostra povertà di rispondere all’amore eterno e infinito di Dio. E se noi siamo in questo mondo è per imprimere il sigillo dell’amore di Dio dentro le cose, nei rapporti tra le persone, in tutte le istituzioni che riusciamo a inventare e a costruire, addirittura per riuscire a mettere questo sigillo di amore dentro le cose materiali, perché tutto abbia un senso significativo di benevolenza e di amore.

 

 La luce che Cristo ha messo nel mondo con il suo amore, con la sua parola, questa ci rimane.

. Ci sono ancora troppe tenebre nel mondo, e probabilmente ci saranno per tutto il tempo della nostra vita, non vivremo abbastanza per vedere una “Luce sfavillante” dentro la storia degli uomini, dentro le istituzioni umane. E proprio per questo ci vuole forza, ci vuole amore per resistere, per resistere al “buio” o alla “tenebra” o al “freddo” della esistenza. Ma è possibile perché in questo “freddo”, in questa “tenebra” che noi siamo, la luce del Signore ormai risplende, e quella non può più essere cancellata, è venuto una volta per tutte, e la luce che Cristo ha messo nel mondo con il suo amore, con la sua parola, questa ci rimane. Quando non sappiamo dove voltarci, per lo meno abbiamo la parola del Signore che ci può illuminare, che ci può consolare, che ci può dare la forza di ripartire e di lottare di nuovo. C’è sempre una Parola per perdonare i nostri peccati, c’è sempre una Parola per ridare speranza alle nostre delusioni, per ridare energia di amore ai nostri comportamenti.

–  –
Non avere paura della Luce

Allora forse, il messaggio che viene da tutto questo cammino che stiamo facendo verso il Natale è lì: non avere paura della Luce. Ci sono dentro al nostro cuore delle zone di ombra, delle zone di tenebra che delle volte ci fanno paura, che ci danno fastidio, che in qualche modo nascondiamo noi stessi. Il senso è il “non ne avere paura”, lascia che la tua vita sia illuminata, perché solo se tu sarai trasparente e sarà illuminata la tua vita, potrai diventare luce anche per il mondo, e potrai accendere una piccola luce in quell’ambiente in cui sei chiamato a vivere. Non avere paura.

1. Non avere paura vuole dire che il Signore ha pronunciato il suo sì di amore a te, proprio a te personalmente, così come sei. Il Signore conosce meglio di te le tue “ombre, conosce meglio di te il “buio” che a volte hai nel cuore. Ma a te il Signore ha detto la sua benevolenza, è in pace e in sintonia con te. Non hai bisogno di essere perfetto. Non sapremo nemmeno che cosa sarebbe esattamente la perfezione per la nostra vita. Ma non hai bisogno di essere perfetto, basta che tu sia te stesso, ma che ti lasci illuminare da Lui, senza nasconderti, senza mascherare te stesso. Insomma, siamo chiamati a vivere fin da adesso, con la nostra piccolezza, nel giorno del Signore che attendiamo. In quel giorno di Dio dove la luce sconfiggerà del tutto e definitivamente la tenebra dell’odio o della cattiveria o della menzogna. In questo giorno possiamo con fiducia entrare. Ed è quello che abbiamo ascoltato nella seconda lettura di domenica u.s., dove san Paolo scrive ai cristiani di Roma: «è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti» (Rm 13, 11). La nostra vita è un cammino progressivo verso il Signore, verso la salvezza, verso la luce: «La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rm 13, 12-14).

Senza paura, vedendo quello che siamo, ma accogliendo la luce del Signore, come luce di amore, di consolazione e di coraggio.

 


LA SALITA DELLA VITA DI FEDE

 




Ritiro spirituale di avvento

Galeazza domenica 4 dicembre 2022

 

Paolo Cugini

 

Venite, saliamo sul monte del Signore” (Is 2,3). Vita di fede come salita verso l’alto. Interessante è notare il fatto che anche la filosofia greca quando nasce, parla della conoscenza come un cammino in salita, un cammino verso l’alto. Ne parlava Platone nei suoi dialoghi, dove scrive, che era proprio questo cammino che Socrate insegnava nella piazza di Atene e lo stesso Platone nella sua scuola. Vita come cammino verso l’alto, come salita. Possiamo chiederci: che cosa significa e che cosa comporta?

È vero che questo linguaggio risente dell’impostazione astronomica tolemaica che non funziona più, ma esprime un’idea importante. Per imparare a vedere in modo diverso la realtà, per smettere d’identificare la realtà con i dati immediati che abbiamo a disposizione e che vengono dai sensi, occorre imparare ogni giorno a salire verso l’alto e guardare la realtà dall’alto. Questo è molto importante, perché ci aiuta a non rimanere con la mente ottusa e chiusa dall’evidenza del mondo sensibile, che non ci permette di vedere oltre, di sperare. Verso l’alto significa prendere le distanze dal livello materiale della vita e approfondire le possibilità della vita interiore, le sue possibilità. Un significato simile lo troviamo nelle parole di Paolo quando nella lettera agli Efesini afferma:

Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre, 15dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante il suo Spirito. Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio (Ef 3, 14-19).

Questo è il senso del nostro lavoro spirituale: fare di tutto per rafforzare il nostro uomo, donna interiore. Ciò significa permettere allo Spirito Santo che operi in noi, per rendere i nostri cuori pieni di misericordia e per rendere la nostra umanità sempre più simile alla sua. Per fare in modo che Cristo abiti nei nostri cuori, occorre un lento e quotidiano lavoro spirituale di assimilazione del Vangelo. In questo modo, come ci ricorda sempre san Paolo, riusciremo a indirizzare la nostra esistenza e le nostre scelte nella linea dell’amore di Cristo.

Vi conceda: è un dono. Il rafforzamento dell’uomo, della donna interiore è un dono. Ciò significa che non è frutto di uno sforzo umano, di una conquista, ma di qualcosa d’altro. In Gesù Cristo ci viene donata la possibilità di uscire dalla gabbia della pura materialità e dalla prigione del pensiero comune, per incamminarci verso una piena umanizzazione di noi stessi.

Imparare, in questo viaggio dalla terra al cielo, dalla materia allo spirito, dai senso all’intelligenza, a guardare la realtà con occhi nuovi, da un punto di osservazione diverso, a non lasciarsi ingannare dall’apparenza. La preghiera, la meditazione – poi ci spieghiamo che cosa indicano questi due germini – sono gli strumenti privilegiati per questo cammino, che potremmo definire di liberazione, perché ci libera dalla pressione della materia, dall’evidenza immediata che ci viene offerta dai sensi e che alimenta l’opinione del popolo. Uscire dalla prigione dall’opinione pubblica, quella a basso prezzo, perché non costa nessuna fatica, quella formata – per dirla con Péguy – dalle idee belle fatte, preconfezionate: è il senso del cammino verso l’alto.

Concretamente cosa significa questo cammino, come si realizza? Vedendo la fatica dell’uomo e della donna di compiere questo percorso, Dio stesso ci è venuto incontro e: “abbassò i cieli e discese”. Ce lo ha insegnato Paolo affermando che: “Colui che discese è lo stesso che ascese al di sopra di tutti i cieli” (Ef 4,10). C’è un cammino nella storia degli uomini e delle donne che va dalla terra al cielo, dal mondo materiale al mondo spirituale, dalla realtà condizionata dal limite e dalla morte, verso una realtà in cui non ci sarà più notte né morte, come ci ricorda il libro dell’Apocalisse, ascoltato nelle ultime due settimane dell’anno liturgico.

E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima, infatti, erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 3Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
«Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate».
(Ap 21, 1-4).

È bello riempirsi l’anima con queste parole, con queste immagini!

È il mistero dell’incarnazione, Dio che viene a camminare in mezzo a noi. Si sale verso l’alto seguendo il cammino che ha tracciato il Signore, che è passato da questo mondo al Padre. È il contatto con il Vangelo che ci permette di seguire la traccia che Gesù ha lasciato dentro la storia. Ma cosa significa leggere il Vangelo, come si entra dentro questo testo affinché lo Spirito del Signore presente nelle sue parole possa davvero ispirarci? La Parola non si apre ad un cuore superficiale, ad una lettura frettolosa: esige tempo. Viene da lontano, non solo in senso temporale, sul piano della storia, ma anche spaziale, spirituale. È una Parola che viene da Dio, impastata di detriti umani, che esigono di essere ripulita, per fare in modo che l’ascolto penetri la mente e sveli i suoi misteri.

Ci sono dei passi da compiere per permettere al Vangelo di parlare al nostro cuore.

·         Il primo è ringraziare.

·         Il secondo è predisporsi per accogliere la misericordia di Dio.

·         Il terzo è invocare lo Spirito Santo.

 

venerdì 2 dicembre 2022

SEI TU COLUI CHE DEVE VENIRE O DOBBIAMO ASPETTARE UN ALTRO?



 


 

Mons. Giacomo Morandi

[appunti di Paolo Cugini non rivisti dall'autore]


È una domanda che può sembrare sorprendente, al punto che è ripetuta due volte. La ripetizione non è mai casuale, vuole dire che c’è qualcosa che preoccupa. Questa domanda è posta dal Battista quando fu informato di tutte “queste cose”. Ciò che precede il testo è importante e sottolinea la compassione, la misericordia di Gesù. Se andiamo a leggere i capitoli precedenti vediamo le beatitudini, Gesù che pranza con i peccatori, la guarigione del servo di un centurione, le discussioni sul digiuno, i discorsi sul sabato. Queste cose sono da leggersi come qualcosa di originale del messaggio di Gesù, che scompagina le attese. Ci sono due discepoli che vanno verso Gesù: è una delegazione ufficiale.

Sei Tu l’atteso?”. L’espressione va letta alla luce di quanto è detto al capitolo tre di Luca, quando il Battista annuncia la venuta di uno più forte. Altro: dice la qualità. Dobbiamo aspettare un messia di qualità diversa. Il messianismo di Gesù pone degli interrogativi, tanto che ci aspettiamo qualcuno che ha dei connotati diversi. Che cosa si aspettava Giovanni Battista?

Se leggiamo 3,16 si dice: “Viene colui che è più forte di me. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco… brucerà la paglia con fuoco inestinguibile”. Avrà i connotati del giudice escatologico. Luca già nell’esordio del ministero pubblico di Gesù aveva dato un taglio diverso alla predicazione di Gesù. Isaia 61,1-2: la citazione si blocca quando il testo parla di vendetta. Gesù vuole che si insinui nel cuore degli uditori l’anno di grazia del Signore e non parole di vendetta. Il ministero di Gesù sarà un ministero in mezzo ai poveri, gli oppressi. Se vogliamo accogliere Gesù come l’atteso dobbiamo metterci in questa linea che sta tracciando Luca.

Lc sottolinea prima di tutto il fatto: in quello stesso momento Gesù compie dei segni. Diverso è Matteo. All’inizio degli Atti degli Apostoli si dice che Gesù fece e insegnò. Il fatto precede l’insegnamento e diventa esplicitazione del fatto compiuto. L’esperienza cristiana pone in essere dei fatti, cambia la condizione dell’uomo e per questo l’insegnamento è autorevole. La gente vede Gesù che attraverso la Parola libera. Questo insegnamento è autentico perché scaturisce da fatti. È importante il vedere. La testimonianza non può essere ridotta ad una comunicazione di parole.

“Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito”: prima c’è il vedere. Vien ribaltata la posizione veterotestamentaria. Il contenitore di tutto ciò che precede: ai poveri è annunciata la buona notizia. Le guarigioni sono i segni della predilezione di Gesù per i poveri. Queste sono le cose di cui è informato Giovanni Battista. Il Battista è un uomo profondamente spirituale. È il più grande tra i nati di donna. Eppure, quest’uomo profondamente spirituale rimane sconcertato da un messianismo normale, non contrassegnato dalle caratteristiche attese dal popolo. Anche per noi c’è l’insidia di non riconoscere più il messia, di essere turbati, sconcertati. Anche per noi può accadere di riconoscerlo più quel Gesù incontrato all’inizio del nostro cammino.

Rischio del dubbio e dell’incertezza. Rischiamo di assumere un servizio che non ha nulla a vedere con il ministero di Gesù. Come può accadere che a uomini così santi si arrivi a questi dubbi? C’è una pagina di Soloviev che è illuminante. I fondamenti spirituali della vita. Qui commenta le tentazioni di Gesù. L’inganno della tentazione: fa prendere l’inizio per un termine raggiunto e considerare lo sbocciare della vita spirituale come una sua perfezione. L’inganno è far credere che la vita spirituale ci sia data di colpo e non pensare al lavoro interiore e il compimento esteriore. C’è il germe di una vita nuova della grazia e il resto della vita anteriore. Lo scopo della tentazione è di servirsi del dono dello Spirito come a una maschera e giustificare le vecchie passioni. Nonostante siamo in Dio, in noi rimane qualcosa che non è da Dio e non è il bene. Occorre imparare a non giustificare i vizi con la nostra qualità di uomini spirituali. Arriva il momento che l’uomo spirituale si ferma e non procede. Rischio di fermarsi e non crescere più. Ciò si vede nei momenti di cambiamento. Occorre capire la dinamica della tentazione. Il nemico ci tenta con un bene apparente e farà leva sul bene che abbiamo fatto per impedire di farne altro. Difficoltà di mantenere aperta la vita spirituale, che consiste nel mantenere aperta la porta alla grazia, affinché lo Spirito Santo possa operare.  Rischio di divenire dei praticanti non credenti.

C’è un’altra domanda. Giovanni Battista sembra affermare che il messia non sia proprio quello che ci si aspettava. Cfr. Giona 4. Giona è fuggito perché sa che Dio è misericordioso. Del Dio misericordioso non ci si può fidare. Giona non vuole esser profeta del Dio di misericordia. Ciò non significa annacquare il Vangelo. Il tema della misericordia è legato alla consapevolezza che ciò che l’uomo non può togliersi lo può fare Dio. Anche se il cuore rimprovera qualcosa, Dio è più grande.

Bonhoeffer, La vita comune. Ci dimentichiamo di ringraziare per i piccoli doni quotidiani. Come può Dio affidarci grandi cose se non siamo capaci di ringraziare per il piccolo? Un pastore non deve lamentarsi della sua comunità neppure davanti a Dio. Ci è chiesto di essere presbiteri, di essere laici e laiche secondo lo stile misericordioso di Gesù.

giovedì 1 dicembre 2022

CIRCOLI BIBLICI AVVENTO 2022 quarto NATALE DEL SIGNORE 2022

 




Prima lettura: Is 52,7-10
 

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio». Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion. Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.

Commento alla prima lettura. Il capitolo 52 del libro del profeta Isaia fa parte degli ultimi capitoli della seconda parte del libro (40-54). Il contesto storico è cambiato. Mentre la prima parte (1-39) era ambientata nel regno del Nord, dove nel 721 a.C. si consumerà la distruzione di Samaria, capitale del Regno del Nord, la seconda parte ha come sfondo storico la fine dell’esilio in Babilonia (587-518 a.C.) e, di conseguenza, il clima spirituale è positivo, di gioia per il ritorno. Infatti, le sentinelle annunciano la pace per il ritorno del Signore a Sion, che è il monte su cui si posa la città di Gerusalemme e il suo tempio. Questo evento storico viene interpretato dal profeta come un segno della presenza del Signore nella storia, salvandolo dalla triste situazione dell’esilio. È un brano in cui il popolo è pieno di gioia per la salvezza operata da Dio. Domanda: il nostro cammino di avvento ci ha permesso di cogliere la presenza di Dio nella nostra vita? Lo stiamo percependo? La presenza del Signore nella storia annuncia la pace. Ciò comporta il nostro impegno ad essere strumenti di pace in famiglia, nella comunità: ce la facciamo?

Salmo Responsoriale: dal Sal 97 (98)

R. Tutta la terra ha veduto la salvezza del nostro Dio.

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo. R.
 
Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d'Israele. R.
 
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni! R.
 
Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.  R.

Seconda Lettura: Eb 1,1-6

Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell'alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».

Commento alla seconda lettura. Questo brano manifesta la rilettura che la prima comunità fa della presenza di Gesù nella storia e rivela che cosa hanno compreso di Lui. Viene già espressa la divinità di Cristo: irradiazione della gloria di Dio e all’origine della creazione del mondo. Tutti temi che circolavano nelle comunità cristiane del primo secolo e che, infatti, troviamo anche in Giovanni (vedi vangelo di oggi). Nella seconda parte l’autore applica a Gesù alcune affermazioni dei salmi. Anche questa è un’indicazione importante, già segnalata nelle domeniche precedenti. Gesù diventa la chiave di lettura per leggere la Scrittura. È, infatti, Gesù che apre il significato alle pagine dell’Antica Alleanza. (siccome abbiamo già lavorato su questo tema, non ci sono domande).


Vangelo: Gv 1,1-18

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure, il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne
né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
Parola del Signore.

Commento al Vangelo. In principio: Gesù inaugura una nuova fase della creazione, per dare la possibilità a tutti e tutte di accogliere la luce. Il brano, piuttosto complesso, riporta i contenuti dell’elaborazione culturale della prima comunità sull’identità di Gesù. C’è la descrizione del più grande mistero di Dio: l’incarnazione. Non è facile digerire questo dato professato dalla comunità cristiana: Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Un Dio che si fa uomo e poi muore è uno scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani (1 Cor 1, 23). Come si fa a credere a Dio che si fa uomo? Come si fa a credere ad un Dio che muore: non è assurdo? Eppure, è questo il centro della fede cristiana. Dobbiamo stupirci, scandalizzarci e, di conseguenza, metterci in cammini per comprendere il mistero di Dio che si fa bambino e viene ad abitare in mezzo a noi. Nel circolo biblico potremmo confrontarci sui nostri cammini di fede, su quanto l’ascolto del Vangelo sta contribuendo o meno nel nostro cammino di umanizzazione. Potremmo confrontarci per interrogarci su ciò che possiamo fare per migliorare la nostra conoscenza del Signore. Buon Natale