venerdì 29 dicembre 2023

CHI AMA VEDE

 




Paolo Cugini

Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi (1 Gv 2,10-11).

 Il Vangelo è tutto qua. Giovanni lo ripete spesso, anzi, sembra l’unica cosa davvero importante che valga la pena trasmettere. La grande novità di Gesù è la sua capacità di amare tutti, persino i nemici. L’umanità di Gesù è così trasparente che il Lui c’è solo amore, perdono, misericordia. Per questo la sua esistenza è come una tenda in cui tutti e tutte possono trovare riparo. È questa la luce che è venuto a portare. È come se ci dicesse che il senso dell’esistenza non è complicato da vivere, non richiede titoli, né posizione sociale. L’odio rivela una vita ancora segnata dall’istinto di sopravvivenza, che stimolo l’orgoglio e la conseguente chiusura in se stessi. Il Vangelo è un principio di vita nuovo che, una volta assimilato, ci fa essere nel modo in cui siamo stati pensati dall’inizio dei tempi, vale a dire, nati per amare. L’amore è l’essenza della nostra vita, dice di noi, di ciò che siamo, di quello che dobbiamo essere.

 Gesù nella sua vita ha espresso benissimo questo dato: era solo amore. Il cammino di fede ha come unico obiettivo questo: diventare capaci di amare come Lui ci ha amati. Per questo riceviamo il suo Spirito, che è capace di trasformarci in Lui, per essere e vivere come Lui. Ogni volta che abbiamo sentimenti negativi nei confronti di qualcuno è come se fosse un segnale che ci dice su che cosa dobbiamo lavorare. Non possiamo permettere all’odio, al rancore, al disprezzo dell’altro di germinare dentro di noi: ci distrugge. In questo senso Gesù è il nostro salvatore: ci salva da tutti i cammini di autodistruzione che mettiamo in atto quando viviamo conforme l’istinto di sopravvivenza.

Gesù viene al nostro in contro con la sua Parola, il suo esempio e agisce dentro di noi con il suo Spirito per trasformarci in Lui.

 

mercoledì 27 dicembre 2023

CIO' CHE LE NOSTRE MANI TOCCARONO

 



Figlioli miei, quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita - la vita infatti si manifestò, noi l'abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena (1 Gv 1, 1-4).

Sono parole sconvolgenti quelle dell’Apostolo Giovanni. Lui è totalmente convinto di aver toccato Dio, di averlo ascoltato con le sue orecchie, di averlo visto con i propri occhi. Sono affermazioni sconvolgenti, ma che rivelano un dato fondamentale: c’è qualcuno che ha toccato Dio, l’ha vito e udito, l’ha incontrato nella propria vita e gli ha potuto parlare come si parla con qualsiasi persona. Questo è il cuore della fede cristiana che passa attraverso un’esperienza sensibile. Giovanni ha creduto perché ha visto e il suo annuncio è basato sulla propria esperienza personale, anche perché, chi ha potuto fare un’esperienza simile, non riesce a restare con le mani in mano, ma sente l’esigenza impellente di condividere. Giovanni è convinto che quell’uomo chiamato Gesù Cristo, con il quale ha vissuto per tre anni, è il Verbo della Vita. Quella vita, quel senso della vita che ogni persona cerca continuamente è venuta al nostro incontro, si è data a conoscere in modo semplice e immediato al punto che ogni persona può accoglierla gratuitamente.

 Chi desidera vivere in modo degno, d’ora innanzi, non ha altra possibilità che accogliere il Verbo della Vita, Gesù Cristo, ascoltando e interiorizzando la sua Parola per viverla. Ed è proprio vivendo quello che Lui ha detto e fatto che sperimentiamo misteriosamente la sua presenza, perché, di fatto, Lui è vivo, è qui in mezzo a noi e in noi. La vita, infatti, quella vera, quella che si è manifestata e fatta visibile in Gesù non muore mai. Questa dinamica della fede in Gesù che passa attraverso l’esperienza sensibile di Lui, quell’esperienza che ha vissuto Giovanni, dovrebbe riprodursi anche oggi. Infatti, nessuno crede in ciò che non vede. Nessuno imposta tutta una vita su una storia passata.

Ci dev’essere qualcosa di forte, di sensibile, che coinvolge tutta la persona in un’esperienza unica, come può essere l’incontro con una persona che comunica una forza vitale incredibile.

 

martedì 26 dicembre 2023

CHI PERSEVERERA' SINO ALLA FINE?

 



Paolo Cugini

 

Mt 10,17-22- La prospettiva che Gesù presenta per i suoi apostoli in questo passaggio del Vangelo è drammatica. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe, e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. C’è un clima di persecuzione e violenza che caratterizza la vita di tutti coloro che decidono di seguire le orme del Maestro. Persecuzione che non avviene solamente all’esterno, nella società civile, ma anche tra le mura della propria casa: Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Situazione drammatica, dunque, che può provocare la desistenza in coloro che intraprendono il Cammino.

Verso la fine del discorso Gesù aumenta la dose: sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Che cosa fare dinanzi a questa prospettiva drammatica? Non è un caso se spesso le comunità riducono la loro attività al servizio interno, fatto di liturgie, culto e catechesi. Il testo ascoltato ci rivela che, quando una comunità cerca di vivere quello che ha accolto ed ascoltato, vale a dire il Verbo della vita, provoca una tensione fortissima con il mondo circostante. Abitare la tensione senza farsi travolgere dal male è la grande sfida della vita spirituale ispirata dal Vangelo. Il dato che emerge è che l’annuncio della Parola di Gesù passa necessariamente attraverso questa tensione. È questa una verità che non è facile da digerire. Gesù conclude il discorso di oggi con una prospettiva positiva, anche sofferta: chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo.

La salvezza proposta da Gesù passa attraverso la resistenza al male che il mondo realizza su coloro che vivono il Vangelo e si affidano solamente al Signore. Del resto, se riflettiamo attentamente in questi giorni in cui la Chiesa ci propone gli eventi che hanno segnato la nascita di Gesù, è proprio questa tensione che Lui ha vissuto, sin dalla nascita. Non ci resta che invocare il suo Spirito e farci coraggio.

 

sabato 23 dicembre 2023

NATALE: C'E' SPERANZA NEL MONDO

 




VIGILIA DI NATALE 2023

Is 62, 1-5; Sal 89; At 13, 16-25; Mt 1, 1-25

 

Paolo Cugini

Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora le genti vedranno la tua giustizia (Is 62, 1.2). È un desiderio di giustizia che viene espresso dai versetti di Isaia che abbiamo ascoltato in questa notte santa. Le prime parole del Natale che la presenza di Gesù manifesta nel mondo è proprio questa: una grandissima voglia di giustizia, che rivela la pesantezza di una vita segnata dall’ingiustizia degli uomini. Ingiustizia che si manifesta nelle tante situazioni di povertà e miseria umana, frutto di prevaricazioni, di scelte arroganti e interessate sulle spalle dei poveri, considerati come moneta di scambio. È una storia che già i profeti raccontavano, ma che è ancora all’ordine del giorno. C’è un’umanità che sembra incapace di uscire dalle strette maglie dell’ingiustizia, che si manifesta a tutti i livelli del tessuto sociale. Troviamo, infatti, situazioni di ingiustizia nella vita politica, economica, ma anche nelle relazioni quotidiane nelle quali siamo coinvolti. La domanda, a questo punto, è più che lecita: c’è un cammino che ci può liberare dall’ingiustizia? C’è possibilità di giustizia nel mondo

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo (Mt 1,1).

Che tipo di riflessione fare dinnanzi alla narrazione della genealogia di Gesù narrata dal Vangelo di Matteo? La prima considerazione è che non si è voluto abbellire la storia degli antenati di Gesù, cioè non c’è stato il tentativo di modificare i dati, scegliere i migliori. La ricostruzione fatta da Matteo presenta uno spaccato dell’umanità così com’è, senza abbellimenti o scelte per mettere in luce solo gli aspetti positivi dei suoi antenati. E così, assieme ad Abramo, Isacco e Giacobbe, troviamo Salomone che, ad un certo punto del cammino, perde la testa a causa delle molte donne che aveva nell’arem, al punto da introdurre gli idoli delle donne straniere tra i culti di Israele. E poi Geroboamo, suo figlio, causa della divisione dei due regni d’Israele. Tra i primi della lista genealogica c’è Giuda, un personaggio ambiguo che ha un caso a sua insaputa con la nuora Tamar. Insaputa perché Tamar si traveste da prostituta per ingannare il suocero, che dimostra di non essere un tipo troppo fedele. Continuando la storia troviamo Raab, definita prostituta dal testo biblico, ed è colei che accoglie gli uomini di Israele in perlustrazione della terra di Canaan e che al ritorno erano inseguiti da uomini del territorio. Raab offre protezione a loro in cambio della libertà. Proprio Raab, sposa di Salmon, diverrà parte della dinastia davidica perché madre di Booz, che sposerà la moabita straniera Rut, che darà al mondo Jesse, padre di Davide, il quale era tutto fuorché uno stinco di santo. Tra i vari personaggi che incontriamo nell’albero genealogico di Gesù c’è Acaz, che potremmo definire il simbolo della mancanza di fede, perché, sollecitato dal profeta Isaia, si rifiuta di chiedere un segno della presenza di Dio in mezzo al popolo, manifestando una chiusura estrema in se stesso e nelle proprie paure. Troviamo, poi, Manasse che ne fece di tutti i colori: praticò la magia, la divinazione, considerate in modo fortemente negativo da JHWH, oltre ad avere costruito altari nella terra di Israele a varie divinità. Ad equilibrare la situazione ci pensa suo nipote Giosia, autore di una profonda riforma religiosa, che tuttavia, non servirà a modificare le sorti di Israele, ormai destinato all’esilio in Babilonia. Ce n’è, dunque, di tutti i colori, come di fatto sono i tratti della variegata diversità dell’umanità.

Ebbene, questo testo ci vuole dire che Gesù non ha fatto una scelta venendo al mondo, non ha scartato quel pezzo di umanità che ha disobbedito ai comandamenti di Dio. Non ha scelto la parte dei bravi, di quelli che compiono il dovere e obbediscono alla Legge. Gesù ha assunto la nostra carne, la nostra umanità nella sua totalità: si è rivestito della nostra umanità, così com’è, senza trucchi, senza ipocrisie. Gesù è divenuto uno di noi e ha condotto un’esistenza umana rivestito, se così si può dire, della nostra carne e, con questa carne, ha vissuto ina vita amando senza riserve, donando se stesso gratuitamente, amando i suoi che erano nel mondo sino alla fine. Per questo è motivo di grande speranza per tutti noi. Questa notte è come se ci dicesse: “carissime amiche e carissimi amici, vedete che è possibile vivere in modo autentico! Ce l’ho fatta io, ce la può fare ciascuno di voi”.

 È possibile vivere in modo autentico come ha fatto Gesù, proprio perché Lui lo ha fatto con un’umanità come la nostra e, in questo modo, ha trasformato ciò che ha assunto. Proprio perché Gesù ha portato una carne come la nostra alla massima possibilità di amore, diviene motivo di speranza per tutte e tutti. C’è speranza nel mondo: è questo che ci viene detto nella notte di Natale. C’è speranza nel mondo perché Gesù rivela che la nostra umanità, la nostra carne è fatta per amare, è capace di amare in modo gratuito e disinteressato, è in fin dei conti un’umanità capace di giustizia. Infatti, nei gesti e nelle scelte di Gesù c’è la realizzazione del sogno di giustizia dei profeti, che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Gesù è venuto al mondo per dirci che ce la possiamo fare e che nessuno può nascondersi dietro alle proprie meschinità: è questo il grande grido del Natale. 

lunedì 18 dicembre 2023

IL SOGNO DI GIUSEPPE

 







Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa (Mt 1,24). Fare la Tua volontà, Signore, coglierla nelle situazioni della vita. Come ha fatto Giuseppe ad accettare una situazione così sconvolgente? Il dato impressionante che ci comunica la narrazione del Vangelo è che si è fidato di un sogno. Questo è il dato pazzesco: il senso di tutta una vita affidata ad un sogno. Questa è la fede dei poveri, degli anawim, di coloro che non hanno nulla e si affidano ciecamente al Signore. Agli anawim basta poco, appunto, un sogno. Per riconoscere la voce del Mistero, la sua presenza dentro la storia, ci vuole un cuore umile e povero: è questo che ci insegna la storia di Giuseppe. Su di un sogno Giuseppe intesse tutta una vita.

C’è una situazione materiale che può agevolare la possibilità di percepire il mistero. Senza dubbio, l’autosufficienza rende difficile questo tipo di percezione, perché è quel tipo di situazione esistenziale che non provoca nella persona il desiderio di qualcosa d’altro. Chi pensa di avere già tutto non si mette alla ricerca di qualcosa he crede di avere. È il povero che si mette alla ricerca di qualcosa di materiale e, in questo modo, è pronto a cogliere una presenza misteriosa.

Forse è questo uno dei significati più profondi del Natale, l’indicazione per cogliere il Mistero e cioè, la presenza del Mistero nei dati materiali della vita. Per farlo occorre che il desiderio di vederlo sia attivato. La povertà materiale è una delle condizioni che attivano questo desiderio. Probabilmente non è l’unica, ma è già un’indicazione.

sabato 9 dicembre 2023

CAMMINARE NEL DESERTO DELLA VITA

 



II AVVENTO/B 2023

Is 40,1-5.9-11; Sal 84; 2 Pt 3,8-14; Mc 1,1-8

 

Paolo Cugini

 

 

La spiritualità del tempo di avvento va cercata nella Parola che la chiesa proclama in questo tempo, per non correre il rischio di cadere in qualche deriva devozionale, che scalda il cuore, ma non dice nulla e ti lascia con l’anima vuota. Nel brano di Isaia che ascoltiamo oggi proprio all’inizio c’è un verbo all’imperativo al quale occorre prestare attenzione. Isaia, infatti, dice: “Consolate”. Il contesto del brano è l’annuncio del ritorno del popolo d’Israele dall’esilio di Babilonia, che costituisce una grande consolazione per tutto un popolo che ormai stava perdendo la speranza di un ritorno in patria. La Consolazione arriva quando il popolo non se l’aspettava, perché la profezia di Geremia parlava di un esilio di settant’anni, mentre l’annuncio del ritorno arriva vent’anni prima. È un annuncio, dunque, di grande consolazione, che manifesta l’attenzione misericordiosa di Dio per le sorti del suo popolo. Al grido di consolazione Isaia aggiunge alcune indicazioni fondamentali per fare in modo che il ritorno si effettui davvero.

Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata (Is 40, 3). Ci sono delle indicazioni concrete, che hanno un valore simbolico. Si tratta di preparare la strada per il ritorno, una strada che passa per il deserto. La mente va subito all’esperienza dei quarant’anni di attraversata del deserto quando il popolo uscii dall’Egitto per andare nella terra promessa. C’è sempre un esodo che periodicamente dobbiamo compiere per rimetterci in cammino. Egitto e Babilonia sono due città simboliche, che indicano la terra straniera, che dal punto di vista spirituale ed esistenziale indicano la situazione dell’uomo e della donna lontani da Dio, dalla ricerca del senso autentico della vita. C’è un lavoro che dev’essere compiuto se si vuole smettere di essere schiavi di se stessi, dei propri desideri e bisogni naturali, per compiere un cammino di liberazione. In questa strada nel deserto non ci devono essere ostacoli e, quelli che ci sono vanno tolti. Ecco la prima grande indicazione spirituale nella seconda domenica di avvento. La domanda sottesa, che poi il Vangelo riprenderà, è questa: quali sono gli ostacoli che stanno condizionando la nostra vita spirituale? Quali valli dobbiamo riempire per rendere il cammino tranquillo? Quali montagne dobbiamo eliminare dalla nostra vita per fare in modo di giungere alla meta?

Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato (Is 40, 5). Il frutto di questo lavoro sarà la possibilità di vedere la gloria del Signore, cioè di percepire la sua presenza. Questo aspetto è fondamentale, perché la nostra fede si attiva dal momento in cui vediamo la gloria di Dio, i segni della sua presenza nella nostra vita. Gloria del Signore è un’espressione che, nell’Antico Testamento, indica la manifestazione della presenza del Signore. Isaia parla di questa Gloria nella visione che lui stesso ha all’inizio della sua vocazione narrata al capitolo 6. Sempre di gloria che il popolo ha visto e per questo, ha creduto, si parla nella narrazione del passaggio nel Mar Rosso (Es 14-15). San Paolo ci ricorda che saremo trasformati di gloria in gloria dall’azione dello Spirito Santo (2 Cor 3,18). È la presenza del Mistero che cambia le nostre vite. Dobbiamo incontrarlo per poter credere in Lui. Il Natale, al quale ci stiamo preparando, è la manifestazione di questo Mistero nella persona di Gesù, che è ancora in mezzo a noi.

Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda:
«Ecco il vostro Dio!
Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio.
Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede.
Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna
(Is 40, 9-10).

Se è vero che questo cammino dobbiamo compierlo noi e che dobbiamo mettere in atto un profondo percorso spirituale di cambiamento, è altrettanto vero però, e ce lo ricorda Isaia, che in questo cammino non siamo soli. Isaia ci presenta un Dio che è come un pastore che accompagna le sue pecore, “porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”. Come non fidarsi di un Dio così? Come non intenerirsi dinanzi a queste parole di consolazione? Sono immagini che cercano di stimolare il popolo di Dio a prendere sul serio la propria vita, a non perdere tempo in cose di poco valore, a guardare avanti per vedere la gloria di Dio che sta venendo al nostro incontro con il suo Figlio Gesù. Ce lo ricorda anche Pietro nella seconda lettura di oggi, quando afferma: davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno (2 Pt 3,8). Coraggio, allora, non perdiamo tempo e mettiamoci in cammino.

Noi, infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia. Perciò, carissimi, nell'attesa di questi eventi, fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia (2 Pt 3,14). Pietro, nella seconda lettura ascoltata, fa eco alle parole di Isaia e ci ricorda il senso del nostro vivere, del nostro cammino di fede, che consiste nel fare spazio alla nuova realtà che Il Mistero di Dio ha già realizzato con la venuta di Gesù, vale a dire, un mondo in cui abita la giustizia. Questo mondo nuovo, non è fuori di noi, ma dentro di noi. È di questo che Gesù parlava nelle sue parabole quando annunciava il Regno di Dio, che è in mezzo a noi, in noi, Cerchiamo, allora, di fare di tutto perché tutto ciò si realizzi e il primo segno di questo, secondo san Pietro è la pace. 

martedì 5 dicembre 2023

IL LUPO E L'AGNELLO

 



Paolo Cugini

 

Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i miseri
e prenderà decisioni eque per gli umili della terra
(Is 11,3s).

C’è un primo aspetto che viene sottolineato del modo di agire del futuro messia ed il suo senso di giustizia. Non giudicherà secondo le apparenze, il suo giudizio non si baserà su ciò che vede all’esterno, ma cercherà l’interno, l’intenzione del cuore. Non prenderà, dunque, decisioni avventate, dettate dall’immediatezza, ma ogni sua decisione sarà ben ponderata, frutto di un’attenta analisi. Proprio per questo non prenderà decisioni per sentito dire, non di fiderà delle opinioni comuni, di quello che si dice, ma lui stesso s’informerà e andrà direttamente alle fonti delle notizie per rendere il suo giudizio veritiero. Il suo giudizio, infatti, avrà due qualità specifiche: la giustizia e l’equità. Entrambe queste qualità saranno visibili nei giudizi nei confronti dei miseri e degli umili della terra, vale a dire i poveri. Questo è un aspetto importante sul quale vale la pena riflettere. Già al tempo di Isaia si percepiva la necessità di un giudizio equo nei confronti dei poveri, perché già a quel tempo i poveri erano vittime inermi delle ingiustizie dei potenti di turno, dei ricchi, che calpestano i diretti dei poveri, proprio perché non hanno i mezzi per fasi rispettare.

Ebbene, la prima funzione del futuro messia sarà proprio quella di esercitare una giustizia equa nei confronti di coloro che nella terra sono stati sfruttati a causa della loro condizione di povertà. Sappiamo molto bene che Gesù realizzerà in pieno questa profezia al punto da farsi lui stesso povero con i poveri, umile con gli umiliati della terra, per sentire sulla sua pelle il peso dell’umiliazione e, in questo modo, saper esprimere un giudizio veramente equo e non basato sul sentito dire e sull’immediatezza apparente (cfr. Fil 2,5-11).

Il lupo dimorerà insieme con l'agnello;
il leopardo si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un piccolo fanciullo li guiderà.
La mucca e l'orsa pascoleranno insieme;
i loro piccoli si sdraieranno insieme.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera;
il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso
(Is 11).

Il frutto della giustizia del futuro messia sarà l’armonia tra le differenze che poteranno alla pace. Le otto coppie di opposti che convivono pacificamente sono il segno dell’avvento del Messia. Nella sua umanità le tensioni vengono stemprate, anzi trovano un significato. Nell’amore portato e vissuto dal Signore, le differenze non sono più motivo di litigio, ma si armonizzano nella comunione, quella di Isaia è una bellissima immagine poetica che indica il cammino che la comunità cristiana è chiamata a realizzare: essere segno nel mondo della presenza del Messia creando uno spazio umano in cui i poli opposti si armonizzano. Ciò è possibile solamente accogliendo lo Spirito del Signore, ascoltando la sua Parola e camminando nella direzione che essa indica.

Comunità cristiane come spazio umano in cui le tensioni si stemperano, e tutti convivono in armonia: è il sogno di Dio, che si è già realizzato nell’umanità di Gesù e che lo Spirito Santo tenta di riprodurre nell’umanità delle comunità cristiane.

 

lunedì 4 dicembre 2023

ALLA FINE DEI GIORNI

 



Alla fine dei giorni,
il monte del tempio del Signore
sarà saldo sulla cima dei monti
e s’innalzerà̀ sopra i colli
e ad esso affluiranno tutte le genti.
Verranno molti popoli e diranno:
«Venite, saliamo sul monte del Signore,
al tempio del Dio di Giacobbe,
perché́ ci insegni le sue vie
e possiamo camminare per i suoi sentieri»
(Is 2,1-2).

Spiritualità del tempo di avvento segnata dai brani di Isaia. Prospettiva universalista del cammino. Si passa dall’idea di elezione del popolo d’Israele ad una visione in cui tutti i popoli si sentono attratti dalla Parola del Signore. Invito ad uscire da una mentalità divisiva per un cammino verso una visione d’insieme, un modo di pensare la realtà in modo aperto. La prospettiva universalista porta con sé come conseguenza l’atteggiamento inclusivo. Camminare per i sentieri del Signore significa aprire le porte a tutti e a tutte, creare comunità in cui tutti e tutte si sentano a loro agio. Chi è che nella visione di Isaia, provoca il movimento di tutti i popoli verso Gerusalemme? Poiché da Sion uscirà̀ la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. È la Parola di Dio che provoca questo movimento di uscita dai propri individualismi per un cammino di comunione che sappia rispettare le diversità e le rivalità.

Del resto, è proprio questo che desiderava Gesù. Sono vari i brani del Vangelo che riprendono il sogno del profeta Isaia e lo attualizzano. Tra i vari, si può citare questo: Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli (Mt 8,11). Gesù sa molto bene che l’effetto della sua Parola e della sua proposta avrebbe provocato la rottura dei muri, degli steccati e un cammino di comunione tra tutti i popoli. In questo cammino, affinché si realizzi pienamente, è necessario un altro passaggio fondamentale espresso dal profeta nel proseguo del testo citato.

Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,
delle loro lance faranno falci;
una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione,
non impareranno più l’arte della guerra.

Che cosa accade a coloro che, attratti dalla Parola del Signore, camminano verso Gerusalemme? Sentono il desiderio di pace. L’immagine riportata dal profeta descrive la trasformazione che avviene nei popoli che seguono la Parola di Dio. C’è un processo di trasformazione in atto, processo di cambiamento che trasforma gli strumenti di guerra – spade e lance – in strumenti per coltivare la terra. Chi assimila interiorizza il Vangelo respira pace e non sente più il bisogno di difendersi, perché impara a percepire l’altro come fratello e sorella. È il sogno di Dio che è divenuto realtà in Gesù. Ogni comunità cristiana che si alimenta del Signore, che fa spazio al Lui diventa un pezzo di umanità che si lascia trasformare dallo Spirito del Signore.

 

sabato 2 dicembre 2023

C'è speranza nel mondo

 



I DOMENICA AVVENTO B

Is 63,16b-17.19b; 64,2-7; Sal 79; 1 Cor 1,3-9; Mc 13,33-37

 

Paolo Cugini

 

Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie
e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema?
Ritorna per amore dei tuoi servi,
per amore delle tribù, tua eredità.
Se tu squarciassi i cieli e scendessi!
(Is 63, 17).

 

In questo versetto del profeta Isaia è racchiuso il significato dell’Avvento. Il punto di partenza è la percezione esistenziale di un vuoto, un non senso che caratterizza la vita presente. Se ci guardiamo bene intorno sembra proprio che Isaia abbia ragione. Guerre da ogni parte del pianeta, che esprimono l’incapacità umana di convivere in modo pacifico e, allo stesso tempo, il volere di imporre con arroganza la propria forza sugli altri. Per no parlare poi dei femminicidi che sconvolgono la vita di tante donne, di tante famiglie, dinanzi ai quali rimaniamo esterrefatti, senza parole. Vaghiamo sulle strade della vita circondati da fenomeni che ci sconvolgono, perché ci trovano impreparati. In realtà, proprio questi eventi rivelano qualcosa di noi, della nostra cultura, del nostro modo di essere e di relazionarci con gli altri. Le tragiche situazioni che stanno affollando la nostra vita quotidiana riguardano le relazioni interpersonali e indicano, allo stesso tempo, il cammino che dobbiamo compiere. Le guerre rivelano l’incapacità di convivere con il diverso e, allo stesso tempo, la riduzione semplicistica della soluzione dei problemi al mero uso della forza. I femminicidi rivelano tantissime cose della nostra cultura, di come siamo fatti, dell’immaturità umana di tanti uomini incapaci di gestire i propri sentimenti e, soprattutto, le proprie frustrazioni.

La percezione che stiamo camminando su strade che non sembrano avere una meta, parafrasando Isaia, non deve provocare un sentimento di scoraggiamento, ma una riflessione personale e comunitaria. La domanda potrebbe essere questa: siamo condannati a vivere in questo modo conflittuale, in un mondo che non riesce a qualificare le proprie relazioni? Le letture che ascoltiamo in questa prima domenica di Avvento ci mostrano un cammino, e un atteggiamento. Il cristiano e la comunità cristiana sono invitati alla speranza, non perché ci sarà una soluzione dopo la morte, ma perché c’è un principio di vita nuova già inserito dentro la storia da Gesù Cristo. È a questa novità che siamo invitati a guardare. È a questo tipo di speranza che siamo orientati a guardare. C’è speranza nel mondo e c’è speranza per noi, perché Gesù ha inaugurato un modo nuovo di vivere. È Lui, infatti, che ha fatto dei popoli in conflitto un cammino di pace, non usando la forza, ma attirando l’odio su di sé. Gesù ci ha insegnato a vivere i conflitti non aumentando le tensioni, ma riducendole al minimo con l’amore, la dolcezza, l’ascolto. Gesù ci ha insegnato che è possibile uscire dalla cultura patriarcale e dalle sue nefaste influenze, non con discorsi, ma con nuovi atteggiamenti che riproducono nella storia l’uguaglianza di donne e uomini voluta da Dio.

C’è speranza per tutti e tutte perché l’amore di Dio manifestato dal Figlio Gesù è stato riversato nei nostri cuori e continua ad essere riversato grazie allo Spirito Santo. Accogliamo, allora, lo Spirito di Cristo per vivere di Lui e come Lui.