II
AVVENTO/B 2023
Is
40,1-5.9-11; Sal 84; 2 Pt 3,8-14; Mc 1,1-8
Paolo
Cugini
La
spiritualità del tempo di avvento va cercata nella Parola che la chiesa
proclama in questo tempo, per non correre il rischio di cadere in qualche deriva
devozionale, che scalda il cuore, ma non dice nulla e ti lascia con l’anima
vuota. Nel brano di Isaia che ascoltiamo oggi proprio all’inizio c’è un verbo
all’imperativo al quale occorre prestare attenzione. Isaia, infatti, dice: “Consolate”.
Il contesto del brano è l’annuncio del ritorno del popolo d’Israele dall’esilio
di Babilonia, che costituisce una grande consolazione per tutto un popolo che
ormai stava perdendo la speranza di un ritorno in patria. La Consolazione
arriva quando il popolo non se l’aspettava, perché la profezia di Geremia
parlava di un esilio di settant’anni, mentre l’annuncio del ritorno arriva vent’anni
prima. È un annuncio, dunque, di grande consolazione, che manifesta l’attenzione
misericordiosa di Dio per le sorti del suo popolo. Al grido di consolazione Isaia
aggiunge alcune indicazioni fondamentali per fare in modo che il ritorno si
effettui davvero.
Una
voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la
strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle
siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso
in vallata (Is 40, 3). Ci sono delle indicazioni
concrete, che hanno un valore simbolico. Si tratta di preparare la strada per
il ritorno, una strada che passa per il deserto. La mente va subito all’esperienza
dei quarant’anni di attraversata del deserto quando il popolo uscii dall’Egitto
per andare nella terra promessa. C’è sempre un esodo che periodicamente
dobbiamo compiere per rimetterci in cammino. Egitto e Babilonia sono due città
simboliche, che indicano la terra straniera, che dal punto di vista spirituale
ed esistenziale indicano la situazione dell’uomo e della donna lontani da Dio,
dalla ricerca del senso autentico della vita. C’è un lavoro che dev’essere
compiuto se si vuole smettere di essere schiavi di se stessi, dei propri desideri
e bisogni naturali, per compiere un cammino di liberazione. In questa strada
nel deserto non ci devono essere ostacoli e, quelli che ci sono vanno tolti.
Ecco la prima grande indicazione spirituale nella seconda domenica di avvento.
La domanda sottesa, che poi il Vangelo riprenderà, è questa: quali sono gli
ostacoli che stanno condizionando la nostra vita spirituale? Quali valli dobbiamo
riempire per rendere il cammino tranquillo? Quali montagne dobbiamo eliminare
dalla nostra vita per fare in modo di giungere alla meta?
Allora
si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno,
perché la bocca del Signore ha parlato (Is 40, 5). Il
frutto di questo lavoro sarà la possibilità di vedere la gloria del Signore,
cioè di percepire la sua presenza. Questo aspetto è fondamentale, perché la
nostra fede si attiva dal momento in cui vediamo la gloria di Dio, i segni
della sua presenza nella nostra vita. Gloria del Signore è un’espressione che,
nell’Antico Testamento, indica la manifestazione della presenza del Signore.
Isaia parla di questa Gloria nella visione che lui stesso ha all’inizio della
sua vocazione narrata al capitolo 6. Sempre di gloria che il popolo ha visto e
per questo, ha creduto, si parla nella narrazione del passaggio nel Mar Rosso
(Es 14-15). San Paolo ci ricorda che saremo trasformati di gloria in gloria
dall’azione dello Spirito Santo (2 Cor 3,18). È la presenza del Mistero che
cambia le nostre vite. Dobbiamo incontrarlo per poter credere in Lui. Il Natale,
al quale ci stiamo preparando, è la manifestazione di questo Mistero nella
persona di Gesù, che è ancora in mezzo a noi.
Alza la voce, non temere; annuncia alle
città di Giuda:
«Ecco il vostro Dio!
Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio.
Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede.
Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna (Is
40, 9-10).
Se
è vero che questo cammino dobbiamo compierlo noi e che dobbiamo mettere in atto
un profondo percorso spirituale di cambiamento, è altrettanto vero però, e ce
lo ricorda Isaia, che in questo cammino non siamo soli. Isaia ci presenta un
Dio che è come un pastore che accompagna le sue pecore, “porta gli agnellini
sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”. Come non fidarsi di un Dio
così? Come non intenerirsi dinanzi a queste parole di consolazione? Sono
immagini che cercano di stimolare il popolo di Dio a prendere sul serio la
propria vita, a non perdere tempo in cose di poco valore, a guardare avanti per
vedere la gloria di Dio che sta venendo al nostro incontro con il suo Figlio
Gesù. Ce lo ricorda anche Pietro nella seconda lettura di oggi, quando afferma:
davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un
solo giorno (2 Pt 3,8). Coraggio, allora, non perdiamo tempo e mettiamoci
in cammino.
Noi,
infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei
quali abita la giustizia. Perciò, carissimi, nell'attesa di questi eventi, fate
di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia (2
Pt 3,14). Pietro, nella seconda lettura ascoltata, fa eco alle parole di Isaia
e ci ricorda il senso del nostro vivere, del nostro cammino di fede, che
consiste nel fare spazio alla nuova realtà che Il Mistero di Dio ha già
realizzato con la venuta di Gesù, vale a dire, un mondo in cui abita la
giustizia. Questo mondo nuovo, non è fuori di noi, ma dentro di noi. È di
questo che Gesù parlava nelle sue parabole quando annunciava il Regno di Dio,
che è in mezzo a noi, in noi, Cerchiamo, allora, di fare di tutto perché tutto
ciò si realizzi e il primo segno di questo, secondo san Pietro è la pace.
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