domenica 24 dicembre 2017

TRA PROFEZIA E COMPIMENTO






Paolo Cugini

Susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno… La tua casa saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre” (2 Sam7,14.16)
“Ed eco concepirai un figlio lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù… Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe” (Lc 1,36)

Il tempo di Avvento ci propone dei punti di vista diversi per guardare l’evento della nascita di Gesù, affinché possiamo cogliere qualche frammento della sua complessità e immensa novità. E allora dopo aver ascoltato queste letture ci chiediamo: che cosa di Gesù ci dicono queste letture? Che cosa della sua nascita.
Ponendo accanto 2 Sam 7 che annuncia la profezia della Parola Di Dio che per mezzo del profeta Natan annuncia la stabilità perenne del Regno di Davide e il Vangelo in cui l’angelo annuncia a Maria che sarà madre di colui che assumerà il trono di Davide, risalta immediatamente il rapporto tra la profezia e la sua realizzazione. 

C’è dunque un primo significato che individuiamo in modo immediato, vale a dire la forza della Parola di Dio che si realizza nel tempo. Non si tratta, comunque di una realizzazione immediata. Tra la profezia e il compimento ci sono circa mille anni. I tempi di Dio si spalmano su di un tempo prolungato. La spiritualità che sgorga dalla Parola di Dio, ci conduce in un cammino di pazienza, ci allena ad esercitarci a non pretendere nulla, a non esigere che Dio risponda alle nostre richieste: ci educa all’attesa. Questo, tra l’altro, è uno dei tratti specifici della spiritualità del tempo di Avvento. Se volgiamo conoscere Dio e i suoi piani, dobbiamo rassegnarci ad abbandonare la piattaforma del tempo in cui la cultura Occidentale ci ha posto, una piattaforma fatta di pretese, che velocizza sempre di più il rapporto tra richiesta e soddisfazione. Tempo in cui il punto focale della relazione non sta nella qualità della richiesta, ma sulla sua quantità. La velocità della risposta non ci permette di capire se ha un senso quello che chiediamo, se è una richiesta che sgorga dal profondo del cuore, o è semplicemente il frutto di pressioni esterne, della cultura che ci circonda.

Tra la promessa e la sua realizzazione non c’è immediatezza e linearità. Siamo al capitolo 7 del secondo libro di Samuele quando Davide riceve la profezia di Natan della promessa della stabilità perenne del suo regno che Dio gli assicura. Ci si aspetterebbe l’impegno di camminare fedele al Signore come segno di gratitudine. E invece, sfogliando la Bibbia dopo alcune pagine lo troviamo già avvolto nel peccato di adulterio, al punto che per avere un donna manda ad ammazzare suo marito. Andando ancora avanti, troviamo Salomone il figlio di Davide che lo succede al trono, che perde la testa dalle troppe donne e che porta dentro a Gerusalemme i culti idolatrici delle sue donne straniere. E Poi Geroboamo, che continua con l’idolatri al punto da dividere il Regno. Tutto questo per dire che la verità della profezia, la sua forza, non sta tanto nella risposta dell’uomo e della donna, ma nella Parola stessa. E’ quello che Gesù esprimerà nella Parabola del seme in cui sostiene che il seme germina e si sviluppa senza che l’agricoltore sappia come (cfr. Mc 4,26-29). La realizzazione delle promesse avviene indipendentemente dalla risposta dell’uomo, avviene perché Dio è fedele a se stesso. A noi è richiesta l’umiltà di affidarci su questa Parola che viene da molto lontano, ripiena di elementi culturali che vanno filtrati perché non dicono più della nostra vita, ma che nonostante tutto, è portatrice ancora di significati per noi oggi.

C’è un altro aspetto che mi sembra importante sottolineare di questa liturgia. Che cos’è la profezia? E’ una Parola di Dio comunicata da un uomo di Dio, un profeta, per l’umanità. La profezia dice di una Parola pensata, dice di un progetto di Dio per noi; dice di un’idea che vien dall’amore di Dio. La profezia dice di un Dio che guarda l’uomo e la donna e ha pensieri d’amore per loro, per il loro cammino, la loro vita. La profezia è una Parola di Dio conficcata dentro la storia che prima o poi arriverà a germinare perché, come dice il salmo “La giustizia si affaccerà dal cielo mentre la verità germoglierà dalla terra” (Sal 84, 12). La stessa idea la troviamo anche nel profeta Isaia: “Si squarci la terra, fiorisca la salvezza e insieme germogli la giustizia” (Is 45,8). L’amore di Dio si manifesta come pensiero che si traduce in una Parola definitiva per noi che germoglierà dalla terra i suoi frutti. C’è, allora, una presenza misteriosa di Dio nella sua Parola, una Sua presenza nella storia molto discreta e rispettosa della libertà dei suoi figli e figlie. Ed è di questa libertà e discrezione che abbiamo bisogno per divenire ed essere noi stessi


venerdì 22 dicembre 2017

NATALE: LA DISTRUZIONE DELLA RELIGIONE E LA DEMOLIZIONE DEL SACRO




Paolo Cugini

“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14)
Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2,10)

Celebrare il Natale significa riflettere sul mistero di Dio, mistero che fa di tutto per rendersi intellegibile. Questo mi sembra il primo aspetto significativo del Natale: Dio ha deciso di manifestarsi, di dire chi è, di mostrarsi avvicinandosi a noi a tal punto da farsi uno di noi. E’ su questo aspetto che a mio avviso vale la pena riflettere, per capire le svariate implicanze che, questo evento unico nella storia dell’umanità, produce.

In primo luogo, il Natale dice di un giudizio sul mondo religioso. Sacro dice di una distanza, di una separazione da ciò che è profano. La nascita di Gesù in una mangiatoia rappresenta la distruzione del sacro, la distruzione di ogni tipo di distanza e separazione tra sacro e profano, perché nell’evento del Natale, il sacro viene ad abitare il profano, e il profano diventa la casa del sacro. Nascendo in una grotta Dio ha operato un processo di umanizzazione del divino, volendo in questo modo destrutturare il processo umano di sacralizzazione del divino. Dio in Gesù ha sacralizzato il tempo, ha rotto le distanze e, di conseguenza, si è avvicinato ad ogni uomo e ad ogni donna. Che cosa significa questo avvicinamento che è, allo stesso tempo, un’identificazione?

In secondo luogo, il Natale significa la fine e il giudizio negativo su ogni modello sociale che produce disuguaglianze, separazioni, divisioni. Se Colui che era in alto, nel cielo è venuto sulla terra ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, significa che d’ora innanzi nessuno può porsi in alto ritenendosi migliore di altri. Il Natale è la festa dell’uguaglianza: venendo al mondo e ad abitare in mezzo a noi Dio ha voluto dire che tutti siamo degni, perché non si è avvicinato a qualcuno, ma a tutti. Natale, allora, come monito chiaro contro tutti coloro che producono e mantengono in piedi il modello economico nefasto del neoliberalismo, che produce sempre più poveri a favore di una piccola élite di ricchi sempre più ricchi, alla faccia dei poveri.

In terzo luogo, la nascita del figlio di Dio in una mangiatoia sottolinea la scelta dei poveri, vale a dire l’esplicitazione del desiderio di dare dignità ad ogni persona- Quest’identificazione di Gesù con i poveri che troviamo al momento della nascita, è indicata da Gesù stesso come criterio per entrare nel Regno dei cieli. Il cammino della vita sulla terra, per i discepoli e le discepole di Gesù, non può che essere caratterizzato dallo stile semplice e dalla presa di posizione nei confronti delle persone povere. Non a caso la Chiesa, sin dal suo inizio sviluppa quest’attenzione verso i più poveri, proponendo il cammino della solidarietà e della condivisione.

Perché per loro non c’era posto (Lc 2, 7). Versetto molto significativo anche per noi oggi. Quanta gente anche oggi non trova posto tra di noi, non trova posto nella Chiesa! Nella società opulenta non trovano posto i poveri, i rifugiati, gli emarginati. Nella Chiesa, nonostante i duemila anni della venuta di Gesù, non trovano posto i divorziati, le coppie di fatto, gli omosessuali, le lesbiche, i transessuali, le persone LGBT. C’è ancora molto da fare

Se questo è vero, ciò significa che ogni volta che produciamo delle situazioni di distanza con il divino, che è venuto ad abitare in mezzo a noi, stiamo negando il senso del Natale, ci stiamo opponendo al suo significato autentico per affermare il nostro.


Natale, allora, è un grande messaggi odi speranza per tutti noi. Ci dice, infatti, che c’è vita in Dio, una sovrabbondanza di vita che ci viene donata e ha la forma dell’amore, della condivisione, dell’uguaglianza. Quando viviamo questo stile di vita realizziamo il sogno di Dio che vediamo visibile nel presepio. 

venerdì 15 dicembre 2017

AVVENTO: IL CAMMINO DELLA LIBERTÀ



Paolo Cugini

C’è una forza dentro alla storia che nessuno può togliere. C’è un desiderio di vita e di giustizia che Dio ha impresso dentro la storia attraverso l’azione dei suoi profeti, che la superficialità umana, cioè l’atteggiamento che l’uomo e la donna hanno abitualmente, non può scalfire minimamente. Forse a volte si ha l’impressione che la realtà fisica, quella che appare a livello materiale, sia tutto fuorché giusta, tutto fuorché pacifica, tutto fuorché segnata dall’amore. Eppure, per coloro che sono rinati dallo Spirito, per coloro che accogliendo la Parola sono rinati dall’alto, la percezione della giustizia di Dio dentro la storia degli uomini e delle donne è un dato assodato. “Così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti” (Is 61,11). E’ di questa sicurezza che abbiamo bisogno, sicurezza che, allo stesso tempo, è una certezza. Chi può avere il dono di tali parole? Chi mai può essere il portatore di parole così sicure e ferme se non colui che le ha sperimentate su di sé? E chi può sperimentarle senza divenire, ad un certo punto della vita, una persona così libera da non fare dipendere più la propria esistenza dalle cause esterne?

Mi ha mandato a proclamare la libertà degli schiavi” (Is 61, 2). A che cosa serve l’avvento: a questo, ad uscire dalla schiavitù, ad uscire da una vita bloccata e, di conseguenza frustrata. E’ questo che deve fare la Chiesa, il resto non serve, il resto è contorno non necessario. Più diveniamo minoranza, insignificanti dal punto di vista sociale, più saremo costretti a tornare all’essenziale. Allora il tempo di avvento ci ricorda che l’essenza di un cammino di fede, il senso della venuta di Gesù sulla terra e l’obiettivo del discepolato è divenire persone libere.

Ci possiamo chiedere, allora: liberi da che cosa? In primo luogo dalla tentazione di cercare la gloria degli uomini e delle donne e di fondare la nostra identità sul giudizio degli altri. L’esempio in positivo di questo cammino è Giovanni Battista, che la liturgia ce lo mostra nel Vangelo. Giovanni Battista, nel dialogo con i leviti e i sacerdoti, dimostra una chiarezza sulla propria identità impressionante. “Tu chi sei? Egli confessò e non negò. Confessò: io non sono il Cristo” (Gv 1, 20). Lui sa di non essere il messia, perché sa benissimo il senso della propria esistenza, sa qual è il suo posto nella storia. Questa è a mio avviso la prima grande libertà che siamo chiamati a maturare non solo durante l’Avvento, ma durante tutta la vita: la libertà dal confronto con gli altri, libertà dalla tirannia di cercare negli altri delle conferme sulla nostra identità. Questa libertà la si matura lentamente, in uno sforzo continuo di riflessione e di cammino interiore. Giovanni Battista in questo è un grande esempio, avendo maturato il senso del proprio posto nel mondo, nel silenzio del deserto, in ascolto di una Parola che diventa realtà e cammino di rivelazione per coloro che la vivono.  


In secondo luogo, nel tempo di Avvento siamo chiamati a liberarci dal male. Ce lo ricorda Paolo nella seconda lettura: “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male” (1 Ts 5,17). Nel contesto in cui viviamo non è facile maturare ogni giorno questa libertà. Diceva la filosofa francese Simone Weil a questo proposito: “Amare Dio è non attaccare il cuore alle cose vane”. Non si tratta di un semplice esercizio in negativo, perché se fosse così, non ce la potremmo mai fare. Vince il male chi pone lo sguardo fisso sul bene e non lo molla un istante. “Fissate lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della nostra fede” (Eb 12). Durante il tempo di Avvento esercitiamoci allora, a cercare il bene in tutto ciò che è attorno a noi, prima di tutto fra le persone che amiamo. Cerchiamo con tutto noi stessi il bello che è attorno a noi e dentro di noi. Solo così potremo arrivare alla notte di Natale e scorgere la Luce in mezzo alle tenebre della notte. 

venerdì 1 dicembre 2017

VEGLIATE!



PRIMA DOMENICA DI AVVENTO/B
Paolo Cugini

Siamo all’inizio dell’avvento e dunque di un nuovo anno liturgico e il Vangelo in poche righe ripete più volte la stessa perentoria espressione: vegliate! Se Gesù ripete questa espressione più volte poco prima di morire è perché sa che ci sono cose nel mondo che inducono all’assopimento. Il cammino di fede parte spesso pieno di entusiasmo, ma poi alla distanza, è facile perdersi. E’ un elemento della dinamica della fede. E’ difficile rimanere sempre con le motivazioni a mille. Il cammino della vita è lungo e pieno di proposte alternative che possono allettare. Non solo questo, ma in mezzo al deserto della vita la pesantezza del vissuto quotidiano rischia d’intorpidire lo slancio dei primi giorni. Se Gesù ripete con insistenza questo monito è perché Lui conosce bene questo pericolo, lo conosce perché conosce in profondità l’animo umano, le sue ricchezze e i suoi limiti.
Se volessimo attualizzare il discorso del Vangelo ci potremmo chiedere: quali sono gli ambiti oggi che minacciano di atrofizzare la nostra vita spirituale e quindi su che cosa dobbiamo vigilare? Possiamo utilizzare, per facilitare l’analisi, le indicazioni che Papa Francesco ha posto nella Evangeli Gaudium.

Il primo luogo dobbiamo apprendere a vigilare sul nostro modo di considerare il tempo e lo spazio. Francesco sostiene che il tempo è superiore allo spazio. Nel nuovo anno dobbiamo fare in modo di vigilare affinché rimaniamo attenti a non perderci nella costruzione di spazi, nelle cose, ma di curare le relazioni che richiedono tempo. Soprattutto, la nostra vigilanza va posta sui processi che mettiamo in atto perché esigono di essere accompagnati con cura. Si tratta di generare processi più che dominare spazi. Certamente non possiamo dimenticare lo spazio, ma quando il tempo dedicato allo spazio è superiore a quello che dedichiamo alle relazioni, significa che è entrato in noi un processo di materializzazione e, allo stesso tempo, d’impoverimento dell’anima.

In secondo luogo la nostra vigilanza va posta sul rapporto tra la realtà e l’idea. Abbiamo una tendenza innata, soprattutto in Occidente, ad arroccarci nelle ideologie apprese in modo più o meno arruffato negli anni dell’infanzia e della giovinezza. Spesso e volentieri usiamo le nostre ideologie come se entrassimo in guerra, soprattutto quando in gioco ci sono problemi che c’interessano. Papa Francesco ci dice che la realtà precede l’idea e che solo dopo aver ascoltato e conosciuto la realtà di una cosa o di un evento è possibile elaborare un’idea, una teoria. Questo è uno dei maggiori nostri problemi che dobbiamo affrontare seriamente all’inizio di quest’anno liturgico. Spesso le nostre discussioni sono intasate d’ideologie, di quelle idee che ci siamo fatti con il tempo e che non abbiamo mai verificato realmente. L’attenzione alla realtà presente ci dovrebbe aiutare non solo ad ascoltarci gli uni gli altri con maggior attenzione, ma anche a guardare avanti con gli occhi pieni di speranza.

Terzo principio enunciato da Papa Francesco nell’Evangeli Gaudium e che ci dovrebbe aiutare nel prossimo anno nel nostro cammino spirituale è che il tutto è superiore alla parte. Tradotto potremmo dire che occorre vigilare costantemente a non ripiegare su noi stessi, sui nostri interessi, a non isolarsi in un individualismo esasperato, ma a fare in modo che tutto contribuisca al bene comune, alla comunità. Questo mi sembra un bel cammino e un bel proposito da mettere in programma per il prossimo anno: sforzarci di essere meno individualisti, di pensare meno ai nostri affari e pensare di più insieme, approfittare dei momenti comunitari per camminare insieme alla comunità.

L’ultimo principio di Papa Francesco che è allo stesso tempo una bellissima indicazione per il nostro cammino di fede è che l’unità prevale sul conflitto. Che cosa significa questa affermazione? Che dobbiamo fare in modo di salvare a tutti i costi l’unità nella comunità. Quante volte, durante quest’anno, l’unità si è incrinata a causa di opinioni non condivise, o di mal di pancia mal gestiti. Certamente i conflitti fanno parte della vita e a volte sono persino necessari per farci crescere, perché mettono a nudo i problemi esistenti. Quando però, il conflitto diviene motivo di spaccature, o di gioco di forza per esercitare la supremazia sull’altro, allora non ha più senso, perché non viene dal desiderio di crescere, ma la contrario, dal piano nefasto di sotterrare un cammino.

Vigiliamo, allora. Durante il prossimo anno non lasciamo sopraffarci dalle nostre idee preconcette, dal nostro desiderio di prevalere sugli altri con la forza, di dominare spazi e di voler a tutti i costi difendere i nostri particolarismi. Cerchiamo invece di guardare in faccia la realtà, tenendo i piedi per terra, lasciandoci guidare dal desiderio di costruire comunità, di mettere in moto e accompagnare processi con le persone che incontriamo. Così sia.



domenica 26 novembre 2017

L’AVETE FATTO A ME




FESTA DI CRISTO RE DELL'UNIVERSO/A

Matteo 25, 31-46
Paolo Cugini

Questa pagina del Vangelo è destabilizzante, sorprendente. L’uomo e la donna religiosi non si aspetterebbero una conclusione così del cammino verso Dio. Chi è abituato a pensare in modo religioso si aspetterebbe un finale cultuale, una celebrazione, un premio per chi ha realizzato la celebrazione più bella o per chi ne ha partecipate di più. E invece Gesù ci sorprende ancora, ci dice che il premio del cammino di fede non si gioca nella sfera del sacro, ma del profano, non nella sfera celebrativa e liturgica, ma nella vita quotidiana, non nel prestigio di un pontificale, ma nell’abbassamento verso il povero. Ci dice, soprattutto, che non esiste premio, perchè la logica del Vangelo non è quella del merito, ma dell'amore che si accoglie come un dono. Pagina davvero imbarazzante perché ci pone immediatamente un interrogativo, ci chiede: ma chi vi ha insegnato queste cose? Chi vi ha detto che l’incenso nel tempio vale più di un bicchiere d’acqua al povero? Chi vi ha insegnato che le vesti liturgiche sono più importanti del vestire gli ignudi? Chi vi ha insegnato a visitare il santissimo e non avere la stessa solerzia per la visita all’ammalato? In fin dei conti, chi ci ha insegnato a dividere il sacro dal profano, la fede dalla vita, la contemplazione dall’azione?

 Gesù ci dice che la vita non è un problema di avere, ma di essere, non è un problema di quantità, ma di qualità. Gesù c’insegna che la vita è una e bisogna giocarsela bene. Rischi di spenderla male, pensando di spenderla bene. E nemmeno la religione ti salva, anzi ti può orientare male. Ci salva quella religione che ci conduce all’autenticità, a vivere in modo degno. E' falsa quella religione che ci toglie l’amore, sostituendolo con delle regole o con dei riti.



E’ il Vangelo che distrugge la struttura religiosa dal suo interno. Lo ascolti in silenzio, lo lasci scendere nel profondo dell’anima e ti apre un mondo, ti squarcia il senso della vita e ti chiedi: perché? Ascolti questa pagina del Vangelo che ti dice che la vita ce la giochiamo nei piccoli gesti quotidiani di amore, di attenzione ai poveri e perché, allora noi che dovremmo insegnare questo prima di tutto con la vita, ci perdiamo a fare tutt’altro, ad insegnare delle regole morali, a ripetere riti, funzioni, a baciare statue, adorare immagini?

L’avete fatto a me: è questa la sentenza inappellabile. Non c’è un testo così chiaro e diretto di Gesù verso i suoi discepoli. La fede in Lui non è un problema di riti, di formule o di regole: è un problema di relazione. Il Padre, che consce i suoi figli non chiede loro di che sesso sono, i titoli di studio, il potere che hanno, ma il gesto ad un povero. Perché? E’ questa la domanda centrale di oggi. Perché il rapporto è così fondamentale nel cammino della vita cristiana al punto da farne il criterio della salvezza? Perché nella prospettiva del Regno dei cieli vale di più un bicchiere d’acqua dato a un povero che un turibolo d’oro, un pezzo di pane dato ad un infermo che a cento pontificali, una carezza data ad una persona triste che il piviale dorato? 



E’ il cammino dell’amore. Quanto più è autentico quanto più si abbassa. L’amore vero, quello che esce dal cuore di Dio, non fa calcoli e non ha misura, non ha paura di sporcarsi e di perdersi. Per questo non si accorge di ciò che fa, non si accorge dei gesti di amore che elargisce continuamente senza fermarsi mai. Dio ha tanto amato il mondo da farsi uno di noi, da farsi piccolo, da farsi il più piccolo tra i piccoli.


Non è quindi un problema sociale, ma evangelico. Che Gesù sia presente nei poveri è il Vangelo, è una delle indicazioni più profonde del Vangelo. E allora se Gesù è lì nel povero significa tante cose, che dicono della direzione che una vita deve prendere. Indicazione di un cammino che ci salva dall’ansia di dover essere qualcuno nel mondo, perché Dio è presente nel piccolo. Ci salva dalla frustrazione di non avere nulla o poco, perché Dio non guarda le quantità, ma la qualità della dignità di una persona. 

venerdì 10 novembre 2017

E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI



ESERCIZI SPIRITUALI PER PRESBITERI DIOCESI DI REGGIO EMILIA-GUASTALLA
MAROLA 6-10 NOVEMBRE 2017
MONS. LUCIANO MONARI

MEDITAZIONI SUL VANGELO DI GIOVANNI


Sintesi: Paolo Cugini

VIII MEDITAZIONE
PROLOGO – GIOVANNI 1,1-18

Rudolf Bultmann: è un inizio che accenna ai temi che poi verranno ripresi durante la narrazione.

La Rivelazione. Il Figlio unigenito ha rivelato Dio. Nessuno ha mai visto Dio, cioè Dio non è visibile agli occhi dell’uomo, anche agli occhi della sua immaginazione e intelligenza. Non è possibile vedere Dio e vivere (cfr. Esodo, l’esperienza di Mosè). Solo colui che viene da Dio ha visto il Padre (Gv 6). 1 Gv 4,12: nessuno mai ha visto Dio. E’ un tema caro a Giovanni. Ciò suppone che l’uomo abbia il desiderio di vedere Dio, perché l’uomo ha bisogno di Lui. Sal 24, 6: Ecco la generazione che cerca il tuo volto. Sal 27, 8-9: cercate il suo volto… Non nascondermi il tuo volto. L’uomo ha bisogno di Dio, ma non gli è possibile entrare in questa relazione di intimità. Per questo è importante la seconda parte del versetto: il Figlio dell’uomo lo ha rivelato. Il vedere Dio è mediato dal Figlio unigenito che è nel seno del Padre. Ha aperto una possibilità di vedere Dio. Lui è nel seno del Padre. Giovanni dice eis, dentro a qualcosa. Il Figlio è nel seno del Padre, in movimento dentro, si muove dentro all’amore del Padre. Il Padre è un dinamismo di dono che si esprime nel dono al Figlio e il Figlio vive tutto ciò che riceve dal Padre in comunione e obbedienza a Lui. E’ uno scambio di vita. Il Figlio è questo. Se riesci a vedere il Figlio vedi qualcuno che si muove verso l’amore del Padre. Questa è la vita del Signore risorto, che è passato da questo mondo al Padre. Nella risurrezione sono risuscitate tutte le parole, i gesti, le relazioni, la croce di Gesù. Quel Cristo Risorto che vive nel seno del Padre porta nel seno del Padre tutta la sua esperienza umana, per questo è un rivelatore. Nel Signore risorto, il mistero di Dio è svelato perché tra il Padre e il Figlio c’è uno scambio reciproco di amore. Cfr. Eb 1. A tutta la storia della rivelazione di Dio, viene dato un compimento che è la vita e le parole di Gesù. La vita intera di Gesù è rivelazione che porta a compimento la rivelazione del primo Testamento. A Mosè succede Gesù Cristo, alla Legge succede la Grazia e la Verità. Quello che era un dono diventa un avvenimento, perché non si tratta di trasmettere una legge, perché adesso le tavole di pietra sono la vita di Gesù fatta di parole, di gesti, di emozioni, ecc. Grazia e Verità è il dono della Verità, il dono della rivelazione. La Verità è la rivelazione dell’amore di Dio. A quel dono che era stata la Torà attraverso Mosè si sostituisce un dono più grande incarnato in Gesù. Grazia su grazia: una grazia nuova che corrisponde la grazia antica – la Legge – e la supera. C’è il primato della rivelazione di Gesù, perché porta a compimento la prima rivelazione. Giovanni il Battista, il precursore della rivelazione di Gesù: colui che era prima di me mi è passato avanti: cfr. Gv 1, 6-8.

Incarnazione. Il Verbo si fece carne: la Parola di  Dio ha preso un’esistenza umana. La parola carne dice la debolezza della condizione dell’uomo, ma è questo il sorprendente della rivelazione di Gesù perché nella carne si rivela la Parola di Dio. Is 40, 6s: Una voce dice: grida… Ogni carne è come l’erba. L’uomo nella sua debolezza è come l’erba: l’uomo è bello come il fiore del campo, ma è effimero, dura poco. Così è la carne. Secca il fiore, ma la Parola dura per sempre, è eterna. Il Verbo si fece carne, la Parola eterna si è fatta carne, debolezza. Bisognava che accadesse questo, perché solo la carne può essere la mediazione della nostra esperienza. Occorre che la Parola di Dio prenda una forma mondana, umana, perché possa essere vista, udita, contemplata. Cfr 1 Gv 1. 1s. La vita si è fatta visibile e l’abbiamo veduta. Senza di questo la rivelazione non avviene, la Parola di Dio rimane al di sopra di noi; fatto carne il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi. E’ un richiamo al tabernacolo, alla tenda che ha accompagnato Israele nel suo viaggio. E’ il tempio di Gerusalemme come tenda fissa. E’ il tema della Legge di Dio. Il Primo Testamento è un’esperienza d’incarnazione della Parola di Dio. Adesso questa presenza di Dio si compie in una esperienza umana, concreta. Nato da donna, nato sotto la legge. Il Verbo abita in mezzo agli uomini, è la Parola eterna di Dio che si lascia toccare, vedere, contemplare. Abbiamo potuto vedere la gloria di Dio nella carne del Verbo. Episodio della trasfigurazione (Sinottici). San Giovanni non racconta la Trasfigurazione, perché tutto nel suo Vangelo è trasfigurazione. Tutti i segni sono trasfigurazione. E’ la sua missione: manifestare la gloria di Dio nella sua carne. La Verità è la manifestazione dell’amore di Dio, non solo con le parole, ma anche con la sua esperienza umana. Il tema dell’Incarnazione fonda il tema della Rivelazione.

Filiazione divina. A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare Figli di Dio. La figliazione che è propria di Gesù è sorgente, origine, di un’identità filiale per gli uomini, non semplicemente nella loro condizione mondana, ma nella loro condizione di credenti del Figlio di Dio. In greco ci sono due termini diversi, per dire che Gesù è l’Unigenito, l’Unico e la nostra filiazione dipende radicalmente da Lui. Non c’è una filiazione indipendentemente dal Figlio Unigenito. Per questo è importante: a quanti lo hanno accolto, cioè nella fede. Ha dato il potere di diventare. L’ottica per san Giovanni è dinamica. Siamo figli di Dio, ma in realtà siamo chiamati a diventarlo nell’ottica della fede, che trasfigura i pensieri e i desideri dell’uomo. C’è un progresso, un compimento che avviene attraverso la Parola e lo Spirito. Il Verbo incarnato nasce dalla parola e dallo Spirito: così è anche per i figli di Dio. Questa nascita è il fondamento della fraternità cristiana: 1 Gv 3. I figli sono fratelli fra di loro, che deve esprimersi in parole e gesti d’amore.

Creazione. Gv1, 3s. In tutto questo siamo davanti al compimento di quello che è implicito dentro alla creazione stessa. Il Verbo non è una Parola lontana dal mondo e dall’uomo, ma sono stati creati per mezzo del Verbo. Nel cuore della Creazione c’è la presenza del Cristo. Nel cuore dell’esistenza dell’uomo c’è l’impronta del Verbo di Dio. Quando il Verbo viene nel mondo viene in quello che gli appartiene. Il mondo trova la sua identità nel Verbo. Il mondo, la creazione e l’uomo, non nascono dal caso e la necessità, ma dalla Parola e dall’amore di Dio. La fede accetta le affermazioni della scienza, ma dice qualcosa di più. Le risposte scientifiche non sono la risposta definitiva sulla creazione. All’origine dell’esistenza del mondo e dell’uomo, non c’è solo il caso e la necessità, ma la Parola che esprime l’amore di Dio e lo rende efficace.

Divinità del Verbo. Il Verbo era in principio. E’ quello che sta all’origine di tutto. Il Verbo era presso Dio: preposizione di moto (pros- moto accanto, andare vicino). Il Verbo era Dio: è un’affermazione chiara della divinità del Verbo che condurrà alla dottrina sulla Trinità. Comunione piena tra il Verbo e il Padre. 

giovedì 9 novembre 2017

LA GLORIA DI DIO NELLA CROCE DI CRISTO



VII MEDITAZIONE

CAPITOLO 12,20s

E’ la conclusione del libro dei segni e apre la sezione successiva del libro dell’ora. Arrivano a Gesù attraverso Filippo e Andrea. La risposta di Gesù è sorprendente. “E’ giunta l’ora che sia glorificato del figlio dell’uomo”. La gloria si è già vista a Cana, anche se era stato indicato che quella non era la sua ora. Cap 17: Padre, è giunta l’ora. Glorifica il tuo Figlio. L’ora è la manifestazione gloriosa del Padre e del Figlio insieme nella Pasqua di Gesù. Sul volto umano di Gesù rifulge la bellezza divina e nell’esperienza della conversione Dio illumina il cuore dell’uomo perché vede e possa entrare in rapporto con la Gloria di Dio sul volto di Cristo. I segni sono il confronto dell’amore di Dio con i limiti dell’uomo, tra i quali la morte. I segni sono rivelatori della gloria di Dio, del suo amore. Dio vuole la vita dell’uomo. Si può affermare che tutto quello che entra nella logica del far vivere l’uomo ha qualcosa del segno che manifesta la gloria di Dio. Tutto ciò che aiuta all’uomo a vivere meglio entrano nella logica del segno, anche se non sono il segno di Gesù. Questo è da valorizzare perché si colga come la glorificazione di Dio s’inserisce nella trama normale dell’esistenza dell’uomo. I segni preparano l’ora di Gesù, che prepara il confronto con il male, con il potere diabolico. Nel capitolo 13: quando già il diavolo aveva messo nel cuore a Giuda di tradirlo… La croce che Gesù affronterà è lo strumento concreto che Dio ha scelto per vincere il male del mondo, il peccato, con tutto ciò che comporta, può essere vinto solo attraverso la croce. Il male attraverso la croce non produce altro male, ma viene trasformato in amore. La crocefissione di un innocente è la manifestazione suprema del male del mondo. Però, è anche manifestazione di un amore definitivo, fino al compimento. Ciò che è proprio della glorificazione di Gesù, è che il male da Lui subito diventa compimento pieno dell’amore verso gli uomini. E’ la metamorfosi più creativa che si possa immaginare. Il peccato è malvagità, odio, amore per la morte, un patto con la morte (cfr. Isaia). La croce è sorgente di vita, contiene il dono dell’amore, della riconciliazione.

 Gesù parla del chicco di grano per spiegare la croce. Il chicco di grano che possiede in sé una straordinaria potenza di vita per essere fecondo, deve marcire, deve morire. L’involucro deve squagliarsi, deve lasciare che la potenza della vita emerga e questo richiede una morte. Quello che avviene nel chicco di grano, ed è avvenuto nella vita di Gesù. Ad un certo punto le difese dell’uomo cedono di fronte ad un dono più grande. Prendere la propria croce (sinottici). Se la croce è l’ora della glorificazione di Dio allora si capisce che il portare la croce non è solo angoscia, è invece un autentico compimento del cammino di maturazione dell’uomo verso la capacità dell’uomo di amare. Maturazione: in tutto il cammino di crescita dell’uomo, deve manifestarsi la capacità di rischiare la perdita, di fare qualcosa per il quale non ho un ritorno, per il quale il bilancio è in rosso. Quello che è in passivo qui viene saldato da Dio. La croce è la fine del compimento di una vita di amore, e nell’amore c’è anche la perdita. C’è un cammino da compiere in questa prospettiva.

Episodio del Getsemani: ora l’anima mia è turbata. C’è il turbamento davanti alla morte. C’è per due volte il richiamo al Padre. C’è il riferimento all’ora e la richiesta in qualche modo di evitare la sofferenza. C’è anche sia fatta la tua volontà. La differenza è che nei sinottici la preghiera del Getsemani è raccontata come un processo, uno sviluppo. Fanno immaginare i Sinottici che attraverso la preghiera Gesù abbia assunto la volontà del Padre come sua decisione. Il discorso di Giovanni è che toglie l’aspetto del processo, dello sviluppo. E’ il sì che Gesù dice consapevolmente davanti alla volontà del Padre. Gesù compie la sua missione di rivelatore in questo. Padre (glorifica) santifica il tuo nome. Chiediamo che si riveli la santità di Dio, la bellezza di Dio nel mondo. E’ la richiesta di una vita, di una storia che siano tali da diventare trasparenti al mistero di Dio. Quando c’è un evento di misericordia e di bontà, lì il nome di Dio è santificato.

Ora è il giudizio di questo mondo. Nei sinottici i racconti di esorcismo hanno una grande importanza. San Giovanni non ha raccontato esorcismi, però ha chiarissima la visione del mondo che è sotto il potere del maligno. E l’attività di Gesù è un esorcismo: liberare il mondo dal potere del male. Il racconto di Giovanni si può intendere come un contrasto tra Gesù e il mondo che proclama la sua autosufficienza rispetto a Dio, è considerarsi un sistema completo e autonomo. Il mondo accusa Gesù di essere un estraneo, perché rovina quell’autosufficienza che il mondo è convinto che sia la sua propria legge. Il mondo si difende dall’amore di Dio perché il mondo ha le sue leggi. La presenza di Gesù è una minaccia per il mondo, toglie la forza ai valori mondani e li sottomette ad un giudizio. Nella croce il mondo espelle Gesù. In realtà con questa scelta il mondo si è illuso di poter vincere il confronto con Lui, di esistere senza la presenza di Dio. Il mondo, della croce vede solo la dimensione mondana. In realtà la croce è l’irruzione nel mondo dell’amore di Gesù. Il Cristo risorto non muore più e attira tutti a sé. Non c’è più forza mondana che possa eliminare l’esistenza del risorto, che possa bloccare la forza che il risorto è capace di operare dentro il mondo. E’ il potere di satana che è stato scalzato. Mondo: non è l’insieme delle creature di Dio, ma pensato come autonomo, senza rapporto con Dio. L’ultima Parola è di dio e non del mondo. Si può vivere nel mondo senza essere mondani. Questa vita è di pienezza. E’ quello che dice Paolo: non ci sia altro vanto che la croce di Cristo, perché il mondo non è più capace di fargli paura. La croce toglie il pungiglione alla paura che il mondo usa per sottomettere l’uomo e renderlo mondano. Il risorto è vittorioso ed è elevato da terra e attirerà tutti a sé. C’è l’idea del pellegrinaggio celeste di Isaia 2.

Abbiamo così, dei criteri per capire il senso della passione di Gesù, così come la intende Giovanni. L’innalzamento sulla croce è segno della gloria di Dio. La vittoria sul mondo è l’altro aspetto.
E’ difficile ingoiare la croce in modo profondo. Il messia deve esprimere una vittoria dentro la storia. Il discorso è come interpretiamo la vittoria. Se la interpretiamo come rivelazione, allora la croce è vittoria di Dio. E’ questa la luce che Gesù ha portato agli uomini e che devono utilizzare per vivere nel mondo, per uscire dall’incanto che il mondo sia tutto. In realtà, Gesù dimostra che il mondo non è tutto.
Conclusione del libro dei segni. Non credevano in Lui. Anche se qualcuno ha creduto. La risposta generale alla rivelazione di Gesù è l’incredulità. Cfr. Prologo. Il rifiuto sembra dominante, ma non è totale. C’è un piccolo resto che ha iniziato il cammino della fede. Possibile che la rivelazione di dio si scontri con un rifiuto globale da parte del mondo? E’ un problema radicale perché la rivelazione di Dio dev’essere accolta dal suo popolo. Il rifiuto degli uomini pone un problema serio. La soluzione è dire che anche questa incredulità entra nel disegno di Dio. Isaia serve a Giovanni a comprendere e a percepire il rifiuto del mondo e di Israele come un rifiuto che non blocca l’azione di salvezza di Dio, ed entra nel disegno di salvezza di Dio. Questo apre la possibilità alla speranza.

Nei segni si comprende come le parole di Gesù non sono sue ma vengono dal Padre. Nell’attività che Gesù ha compiuto si è realizzata la missione di Dio. 

GESÙ E' LA LUCE DEL MONDO



ESERCIZI SPIRITUALI PRESBITERI DIOCESI DI REGGIO EMILIA-GUASTALLA
MAROLA 6-10 NOVEMBRE 2017
MONS. LUCIANO MONARI

Sintesi: Paolo Cugini

VI MEDITAZIONE
GIOVANNI 9

L’episodio si colloca nella festa delle capanne e nel contesto della luce. Era una festa e qui Gesù afferma: Io sono la luce del mondo. Il segno della guarigione del cieco nato realizza ciò che il prologo aveva annunciato: la vita era la luce per gli uomini. Questa luce è la vita stessa, la vita con la v maiuscola. E’ il tema dominante del Vangelo: trasmettere la vita di Dio attraverso la fede in Gesù. La luce è effetto di questa vita che entra nel mondo e entrando nel mondo la illumina.

C’è Gesù, i discepoli, i vicini, i genitori, i farisei: tutti questi gruppi entrano in scena due a due.
Gesù e i suoi discepoli. L’incontro con il cieco nato è lo stimolo per porre una questione teologica. Un cieco nato pone un interrogativo, perché non può avere peccato visto che è nato così. Forse paga il peccato dei genitori. Gesù risponde spostando l’ottica, che è la manifestazione dell’opera di Dio: in che modo le opere di Dio possono manifestarsi in un cieco nato? E’ un problema di rivelazione e non teologico. Il modo concreto è quello che Gesù mette subito in atto curando il cieco. Gesù prende l’iniziativa e la sua azione provoca una guarigione. E’ un miracolo raccontato in modo breve. Deve lavarsi dalla piscina di Siloe, e fa riferimento ad un inviato che allude all’identità di Gesù. Infatti, è la parola Siloe che rimanda al significato di inviato. Gesù ha il compito di rivelare al mondo la Gloria di Dio, che è Lui. La piscina di Siloe allude alla persona di Gesù che s’identifica con la missione che ha ricevuto dal Padre. Ciò provoca varie reazioni:

I vicini. E’ la reazione dei mass media. Siamo davanti alla reazione della curiosità, un fatto di cronaca. C’è tanta curiosità nella narrazione. Sono gli spot dei nostri mezzi di comunicazione, dove le cose vengono amplificate per pochi giorni e poi si sgonfia tutto. La curiosità può essere uno stimolo, ma rimane nell’ambito del superficiale. La fede richiede la fatica e il coraggio di porre domande impegnative, nelle quali il soggetto è coinvolto. Le domande della fede coinvolgono colui che le fa. La curiosità si ferma al primo ostacolo. Viviamo molto di frammenti di vita, di piccole esperienze, che però non durano. Le cose a cui ci attacchiamo sono generalmente cose a breve scadenza. Invece la fede ha bisogno di un cammino di speranza che deve coinvolgere tutta la vita.
I farisei. Non sono superficiali: vogliono capire le cose. Devono dare una valutazione religiosa corretta. Il problema è che la guarigione è avvenuta nel giorno di sabato e la ricerca dei farisei s’incaglia su questo problema. Fra i farisei nasce uno scisma, una spaccatura. Di fronte a Gesù questo fenomeno dello scisma nel Vangelo di Giovanni capita spesso. Il cieco afferma che Gesù è un profeta. E’ un passo avanti rispetto alla definizione di prima, nel dialogo con i vicini, dove affermava che non sapeva chi era. I farisei non sono contenti.

I genitori. Giovanni interpreta l’atteggiamento dei genitori come un modo di tirarsi fuori dalla questione, perché può diventare pericolosa. I genitori sanno che il potere si trova nelle mani dei giudei. Se si espongono troppo, il potere dei farisei può fare paura attraverso la scomunica, l’espulsione dalla sinagoga, che voleva dire essere emarginati, fuori dalla convivenza sociale. L’isolamento è una delle paure più profonde dell’uomo. C’è un prezzo troppo alto da pagare, per questo rimandano tutto al loro figlio. I farisei appaiono agli occhi dei genitori come giudici inflessibili. Per questo alla fede non ci arrivano, perché la fede costa e può significare dal punto di vista sociale un prezzo da pagare, soprattutto nei primi tempi.

Il cieco. L’interrogatorio comincia con un’affermazione perentoria: sappiamo che quest’uomo è un peccatore. Quando un peccatore riconosce i suoi peccati, dà gloria a Dio, perché significa dar ragione a Dio. Il giudizio è già stato dato su Gesù da parte dei farisei. Il giudizio pone fine su tutta la ricerca. La risposta del cieco è interessante. E’ un richiamo alla realtà, al fatto, all’esperienza. I fatti avranno bisogno d’interpretazione che però dovrà tener conto dei fatti. C’è un punto fermo che dev’essere tenuto in considerazione: l’evento reale. Questa realtà è la struttura di ogni testimonianza cristiana. Possiamo parlare di Gesù solamente a partire dall’esperienza. L’incontro con Gesù ha migliorato la mia esperienza umana: è questo il punto di partenza. Il cieco non cade nella trappola dell’interrogatorio dei farisei che s’inaspriscono. Il cieco manifesta che i farisei stanno cercando d’incastrare Gesù, alterando i dati di fatto. Non si tratta più di fatti, ma di appartenenze diverse. Il cieco spiega che la guarigione c’è stata e quindi viene da Dio. La conclusione è scontata, vale a dire la contrapposizione radicale dei farisei contro il cieco nato: lo cacciano fuori dalla comunità d’Israele.

Gesù e il cieco. La guarigione piena è alla fine, quando il cieco riconosce il Figlio dell’uomo come colui che l’ha guarito. La guarigione diventa l’occasione per aprirsi alla Vita. Io sono venuto nel mondo per giudicare: per discernere, per separare. La venuta di Gesù pone un punto di separazione tra gli uomini. Nella rivelazione di Gesù c’è un’opera di capovolgimento. Quelli che vedono non colgono la luce nuova e non riescono a percepire il nuovo che ha cominciato a rispendere e allora diventano ciechi nei confronti della luce nuova. Non accettare la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù, la cecità diventa voluta e quindi un peccato. E’ la condizione dei farisei, che non riconoscono Gesù e la Vita che viene da Lui. La condizione dell’uomo è di essere senza vita, mentre il dono di Dio in Gesù è proprio la vita.

Il Vangelo di Giovanni è un grande processo dove la rivelazione di Dio si confronta con l’autosufficienza dell’uomo. Alla fine occorre prendere posizione. Il capitolo 9 presenta alcune posizioni dinanzi a Gesù e alla sua proposta.


LE DIECI VERGINI


Paolo Cugini


Siamo alla fine dell’anno liturgico e le pagine di Vangelo che ascoltiamo ci spronano ad una verifica del nostro cammino di fede.

Le dieci vergini sono una metafora del Regno dei cieli, e cioè dicono qualcosa del nostro cammino di sequela dietro al Signore che stiamo realizzando qui sulla terra. Regno dei cieli, che non è la Chiesa, se no Gesù avrebbe detto proprio quella Parola. Gesù ha detto Regno dei cieli, che fa riferimento a quel progetto di vita visibile nello stile di Gesù, nelle sue scelte e nei suoi gesti. Regno dei cieli, allora, significa ampiezza di vedute, volontà di salvare tutti, capacità di vedere in ogni uomo e in ogni donna un fratello e una sorella da amare. Vuole dire anche fame e set di giustizia, desiderio immenso affinché non vi siano discriminazioni e che ogni persona possa percepirsi come amata dal Signore. Regno dei cieli è ben visibile in Gesù, nel suo dare la vita per gli altri, nel morire per i suoi amici. Ebbene nella nostra vita di fede ci sono giorni in cui questo desiderio di vita piene è molto forte, e altri che quasi scompare. Per questo, a mio avviso, non bisogna separare le cinque sagge dalle cinque stolte, perché l’immagine, la somiglianza le tiene insieme. E vuole dire che, nonostante tutti gli sforzi, il nostro cammino rimane segnato da un po’ di stoltezza, da quell’egoismo che è la radice di tutti i mali e che è dentro di noi e ne condiziona il cammino. Allo stesso tempo, però, c’è una parte sana, quella parte che desidera continuamente aprirsi al Signore, fare spazio a Lui e alla sua Parola, che crede che sia Lui la fonte della vita e che la Sua Parola sia la porta per entrare nel suo Regno.

Proviamo ad interpretare, allora, la parabola per tentare di coglierne in profondità il messaggio. Chi sono queste dieci vergini e a che cosa si riferiscono? Lo dice la stessa parabola, vale a dire siamo in un contesto di nozze. Era così che veniva immaginato e profetizzato l’avvento del Regno di Dio e del suo messia: come un banchetto di nozze di grasse vivande e di vini eccellenti (cfr. Is 24). Siamo, allora, in un contesto biblico di aspettative messianiche, dove il Signore, lo sposo è già in mezzo a noi nella notte della nostra vita e si aspetta che lo attendiamo e accogliamo. Come fare a camminare nella notte della vita per andargli incontro? Ci sono le lampade, che come sappiamo simbolizzano la Parola di Dio che, come dice il Salmo: Lampada per i miei passi è la tua Parola, Signore. Il testo enfatizza il fatto che non basta avere la lampada in mano, vale a dire, non basta ascoltare la sua Parola, avere la Bibbia sul comodino: occorre osservarla e metterla in pratica. E’ proprio questo che Gesù nel Vangelo di Matteo diceva a chiusura del discorso delle beatitudine: “Non chiunque mi dice Signore, Signore entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21). La stessa idea è visibile nella narrazione della Vocazione di Pietro narrata dall’Evangelista Luca, in cui Pietro sollecitato dal Signore a gettare le reti, fa esattamente quello che il Signore gli chiede nonostante avesse pescato tutta la notte. “E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci” (Lc 5, 6). E’ perché fa quello che il Signore gli chiede che Pietro vede il Signore e la sua gloria. E, allora, se la lampada della Parola ci viene donata da Dio, l’olio della pratica dobbiamo mettercelo noi.


La Verità contenuta nella Parola che rivela il senso del cammino della nostra vita, lo scopriamo non imparando a memoria i versetti, ma vivendo quello che ascoltiamo. Sembra semplice, ma non è proprio così facile. Siamo, infatti, continuamente disturbati dalle tante parole che ascoltiamo e, soprattutto, sedotti dalle proposte delle parole del mondo, che colpiscono l’immediatezza dei nostri sensi, che lentamente lasciamo in secondo piano la Parola di Dio. Ci appare con l’andare del tempo qualcosa che riguarda il passato, che non ha più nulla da dire di vero alla nostra storia presente e ci lasciamo così lentamente riempire dal vuoto delle parole del mondo, che però non soddisfano mai completamente i desideri. Abbiamo continuamente bisogno di soddisfare i nostri desideri con ciò che il mondo ci propone. La Parola di Dio, invece, esige pazienza e, in un certo senso cresce con noi perché rispetta i ritmi della nostra vita. Non solo ci mostra il cammino e soddisfa una volta per tutte la fame dei nostri desideri, ma ci fa diventare sorgente di vita in modo tale da avere parole di vita per le persone che abbiamo attorno a noi. E’ questo che ci ricorda il Vangelo di Giovanni: “Se qualcuno ha sete venga a me e beva chi crede in me. Come dice la scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo grembo” (Gv 7,37-38). 

mercoledì 8 novembre 2017

GESÙ E' IL DONO DI DIO PER L'UMANITÀ







ESERCIZI SPIRITUALI PRESBITERI DIOCESI DI REGGIO EMILIA-GUASTALLA
MAROLA 6-10 NOVEMBRE 2017
MONS. LUCIANO MONARI

Sintesi: Paolo Cugini

V MEDITAZIONE


Giovanni 4.
E’ un brano con un significato cristologico. La Samaritana fa un cammino per cogliere Gesù come il Salvatore. Questa rivelazione avviene attraverso una serie di temi.
Gesù deve passare per la Samaria. In realtà non è una necessità, ma deve passare per la Samaria perché è un territorio semi pagano. E’ significativo che questa figura della Samaritana rappresenti la terra della Samaria. I cinque mariti dicono di un’infedeltà, che rappresenta il cammino d’Israele.

 Il primo tema è quello dell’acqua. Il pozzo di Giacobbe. L’acqua del pozzo è preziosa perché necessaria per la vita. Però, nel corso del dialogo si sottolinea il fatto che toglie la sete solo per un po’, la rimanda, ma non viene tolta. Non è capace di togliere il bisogno che l’uomo ha di vita. E’ un’immagine significativa perché dice della condizione dell’uomo, la cui vita è fatta di desiderio, che diventa soddisfazione, che poi passa e si ricomincia daccapo. Non c’è una ricchezza che soddisfi del tutto. Ciò vale anche per le emozioni. Dice Gesù: chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete. E’ un’acqua magica, capace di soddisfare la sete per sempre, anzi è capace di trasformare l’uomo in una sorgente. E’ un’acqua che viene dal di dentro e produce vita. Si tratta di allargare il desiderio, di cogliere nell’acqua del pozzo un’allusione a qualcos’altro. C’è un’acqua con capacità di pienezza. In Gv questo discorso ritorna più volte. Esempio è l’immagine della luce.

Il tema del dono. “Se tu conoscessi il dono di Dio e colui che ti dice dammi da bere”. Il dono è una dimensione che attraversa tutta l’esperienza di fede. Il desiderio può essere soddisfatto solo dal dono. Il perdono, la vita, l’amore non si possono comprare, ma solo accogliere. L’uomo ha bisogno di amicizia, stima, fraternità se vuole vivere umanamente: questo è l’ambito del dono. Il dono può essere fatto di cose materiali, ma non sono mai solo materiali quando entra in gioco il dono. Nel dono c’è sempre il donatore. Se un dono è il dono dell’amico, nel dono c’è sempre anche lui. Il dono di Dio vuole stabilire un legame con noi. Gesù è il dono di Dio per noi. Gesù è capace di darci dell’acqua che zampilla per la vita eterna. Gesù s’identifica con il dono perché quando dona, dona se stesso, il suo amore, la sa vita, i suoi segni, la sua parola. Stabilisce un legame di pienezza. Devi conoscere il dono e il donatore. Conoscere solo il dono non basta. Il donatore si consegna nel dono.

Tema dell’inquietudine umana. La donna chiede quell’acqua miracolosa. Gesù risponde cambiando prospettiva introducendo un tema nuovo. Viene fuori tutta l’inquietudine di questa donna. E’ passata dall’inquietudine senza trovare pace. L’uomo ha bisogno di felicità. L’uomo però riesce a raggiungere solo dei frammenti di felicità, che gli danno l’impressiona di essere felice, ma non dura. Questa condizione della donna Gesù la conosce. Gv 2: Gesù conosceva tutti. Sapeva quello che c’è in ogni uomo. Questa conoscenza di Gesù è frequente nel Vangelo di Gv. Non c’è nessuno che si nasconda agli occhi del Signore. Cfr. sal 139. Questa conoscenza è di rivelazione che Gesù ha in quanto rivelatore del mistero stesso di Dio. La Samaritana riconosce a Gesù che è un profeta, che sente quello che sente Dio, condivide il mondo interiore di Dio.

 La donna pone la domanda: dov’è il luogo in cui bisogna adorare? C’è il problema dell’autenticità del culto. Il problema è: c’è la possibilità per l’uomo d’incontrare realmente Dio? C’è la possibilità che l’uomo possa incontrarsi con la pienezza di Dio. La risposta di Gesù: i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità. Perché Dio è Spirito. E’ giunto il momento della rivelazione. Gesù parla di Padre: siamo davanti alla rivelazione della paternità di Dio. In Spirito e Verità. Il vero luogo di Culto è ormai lo Spirito e la Verità. Nel Vangelo di Giovanni la Verità è Gesù. Gesù è re, esercita una sovranità su coloro che hanno la loro origine nella Verità, che è la rivelazione del mistero di Dio. E’ il ministero dell’amore di Dio che Gesù rende visibile con la sua vita, la sua opera e le sue parole. La Verità è che Dio è luce e amore. Sono le uniche definizioni di Dio che troviamo in Gv. Il luogo del culto è la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo. Non c’è possibilità di adorare il Padre se non in Gesù. Lo Spirito: essere nella Verità non significa avere delle convinzioni religiose corrette, ma essere mossi dallo Spirito di Dio, dal suo amore e dalla sua santità. La misura dello Spirito è quella dell’amore di Dio. Il culto vuole arrivare lì. Attraverso il culto l’uomo impara a fare ciò che Dio vuole. Lo Spirito è quell’impulso di origine divina che stabilisce nel cuore la sintonia con Dio. Lo Spirito scruta ogni cosa (cfr.Rom 8). E’ in questo Spirito che è possibile adorare Dio realmente.

Tema dell’attesa dell’uomo e della risposta di Dio. Il mistero del culto nuovo va oltre la localizzazione sarà sciolto dal messia. Il discorso raggiunge il tema dell’attesa biblica. La vita d’Israele ha la sua origine in un’opera di salvezza che tende all’attesa di un intervento definitivo di cui il Messia è lo strumento concreto. Gesù si presenta come la risposta concreta dell’attesa d’Israele. 
Sono Io: è anche la risposta all’attesa dell’uomo. L’uomo vive anche di quello che spera. In Gesù si compie il contenuto dell’attesa dell’uomo. Nel cammino dell’uomo non si va oltre Gesù Cristo, un’esistenza che sia amore oblativo per gli altri. Sono Io: il Gesù c’è la pienezza che non può essere superata. Gesù è la forma suprema dell’umanità, è la risposta alla speranza dell’uomo.

La donna lascia la brocca. La brocca è il simbolo del desiderio umano che non aveva ancora un contenuto preciso. La donna in realtà cercava l’acqua della vita. Nella città la donna diventa testimone raccontando la sua esperienza.

C’è anche il tema del cibo. C’è un cibo che i discepoli sono andato a procurarsi, ma c’è un cibo vero. Il cibo è ciò di cui si vive. Il cibo vero è il fare la volontà di Dio. Gesù è venuto per fare la volontà del Padre. Gv 6,38: che io non perda nulla di quanto Egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. Il tema della volontà può essere riassunta nel fatto che Dio vuole che l’uomo viva. Gv. 17: io ti ho glorificato compiendo l’opera che tu mi hai dato: dia la vita eterna a tutti coloro che tu mi hai dato.

Professione di fede degli uomini di Samaria: credono in Gesù a motivo della testimonianza della donna. Quando questi uomini hanno la possibilità di realizzare un contatto con Gesù, credono per la Parola che hanno ascoltato.
Esercizio: rivedere i nostri desideri e dilatarli. Vedere l’incontro con Gesù come manifestazione dei desideri che abbiamo nel cuore. Possiamo anche immedesimarci nei discepoli.


RINASCERE DALLO SPIRITO





ESERCIZI SPIRITUALI PRESBITERI DIOCESI DI REGGIO EMILIA-GUASTALLA
MAROLA 6-10 NOVEMBRE 2017
MONS. LUCIANO MONARI

Sintesi: Paolo Cugini

IV MEDITAZIONE
Giovanni capitolo 3.

 E’ un dialogo tra Gesù e Nicodemo. Quello che vien fuori è una rivelazione unica. Nicodemo è considerato maestro di Israele. Nicodemo ha grande considerazione di Gesù. Ha visti i segni e li considera tali. Gesù risponde sul tema della salvezza. “Se uno non nasce di nuovo non può entrare nel Regno di Dio”. E’ l’unica volta in Giovanni che viene accennato il tema del Regno. Che cosa vuole dire entrare nel Regno di Dio? Fare esperienza della sovranità di Dio sulla propria vita. Il Regno di Dio c’è dove Dio comanda. Se uno vuole che la sua vita sia sottomessa realmente alla sovranità di Dio deve rinascere, nascere di nuovo. Qualcosa di simile c’era nei sinottici. Cfr. Mt 18: se non diventerete come i bambini non entrerete nel Regno dei Cieli. Giovanni è però più radicale. Matteo aveva ricordato anche la palingenesi che sarà la conclusione della storia della salvezza. La nuova creazione in Giovanni dev’essere anticipata nella nuova nascita. San Paolo: se qualcuno è in Cristo è una creatura nuova.

L’uomo può cambiare tante cose, ma non può nascere: è questo ciò che Nicodemo obietta. Rinascere è metafisicamente impossibile. L’uomo si costruisce poco alla volta con le sue scelte e da quella forma deve partire e migliorare, ma rinascere no, perché non è nelle sue possibilità. La nascita è un dono che si riceve. “Se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel Regno di Dio”. Acqua e Spirito è un tema decisivo di tutto il Nuovo Testamento. C’è un principio visibile che è l’acqua e uno invisibile che è lo Spirito: è il riferimento all’evento della predicazione e del Battesimo. Il battesimo sigilla l’evento dell’accoglienza della predicazione. Dove c’è accoglienza della Parola predicata c’è il Battesimo. Il riferimento alla Spirito è alla forza divina, un’energia che vivifica la Parola e la fede dell’uomo. Cfr. Ez 36: valle piena di ossa aride. Potranno queste ossa rivivere? Solo il Signore può ridare vita a delle ossa inaridite. Mentre il profeta profetizza le ossa rivificano. Due interventi: quello dalla Parola che dà una forma umana. E poi lo Spirito. La Parola senza lo Spirito è una forma inerte. Lo Spirito senza la Parola è un’energia informe. Gesù Cristo è una forma precisa, ma senza lo Spirito è un uomo del passato, di 2000 anni fa. E’ nello Spirito che il Cristo è vivente e operante oggi. Ci vuole l’acqua (la predicazione) e poi lo Spirito. Nello Spirito quella Parola della predicazione diventa una forma ricca di energia. Questo vuole dire nascere dall’acqua e dallo Spirito.
Nella prospettiva di Giovanni, l’anima dell’uomo è carne, è l’uomo nella sua dimensione mondana. Lo Spirito è l’uomo nella sua apertura al dono di Dio. Cfr. Is 31: E’ inutile cercare aiuti in Egitto perché è carne, è uomo e non un Dio. I suoi cavalli sono carne e non Spirito, cioè sono debolezza. E’ inutile che andiate a cercare sostegni in quello che è carne, che non hanno energia di salvare. I pensieri dell’uomo sono carne. L’uomo può diventare partecipe dello Spirito di Dio.

Nascere dallo Spirito. Il termine vento in greco è lo stesso che il termine Spirito. Il vento è l’immagine dello Spirito. C’è un mistero nel vento. Non si sa da dove viene e dove finisca. C’è un mistero di qualche cosa che non riusciamo a percepire. L’uomo nato dallo Spirito c’è e si vede, ma non si sa da dove viene e dove va. E’ il mistero di Gesù. Si vede Gesù e i suoi segni, ma non si sa da dove vengono i segni, che vengono da oltre il mondo. Gesù è l’uomo mosso dallo Spirito. Lo Spirito Santo si è fermato su Gesù. Che è una carne mossa dallo Spirito. Da dove venga la potenza che agisce in Gesù rimane un mistero. Vale per Gesù e per chiunque rinasce dall’alto. Vale per i santi. Nei santi ci sono ei gesti che non sono riconducibili al mondo, alle dinamiche mondane, che sono quelle del successo. Quando padre Kolbe si consegna alla morte al posto di un padre di famiglia, questo gesto dal punto di vista mondano non ha senso perché è un gesto in perdita. Da dove viene un gesto di questo genere? Viene da qualcosa che non appartiene al mondo, ma dallo Spirito. Lo stesso vale per San Francesco quando bacia il lebbroso. C’è un’energia he viene da fuori del mondo che ci conduce dentro delle logiche nuove.

Come può accadere questo? Come può avvenire una nuova nascita? C’è una generazione nuova che nasce dall’ascolto della Parola e dalla forza dello Spirito. Che la carne mondana dell’uomo non possa entrare nel Regno di Dio è evidente. E’ la percezione del nostro limite. Il Regno di Dio è al di fuori della morte. Quello della nuova nascita è n aspetto che supera la percezione dell’uomo. E’ possibile entrare nella nuova logica solo dalla testimonianza che viene dal cielo. E’ possibile vivere della vita stessa di Dio solo se si accoglie la volontà di Dio. La vita terrena di Gesù termina con il suo ritorno al Padre, non termina con la morte.
Quell’uomo Gesù di Nazareth veniva da Dio, per questo poteva testimoniare una nuova nascita che Dio offre all’uomo. C’è una presenza di Dio attiva attraverso Gesù che permette all’uomo di vivere non condannato dalle logiche del mondo. Di questa vita nuova Gesù è il testimone.
Il serpente innalzato nel deserto. E’ a morte e la risurrezione di Gesù. Morte e risurrezione in Giovanni sono due facce di un unico evento.

Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo ma perché il mondo si salvi. Il senso è che la condizione dell’uomo mondano è una condizione di morte. Il senso della rivelazione di Gesù è la salvezza che Dio offre a questo uomo. Viene offerta una vita nuova che è dallo Spirito, e quindi non è sottomessa al peccato e alla morte. E’ una vita in pienezza, è un dono offerto a tutti. Se uno accoglie il dono passa dalla morte alla vita. Il rifiuto dell’amore ha in sé qualcosa di oppressivo per l’uomo. Chi non crede è già stato condannato. La sentenza di condanna sta nella scelta di rifiutare la vita che viene da Dio.
Gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce. Perché l’amore di Dio è rifiutato? Questo è il problema al quale tenta rispondere Giovanni. Perché la luce è rifiutata? Non ha senso. San Giovanni dice che è comprensibile, perché alla luce l’uomo è costretto cambiare il suo stile di vita. Se c’è una chiarezza di fronte alla mia situazione di orgoglio è che devo cambiare. Ci sono delle tenebre nella nostra vita che nascono da noi, sono i nostri tentativi di nascondere i nostri peccati.

Esercizio: riflessione su noi stessi, sugli ideali della nostra vita per verificare quanto dei nostri comportamenti c’è di nato dallo Spirito o di carne, di mondano, del nostro attaccarci al mondo.