Paolo Cugini
Siamo alla fine dell’anno liturgico e
le pagine di Vangelo che ascoltiamo ci spronano ad una verifica del nostro
cammino di fede.
Le dieci vergini sono una metafora
del Regno dei cieli, e cioè dicono qualcosa del nostro cammino di sequela
dietro al Signore che stiamo realizzando qui sulla terra. Regno dei cieli, che
non è la Chiesa, se no Gesù avrebbe detto proprio quella Parola. Gesù ha detto
Regno dei cieli, che fa riferimento a quel progetto di vita visibile nello
stile di Gesù, nelle sue scelte e nei suoi gesti. Regno dei cieli, allora,
significa ampiezza di vedute, volontà di salvare tutti, capacità di vedere in
ogni uomo e in ogni donna un fratello e una sorella da amare. Vuole dire anche
fame e set di giustizia, desiderio immenso affinché non vi siano
discriminazioni e che ogni persona possa percepirsi come amata dal Signore.
Regno dei cieli è ben visibile in Gesù, nel suo dare la vita per gli altri, nel
morire per i suoi amici. Ebbene nella nostra vita di fede ci sono giorni in cui
questo desiderio di vita piene è molto forte, e altri che quasi scompare. Per
questo, a mio avviso, non bisogna separare le cinque sagge dalle cinque stolte,
perché l’immagine, la somiglianza le tiene insieme. E vuole dire che,
nonostante tutti gli sforzi, il nostro cammino rimane segnato da un po’ di
stoltezza, da quell’egoismo che è la radice di tutti i mali e che è dentro di
noi e ne condiziona il cammino. Allo stesso tempo, però, c’è una parte sana,
quella parte che desidera continuamente aprirsi al Signore, fare spazio a Lui e
alla sua Parola, che crede che sia Lui la fonte della vita e che la Sua Parola
sia la porta per entrare nel suo Regno.
Proviamo ad interpretare, allora, la
parabola per tentare di coglierne in profondità il messaggio. Chi sono queste
dieci vergini e a che cosa si riferiscono? Lo dice la stessa parabola, vale a
dire siamo in un contesto di nozze. Era così che veniva immaginato e
profetizzato l’avvento del Regno di Dio e del suo messia: come un banchetto di
nozze di grasse vivande e di vini eccellenti (cfr. Is 24). Siamo, allora, in un
contesto biblico di aspettative messianiche, dove il Signore, lo sposo è già in
mezzo a noi nella notte della nostra vita e si aspetta che lo attendiamo e
accogliamo. Come fare a camminare nella notte della vita per andargli incontro?
Ci sono le lampade, che come sappiamo simbolizzano la Parola di Dio che, come
dice il Salmo: Lampada per i miei passi è la tua Parola, Signore. Il testo
enfatizza il fatto che non basta avere la lampada in mano, vale a dire, non
basta ascoltare la sua Parola, avere la Bibbia sul comodino: occorre osservarla
e metterla in pratica. E’ proprio questo che Gesù nel Vangelo di Matteo diceva
a chiusura del discorso delle beatitudine: “Non
chiunque mi dice Signore, Signore entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa
la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21). La stessa idea è
visibile nella narrazione della Vocazione di Pietro narrata dall’Evangelista
Luca, in cui Pietro sollecitato dal Signore a gettare le reti, fa esattamente
quello che il Signore gli chiede nonostante avesse pescato tutta la notte. “E
avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci” (Lc 5, 6). E’ perché fa
quello che il Signore gli chiede che Pietro vede il Signore e la sua gloria. E,
allora, se la lampada della Parola ci viene donata da Dio, l’olio della pratica
dobbiamo mettercelo noi.
La Verità contenuta nella Parola che
rivela il senso del cammino della nostra vita, lo scopriamo non imparando a
memoria i versetti, ma vivendo quello che ascoltiamo. Sembra semplice, ma non è
proprio così facile. Siamo, infatti, continuamente disturbati dalle tante
parole che ascoltiamo e, soprattutto, sedotti dalle proposte delle parole del
mondo, che colpiscono l’immediatezza dei nostri sensi, che lentamente lasciamo
in secondo piano la Parola di Dio. Ci appare con l’andare del tempo qualcosa
che riguarda il passato, che non ha più nulla da dire di vero alla nostra
storia presente e ci lasciamo così lentamente riempire dal vuoto delle parole
del mondo, che però non soddisfano mai completamente i desideri. Abbiamo
continuamente bisogno di soddisfare i nostri desideri con ciò che il mondo ci
propone. La Parola di Dio, invece, esige pazienza e, in un certo senso cresce
con noi perché rispetta i ritmi della nostra vita. Non solo ci mostra il
cammino e soddisfa una volta per tutte la fame dei nostri desideri, ma ci fa
diventare sorgente di vita in modo tale da avere parole di vita per le persone
che abbiamo attorno a noi. E’ questo che ci ricorda il Vangelo di Giovanni: “Se qualcuno ha sete venga a me e beva chi
crede in me. Come dice la scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo
grembo” (Gv 7,37-38).
Mi conforta il fatto che tutte si addormentino.
RispondiEliminaLa nostra fatica, la nostra debolezza, che è di tutti, e nessuno si deve vergognare o affliggere di questa debolezza. La differenza è nei momenti nei quali siamo svegli, nei momenti di grazia se ne approfittiamo per cumulare olio, se mettiamo in pratica le Beatitudini, se testimoniamo il Vangelo. In questo modo riempire o di olio le nostre lampade in modo da essere pronti.
Mettiamo l'olio della pratica in piccoli vasi e facciamone scorta
RispondiEliminaGrazie don Paolo per questa meditazione