giovedì 27 maggio 2021

SANTISSIMA TRINITA'/B

 


Paolo Cugini

 

     Non è facile comprendere la profondità del mistero della Santissima Trinità. Sappiamo che è frutto dell’elaborazione dottrinale dei primi secoli della Chiesa, elaborato nei concili di Efeso (325) e Calcedonia (381), grazie anche al significativo contributo dell’apparato concettuale proveniente dalla filosofia greca, soprattutto di origine platonica e aristotelica. Questo di per sé, è già un dato significativo su cui riflettere. Infatti, per descrivere quei misteri che i cristiani cercavano di comprendere, la Chiesa non ha avuto remore a bussare alla porta della filosofia per farsi aiutare. Del resto, come sappiamo, la stragrande parte dei vescovi che hanno partecipato ai grandi concili dei primi secoli, erano di provenienza filosofica e, in modo speciale, platonica, o meglio, neoplatonica. Bussare alle porte dei saperi per chiedere aiuto per meglio comprendere i misteri della fede non è umiliante come a volte si pensa, e non significa nemmeno abdicare alla propria specificità, al contrario, significa comprendere che tutto può collaborare per una migliore conoscenza del Signore.

Le letture di oggi sono senza dubbio state scelte per aiutarci ad approfondire il mistero trinitario che, anche se non è esplicitamente affermato nelle scritture nel senso che non troviamo in esse il termine Trinità, è fuori discussione che ci sono diversi brani nel Nuovo Testamento che implicitamente fanno riferimento a questo mistero.

vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l'hai udita tu, e che rimanesse vivo?” (Dt 4,33s). È il primo aspetto significativo del mistero di Dio, del Dio d’Israele che, a differenza degli altri dei, non abita solamente in cielo, ma si manifesta nella storia del popolo. Questa è la caratteristica specifica che il popolo d’Israele sperimenta, in quanto scopre, nel corso degli anni e dei secoli, che YHWH si manifesta, si fa presente, cammina con loro. Questo aspetto suscita stupore, meraviglia, proprio perché, come dice il testo, non si era mai vista una cosa del genere. D’oa innanzi, il popolo dovrà imparare ad osservare con attenzione gli eventi storici, per leggerli, interpretarli, “vedere” il passaggio di JHWH negli eventi e, in questo modo, cercare di leggere i segni dei tempi, la Sua volontà.

“gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono”
(Mt 28,16).

Gli undici si prostrarono perché capirono – in realtà non tutti – che in quell’uomo Gesù Cristo, che li aveva chiamati per nome ed avevano vissuto e condiviso con loro per circa tre anni, si era manifestato Dio: Gesù è Dio. È questo che ha voluto esprimere Tommaso quando, nell’apparizione di Gesù che lo invita a porre il suo dito nelle mani forate dai chiodi, rispose con quell’espressione che esprime la fede della prima comunità: “Mio Signore, mio Dio” (Gv 20, 31). JHWH che sin dall’eternità ha amato l’uomo e la donna, e li ha da sempre accompagnati nei loro cammini, si è manifestato nella carne di Gesù. È questo il grande mistero dell’incarnazione, che rivela il desiderio del Padre di aiutare l’uomo e la donna a realizzare la propria umanità.

“Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio” (Rom 8,16). L’azione dello Spirito Santo nella nostra vita, in coloro che l’accolgono, produce una grande rivelazione, vale a dire la percezione di essere figli e non schiavi. Sembra la classica affermazione banale e invece si tratta di una grande indicazione esistenziale. Smettere di vivere schiavi delle proprie passioni o dei propri istinti è, d’ora innanzi, una possibilità vera ed autentica. Vivere da uomini e donne libere è ora possibile. E’ quella vita secondo lo Spirito che Paolo indica nelle sue lettere, una vita piena, la cui felicità non dipende dalle cose, dalla soddisfazione di desideri, ma dall’amore che riceve dal Padre e che gratuitamente dona e condivide.

 

 

giovedì 20 maggio 2021

PENTECOSTE/B

 


Paolo Cugini

 

       Dall’esterno all’interno, dal visibile all’invisibile, dalla carne allo spirito. Questo è il dinamismo della Pentecoste, che rivela il disegno del Padre di accompagnare l’uomo e la donna nel cammino della vita, mettendoli in grado di realizzare pienamente la loro umanità. Gesù ha mostrato visibilmente che cosa significa amare, denunciare le ingiustizie, costruire ponti di pace, tessere relazioni umane autentiche. Lo Spirito continua questo stesso cammino agendo all’interno dell’umanità. C’è, dunque, una relazione di continuità tra l’azione del Figlio e quella dello Spirito che procede dal Padre, continuità che richiede un cammino d’interiorizzazione, di cura della vita interiore, per esser in grado di cogliere il soffio dello Spirito, di ascoltarlo e seguirlo per le strade del mondo.

Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro” (At 2,2). Lo Spirito Santo crea la comunione nella diversità. È questo uno dei possibili modi d’interpretare il versetto citato sopra. Lo Spirito è uno, ma si posa su ogni discepolo, discepola, valorizzando la specificità di ognuno. Il cammino nello Spirito mentre ci aiuta a cogliere la nostra identità in Cristo, ci aiuta a vivere questa identità al servizio dei fratelli e delle sorelle. Lo Spirito produce la comunione nella diversità e nella libertà, opponendosi in modo significativo allo spirito del mondo che produce l’unità nell’uniformità con la costrizione e spesso e volentieri con la violenza fisica e psicologica. Lo Spirito Santo non agisce in un luogo fisico, perché non è possibile delimitarlo; è infatti libero come il vento e agisce come e dove vuole. Dove c’è amore, dove c’è comunione nella differenza lì c’è lo Spirito di Gesù. Per questo incontriamo i segni della sua presenza anche fuori dai recinti fisici della Chiesa, che per l’appunto, non ha il copyright dello Spirito. C’è un linguaggio nuovo che lo Spirito Santo suscita in color che lo accolgono, un linguaggio comprensibile ad ogni persona che lo coglie con le specificità della propria cultura: “li udiamo parlare delle grandi cose di Dio nelle nostre lingue” (At 2,11). Questo linguaggio nuovo è il linguaggio dell’amore, comprensibile da tutti, ognuno nel proprio contesto, senza bisogno di traduzioni o di assimilazioni uniformi.

Vi annuncerà le cose future” (Gv 16, 14). Proprio per questo, ci ricorda il Vangelo di Giovanni, Lo Spirito del Signore che si realizza nell’amore, non ci obbliga a riempire il nostro presente con le cianfrusaglie del passato, ma ci spinge a pensare sempre qualcosa di nuovo, a partire dalle diverse situazioni della vita in cui ci veniamo a trovare. In questa prospettiva, lo Spirito agisce come una forza creativa dentro la storia, che continuamente crea cose nuove a partire dalle disponibilità delle creature nuove divenute tali per mezzo dell’azione dello Spirito. In questo si distinguono coloro che vengono dallo Spirito del Signore, da coloro che provengono dallo spirito del mondo: dalla capacità di pensare cose nuove nelle nuove circostanze della vita e non riempire il presente delle cose già fatte. Lo Spirito ci annuncia le cose future, ci mette in cammino verso il futuro e, per questo, esige persone attente, in ascolto, con la mente libera dai ricordi del passato o dalle illusioni frutto delle nostre frustrazioni.

Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne” (Gal 5, 16). 

In questo cammino di costruzione della realtà con lo sguardo proiettato verso il futuro, lo Spirito ci aiuta a vivere in modo libero, orientando la vita istintuale nella direzione che intendiamo prendere. È questo che ci dice Paolo quando parla della contrapposizione tra spirito e carne, vita e morte. Secondo Paolo c’è un principio che agisce in noi che non ci permette di fare ciò che pensiamo sino in fondo, un principio che ci rende schiavi e ci lega alle passioni suscitate dall’istinto. È solamente grazie allo Spirito che riusciamo ad indirizzare gli istinti nella direzione che desideriamo. Camminare secondo lo Spirito esige uno sforzo quotidiano, che solamente l’incontro con il Signore risorto può provocare.

sabato 15 maggio 2021

ASCENSIONE/B

 



At 1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20

Paolo Cugini

 

    Stiamo terminando il percorso del tempo di Pasqua, un percorso ricco di spunti per il nostro cammino di fede, che non può mai essere scontato, ma che è chiamato a rinnovarsi ogni giorno, perché il Signore risorto è vivo e, di conseguenza, cammina con noi. Apprendere a pensare a Dio come un dono presente, vale a dire, non come ad un cimelio della storia, significa la disponibilità al cambiamento, per lasciarsi guidare da Lui, dove Lui vuole. Significa, anche, l’attenzione al presente, a non fossilizzarsi sulle abitudini costruite nel tempo, che possono trasformarsi in ostacolo alla sequela del Signore. È con questo spirito che possiamo interrogarci: che cosa significa l’evento dell’Ascensione del Signore al cielo? Che cosa ha da dire al nostro cammino di fede?

 “Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose(Ef 4,11).

    San Paolo, nella seconda lettura del giorno, ci ricorda un dato importante, vale a dire che il cammino di Gesù non si è fermato sulla terra, anzi. La sua vita d’amore, la sua ricerca della giustizia, il suo annuncio di pace e di uguaglianza attraverso la sua resurrezione e ascensione, è entrato per sempre nel mondo di Dio. Gesù, con il suo stile di vita inconfondibile, ha aperto un cammino che tutti possono percorrere. Gesù ha riempito d’amore tutte le cose, tutta la realtà al punto tale che ogni situazione, ogni evento che viviamo, può divenire un indizio della sua presenza. San Paolo, a questo punto, ci offre uno spunto importante nel cammino intrapreso inaugurato dalla resurrezione di Gesù, vale a dire, la ricerca d’indizi che dicono di Lui, della sua presenza. Ebbene, secondo san Paolo, Gesù ha riempito con il suo amore, con la sua vita così tanto e in modo così pieno il tempo, la storia, la realtà presente, che tutto parla di Lui, tutto indica Lui. In un certo senso è come se paolo ci dicesse che è impossibile non incontrare Gesù nella nostra vita: bisogna proprio mettercela tutta per no vederlo, per non percepire la sua presenza.

«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo» (At 1,11).

 

    È la tentazione dell’uomo, della donna religiosa: guardare in alto, pensare a Dio come ad una fuga. Soprattutto, la tentazione è pensare ad un Dio distante dall’uomo e dalla donna, un Dio che bisogna implorare affinché sial lui a risolvere i nostri problemi. Il Dio, invece, che Gesù è venuto a manifestare, è un Dio presente nella stori, che non incontriamo più in cielo, perché è disceso ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, cammino con noi, ci conosce e ci ama. Non dobbiamo più, allora cercare tra le nuvole colui che è disceso sulla terra e ci dona il suo Spirito ogni volta che lo invochiamo. È questa la stessa idea di quella espressa nei vangeli della resurrezione, quando gli angeli dicono alle donne: “perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Mt 28,6). Credere in Gesù e nella sua Parola, significa disponibilità a lasciarsi sconvolgere, a lasciarsi condurre verso l’incontro con il Dio che è Padre e Madre, misericordia infinita, che cammina con noi.

Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano (Mc 16,20).

 

    In questo versetto del Vangelo di oggi c’è la verità del nostro incontro con il risorto, dell’aver colto la centralità del suo messaggio, che è l’amore ai fratelli e alle sorelle. Un amore che non può rimanere rinchiuso tra le mura, ma deve uscire, essere annunciato. È la comunità che si fa annunciatrice del messaggio nuovo sconvolgente, del Dio che cammina con noi, che ci ama e c’invita ad amarci reciprocamente, invitandoci a mettere in atto gesti concreti che dicono della verità del suo incontro, della possibilità reale di una vita nuova, autentica. Gesù, entrando definitivamente nell’amore del Padre, c’invita ad essere responsabili della nostra storia di vita piena, che esige al suo interno e come verifica della validità di ciò che abbiamo sperimentato, la capacità di coinvolgere chi ci sta intorno.

mercoledì 5 maggio 2021

DIO NON FA PREFERENZA DI PERSONE

 



VI DOMENICA DI PASQUA/B

Paolo Cugini

 

    È Gesù che apre i cuori e le menti di chi lo ascolta e interiorizza la sua Parola. È lui che permette all’umanità di comprendere il senso delle cose, così come le ha pensate il creatore. Fare spazio alla rivelazione permette alla Parola di smantellare dall’interno le idee sbagliate, le false teologie, le dottrine elaborate nei secoli da chi deteneva il potere religioso e che ha utilizzato la religione per manipolare le coscienze. Il Vangelo, per chi lo accoglie, è una forza liberante, perché permette di viere la realtà in un modo nuovo, non più soggiogato da leggi imposte dagli uomini, leggi passate come se fossero parola di Dio, mentre non sono altro che sotterfugi umani per controllare le persone. Il tempo di Pasqua che stiamo vivendo, ci aiuta a cogliere la presenza del risorto nella storia quotidiana per continuare quel cammino di liberazione iniziato ascoltando la sua Parola. Non basta, infatti, l’ascolto della Parola: occorre ascoltare quegli eventi in cui si manifesta la novità che il risorto ha manifestato e continua a manifestare.

In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia a qualunque nazione appartenga” (At 10, 34-35). Pietro, vedendo la conversione del pagano Cornelio capisce che davvero Gesù è il Signore di tutti (At 10,36), che non fa esclusione di nessuno e che chiunque può accedere alla salvezza. Pietro capisce che il Signore risorto è all’opera nel cuore di chiunque lo accoglie, in questo caso specifico, del pagano Cornelio. Nella conversione di Cornelio si realizzano le profezie messianiche che annunciavano il cammino di salvezza per gli uomini e le donne di tutti i popoli. “Alla fine dei giorni – dice Isaia – il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli e ad esso affluiranno tutte le genti” (Is 2,2). Gli fa eco, qualche secolo dopo, il profeta Zaccaria: “Popoli numerosi e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a cercare il Signore degli eserciti e a supplicare il Signore” (Zc 8, 22). E’ ascoltando la realtà, prestando attenzione agli eventi che Pietro si accorge che la forza del Signore risorto è all’opera nella storia degli uomini e delle donne, forza che tocca i cuori e le menti ed è capace di produrre cammini nuovi. La presenza del Signore nella storia ha manifestato a Pietro il vuoto, la nullità delle dottrine in cui credeva, e la nuova possibilità di una vita autentica, libera per costruire nuove relazioni umane aperte a tutti perché, come ricorda san Paolo, sulla stessa linea della scoperta di Pietro: “Non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Non si tratta, dunque, appena di religione, di credenze, ma della possibilità di rifondare un’umanità nuova, non più misurata da una stirpe, da una razza o da un’appartenenza privilegiata, ma dall’unica appartenenza a Gesù Cristo che ci ha resi tutti fratelli e sorelle con pari dignità.

Questo vi comando che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 15, 17). Sulla linea del testo degli Atti degli Apostoli appena commentato si muove sia il testo del Vangelo di oggi che la secondo lettura, in cui, sempre Giovanni ricorda ai membri della sua comunità che, siccome Dio è amore, dobbiamo amarci gli uni gli altri (cfr. 1 Gv 4,7s). La comunità che segue il Maestro e che lo riconosce presente nella storia è chiamata a tessere relazioni nuove, non più basate sull’antagonismo, le rivalità meschine mosse dall’istinto di sopravvivenza, ma dall’amore reciproco che non fa distinzione di persone. Sono significative queste parole di Gesù, riprese poi da Giovanni nella sua lettera, rivolte ai suoi discepoli prima di morire. Non c’è nessun riferimento alla partecipazione di culti, di riti, di feste liturgiche o di sacrifici, ma l’unica vera preoccupazione è lo stile nuovo, di amore reciproco, che deve caratterizzare i membri della comunità da Lui fondata. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). Del resto, gli stessi profeti ricordavano che Dio desidera la misericordia più che i sacrifici (cfr. Os 6,6), l’attenzione ai fratelli e alle sorelle, soprattutto ai più piccoli e ai più poveri, piuttosto che perdere tempo con la formalità dei riti.