mercoledì 31 marzo 2021

E VIDE E CREDETTE: LA PASQUA DEL SIGNORE!

 



DOMENICA DI PASQUA/B

(At 10, 34a. 37-43; Col 3,1-4; Gv 20,1-9)

Paolo Cugini

 

La settimana santa, con le sue liturgie cariche di ricordi significativi degli ultimi momenti cruciali della vita di Gesù, ci devono aver aperto il cuore e la mente alla novità che il Signore porta con la sua resurrezione. Passiamo, infatti, dal piano della storia al piano della fede. Non a caso nella prima lettura Pietro ci avverte che Gesù è apparso dopo la sua resurrezione solamente “a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua resurrezione dai morti” (At 10, 41). E’, dunque, ai discepoli e alle discepole, che Gesù appare dopo la sua resurrezione e non a tutto il popolo, come faceva quando era in vita. È un’indicazione, a mio avviso, importante, perché rivela che per entrare nel mistero della resurrezione di Gesù occorre venire da un cammino, mosso dal desiderio di conoscere il Signore, che ci aiuta a compiere delle scelte, che ci orientano decisamente verso di Lui. È come se Gesù, in un certo senso, ci volesse separare, isolarci, per incontrarci. Questa nuova presenza di Gesù nella storia esige un tipo di conoscenza nuova, che ci permette di percepire la sua presenza cogliendo degli indizi, interpretando delle assenze, che dicono di un passaggio, una presenza, uno stile, un modo di essere.

In questo cammino di percezione del risorto ci offre alcuni spunti significativi il Vangelo di oggi. Qual è il significato di quel correre da parte di Maria di Magdala, di Pietro e del discepolo che Gesù amava? La prima scena della resurrezione narrata da Giovanni è caratterizzata da una ricerca in un luogo in cui Gesù non può essere e che, in seguito, genera una serie di movimenti veloci, di corsa. C’è una ricerca e un movimento rapido, che rivela un profondo sentimento di amore dei discepoli e delle discepole nei confronti di Gesù, rivela la profondità dei legami che in poco tempo Gesù era risuscito ad instaurare con coloro che lo seguivano. Quella di Gesù era una presenza che riempiva, che dava senso alle cose, ai gesti, alle scelte. L’esperienza del gruppo di discepoli e discepole è caratterizzata da un contatto quotidiano con Gesù, da gesti quotidiani, dal condividere tutto con Lui ogni giorno. Questo dice molto sul significato della comunità cristiana, che non può essere relegato a qualche rito settimanale o a qualche evento durante l’anno. C’è un’umanità che dev’essere coinvolta, ci sono contatti umani quotidiani, che dicono della verità di un cammino di fede. La mancanza di Gesù genera in coloro che avevano vissuto con lui, un senso profondo di smarrimento, disperazione e quindi lo cercano e la percezione che il suo corpo non è lì dove uno sguardo umano si immaginava che fosse, genera il panico, un annuncio: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro” (Gv 20, 2), che tradotto significa: “non si può cercare tra i morti colui che è vivo” (cfr. Lc 24,5). D’ora innanzi la ricerca di Gesù, lo stare con Lui, dovrà essere impostata in modo diverso e dovrà basarsi su di una modalità nuova di relazione.

Nella seconda parte del Vangelo di oggi colpisce il fatto che Pietro e Giovanni vedono le stesse cose, ma solo di Giovanni si dice che: “vide e credette” (Gv 20,8). C’è un vedere, dunque, che non provoca la fede nel risorto e un vedere che, invece, apre gli occhi sulla presenza nuova di Gesù. Dalle narrazioni dei vangeli si percepiscono dei tratti delle personalità e delle intenzioni dei discepoli. Così, se Pietro probabilmente seguiva Gesù per quello che poteva rappresentare nel processo di liberazione del popolo d’Israele dalla presenza dei romani, Giovanni, da parte sua, era affascinato dalla personalità di Gesù e sentiva verso di lui un affetto fraterno, al punto da essere attento ai minimi dettagli. Per questo, entrando nel sepolcro vuoto e vedendo “i teli posati là e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte” (Gv 20, 6-7), Pietro non “vede” nulla di particolare, mentre Giovanni capisce che quel modo di mettere i teli e il sudario era tipico di Gesù e, quindi, riconosce i segni della sua presenza, del suo passaggio.

La Pasqua di Gesù ci dice che la conoscenza di Lui passa attraverso dei dettagli, degli indizi che possono essere riconosciuti solamente da coloro che dedicano tempo a Lui, che stanno volentieri con il Signore, che amano ascoltare la sua Parola perché è proprio lì il primo indizio della sua presenza misteriosa: “non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti” (Gv 20,9). Volgiamo incontrare il risorto? Iniziamo a leggere la Scrittura!

martedì 30 marzo 2021

CAPIRE IL CAMMINO

 


Paolo Cugini

 

Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato” (Gv 13, 31). C’è in Gesù la consapevolezza del proprio cammino, la percezione della direzione, dove si trova e dove sta andando. Colui che vive continuamente la relazione con il Padre, che cerca costantemente in ogni pensiero, scelta e azione, la sua volontà, percepisce la direzione del proprio cammino. Gesù, per come sono andate e come stanno andando le cose, percepisce la direzione, la piega, per così dire, che stanno prendendo gli eventi. Ciò significa che chi decide di seguire il Signore, non vive più in balia degli eventi, ma è come se fosse avvolto da un manto di protezione, per cui la storia personale non può che prendere una direzione: la croce. E questa da intendere nel senso dell’amore, della vita donata gratuitamente per amore, senza calcoli, sotterfugi. Protetti dalla mano del Signore, che ci guida nel cammino dell’amore da Lui proposto e scelto da noi.

Darai la mia vita per me? In verità in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte” (Gv 13,38). La sequela non è retta da entusiasmi momentanei: non dura. C’è un cammino che dev’essere compiuto, fatto di momenti in cui tutto sembra chiaro e altri, invece, in cui non si capisce più nulla. Per capire dove desidera condurci il Signore occorre morire. Pietro è cambiato totalmente dopo la morte di Gesù e dopo averlo incontrato risorto. Nella morte di Gesù, sono morti tutti i sogni di potenza e gloria che i discepoli coltivavano, tutte le ideologie, le idee. La croce è la fine definitiva della religione, delle pretese umane su Dio, delle teologie che pensano di sapere su Dio ciò che Lui stesso non ha mai detto. E’ con la resurrezione che si cominciano a prendere sul serio e ad avere la possibilità di comprendere in profondità le Parole di Gesù, i suoi gesti, la sua proposta che è un cammino.

 



lunedì 29 marzo 2021

IL PROFUMO DI NARDO

 



Paolo Cugini

 

 

Maria prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i pedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo” (Gv 12,3). Gesti che dicono più di mille parole. Ma quanto amore c’è in questo gesto?! Grazie Maria per averlo compiuto, per averci ricordato che cosa significa amare, perché non hai fatto calcoli, non hai badato a spese, perché dinanzi all’amato, all’amata non si fanno calcoli: si dona e basta. Ci sono dei movimenti, che vengono dal cuore, che sono inarrestabili e non si possono fermare; movimenti che dicono di un amore che viene da lontano, da una storia che ha prodotto vita. Perché è forse questo uno dei significati più importanti della parola amore: è sinonimo di vita, nel senso che la produce. L’amore produce in chi lo riceve e in chi lo abita un desiderio infinito di vita, perché apre a dismisura gli orizzonti, e la vita appare all’improvviso come una realtà infinita eterna.

L’amore non vede barriere, non vede problemi, perché vede solo l’amato, l’amata e non desidera altro che amarlo, amarla. L’amore spezza ogni diversità ed è capace di creare uguaglianza. L’amore è la forza misteriosa che unisce il mondo, distrugge le differenze e lo fa con dolcezza, senza che alcuno se ne accorga. L’amore toglie il velo dagli occhi per mostrarci come Dio ha pensato e voluto il mondo: una comunità di fratelli e sorelle uguali, con la stessa dignità di figli e figlie. È questo che succede agli innamorati: vedono, per la prima volta nella loro vita, il mondo così come lo ha pensato Dio. Lo vedono e ne rimangono sconvolti, come rapiti dalla sua bellezza. E allora, il profumo di nardo di Maria sparso sui piedi di Gesù è l’amore che si fa riconoscente, è un grazie infinito e, proprio per questo non ci sono parole o discorsi, ma solo dei gesti, perché il gesto d’amore che sgorga dal cuore, è portatore di un’infinità di messaggi che nessuna parola potrebbe esprimere.

Il gesto di Maria diviene, allora, il miglior antidoto alla disperazione, al nichilismo, alla perdita del senso della vita. Il profumo di nardo sparso da Maria sui piedi di Gesù è il canto di gioia della vita, che rivela che c’è ancora vita sulla terra, che la vita è bella e che non c’è gioia più grande di questa quando la si scopre. E, allora, questo gesto così dolce, semplice, nascosto, rivela che c’è presente nella nostra storia una sorgente di vita infinita, da cui chiunque può attingere perché non finisce mai. Maria l’ha scoperto e, con questo semplice e dolce gesto, lo sta indicando anche a me, a ogni uomo e donna, a tutti coloro che sentono il desiderio di vivere. C’è vita sulla terra e ha un nome: Gesù.

 

venerdì 26 marzo 2021

IL SIGNORE DIO MI HA APERTO L'ORECCHIO

 




DOMENICA DELLE PALME/B

(Is 50, 4-7; Fil 2, 6-11; Mc 11, 1-11 e  Mc 14-15)

Paolo Cugini

 

Con la domenica delle Palme entriamo nella settimana santa, durante la quale siamo invitati a riflettere sul mistero della passione di Gesù, della sua morte e risurrezione. Sono giornate intense che, se ci lasciamo coinvolgere, senza dubbio lasceranno il segno nel nostro cammino di fede e, in generale, nella nostra vita. Accompagnando le letture che ascolteremo potremmo trarre insegnamenti e chiavi di letture che ci potranno aiutare durante tutta la settimana.

Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza” (Is 50, 5). Le parole del terzo canto del servo, che troviamo nella seconda parte del libro del profeta Isaia, ci consegnano un personaggio che, in diversi aspetti, anticipa diversi tratti di ciò che vedremo in Gesù. È un discepolo che si sente chiamato da Dio a consolare gli sfiduciati, con quella Parola che ascolta alla mattina. Il servo ha la netta percezione che la possibilità di comprendere la Parola è opera del Signore, una parola che crea dissenso tra coloro che la ricevono, al punto da mettere in pericolo la vita stessa del servo di JHWH. La profonda relazione con il Padre permette al servo del Signore di affrontare le situazioni di contrasto, di non lasciarsi intimidire. Portare una parola d’amore e giustizia, in un mondo conflittuale e carico di odio e ingiustizie, non può che provocare tensioni, incomprensioni che, se non vissute costantemente nell’orizzonte della relazione con il Padre, rischiano di travolgerci e farci male, mettendo seriamente in pericolo il nostro stesso cammino.

Svuotò se stesso assumendo la condizione di servo” (Fil 2,7). E’ la risposta di Gesù nei confronti dell’arroganza del mondo, della superbia tipica di quell’umanità che pensa di sapere già tutto e si mette nell’atteggiamento di dover insegnare agli altri. Gesù risponde, abbassando le armi, spogliandosi di tutto, di qualsiasi elemento che potrebbe paventare una grandezza e, in questo modo, toglie ogni possibilità di argomentazione arrogante, perché Lui viene nel mondo come un servo disponibile a servire, come poi farà nell’ultima cena, lavando i piedi ai suoi discepoli. Lo ripeterà tutta la vita, che il modo di stare al mondo dei discepoli e delle discepole non è quello di mostrarsi più grande degli altri, ma di farsi piccoli, di abbassarsi, così come ha fatto Lui che, da ricco che era si è fatto povero (cfr. 2 Cor 8,9) e “pur essendo nella condizione di Dio non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso” (fil 2, 6). Gesù è venuto ad inaugurare relazioni nuove, un nuovo modo di stare al mondo, di entrare in contatto con gli altri, non più misurato dalla forza, dalla volontà di potenza, ma da quella libertà che viene da un cuore ricco e pieno di amore. “Per questo Dio lo esaltò” (Fil 2, 9) perché si umiliò, si abbassò, per riuscire ad arrivare a tutti. Con il suo stile, Gesù ha creato spazio affinché tutti potessero sentirsi a loro agio e ci ha spiegato con il suo esempio, che le relazioni fondate sull’amore di Dio esigono abbassamento, umiltà, delicatezza.

Andarono e trovarono l’asinello vicino ad una porta” (Mc 11, 4). È questo stile nuovo di Gesù che ha creato sgomento, dissenso, preoccupazione, perché da colui che dice di essere Figlio di Dio, il messia atteso e, quindi, qualcuno d’importante ci aspettiamo delle azioni e delle parole che giustificano la supposta grandezza. E invece Gesù va dalla parte opposta. Non monta su un cavallo per entrare a Gerusalemme, come hanno sempre fatto tutti i re che si rispettano, ma è entrato montando su di un asinello, come fanno i servi. Gesù incarna sino in fondo, il messia venuto per instaurare un regno di pace, per trasformare le armi in strumenti per lavorare i campi, per arare e seminare, proprio come dicevano alcuni profeti (cfr. Zc 9,9; Is 11,4). E allora, Gesù entrando a Gerusalemme in questo modo, conferma le sue scelte e prende definitivamente le distanze da tutti coloro che esigevano da lui, che incarnasse le aspettative di una parte del popolo, che esigeva un messia forte, capace di guidare l’esercito contro i romani e così realizzare la liberazione d’Israele. Gesù, invece, incarnando le profezie che annunciavano la venuta di un re della pace, diviene il protagonista di una liberazione ben più profonda, capace di cambiare la storia dal di dentro, come il chicco di grano che, morendo nella terra, produce molto frutto. 

giovedì 25 marzo 2021

DAL SACRIFICIO AL DONO

 




Paolo Cugini

 

“È impossibile, infatti, che il sangue dei capri e dei tori elimini i peccati” (Eb 10, 4). Più chiaro di così! È un passaggio di una chiarezza impressionante. I peccati si eliminano solamente seguendo l’esempio di Gesù e cioè, con una vita di donazione gratuita di sé. Versetto che distrugge la logica del sacrificio, le sue ragioni di essere, e introduce la logica del dono. La logica del sacrificio è retta dall’orgoglio e dall’idea di Dio come qualcuno che ti vuole male, che devi placare con dei sacrifici, i fioretti. La logica del dono inaugurata da Gesù è nell’altra direzione, non basata sulla propria forza, ma sull’amore del Padre accolto. Questo nuovo cammino mostra il volto di Dio come un padre che ama i suoi figli, inaugura in questo modo, il cammino dell’amore, della tenerezza, della misericordia. È una Padre che fa il tifo per noi, che mette le cose in modo tale da aiutarci nel cammino.

Così egli abolisce il primo sacrificio per costruire quello nuovo” (Eb 10,9). Un nuovo sacrificio che, in realtà, non è più un sacrificio, ma un cammino. Bisognerebbe a questo punto capire come mai, nonostante ci siano passi come questi nel Nuovo Testamento dove si parla chiaro, in cui viene specificato con argomentazioni lucide la fine del vecchio schema sacrificale, nella Chiesa, soprattutto nei libri liturgici, questo schema rimane senza problemi. Eppure, quello inaugurato da Gesù e quello in voga nell’antico Testamento da Lui superato una volta per tutte, sottendo due modalità di relazione con Dio e due concezioni teologiche totalmente differenti, anzi, opposte. Lutero lo aveva capito benissimo, la Chiesa Cattolica, invece, dà ancora troppo ascolto al pensiero devozionale, mettendo, nonostante i proclami, la Parola di Dio in secondo piano.

 

lunedì 22 marzo 2021

NEANCH' IO TI CONDANNO

 



Gv 8, 1-11. Pagina impressionante, in controtendenza rispetto alla cultura e alla religione dominante. Gesù guarda al cuore, alla dignità della persona. Non è facile questo sguardo, soprattutto quando è immerso in una cultura che orienta pesantemente e violentemente il giudizio. Questo lo si vede benissimo nel quadro proposto dal brano in questione. C’è tutto il popolo davanti a Gesù, dai bambini agli adulti, con un caso evidente che prevede un’unica soluzione. Da un punto di vista prettamente culturale e religioso non c’è in apparenza, alcuna via d’uscita. Come ha fatto Gesù a tirare fuori dal cappello una risposta così profonda e spiazzante, al punto che ha saputo piegare la folla alla forza del suo pensiero? Come ha fatto Gesù a proporre un cammino d’uscita per quella donna, dinanzi a tutto un contesto che la vedeva già morta?

C’è una via di salvezza per tutti, questa via è la misericordia. C’è, in Gesù, una possibilità di vita per tutti, perché ogni persona ha una sua dignità, perché ogni persona partecipa alla divinità di Dio che nessun peccato può scalfire e per questo, nessun peccato può produrre un allontanamento perenne. Gesù si è avvicinato ad ogni uomo e ad ogni donna per comunicare a tutti l’amore sconfinato di Dio Padre per noi. “Neanch’io ti condanno”.  E’ questa parola di misericordia infinita che dice il senso della presenza di Gesù nella storia e, allo stesso tempo, dice il senso della presenza della Chiesa nel mondo, che c’è solo ed esclusivamente per essere segno della misericordia del Padre per l’umanità.

 

giovedì 18 marzo 2021

DELLA DEBOLEZZA UMANA E DELLA MISTERIOSA FORZA DI GESU'

 



Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato” (Ez 32, 7). L’esperienza del vitello d’oro dice molto dell’uomo e della donna. Dice della difficoltà di fondare la propria esistenza su ciò che è spirituale. C’è un’immediatezza nella vita materiale che rende più facile le cose. Eppure il popolo d'Israele aveva appena vissuto alcune esperienze fortissime dell’esperienza di Dio e della sua presenza: come hanno fatto a dimenticare tutto in così poco tempo? Viene da riflettere sulla potente forza dell’istinto di sopravvivenza, che piega la coscienza umana dove il dente batte e lo fa senza alcuno scrupolo, senza badare a nulla, anzi, asfaltando tutto. Sembra che non ci sia dimensione spirituale che tenga testa alla forza dell’istinto di sopravvivenza, alle passioni che genera, alle lotte che produce. C'è dunque una religiosità che prima di essere risposta dell'uomo e della donna a Dio, non è nient'altro che espressione di un bisogno atavico, un bisogno di risposte non trovate nella materia, un bisogno che spinge ad inventare qualcosa che possa offrire risposte. Il vitello d'oro è l'espressione della religione formata dall'uomo e dalla donna, dal loro bisogno istintivo di senso, di un significato alla vita che la pura materialità non riesce ad offrire. Leggere in questa prospettiva la storia umana di Gesù è molto illuminante. Tutto è stato piegato e continua ad essere piegato dalla materia, dalla potenza dell’istinto di sopravvivenza, tranne l’umanità di Gesù. Guardare a Lui, allora, per capire come ha fatto, scoprire il cammino che dallo spirito porta alla materia, per imparare a dominare la forza bruta dell’istino e, in questo modo, smettere di vivere da schiavi per vivere finalmente liberi.  

Altro dato interessante che emerge dal brano è il bisogno di un dio, di affidare la propria vita a qualcosa d’immateriale che protegga la vita dai pericoli. Questo brano rivela come non mai che la religione è elemento strutturale nell’uomo e nella donna. E allora, se questo è vero, com’è possibile che le nuove generazioni non sentano il bisogno di Dio? La materia, si può dire ha fatto il suo corso. C’è così tanta materialità nel mondo occidentale, c’è un’offerta così grande e ben fatta, che riesce a coprire il buco spirituale che si forma in coloro che smettono di cercare un senso alle cose. C’è tutto un vuoto esistenziale che la materia in occidente ha saputo sapientemente riempire e che lascia l’uomo e la donna inebetiti, saturi, senza più alcuna fame e sete di nulla, di alcun senso da cercare perché pensano di avere già tutto e anche di più. Che imbecilli!  

 

mercoledì 17 marzo 2021

NUOVA ALLEANZA

 




V DOMENICA DI QUARESIMA/B

Ger 31,31-34; Eb 5,7-9; Gv 12, 20-33

Paolo Cugini

 

     Ci stiamo avvicinando alla Pasqua e la liturgia della Parola ci fa intravedere il senso di questo cammino spirituale che, allo stesso tempo, è un cammino di umanizzazione. Gesù è la nuova alleanza profetizzata da Geremia, è la luce nel buio della notte, è il chicco di grano che è morto per comunicarci vita. Possiamo cogliere questa novità liberandoci dai nostri tentativi di auto-salvezza, permettendo allo Spirito Santo di toccarci nel profondo della nostra coscienza

Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò nel loro cuore” (Ger 31, 33). In un’epoca, quella del VI a.C. in cui la Palestina era minacciata da tutti i lati – l’Egitto dal Sud e Nabucodonosor da Nord-ovest – ed era percepibile la rovina imminente, cosa che, come sappiamo, avverrà a partire dal 604 a.C., il profeta cerca aiutare il popolo invitandolo a guardare altrove, al di là dell’imminente distruzione. Se è vero che l’Antica Alleanza non ha funzionato, al punto che i saggi d’Israele leggono gli eventi di distruzione sociale come conseguenza della disobbedienza del Popolo alle leggi che Dio aveva affidato a Mosè, è altrettanto vero che questo fallimento non è semplicemente un segno di un fallimento epocale e senza ritorno, ma diviene spazio per una nuova possibilità di vita. Geremia incoraggia il popolo d’Israele mostrando loro una nuova prospettiva, un nuovo modo che Dio ha scelto per rivelare la sua parola d’amore, che orienta le persone verso una vita più autentica. C’è, dunque, un’iniziativa di Dio che interviene sorprendentemente nella storia non per condannare l’umanità, ma per avvolgerla nella sua misericordia infinita: “io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato” (Ger 31, 34). È all’interno di questa nuova alleanza d’amore che il popolo è chiamato a ripensarsi e a riscoprire un nuovo modo di stare al mondo. Questo modo di procedere di Dio manifestato dal profeta Geremia contiene, a mio avviso, un grande insegnamento per la comunità cristiana. Nelle situazioni di difficoltà, come quella che stiamo vivendo della pandemia, invece di trascorrere il tempo a lamentarsi e a pensare ai tempi che furono, la comunità cristiana è chiamata a pensare qualcosa di nuovo, a mettere in campo strategie nuove. Le letture di oggi c’insegnano che, in questo sforzo di creatività, non siamo da soli perché possiamo attingere ai contenuti che lo Spirito ha riversato in noi, nelle nostre coscienze e che non attendono altro che essere invocati.

Se il chicco di grano non muore rimane solo, se invece muore produce molto frutto” (Gv 12,24). Se volessimo dare un nome, un volto alla Nuova Alleanza annunciata dal profeta Geremia, non possiamo che fare il nome di Gesù. E’, infatti, Lui la Nuova Alleanza, è il suo modo di vivere per amore, che rompe lo stile di vita improntato sull’egoismo, è il suo donarsi disinteressato che rompe gli schemi meritocratici così presenti anche nella vita delle comunità cristiane. Si può andare verso l’altro, verso l’altra in modo disinteressato e gratuito sull’esempio di Gesù, solamente se ci si trova in un cammino di trasformazione, di relazione costante con il Signore, che progressivamente ci spoglia dai residui del nostro egoismo. È il Signore che ci salva dal nostro destino di solitudine, prodotto dal tentativo di realizzare la nostra vita contando solo sulle nostre forze, che ci conducono a vedere negli altri non dei fratelli e delle sorelle, ma dei nemici da combattere. Un mondo nuovo è possibile quando impariamo ad essere dei visionari come il profeta Geremia, che intravvedeva cammini nuovi là dove il popolo non vedeva che lacrime e disperazione. Come per Gesù la cui ora della manifestazione della sua gloria si realizza sulla croce, segno del suo amore immenso con il Padre, così è per noi quando spogliati dal nostro egoismo viviamo intensamente la vita fraterna, manifestando in questo modo l’alleanza nuova che è la vita di Cristo in mezzo a noi. E’ questo che il mondo ha bisogno di vedere per poter credere nel Signore: donne e uomini nuovi che non vivono più per se stessi, ma che scelgono di vivere per amore una vita di donazione gratuita.

sabato 13 marzo 2021

VOGLIO LA CONOSCENZA PIU' DEGLI OLOCAUSTI

 


 

Paolo Cugini

 

Voglio l’amore e non il sacrificio, La conoscenza di Dio più degli olocausti” (Os 6,6).

Entrare in un rapporto personale con Te al punto di sentirti, di percepire la tua presenza d’amore: forse è l’unico modo per sfuggire dalla religione della forma, che serve solo a tranquillizzare la coscienza. È terribile quando la religione diventa un’abitudine, ma ancora di più è terribile quando questa abitudine diventa necessaria, perché i suoi riti sono divenuti parte essenziale del vivere e, se non si celebrano nel modo consueto, la persona si sente disorientata. Tutta la religione del mondo ha come unico obiettivo quello di aiutare le persone a vivere l’amore, a realizzare la propria vocazione originaria che consiste, per l’appunto, nell’amore. Il rito, in questa prospettiva, dovrebbe aiutare le persone, sia singolarmente che comunitariamente, a percepire la presenza del Signore.

Leggo Osea capitolo sei e penso: lo dicevano già i profeti nell’ottavo secolo prima di Cristo! Come facciamo ad essere ancora a questo punto? Forse è un problema strutturale dell’antropologia umana, che vive la religione come struttura di dovere, più che come esperienza di relazione vitale, che dà senso all’esistenza e la orienta. Viveri i riti come dovere per avere in cambio qualcosa da Dio significa entrare nell’esperienza religiosa con la logica del merito e non della gratuità.

 

venerdì 12 marzo 2021

TORNATE AL SIGNORE




Paolo Cugini


Torna Israele al Signore tuo Dio” (Os 14,2). Dove aver parlato forte e chiaro contro le malefatte del popolo d’Israele, colpevole soprattutto dell’idolatria, di adorare altri dei e subire, in questo modo l’ira di JHWH, Osea manifesta la volontà di JHWH, che è una volontà di misericordia (cfr. Os 11). Leggere le pagine del profeta Osea tutto d’un fiato c’è da rimanere impressionati dalla veemenza delle sue parole, soprattutto contro i capi del popolo, sia religiosi che politici, colpevoli di aver pensato solo ai loro interessi, dimenticando del popolo, soprattutto dei più poveri. Ebbene, questa veemenza si placa proprio nel capitolo finale, per dire che l’ultima parola del profeta di JHWH non è di minaccia, ma di misericordia nei confronti di un popolo che sembra abbia perso l’orientamento della propria esistenza.

Nonostante, tutto, dunque, nonostante il cuore perverso del popolo, il profeta Osea non perde la speranza di un ritorno sincero del popolo a Dio, ritorno che vuole significare anche, l’abbandono dell’idolatria, dovuto soprattutto alla constatazione dell’inefficacia degli altri idoli rispetto a JHWH. C’è da dire, spezzando una lancia in favore del popolo d’Israele, che non era facile rimanere fedeli a JHWH, aspettare il suo intervento in un contesto storico caratterizzato dalle scorribande di altre popoli sul territorio d’Israele per depredarlo. Soprattutto, però, la disperazione del popolo era causata dalla sfacciataggine e dall’ignoranza colpevole dei loro capi politici e religiosi, corrotti, protesi solamente a soddisfare i propri interessi. Per questo le ultime parole del profeta Ose dicono dell’intervento di Dio che non aspetta i passi del popolo, ma interviene promettendo prosperità e fertilità.

“Ritorneranno a sedersi alla mia ombra,

faranno rivivere il grano,

saranno famosi come il vino del Libano (Os 14,8).

 


mercoledì 10 marzo 2021

SOLO AMORE

 




IV DOMENICA DI QUARESIMA /B

 

Paolo Cugini

 

“Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio” (2 Cr 36,15).

Tempo di quaresima è il tempo per riprendere a ricercare il Dio di Gesù Cristo non nel cielo, ma sulla terra, perché è venuto ad abitare in mezzo a noi, ha posto una tenda stabile tra noi. L’attenzione alla storia significa, anche, capacità di uno sguardo sincero, retrospettivo, il coraggio di guardare il proprio passato con occhi diversi, attenti a scoprire la presenza del Signore, di rileggere la propria storia, d’interpretare gli eventi alla luce del Vangelo, per scoprire finalmente, il passaggio di Dio nella nostra vita. È questo che c’insegna, nella prima lettura, il secondo libro delle Cronache che, in un ulteriore sforzo di rilettura del passato, crea dei nessi, scopre delle presenze, individua nuove spiegazioni agli stessi eventi.  Nell'anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremia, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia(2 Cr 36, 22). E allora Ciro, personaggio storico indicato anche nella letteratura parallela, diviene uno strumento di Dio per liberare il popolo d’Israele, tornare nella loro terra e ricostruire il Tempio di Gerusalemme. Capire la propria storia come inserita in un progetto di Dio è la grande novità della fede del popolo d’Israele, che riceviamo approfondita e arricchita, nella storia di Gesù, Dio che cammino con noi e in mezzo a noi.

Per grazia siete salvi” (Ef 2,5). In questo processo di continue riletture storiche che permettono di scoprire la presenza di Dio nella nostra storia, San Paolo coglie un aspetto fondamentale sul senso della venuta di Gesù in mezzo a noi. Ha, infatti realizzato per noi, al posto nostro, quello che non riuscivamo a fare, vale a dire, condurre un’esistenza intrisa totalmente di amore gratuito. Uscire dalla meschinità di una vita egoistica, che non riesce a vedere nell’altro se non un nemico da sconfiggere, con l’animo pieno di sentimenti d’invidia e di gelosia, ora è possibile grazie alla vita di Gesù, al suo percorso storico che lo ha condotto a portare un’umanità come la nostra, da questo mondo segnato dal limite e dalla contingenza, al mondo del Padre (Cfr. Gv 13,1). San Paolo ci aiuta a capire che non sono le nostre opere che ci salvano, anche se una vita alla sequela del Signore senza dubbio ci porta a vivere come Lui, cercando di creare relazioni non più basate su sentimenti di rivalità, ma di gratitudine e di donazione gratuita. È Gesù che ci ha salvati una volta per tutti, con una vita di amore al Padre che ha vissuto sino alla fine, senza misurare il prezzo durissimo da pagare, vale a dire la croce, ed è questo amore che siamo liberi di accogliere o rifiutare.

“Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui(Gv 3, 15). Anche l’evangelista Giovanni, riflettendo sul suo cammino di discepolato, ha colto un aspetto importante della vita di Gesù, del suo stile così differente dalle stesse aspettative del popolo d’Israele, che attendeva un messia che avrebbe punito i peccatori. Giovanni, nel dialogo con Nicodemo, ci fa capire che l’azione e la vita di Gesù è solo amore, solo misericordia, che non è venuto per condannare e giudicare nessuno, ma solamente per accogliere, amare, aiutare le persone a rialzarsi per riprendere il cammino. L’attenzione agli eventi della vita di Gesù e alle riletture proposte dalla prima comunità, ci permette di purificare la nostra visione religiosa dai detriti ancora presenti di una mentalità veterotestamentaria, anchilosata, incapace di aprirsi alla novità portata dalla Spirito del Signore.

Quaresima, allora, in questa prospettiva, può diventare un cammino in cui impariamo a rileggere le nostre vite come segnate dalla presenza del Signore, in cui continuamente veniamo rimodellati a partire anche dalle nostre resistenze, i nostri rifiuti, come la creta in mano al vasaio che continuamente è rimodellata, perché niente nella nostra vita viene gettato e nulla è considerato come negativo, da scartare. Lo stesso Gesù infatti, è la pietra di scarto (cfr. Ps 117) che il Padre ha scelto per costruire una storia nuova, non più segnata dall’odio e dal disprezzo per l’altro, ma dall’amore e dalla misericordia per tutti.

mercoledì 3 marzo 2021

III DOMENICA DI QUARESIMA/B

 



Paolo Cugini

 

Nel Cammino che la liturgia ci sta proponendo in questo tempo di quaresima, cammino in cui siamo invitati a fare spazio al Vangelo e alla sua proposta d’amore e di giustizia, nella terza domenica ci viene chiesto di verificare il nostro rapporto con la religione. Da che religione proveniamo? È questa la domanda che sembra rivolgerci la liturgia attuale. Non solo, ma mentre c'interroghiamo sul Dio in cui crediamo, siamo chiamati a valutare anche il nostro modo di stare nel mondo, per capire in che relazione stiamo con il creato. 

Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato” (Gv 2, 16).

Gesù ci mostra che il volto di Dio è il volto del Padre e, per questo motivo, c’è prossimità, vicinanza. Avrebbe voluto trovare nel tempio un ambiente di prossimità al Padre, un ambiente di relazione filiale, e invece trova un mercato con i mercanti, segno di un processo di degrado che il tempio aveva vissuto, al punto da non rendersene nemmeno conto. Questo è, senza dubbio, un aspetto del problema. Quando si perde il contatto con il contenuto della rivelazione, la materia assimila e ingloba progressivamente anche ciò che è spirituale e, in questo caso, la vita del tempio al punto da indurre a pensare che il tempio s’identifichi con il mercato, con gli affari. Forse è questo uno dei danni più gravi che la vita religiosa, slegata dalla sua origine, può provocare nel cuore delle persone, perdendo di vista il fine del rapporto con il Padre. In Gesù, il Padre si è avvicinato ad ogni persona e, di conseguenza, non c’è più bisogno di offrire sacrifici o di fare sacrifici (i famosi fioretti!), ma di seguire il suo esempio donando la nostra vita gratuitamente ai fratelli e alle sorelle che incontriamo, soprattutto ai più deboli e agli esclusi dalla religione. Mettendo la sua dimora in mezzo a noi (Gv 1,14) Gesù inizia il processo di desacralizzazione della religione, mostrando che d’ora innanzi ogni cosa è sacra, perché tutto è stato creato dal Padre, che desidera una relazione di prossimità con Lui. I riti, le liturgie dovrebbero dunque esprimere il segno di questa vicinanza e, allo stesso tempo, manifestare un nuovo modo di stare al mondo, non più segnato da giochi d’interesse, ma dall’amore gratuito, dal servizio disinteressato.

Egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,21).

È difficile comprendere la profondità delle parole di Gesù, soprattutto perché arrivano nel contesto di una cultura e di una religione che per secoli ha disprezzato il corpo, considerandolo ostacolo per la vita spirituale, per essere sede delle passioni, delle emozioni, che possono distrarre la persona che cerca l’intimità con Dio. Gesù ribalta totalmente la prospettiva affermando che, non solamente il corpo non ostacola l’incontro con Dio, ma lo facilita, perché il corpo è il santuario della Spirito. Relegare la possibilità dell’incontro con Dio ad un unico luogo chiuso fatto di pietre, significa limitare pesantemente l’incontro delle persone con Dio, ed aprire il varco ad un controllo incondizionato della sfera del divino da parte di qualcuno. Anche Paolo nella lettera ai Corinzi arriva ad affermare che: “Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi?” (1 Cor 6, 19). Ci sono delle contaminazioni culturali o religiose che, alla distanza, sono valutate come positive, perché aprono il discorso su nuovi orizzonti inesplorati; e ci sono contaminazioni che sono invece nocive, perché deturpano il messaggio evangelico, inserendo contenuti negativi ad un messaggio prettamente positivo. Uno di questi incontri che ha fatto male alla proposta del Vangelo riguarda la prospettiva antropologica del platonismo, che si è infiltrato nel cristianesimo che, senza pensarci troppo, ha sviluppato nei secoli a seguire una visione negativa del corpo e della sessualità totalmente estranee alla prospettiva aperta da Gesù. Il corpo come tempio dello Spirito significa valorizzazione al massimo della vita personale e comunitaria, perché è con il corpo che entriamo in relazioni con gli altri, con la natura, con il cosmo. È su questa linea che è possibile sviluppare una spiritualità positiva del creato, dell’armonia dell’uomo e della donna con la natura circostante, tutti aspetti che raramente sono stati sviluppati dalla spiritualità cattolica. In questo tempo di quaresima siamo, dunque, chiamati, a valutare non solo il nostro rapporto con il creato, ma anche e soprattutto nel contesto socio-politico in cui viviamo, il nostro contributo per la realizzazione di un mondo sano, attento alla natura, rispettoso di ogni aspetto della vita, collaboratori per una costruzione armonica del creato in cui tutto è in relazione con tutto.

lunedì 1 marzo 2021

UNA PAROLA DI MISERICORDIA


 


Paolo Cugini

Al Signore nostro Dio la misericordia e il perdono, perché ci siamo ribellati contro di lui, non abbiamo ascoltato la voce del Signore” (Dn 9, 9-10).

Coscienza di un errore, non per macerarsi la coscienza e l’anima su ciò che si è fatto, ma per pentirsi e continuare il cammino con più forza. È questo l’effetto dell’ascolto della Parola di Dio: aiuta a comprendere l’errore, lo smaschera per produrre un pentimento, che è tale se produce il movimento che rialza la persona, la rimette sul cammino.

Com’è importante il contatto con la Parola che dà vita, per non correre il rischio di passare tutta la vita a piangersi addosso, a rimuginare i propri errori, rimanendo schiacciato sotto il loro peso che, giorno dopo giorno, si accumula in modo impressionante. Al contrario la Parola che viene dal Signore, mentre mi aiuta a vedere l’errore commesso, allo stesso tempo m’invita a rialzarmi, a scrollarmi di dosso ogni pesantezza morale, per proseguire il cammino con più slancio, mettendo sulla bocca solamente parole di gratitudine.

Che Dio sia misericordioso lo scopriamo quando ascoltiamo la sua Parola in silenzio, quando gli facciamo spazio, percependo che colui che ci parla è colui che ci conosce fin dal grembo di nostra madre, che ci ama e desidera il nostro bene. La misericordia di Dio, prima di essere un concetto, è la scoperta che facciamo nell’esperienza concreta della vita di ogni giorno.