mercoledì 30 agosto 2023

OMELIA DOMENICA 3 SETTEMBRE 2023

 





XXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Ger 20, 7-9; Sal 62; Rm 12,1-2; Mt 16,21-27

 

Paolo Cugini

Accompagnare il cammino realizzato da Gesù, ascoltando le sue parole, meditando sulle sue scelte, ci aiuta a comprendere il senso del nostro cammino, a capire chi siamo e dove siamo chiamati ad andare. Di Gesù colpisce la chiarezza delle sue posizioni, la serenità che lo conducono ad affrontare ogni ostacolo. Colpisce anche, la capacità di dire la verità non solo alle persone che gli sono ostili, come i farisei e i capi religiosi, ma anche agli amici e, in modo particolare, come è il caso del Vangelo di oggi, ai suoi discepoli e discepole. Seguire Gesù significa essere disponibili ad un continuo cambiamento di mentalità, a mettere in discussione il proprio vissuto per fare spazio al nuovo. Il segreto della riuscita della nostra vita è nelle sue mani: sentiamo che cosa ha da dirci oggi.

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Gesù è consapevole delle conseguenze delle parole e delle scelte fatte sino ad ora. Sa molto bene che, se arriverà a Gerusalemme, com’è sua intenzione, sarà arrestato e soffrirà violenze sino alla morte. Se sa queste cose, perché continua il cammino? Perché non va da un’altra parte? Gesù sa molto bene che la bontà delle sue parole e delle sue scelte, lo stesso significato di ciò che ha detto e fatto,  potrà essere compreso solamente se sarà coerente a se stesso sino alla fine. È proprio questo che dice l’evangelista Giovanni quando, prima degli eventi tragici dell’ultima cena, che porteranno alla morte di Gesù in croce, afferma: “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). È questo il segreto della vita di Gesù che ci viene consegnata con la sua morte tragica: per portare frutto nel cuore delle persone, la semente gettata nell’esistenza di amici e amiche potrà dare frutto solamente se morirà, solamente se sarà coerente sino alla fine. È da come moriamo che dipende la bontà o la negatività delle nostre scelte.

Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Da questo dialogo emerge chiaramente che Gesù aveva ragione quando, nel passaggio ascoltato domenica scorsa, diceva che l’affermazione di Pietro sull’identità di Gesù era frutto di una rivelazione dall’alto e che non dipendeva direttamente da lui. Nel brano appena ascoltato emerge ciò che Pietro ha nel cuore e che non è molto diverso dalle aspettative degli altri discepoli: un messia potente e la possibilità di regnare con lui politicamente. Il discorso della sofferenza e della morte non entra nella prospettiva di chi segue il Signore coltivando sogni umani. Non entra nemmeno in tutti coloro che cercano il tempio per ottenere favori personali, C’è molta idolatria nei cammini religiosi, molto paganesimo, che Gesù è venuto a purificare. Per questo il Signore allontana Pietro con parole molte dure. Pensare secondo Dio significa cercare ogni giorno la sua volontà, accogliere il suo Spirito che ci permette di vivere conforme al cammino intrapreso, nonostante tutto. Pensare secondo Dio, così come si pe manifestato in Gesù significa smettere di cercare favori personali, usare la religione per promuoversi.

Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. È questo il Vangelo, la bona novella, l’accoglienza della vita che viene da Gesù, dal suo amore, dalla sua sete di giustizia. La sequela che iniziamo sin dalla giovinezza dovrebbe aiutarci a fare spazio a Lui, a maturare una scelta definitiva da rinnovare ogni giorno, cogliendo la ricchezza che s’incontra durante il cammino. Decidere di accogliere l’amore del Signore comporta la rinuncia a tutto il resto, il rinnegare quei progetti infantili lasciati crescere nell’anima nel periodo in cui ancora non c’era all’orizzonte Lui. Imparare a fissare lo sguardo sul Signore, assimilando la sua Parola, accogliendo il Suo Spirito, per fare in modo che tutto nella vita sia orientato a Lui e da Lui, permette di rimanere fermi nel cammino, soprattutto nei periodi più difficili, Quando la tensione spirituale s’indebolisce, infatti, si apre lo spazio per le illusioni entrare e queste indeboliscono progressivamente le motivazioni. È proprio in questi momenti in cui si sente il peso negativo della rinuncia, più che del valore dell’amore del Signore liberamente accolto, che occorre lavorare sul desiderio, riorientandolo al Signore, non permettendo, così, che la frustrazione che l’illusione genera, facendoci desiderare ciò che non abbiamo, sia rimossa alla radice. Il senso della preghiera personale, del tempo che dedichiamo alla riflessione sulle parole di Gesù ha come obiettivo quello di ricordarci da dove proveniamo: attratti dal suo amore. Non è un caso che oggi la liturgia della Parola ci propone una pagina del diario di Geremia, il profeta giovane che tante angherie ha dovuto affrontare a causa dell’annuncio della Parola di Dio. Mentre il profeta si lamenta per la situazione ritenuta insopportabile e medita in cuor suo di mollare tutto, confida i sentimenti che sorgevano nel suo intimo: “Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”. È questo fuoco che siamo chiamati a coltivare, il fuoco dell’amore del Signore che plasma le nostre anime e ci dà la forza d’affrontare i momenti duri del cammino, che sono la nostra croce.

Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? È questa la frase che dovremmo costantemente ripeterci ogni volta che le motivazioni sembrano cedere alla violenza delle illusioni. A che serve guadagnare il mondo se poi perdiamo l’anima: è questo il problema. Facciamo nostre, allora, le parole del salmo ascoltato oggi, che ci invita a cercare sempre il nome del Signore, a mantenere viva la sete di Lui: O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua. 

venerdì 25 agosto 2023

OMELIA DOMENICA 27 AGOSTO 2023

 




XXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Is 22,19-23; Sal 137; Rm 11,33-36; Mt 16,13-20

 

Paolo Cugini

 

Siamo a metà del cammino verso Gerusalemme che Gesù compie con i suoi discepoli e discepole. Tante situazioni sono già state vissute, assieme a tante parole, discorsi nuovi che Gesù ha pronunciato e che hanno provocato reazioni diverse tra gli ascoltatori. Soprattutto i capi religiosi di Israele, come i farisei, i sadducei, gli scribi sono coloro che mettono in discussione non solo la qualità della proposta di Gesù, ma anche la sua identità. Anche gli stessi familiari di Gesù hanno manifestato disagio nei confronti del suo modo di agire. Per questi motivi Gesù rivolge la domanda sulla propria identità ai suoi discepoli: avranno capito di chi si tratta? Hanno compreso l’identità di colui che stanno seguendo e per il quale hanno fatto scelte importanti e radicali? Vediamo.

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». C’è un primo livello di comprensione dell’identità di Gesù che riguarda il popolo, coloro che hanno assistito ai suoi miracoli e ai suoi discorsi. Che cosa la gente ha capito di Gesù? Dalle risposte dei discepoli si capisce che la gente lo sta identificando con i profeti, soprattutto con quel tipo di profeta perseguitato dal potere. Sia Giovanni Battista, che Elia e Geremia, durante la loro attività profetica, hanno avuto a che fare con i gestori del potere del tempo, che non apprezzavano le loro prese di posizioni polemiche e radicali. Giovanni Battista criticò Erode a causa del suo adulterio. La predicazione di Geremia che, in anni di prosperità, annunciava l’esilio in Babilonia del popolo d’Israele, era preso di mira dal re Sedecia, che giudicava disfattista la predicazione del profeta. Infine, Elia ebbe vita dura sia con il re Acab e, soprattutto con la regina Gezabele, che lo minacciò di morte dopo che Elia sterminò i 400 profeti di palazzo. La predicazione di Gesù era presa di mira dai capi del popolo d’Israele perché, secondo loro, sobillava le tradizioni religiose, creando confusione tra il popolo. In realtà Gesù mostrava l’inganno dei sacerdoti che, per mantenere i loro privilegi, avevano sostituito la Parola di Dio con le loro tradizioni (Mc 7,9). L’opinione della gente su Gesù mostra un aspetto importante dell’annuncio del Vangelo: la profezia capace di smascherare le malefatte di coloro che, in nome di Dio, sfruttano il popolo. Gesù smaschera i lupi vestiti da agnelli e lo fa pubblicamente: per questo cercavano di ucciderlo (Mc 3,6). Se vuole essere fedele al Vangelo la Chiesa deve mantenere acceso il profetismo, aiutando, in questo modo, il popolo a non cadere nella trappola preparata dalle meschinità del potere di turno.

Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Gesù cerca, in un secondo momento l’opinione dei discepoli, di coloro che avevano lasciato tutto per seguirlo. La risposta di Pietro è come una rivelazione dall’alto. Non è stato, infatti, Gesù ad indicare chi sarebbe stato la guida del piccolo gruppo di discepoli e discepole, ma se lo è fatto consegnare. È in quel momento che Gesù capisce chi fosse colui che il Padre aveva indicato per la successione: perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Comprendere, infatti, la vera identità di Gesù, il suo essere il Figlio amato dal Padre o, come dirà Giovanni, colui attraverso il quale tutto è stato fatto e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste (Gv 1,3), non è frutto di una comprensione umana, ma un dono che viene dall’alto. In quelle parole di Pietro, Gesù comprende l’azione del Padre, la sua designazione.

E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. È Gesù che nomina Pietro responsabile della comunità. Qui si vede l’intelligenza del leader, che vive il proprio mandato non come un merito, ma come un servizio a Dio e alla comunità. Qui si coglie il criterio per comprendere la qualità di un leader: la preoccupazione per come andrà avanti la comunità, una volta che lui non ci sarà più. Dalle parole pronunciate poco dopo l’investitura di Pietro, si coglie la percezione che Gesù aveva della propria morte imminente. Gesù è preoccupato per ciò che ha seminato, per dare continuità al lavoro svolto. Il leader è in gamba quando si muove in tempo per fare il proprio successore e, in questo, manifesta l’amore per la comunità e dà valore alle persone incontrate. Quando, invece, il leader vive il mandato come merito, farà di tutto per rimanere sino alla fine e, dopo di lui, morirà tutto.

A te darò le chiavi del regno dei cieli. Non è un discorso rivolto verso un futuro lontano, perché Gesù non sta parlando di vita eterna, di vita oltre la morte. Al contrario, Gesù sta parlando del presente, delle sorti della ecclesia di discepoli e discepole e della loro possibilità di sperimentare la bontà della vita nuova proposta da Gesù e che trova valore nell’espressione: regno dei cieli. A questo servirà Pietro e tutti coloro che riceveranno questo compito: fare di tutto con amore e spirito di servizio gratuito, affinché le persone che si avvicinano all’ecclesia si sentano accolte, avvolte da quell’amore fraterno e da quello spirito di giustizia e di pace profuso da Gesù. Possiamo, allora, invocare lo Spirito Santo con l’intenzione espressa dal salmo di oggi: non abbandonare l’opera delle tue mani (Sal 137). Fa o Signore, che nessuno di coloro che hai messo a servizio della comunità ci abbandoni. Aiutali nei momenti di sconforto e riempi il loro cuore del tuo amore. Amen. 

mercoledì 23 agosto 2023

USCI DI NUOVO

 



Paolo Cugini

Uscì di nuovo… uscì ancora” (Mt 20, 3s). C’è un costante movimento di uscita nella parabola di oggi. C’è un padrone che continuamente esce per trovare lavoratori per la sua vigna. Uscendo dalla parabola: qual è il significato? La vigna è la Chiesa, il padrone Gesù. La Chiesa non è una setta di pochi, ma una comunità viva che continuamente esce per chiamare altri a fare parte della comunità. È il dinamismo dell’evangelizzazione. Se l’esperienza comunitaria è ritenuta positiva, provoca il desiderio di condividerla. La missionarietà della comunità ne rivela la bontà. La chiesa che esce non è uno slogan, ma un dinamismo che rivela l’identità della comunità cristiana. Questo dinamismo richiede comunità di discepoli e discepole che amano il Signore e la vita della comunità.

“Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più”. Sono le dinamiche delle comunità, in cui le persone che non lavorano sulla propria spiritualità, vale a dire, sull’interiorizzazione dei valori del Vangelo, riportano nei dinamismi comunitari le logiche del mondo, dominate dall’istinto di sopravvivenza. L’intera parabola è un testo che dovrebbe essere meditato nella comunità, perché è uno squarcio profondo dei dinamismi di vario tipo che entrano in gioco nelle relazioni e nella attività della stessa. La morale della parabola è che nella vita della comunità cristiana tutto dovrebbe essere nella logica del dono gratuito, che genera donazione e gratuità. Non a caso, è l’eucaristia che fa la Chiesa e, quando ciò avviene, la comunità riproduce nei dinamismi interni e nelle attività, lo stile gratuito di Gesù, la sua ricerca di giustizia e di pace, ponendo al centro i poveri e gli esclusi.

 

mercoledì 16 agosto 2023

CAMMINARE NEL NOME DEL PROPRIO DIO

 




Paolo Cugini

Tutti gli altri popoli
camminino pure ognuno nel nome del suo dio,
noi cammineremo nel nome del Signore Dio nostro,
in eterno, sempre
(Michea 4,5).

Versetto stupendo che rivela un tipo di libertà difficile da incontrare. Libertà che si apre al rispetto della religione dell’altro, alla possibilità di un popolo di adorare il proprio dio. Ciò significa che non c’è imposizione, forzatura e nemmeno desiderio di sopprimere la religione dell’atro, ma spazio per tutti. Questo passaggio così importante non si trova nel brano parallelo a questo di Isaia 2, che è il testo che viene utilizzato nella liturgia del tempo di Avvento. Come mai non si usa il testo di Michea? Difficile saperlo. Questo versetto d Michea esprime la concezione monolatrica, vale a dire, il rispetto delle divinità degli altri popoli, pur all’interno di un monoteismo che non opprime, ma lascia vivere. Questo atteggiamento si è visto poche volte nella storia della salvezza e anche nella storia della Chiesa. 

SOLENNITA' DELL'ASSUNZIONE DI MARIA - 15 AGOSTO

 



 

(Ap 11,19a; 12,1–6a.10ab; 1Cor 15,20–27a; Lc 1,39-56)

 

 Paolo Cugini

Nonostante il dogma dell’Assunzione di Maria sia recente (1950: è l’ultimo dogma formulato dalla dottrina cattolica), la riflessione su questo mistero della fede è antichissima. Infatti, la letteratura apocrifa sull’Assunzione della Vergine Maria al cielo è abbondantissima. Si contano circa una sessantina di opere, trasmesse in manoscritti databili dal V secolo in poi e scritte in lingue diverse: greco, latino, etiopico, arabo, armeno, copto, siriaco, slavo e gaelico. Inoltre, molto ricca è la produzione sul tema in questione durante l’epoca medievale, attestata in molte lingue. Secondo gli studiosi, l’inizio della tradizione sull’Assunzione di Maria risale al II secolo a.C. in ambito gnostico.

La tradizione della permanenza di Maria a Gerusalemme nell’ultimo periodo della sua vita è piuttosto solida, attestata dalla Scrittura (Gv 19,25; At 1,14; Gal 2,9) e il racconto si basa su un fatto piuttosto sicuro dal punto di vista della critica storica. È naturale pensare che Maria negli ultimi anni della sua vita sia vissuta protetta dalla comunità cristiana di Gerusalemme in una delle abitazioni che essa occupava. Della sua sepoltura, poi, dovettero occuparsi, con particolare attenzione, gli apostoli, e dovette essere sepolta nell’area funeraria di Gerusalemme, presso il torrente Cedron nella parte orientale della città. Tale area sepolcrale era già in funzione nel I secolo, conforme ai recenti scavi archeologici.

L’elaborazione della narrazione della fine della vita di Maria si ispira, e fino ad un certo punto segue, la fine della vita di Gesù, in base ai vangeli e alla tradizione cristiana sviluppatasi successivamente. Questa è la sequenza: un angelo consola Maria nei momenti di angoscia e di tormento prima della sua morte e le annuncia ciò che avverrà, così come un angelo aveva consolato Gesù poche ore prima della morte (cfr. Lc 22,43-44). Tutti gli apostoli, compreso Paolo, accompagnano Maria durante la sua morte e sepoltura, cosa che non era successa nel caso di Gesù. Maria viene accompagnata da tre vergini che l’assistono, così come Gesù venne accompagnato venne vegliato sulla croce da tre donne (Gv 19,25). Maria non sarà vittima di alcun attacco del diavolo e, come accadde con Gesù, non cadrà nelle mani di Satana, ma lo vincerà protetta dalla forza divina. Maria, infine, viene deposta in un sepolcro nuovo fuori di Gerusalemme e il terzo giorno il suo corpo e la sua anima, come per Gesù, sono glorificati.

Il racconto dell’Assunzione così come si trova riportato nei testi apocrifi dei primi secoli della Chiesa, non si limita a narrare la fine della vita di Maria, ma cerca di spiegare anche il significato del suo trapasso e della ricompensa celeste di cui si è resa meritevole. La narrazione mira ad affermare che Maria morì veramente (nonostante la discussione dei teologi su questo punto) e che realmente è stata glorificata (la modalità è anch’essa oggetto di discussione).

Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti (1 Cor 15,20).

La seconda lettura di oggi vuole aiutarci a riflettere sul significato dell’Assunzione di Maria e perché è importante nel cammino della fede. L’Assunzione di Maria rende vero il discorso di Paolo che ci ricorda nella prima lettera ai Corinti che la resurrezione di Cristo non è un fatto isolato, circoscritta solamente a Lui, ma è “primizia di coloro che sono morti”. Gesù, dunque, è il primo di una lunga serie e Maria è l’esempio della verità di quanto Paolo afferma. Gesù con la sua passione, morte e resurrezione ha aperto un varco nel cielo, affinché tutti coloro che seguono il suo cammino possano entrarvi. “Abbassò i cieli e discese” dice il salmo 18. Con la sua Resurrezione Gesù non ha abbassato i cieli, ma ha aperto una breccia per tutti coloro che ascoltano la sua Parola e la mettono in pratica.

Che cosa ci dice il brano del Vangelo di questa solennità sul cammino terreno percorso da Maria, che l’ha portata sulle tracce del Figlio? Che tratti di spiritualità mariana possiamo delineare da questi versetti?

ha guardato l’umiltà della sua serva. Il primo è questo. Il Padre ha guardato di questa ragazza del popolo d’Israele, non la sua grandezza, fama, bellezza, ma la sua umiltà. Il Padre ha visto che nell’anima di quella ragazza c’era spazio per entrare. Maria non cerca se stessa, il proprio interesse, ma esclusivamente la volontà del Padre. Lei ha capito che il motivo della sua elezione non proveniva da eventuali meriti personali, ma esclusivamente dallo spazio creatosi in lei a causa della sua ricerca costante e quotidiana della volontà del Padre.

di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Maria ha colto del Padre la dimensione della misericordia, che avvolge tutti coloro che lo temono, che lo cercano. Vivere nell’orizzonte del Signore significa fare esperienza della sua misericordia, che si traduce nella possibilità costante di ripartire nonostante le cadute, gli sbagli. Prima di ogni rimprovero c’è nel Padre l’offerta data ai figli di rialzarsi e riprendere il cammino. Tenerezza, amore, misericordia, dolcezza, mansuetudine: sono tutte parole che dicono di Lui, del Padre, percepito solamente da coloro che lo cercano con cuore sincero in ogni momento della vita. La misericordia del Padre produce in coloro che la ricevono una sensazione di pace che viene trasmessa in modo naturale a coloro che incontriamo nel cammino.

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Proprio perché ha creato spazio a Dio nella propria vita e Dio vi è entrato, Maria ha capito da che parte lui sta: dalla parte dei poveri, degli afflitti, dei perseguitati. Può capire questo dato solamente colui e colei che ha fatto spazio al Signore, colei come Maria, che si è fatta piccola e umile per accogliere l’amore del Signore, che ama i piccoli e gli umili della terra. Nela storia della salvezza il Padre è sempre intervenuto in difesa dei poveri, per proteggerli dall’arroganza dei ricchi. Questa scelta è ben visibile in Gesù che: “da ricco si fece povero” (2 Cor 9,8) e camminava per le strade della Palestina in modo semplice e attorniato da poveri. In questo cammino c’è spazio anche per i ricchi che decidono di condividere le loro ricchezza. Maria, questa scelta radicale e senza ritorno di Dio, l’ha vista realizzata nel Figlio e vissuta dalla prima comunità cristiana.

Invochiamo, dunque, Maria affinché ci aiuti ogni giorno a vivere come il Suo Figlio e, così, passare anche noi con lei, da questo mondo di morte, al mondo della vita.

 

lunedì 7 agosto 2023

OMELIA DOMENICA 13 AGOSTO 2023

 



 

XIX DOMENICA TEMPO ORDINARIO

1 Re 19,9a.11-13a; Sal 84; Rm 9,1-5; Mt 14,22-33

 

Paolo Cugini

 

Mentre stiamo accompagnando il cammino che Gesù compie dal Nord al Sud, da Nazaret a Gerusalemme, diventa sempre più chiara e, allo stesso tempo, imbarazzante l’incomprensione dei discepoli nei confronti della proposta della sua proposta. In fin dei conti i discepoli, anche con tutta la loro buona volontà, erano portatori dell’ideale messianica coltivata all’interno della tradizione ebraica, vale a dire, un messia potente, che sarebbe venuto con il suo esercito per distruggere i nemici. Gesù, al contrario, si presenta come portatore di pace, incarnando le profezie messianiche di Isaia, che annunciava l’avvento di un mondo senza violenza: “non impareranno più l’arte della guerra” (Is 2,4). Vediamo il brano di oggi.

Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva. Versetto strano ma molto rivelativo. Perché Gesù deve costringere i suoi discepoli a salire sulla barca? La risposta più immediata è: perché non ci volevano andare. Qui si pone, allora, un problema: perché i discepoli non volevano andare con Gesù sull’altra riva? Che cosa c’è sull’altra riva? Ci sono i pagani e i discepoli, non ne vogliono sapere di ascoltare l’annuncio di un amore universale, di una misericordia infinita anche per loro. Il messaggio di Gesù è sconvolgente e, prima di tutto, ha sconvolto gli uditori del suo tempo e, tra questi, gli stessi discepoli. Erano, infatti abituati ad ascoltare parole di odio contro i nemici, e invece Gesù li invita ad amarli e a pregare per loro. Gesù sta annunciando un Dio totalmente diverso da quello a cui erano abituati non solo i discepoli, ma tutto il popolo. Quella di Gesù è una novità così grande che crea resistenze, rifiuto, polemiche a non finire.

Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. C’è molta solitudine nella vita di Gesù, frutto dell’incomprensione di chi lo segue. L’annuncio del Vangelo, quando è autentico, crea questo tipo di situazione esistenziale. È proprio in questi momenti difficili, che troviamo Gesù in preghiera. Se volgiamo imparare a pregare come Gesù pregava, dobbiamo guardare a questi momenti. La preghiera di Gesù non è fatta di ripetizione di parole, di formule, di richieste personali. C’è molto silenzio attorno alla sua preghiera, silenzio che dice di ascolto profondo e prolungato del Padre. Senza dubbio, esiste una preghiera comunitaria, che ha un suo valore intrinseco. La stessa preghiera comunitaria, però perde molto del suo significato se non è accompagnata da una preparazione, da prolungati momenti di preghiera personale, con quello stile che Gesù ha insegnato nel Vangelo.

La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Chi cammina sulle acque, nella tradizione ebraica, è solamente uno: Dio. Le acque del mare sono il simbolo dell’ignoto, ma anche della morte, perché sotto le acque vivono i predatori, ma anche quei pesci che, come il Leviathan o l’ippopotamo, possono distruggere l’uomo. Chi può, allora, camminare tranquillamente sopra le acque senza farsi sommergere dalla paura? In questo versetto c’è una profonda indicazione della vita spirituale che è tale, quando ci permette di affrontare i problemi più drammatici della vita senza perdere la calma e l’equilibrio. In questo, si manifesta la divinità di Gesù: è la sua umanità che contiene dei tratti divini, che sono alla nostra portata, perché Gesù ha assunto la nostra stessa natura umana e l’ha redenta.

 Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». I discepoli non riescono a vedere in Gesù la presenza di Dio. Sono accecati dall’idea del Dio veterotestamentario, il Dio potente e glorioso, il Signore degli eserciti, per usare un’espressione di Isaia e, per questo, hanno paura, proprio perché il Dio dell’antica alleanza fa paura. Dinnanzi al Dio manifestato da Gesù non c’è più da aver paura, perché è il vero Dio, il Dio misericordioso, che è venuto a portare l’amore per tutti e tutte, che ci accoglie e s’inginocchia davanti a noi per lavarci i piedi. Sono le nostre idee che ci tengono lontano da Dio, quelle idee assimilate nell’infanzia e mai approfondite, soprattutto, mai verificate seriamente alla luce del Vangelo. Il cammino che Gesù ci invita a compiere, esige la disponibilità a cambiare idea, a lasciarsi trasformare per fare spazio all’amore del Padre che viene in noi per farci sentire il suo amore e aiutarci a riscoprire la nostra natura di figli e figlie.

Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!». I discepoli che hanno assistito all’evento prodigioso arrivano ad una solenne professione di fede. Per come sono andate le cose sappiamo che, il loro cambiamento di prospettiva avverrà solo dopo la resurrezione di Gesù. La conversione, il cambiamento di mentalità è un processo lento che esige pazienza e attenzione agli eventi. Solo il Signore della storia e della vita ci può aiutare in questo cammino: rimaniamo fedeli al Vangelo che, come dice san Paolo, è il cammino della nostra salvezza (cfr. Ef 1, 13).

martedì 1 agosto 2023

OMELIA DOMENICA 6 AGOSTO 2023

 


TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE

Dn 7,9-10.13-14; Sal 96; 2 Pt 1,16-19; Mt 17,1-9

 

Paolo Cugini

 

La solennità della Trasfigurazione del Signore conduce la comunità cristiana nel cammino della contemplazione del Mistero manifestato nella persona di Gesù. Gli argomenti che coinvolgono questa solennità ci trovano spesso impreparati e ci lasciano perplessi. Come, infatti, ha sostenuto il teologo ortodosso Vladimir Lossky, la mistica della Chiesa Cattolica si concentra sul tema dell’imitazione di Cristo, cercando di riprodurre nel vissuto quotidiano i tratti dell’umanità di Gesù, il suo stile semplice ed essenziale, la sua cura per i poveri e gli esclusi. La mistica ortodossa, invece, ha da sempre messo l’accento sul tema della contemplazione e sulla teologia apofatica: dinanzi al mistero di Dio fatto uomo, possiamo solo tacere e contemplare. Non a caso, proprio la solennità della Trasfigurazione che nella Chiesa Cattolica passa un po' in sordina, nella Chiesa Ortodossa è invece di grande importanza. Avviciniamoci, allora, a questo mistero e proviamo a condividere qualche riflessione.

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello Qual è il significato della scelta di Gesù di portare con sé solo tre discepoli e perché proprio loro? Una prima risposta semplice consiste nel comprendere che la manifestazione del regno dei cieli nell’umanità di Gesù non è un fenomeno di massa, come del resto, il cammino cristiano. Pietro Giacomo e Giovanni non vengono scelti perché considerati i migliori: anzi. Pietro, il cui soprannome significa testa dura, era stato sgridato da Gesù in modo molto duro nel capitolo precedente, etichettandolo addirittura di satana, perché non accettava che il cammino di Gesù prevedesse la sofferenza e la morte. Giacomo e Giovanni erano soprannominati i figli del tuono, per la loro irruenza. In ogni modo Gesù scegli loro perché fossero testimoni di un evento sena precedenti.

E li condusse in disparte, su un alto monte. Tutte le volte che nel Vangelo di Matteo troviamo questa espressione: in disparte, ci sta segnalando che le cose si metteranno male, che Gesù troverà resistenza nella sua proposta. La montagna sappiamo che simbolizza il senso della ricerca di senso e, in modo speciale, della ricerca di Dio. Coloro che cercano Dio imparano a vedere la terra e ciò che gli appartiene in modo diverso: dall’alto verso il basso. È una nuova prospettiva che assimila tutti coloro che cercano Dio, e imparano a guardare i beni della terra non come realtà fini a se stesse, ma come doni offerti dal Signore per la nostra vita. Il monte della trasfigurazione, poi, nel Vangelo di Matteo, corrisponde a quello delle tentazioni. Non è con il potere che riusciamo a conoscere Dio e noi stessi, ma con il dono gratuito della nostra vita, proprio come ha fatto Gesù.

E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. C’è un evento straordinario davanti agli occhi dei tre discepoli prescelti per assistere, che non è facile spiegare. Infatti, vengono utilizzate espressioni tipiche della letteratura apocalittica. Non a caso, come brano parallelo ci è stato proposto nella prima lettura il capitolo 7 del profeta Daniele, che è infarcito di richiami apocalittici. Dinanzi al Mistero e alle sue manifestazioni, non ci sono parole umane. Che cosa possiamo dire su questo evento e perché può essere significativo nel nostro cammino di fede? La trasfigurazione dice di una trasformazione. Sul monte, a contatto con il divino Gesù manifesta la sua identità di Figlio di Dio. Il suo volto e le sue vesti rivelano che nella sua umanità si manifesta Dio. Nei gesti di Gesù, nel suo modo di essere, nella sua semplicità, umiltà, empatia, attenzione ai più poveri, nell’aver costruito una comunità di discepoli e discepole uguali, nel lavare i piedi ai discepoli: lì c’è Dio. È questo uno degli aspetti rivelato nel mistero della trasfigurazione del Signore. Se questo è vero, allora ha un valore importante anche per noi. Il cammino cristiano che passa attraverso l’incontro costante con Gesù dovrebbe provocare la trasformazione della nostra umanità. Da persone dure e incapaci di perdonare, dovremmo divenire persone capaci di misericordia. Da persone legate alle cose e al denaro, lo Spirito del Signore che riceviamo dovrebbe trasformarci in persone capaci di condividere ciò che abbiamo. La trasfigurazione del Signore indica il senso del nostro cammino: un’umanità trasformata.

Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Che strumenti abbiamo per realizzare questo cammino di trasfigurazione della nostra umanità. Nel brano di oggi per due volte ci viene indicato lo stesso indizio: la Parola. Mosè simbolizza la Legge, il Pentateuco ed Elia il profetismo: la Legge e i profeti, vale a dire, l’Antica alleanza. Non a caso dalla nube che si forma la voce di Dio dirà: Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo. Non c’è altra cosa da fare che ascoltare la voce del Figlio amato dal Padre. Ascoltare significa assimilare, interiorizzare, per fare in modo da riconoscere la voce dell’amato per divenire, così, anche noi amati dal Padre.

Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Da queste parole si comprende come per Pietro è ancora Mosè il centro della sua fede e non Gesù. Lo pone, infatti, in mezzo, tra le tende. Pietro, come del resto gli altri apostoli, non hanno ancora capito il succo della presenza di Gesù nella storia. Non è venuto con un esercito potente per abbattere il nemico, ma è venuto annunciando l’amore del Padre per tutti e tutte, in modo particolare per tutti coloro che soffrono discriminazioni, coloro che sono umiliati dapi potenti di questo mondo. C’è delusione nei tre discepoli che hanno assistito all’evento misterioso. Delusione riportata dall’evangelista quando dice: Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Probabilmente avrebbero preferito la forza di Mosè o la violenza di Elia per imporre la religione. E invece tutto è svanito ed è rimasto solo Gesù, il cui unico potere è quello dell’amore gratuito e disinteressato.