mercoledì 8 novembre 2017

DIO HA TANTO AMATO IL MONDO DA DONARE IL SUO FIGLIO







ESERCIZI SPIRITUALI PRESBITERI DIOCESI DI REGGIO EMILIA-GUASTALLA
MAROLA 6-10 NOVEMBRE 2017
MONS. LUCIANO MONARI

Sintesi: Paolo Cugini

PRIMA MEDITAZIONE

Il senso della nostra vita è poter annunciare le meraviglie del Signore. Lasciare che le opere del Signore ci entrino dentro.
Gv 3,16: Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna.
Dio nei confronti di questo mondo si è rivelato come sorgente di Luce e di salvezza. Il mondo, l’umanità intera, lasciato a se stesso è destinato alla morte. Se Dio non interviene questo modo decade in un destino inevitabile di morte. Giovanni non ha un quadro tragico della condizione del mondo come Paolo alla lettera ai Romani. L’uomo per Paolo, pensato senza il riferimento alla salvezza di Dio, chiuso in se stesso è spiritualmente schizofrenico, perché conosce il bene e il desiderio di realizzarlo, ma in concreto l’uomo compie il male. L’uomo sperimenta una lacerazione dentro se stesso. Giovanni Battista presenta Gesù come colui che toglie il peccato del mondo, sembra un peccato che racchiuda tutta l’esistenza del mondo, che sembra essere dentro una situazione di schiavitù. L’uomo è dentro l’ira di Dio e per sua natura sarebbe condannato alla morte se non ci fosse un intervento di Dio. Cfr. Gv 5,24: chi ascolta la mia Parola passa dalla morte alla vita. Tutto il mondo giace nel potere del maligno
1 Gv 2: tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza… Viene dal mondo. La condizione del mondo è una condizione di condanna a morte.
Però Dio ha tanto amato il mondo. Invece di essere in un giudizio di condanna a motivo del suo peccato, il mondo è sotto un giudizio di amore che conduce alla vita. L’atto di amore si sviluppa in una decisione a favore della vita dell’altro. L’amore di Dio per il mondo: Dio dice che è bene che il mondo esista e prende posizione a favore della sua esistenza. Ciò è visibile sin dalla creazione del mondo. Dio disse: sia la luce e la luce fu. Questo atto di volontà è accompagnato da un giudizio di valore: era cosa buona. Questo significato è presente anche dentro la storia dell’uomo. Il diluvio non è l’ultima parola di Dio, ma provvisoria. Infatti, Dio promette di non maledire più il suolo e aggiunge una benedizione che riguarda Noè e i suoi figli.

Voglio che l’uomo viva. E’ un giudizio che si trova anche nella storia d’Israele. C’è un atto di amore efficace. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito. C’è un punto culminante dell’amore di Dio. La creazione parla dell’amore di Dio, ma non ha una sua libertà e un suo cuore e quindi non può dire tutto dell’amore di Dio. Ciò vale anche per l’uomo. Però l’amore dell’uomo è ambiguo, perché è mescolato con situazioni di rifiuto dell’altro. L’amore di Dio nel suo Figlio unigenito è il culmine della creazione. Il dono di Dio è il dono che Gesù fa di se stesso nella croce, è il compimento definitivo e completo. Quando l’amore arriva a donare la vita, l’amore è totale, perché non rimane più nulla. Quando la vita si dona sino alla morte diviene un gesto rivelatore. E’ l’amore definitivo, che rimane per sempre e non può essere cancellato dall’uomo. Nel dono di Dio ci sta la vita eterna, cioè che non finisce. Risponde alla condizione dell’uomo, che è una condizione di mortalità. Anche il mondo è destinato a morire. E’ a questa condizione che Dio risponde con il suo amore. La resurrezione di Gesù risponde di questo amore. Gesù è fatto di carne e ossa come noi. Nella resurrezione un pezzetto di mondo entra nella vita di Dio. La nostra condizione è una condizione mortale. Cfr. Eb.: il diavolo si serve della paura della morte per rendere l’uomo schiavo per tutta la vita. L’uomo che entra in questo mondo non è sicuro di nulla. Il futuro esce dal controllo dell’uomo e questa situazione pesa. La vecchiaia è un inizio della morte, fa percepire il senso della morte. E così anche la malattia. La paura ce la portiamo dietro e anche l’uomo di oggi si porta con sé le paure. Il diavolo, dice la lettera agli Ebrei, si serve di questa paura. L’uomo dominato da questa paura si aggrappa al mondo, alle sicurezze che il mondo offre. L’idolatria del mondo nasce così. L’uomo s’illude di trovare nel mondo la risposta il suo bisogno di vita. La promessa di vita eterna permette di superare la paura della morte.
Gv 3,14: chiunque crede in Lui abbia la vita eterna. Il deserto è l’immagine del tempo intermedio tra un’esperienza di salvezza e una speranza di salvezza da raggiungere. Nel deserto Israele deve credere che Dio porterà a compimento la sua opera di salvezza, nonostante un presente pieno di disagi, fatto di sete, fame, nemici: tutte esperienze di limite. Israele deve dimostrare che non si abbatte davanti ai limiti. Israele ad un certo punto comincia a dubitare, a rimpiangere l’Egitto, dove la vita anche se era da schiavi era più sicura, ci si poteva adattare. Israele nutre il desiderio di fuggire dalla salvezza di Dio, che è grande, ma è molto impegnativa. Vivere in pienezza la vita è un coinvolgimento di tutti i pensieri e azioni. Mosè fa un serpente di bronzo, il cui scopo è quello di sciogliere l’incanto d’Israele, che vede solo il mondo e il deserto con i suoi pericoli e non riesce a sollevare lo sguardo verso Dio. Camminare nel deserto non da avvilito: ci riusciamo quando guardiamo al Signore, quando alziamo lo sguardo. Vedere nel crocefisso l’amore di Dio: solo così possiamo vivere nel mondo da persone libere. Vincere le seduzioni della vita: questo è il dono di Dio. Nella croce il male è trasformato in amore e obbedienza. C’è nella storia umana un luogo di trasfigurazione della storia, un luogo in cui il male può essere trasformato e vinto.

Sacrificio d’Isacco Gen 22. Abramo è chiamato a sacrificare il figlio dal quale deve avere una discendenza. Isacco non è un figlio sostituibile perché è il figlio della promessa. Abramo deve credere in Dio contro ogni speranza, facendo quello che Dio gli sta chiedendo ma che gli impedisce ogni speranza. Dovrebbe credere nella risurrezione di Isacco. Abramo deve credere in Dio anche quando appare incoerente con se stesso. L’uccisione nella croce appare disumano. Dio crede nell’uomo anche quando l’uomo è disumano. Si tratta di credere nell’amore di Dio, che vuole dire anche amare il mondo. La fede nell’amore di Dio significa che all’origine del mondo c’è il giudizio dell’amore di Dio. Occorre uscire da sentimenti da delusione o di risentimento e tristezza. Spesso passiamo attraverso momenti di tristezza. Può venire la tentazione di una critica amara. Possibilità di amare tutto in Dio, di amare Dio nella creazione e anche nella nostra storia, riconoscendo nella nostra storia la riconciliazione di Dio. Non significa guardare il mondo con occhi ingenui. La gravità del male è fuori discussione perché genera la morte. Però esiste la croce di Cristo che trasforma la morte in amore. La croce ci permette di amare il mondo.

Obiettivo: vedere la mia realtà e farla diventare oggetto di amore. Perché Dio in Cristo ha amato questa realtà concreta. 

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