lunedì 29 febbraio 2016

NESSUNO TI CONDANNA




Domenica. V di Quaresima, C
(Is 43, 16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Jo 8,1-11)

Paolo Cugini

1. Ci stiamo avvicinando alla celebrazione della Pasqua del Signore, del mistero della sua morte e Risurrezione, e la liturgia dell Parola ci spinge verso un ultimo passo del cammino di quaresima. Dopo essersi soffermata a mostrarci la realtà della nostra umanità e della possibilità che in Cristo abbiamo di riscoprire la nostra dignità di figli, oggi abbiamo ascoltato che cosa l’incontro con Cristo dovrebbe produrre in noi. Discepolo  e discepola è colui e colei che incontra Cristo e accetta di seguirlo sino alla morte, scoprendo che, oltre la morte spirituale dei nostri peccati, c’è una possibilità nuova di vita, un superavit di significato, che richiede alcune condizioni.

2. Che cosa significa che storia ascoltata nel Vangelo? Tante cose. Senza dubbio ci rimette dinnanzi alla nostra condizione di peccatori: fa sempre bene alla salute spirituale ricordarci chi siamo e da dove veniamo. C’è, comunque, in questo testo che narra l’incontro di Gesù con la donna sorpresa in adulterio, qualcosa di nuovo che diventa estremamente importante nel nostro cammino di fede. Questo qualcosa di nuovo è l’atteggiamento di Gesù dinanzi alla donna adultera. Gesù, infatti, non esprime nessun giudizio morale che possa in un certo modo umiliare la donna, metterla a disagio, farla sentire in colpa. Al contrario, nella scena narrata, Gesù diventa l’ancora di salvezza per questa donna, dinanzi ad un’umanità inferocita per il suo peccato. E questo è, allo stesso tempo, un quadretto abbastanza ridicolo, ironico. Non è Gesù che si scandalizza e fa della morale per il peccato commesso dalla donna, ma sono gli uomini che condividono la stessa condizione di peccato a giudicare, condannare la donna, esprimendo, in questo modo, un clamoroso autogol, come poi si rivela nel resto del racconto. Gesù non condanna, non giudica, ma fa silenzio. É questo senza dubbio un grandissimo insegnamento evangelico, del quale dovremmo fare tesoro in questo cammino di quaresima. Se abbiamo interiorizzato un pò le letture di queste domeniche, allora avremmo dovuto capire che solo Dio é santo e noi siamo tutti peccatori. La verità di questa presa di coscienza spirituale, la dovremmo esprimere con il nostro silenzio sul peccato degli altri, la sospensione del nostro giudizio che si trasforma in condanna, allontanamento, discriminazione. Infatti, tutti noi sappiamo molto bene quanto sia difficile liberarci dal peccato, vincere la tentazione,camminare nella fedeltà. La consapevolezza della difficoltà di vivere coerentemente il nostro rapporto con il Signore, dovrebbe aiutarci a diventare maestri di umanità, per avere verso gli altri la stessa compassione che il Signore ha avuto e continua ad avere con noi. E allora, perché Gesù tace? Perché dinnanzi alla stupidità manifestata dai giudizi sul peccato altrui, è meglio tacere.  Silenzio come mezzo per aiutare tutti quanti a compiere una sana riflessione introspettiva e capire che, la differenza tra la donna e noi, non è poi così grande. E siccome c’è somiglianza nella condizione di peccato, é meglio chinare la testa e filarsela alla svelta. Gesù non giudica né la donna né la gente che voleva ucciderla: offre a tutti la possibilità di guardarsi dentro e, in questo modo, prendere una decisione più serena e obiettiva. Gesù è la pace che aiuta l’umanità a tornare in se stessa, a prendere tempo, a guardarsi dentro, a conoscersi meglio per maturare decisioni più libere e consapevoli, non dettate da passioni immediate o accecate da leggi fatte da uomini. Gesù è il Figlio che ci ama come fratelli e sorelle, tutti quanti allo stesso modo, e siccome ci vuole bene ci accoglie in questa relazione fraterna per condurci a guardare nell’altro, nell’altra non un nemico da uccidere, ma un fratello, una sorella da amare, abbracciare, accogliere. Sono questi atteggiamenti che manifestano la natura divina di Gesù. È questa umanità sovraccarica di amore,che riesce a intravedere una possibilità di vita là dove l’umanità vede solo morte, che ci conduce ad affermare la divinità di Cristo.

3. Essere Cristiani significa seguire il Signore e, mentre lo seguiamo veniamo trasformati dal suo Spirito per conformarci a Lui. É una riflessione che abbiamo già fatto nella seconda domenica di quaresima, quando tentavamo di penetrare il mistero della trasfigurazione del Signore.  Che cosa significa ciò? Quando è che avviene in noi quella capacità di vedere negli altri dei fratelli e delle sorelle? Che cosa ci succede quando cominciamo ad avere lo stesso sguardo di Cristo sulla realtà?
Ci sbarazziamo del passato. Ce lo ricorda san Paolo nella seconda lettura e anche Isaia nella prima. “Per causa Sua ho perso tutto. Considero tutto come spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere incontrato unito a Lui” (Fil 3,8).

É quando attribuiamo la nostra forza, la nostra identità alle cose che ci sentiamo in diritto di giudicare gli altri . Quando Cristo, la nostra pace, entra nella nostra vita, produce in noi questo sentimento di libertà, di apertura totale agli altri, desiderio che si realizza nella collaborazione alla costruzione del Regno dei cieli. Quando il Signore entra davvero nella nostra vita –ed è questo che dovrebbe succedere a Pasqua- allora tutto quello che eravamo non serve più, lo possiamo gettare via, perché appartiene all’uomo vecchio, alla donna vecchia, appartiene a quel passato egoista che ci conduceva a sentirci superiori agli altri e, di conseguenza, a giudicarli.  Solo che, in Cristo siamo divenuti creature nuove ( cfr. 2 Cor 5,17) e le creature nuove camminano guardando avanti, al futuro,senza rancori e invidie, ma con l’anima ripiena di compassione e misericordia.

“Non ricordate le cose passate, non guardate per i fatti antichi. Ecco che io faccio nuove tutte le cose e già stanno sorgendo: per caso non le riconoscete?” (Is 43,18-19).

Nel Battesimo siamo divenuti creature nuove e come tali siamo stati resi capaci di cogliere la novità del Signore presente nella storia. Una storia che Gesù ha scritto con la propria sofferenza e con il proprio sangue: una storia che continua in questo stesso modo. Vediamo le cose nuove che Dio sta realizzando, quando siamo disposti ad amare sino alle estreme conseguenze, quando siamo disposti a morire al nostro egoismo, che si trasforma nell’umana tentazione di eliminare l’altro, affinché, al contrario, possa incontrare spazio, amore, accoglienza. Riusciamo a vedere le cose nuove del Signore quando apprendiamo ad offrire ai fratelli e alle sorelle che il Signore pone sul nostro cammino, non un giudizio negativo di condanna, ma una nuova possibilità di vita. É di cristiani così aperti e nuovi che il mondo ha bisogno: di bacchettoni, possiamo anche farne a meno.

4. “Meraviglie ha fatto con noi il Signore, esultiamo di allegria!”.
 Questa esplosione di gioia che abbiamo manifestato con il salmo, possa essere espressa durante tutta la settimana attraverso quegli atti nuovi, quegli sguardi nuovi dei quali Dio Padre ci ha resi capaci attraverso il suo Figlio Gesù.




GLI CORSE INCONTRO




DOMENICA IV DI QUARESIMA/C
(Gs 5, 9-12;Sal 34; 2 Cor 5, 17-21; Lc15,1-3.11-32)

Paolo Cugini

1. Le letture della scorsa domenica ci invitavano a non rimandare il tempo della nostra conversione, ma a considerare il tempo presente come il momento favorevole per il nostro incontro con il Signore. Oggi, nella quarta domenica del tempo di quaresima, la liturgia della Parola viene al nostro incontro cercando di spiegarci il contenuto di questa conversione. Le domande che possiamo prendere come sfondo della liturgia di oggi potrebbero essere le seguenti: in definitiva che cosa significa convertirsi al Vangelo? Che cosa esige il Signore da noi? Quali sono i passi che dobbiamo realizzare nel presente della nostra esistenza, per rendere vera ed autentica la nostra adesione al Signore?

2. La prima risposta che possiamo dare a queste domande è che davanti alla proposta del Signore non possiamo rimanere neutrali. Il Vangelo di oggi, infatti, apre proprio con questa immagine. Davanti a Lui ci sono da una parte i farisei che lo criticano e, dall’altra i peccatori che si avvicinano per ascoltarlo. Chi in questa quaresima si sente troppo giusto, probabilmente avrà già iniziato a prendere le distanze dalla sequela di Gesù giudicandola sorpassata o troppo radicale. Chi, al contrario, sta lasciando la Parola del Signore penetrare dentro di sé, non starà sentendosi troppo bene. E allora sentirà l’esigenza di approfondire il discorso, di capire meglio quello che Gesù intende dire. Chi decide di prendere a serio la propria vita e quindi di smetterla di nascondersi dietro le maschere costruite nel tempo, per non stare male tutta la vita e intravedendo nella proposta di Gesù una possibile via di uscita positiva, cercherà di ascoltarlo. Umiltà è la base per un cammino spirituale e umiltà si misura dall’idea che abbiamo di noi stessi. Se davanti al Vangelo ci sentiamo a posto, significa che siamo messi male, che il nostro cammino spirituale é veramente arrivato alla frutta. Solo Cristo é infatti il Santo di Dio e, dinnanzi al Santo, tutti siamo peccatori e bisognosi di una salvezza che non ci possiamo dare con le nostre mani, ma che viene dall'alto per puro e gratuito dono di Dio (Cfr. Rom 3). Se, al contrario, davanti ad una pagina del Vangelo ci sentiamo male, significa che stiamo ancora bene, perché siamo ancora in contatto con la realtà di noi stessi che è la percezione di qualcosa che deve essere modificato nella nostra esistenza. Se ascoltando questi primi versetti del Vangelo ci siamo identificati con i pubblicani e i peccatori, possiamo procedere nell’ascolto, perché Gesù ci rivelerà qualcosa d’importante per il nostro cammino di conversione. Se, al contrario, ci siamo identificati con i farisei, con coloro cioè che pensano di saperla più lunga di Gesù, possiamo tranquillamente chiudere il Vangelo ed uscire dalla Chiesa: il Vangelo non è roba per esseri superiori, ma per i piccoli.

3. Per noi che siamo rimasti in Chiesa, perché ci sentiamo piccoli, peccatori e bisognosi della misericordia del Signore, che cosa ha da dirci il seguito del Vangelo? Ci rivela qualcosa di noi e qualcosa di Dio.
Ci rivela, innanzitutto, qualcosa di noi nella figura dei due fratelli. Ci dice, infatti, da un lato che abbiamo la testa così dura, il cuore così chiuso dal nostro orgoglio e l’anima così piena di noi stessi e del nostro egoismo, che per capire che stiamo sbagliando strada, abbiamo bisogno di cadere nel fosso. Il figlio che abbandona la casa paterna e parte pensando di realizzare la propria vita, siamo noi tutte le volte che vogliamo fare di testa nostra, che pensiamo di essere i protagonisti assoluti della nostra vita e non vogliamo ascoltare niente e nessuno. Tutte le volte che agiamo in questo modo, stiamo compiendo un passo in più verso il baratro del non senso e dell’insignificanza della vita. E allora, mentre pensiamo di realizzare una vita piena di successo, in realtà la stiamo distruggendo riempendola di nulla. E così, improvvisamente, in mezzo al cammino della nostra vita, ci sentiamo stranamente vuoti, senza nulla dentro. Chi riesce, in questa situazione esistenzialmente catastrofica, entrare in sé stesso, riconoscere i propri errori assumendo la responsabilità del proprio fallimento e chiedendo aiuto a Dio, potrà rialzarsi e con fatica rimettersi in cammino. Chi, al contrario, continua a non accettare il proprio fallimento di una vita auto-centrata e egoista, cercando da tutte le parti punti di riferimento sui quali scaricare la propria rabbia, ha bisogno di mangiare ancora qualche chilo di ghiande insieme ai porci.

4.  Il figlio più vecchio che, invece di gioire con il padre per il ritorno del fratello, si arrabbia al punto di non voler entrare nella festa,  è il simbolo di una vita religiosa non gratuita ma interessata. La storia di questo figlio più vecchio dovrebbe condurci ad interrogarci: perché andiamo in Chiesa? Che cosa stiamo cercando tra le mura della parrocchia? Se non abbiamo ancora capito che in Cristo, Dio ci ha donato tutto se stesso e che nella Chiesa incontriamo tutti i mezzi della salvezza e, nonostante ciò abbiamo sempre da ridire qualcosa, da criticare, da giudicare tutto e tutti, vuole dire che il nostro cammino spirituale é un poco materiale, interessato, non è cioè molto chiaro e autentico. Il tempo di quaresima diventa, allora per noi il tempo privilegiato per liberarci da tutte le nostre pretese religiose, da tutto il nostro materialismo spirituale, per camminare più liberi e sereni dietro al Signore.

5. Che cosa ci dice e c’insegna su Dio questa pagina del Vangelo? Lo abbiamo senza dubbio già capito e cioè che Dio è un Padre immensamente buono, che fa venire la voglia di corrergli incontro per abbracciarlo. É un Padre che non guarda mai il lato negativo del figlio, ma che confida nella sua possibilità di realizzare il bene. É un Padre che non giudica, che non condanna, ma che spera con pazienza che noi suoi figli corriamo tra le sue braccia misericordiose. Contare con un Padre così è veramente una grazia immensa. É il suo amore infinito che distrugge di colpo tutti i nostri falsi idoli, tutte le nostre idee strampalate di Dio. Come si fa, infatti, ad aver paura di un Dio così? Chi ci ha messi in testa che dobbiamo avere paura di Lui? É bello ed è fantastico poter contare su un Dio così  che ci aspetta sempre, che con pazienza perdona tutte le nostre colpe, che non si scandalizza dei nostri peccati, che avvolge le nostre ombre con la sua luce, che copre il nostro egoismo con il suo immenso amore. Mettiamoci in ginocchio, allora e preghiamo. Gettiamoci in ginocchio e piangiamo la nostra stupidità. Gettimoci in ginocchio e ringraziamo il Padre del suo immenso amore per noi. Gettiamoci in ginocchio chiedendo al Padre umiltà di non abbandonarlo mai più.



giovedì 25 febbraio 2016

RIFLESSIONI SUL SALMO 103




Riflessioni di Paolo Cugini

Il tema fondamentale del salmo è la benedizione. Benedire significa riconoscere Dio come sorgente della vita, della gioia, della salvezza, del benessere che possono accompagnare la vita dell’uomo.
Il salmo inizia con un’esperienza personale: Benedici il Signore anima mia. La conclusione è: benedite.

Non dimenticare tanti suoi benefici. Il modo concreto di benedire il Signore è il ricordo, il non dimenticare, il raccontare quello che Dio ha fato per noi. Questo è uno dei comandamenti fondamentali dell’esperienza d’Israele. Non dimenticare (Dt 9,7); guardati dal dimenticare (Dt 6,12). Vuole dire: ricorda quello che hai conosciuto e sperimentato e scrivilo, imprimilo e incidilo dentro al tuo cuore.

Quali sono questi benefici che il Signore ha fatto?
vv. 3-5: perdona, guarisce, salva, corona, sazia.
6-7: concretezza del perdono.
Agisce con giustizia: si dice delle grandi opere che Dio ha compiuto nella storia d’Israele sono opera di giustizia perché esprimono la fedeltà di Dio. Agendo in questo modo Dio ha mostrato a Mosè le sue vie e ai figli d’Israele le sue opere (v.7).

Lento all’ira: è l’espressione di un Dio che interviene nella storia con il suo giudizio e la sua condanna. Se non ci fosse l’ira di Dio anche la sua bontà non avrebbe valore. Se non Dio non fosse giudice la nostra povera storia diventerebbe senza equilibrio e senza giustizia. L’ira di Dio è la reazione di Dio alla corruzione, cioè a tutto quello che minaccia la ita. L’ira di Dio è un’espressione biblica forte per mostrare la presa di posizione di Dio dinanzi a ciò che minaccia la vita. Se ciò non avvenisse ci troveremmo dinanzi ad un Dio apatico, che non s’interessa di noi, che pensa solo agli affari suoi, un Dio impersonale, com’era quello aristotelico. Ci sono delle forze che minacciano la vita e non si può rimanere indifferenti di fronte a quelle realtà, altrimenti è la vita stessa che viene messa in pericolo. L’ira di Dio è questo: c’è una giustizia che alla fine trionfa e s’impone sopra il corso degli avvenimenti umani.

L’ira di Dio dura un istante, mentre il suo amore dura per sempre. L’ira di Dio risponde al peccato dell’uomo e quindi ha la brevità del nostro peccato. L’amore di Dio è l’espressione della sua identità.
Cfr. San Paolo Ef 4,26-27: nell’ira non peccate. Quando siamo dinanzi ad una situazione di male anche a noi è lecito reagire; stiamo attenti però a fare in modo che l’ira, reazione sana, non diventi peccato.

V. 9: il Signora contesta, ma non per sempre; per questo non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe. La bontà del Signore prevale.

Il salmista usa tre immagini per farci capire questo concetto:
1.      Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo temono. Dio supera la più grande verticale possibile che possiamo immaginare.
2.      Distanza orizzontale: come dista l’Oriente dall’Occidente. Allontana da noi le nostre colpe. Isaia dice che il Signore le nostre colpe se le getta alle spalle (Is 38,17). Miche dice che Dio getta le nostre colpe nel profondo del mare (Mic 7,19).
3.      Come un padre ha pietà dei suoi figli: viene in mente la parabola del Figliol prodigo. L’amore paterno va al di là di una riflessione razionale. L’amore paterno è creativo, crea un affetto e un legame dove umanamente sembrerebbero non più presenti. Nella liturgia della messa troviamo questa espressione: o Dio che manifesti la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono… Non cerchiamo l’onnipotenza di Dio nella creazione del cosmo, ma quando Dio cambia il male in bene: qui si manifesta l’onnipotenza di Dio.

Le grandi opere di Dio sono legate alla fragilità e alla condizione dell’uomo.
Perché Dio agisce in questo modo?
Dio è pronto a perdonare l’uomo perché è infinitamente buono e misericordioso.
Perché egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere. Dio usa misericordia verso di noi perché ci conosce, sa qual è la nostra condizione.
Due immagini:

1.      La nostra vita dura poco: come si fa ad essere duri con una creatura così debole come l’uomo e al donna? Come si fa ad essere duri con dei condannati a morte? Come si fa a sparare su di un morto? Siamo polvere: ce lo ricorda già il primo libro della Bibbia (Gen 2,7). Il materiale di uci siamo fatti è un po’ di fango sul quale Dio ha soffiato il suo spirito di vita. Proprio perché siamo fatti così, il nostro materiale è incline al male. La percezione della fragilità dell’uomo è un motivo che dà forza alla misericordia di Dio.
2.      Il Signore ha stabilito in cielo un trono. La sovranità del Signore sopra il mondo e la storia.



RIFLESSIONI SUL SALMO 22





SALMO 22


Riflessioni di Paolo Cugini


E’ UN SALMO DI SUPPLICA E DI RINGRAZIAMENTO.
 Sono parole di una persona che ha sperimentato la sofferenza e nella sofferenza si dirige al Signore con il grido della supplica ricevendo risposta positiva. Per questo trasforma il suo lamento in un rendimento di grazie.
Caratteristica: si tratta di una sofferenza che ha condotto il salmista sino alle soglie della morte (v. 16). La liberazione dalla sofferenza ha assunto i toni di una risurrezione. Misericordia di Dio che dà vita, che rimette in piedi.
Il salmo è diviso in due parti:
Prima: appello a Dio
Seconda: ringraziamento.
In mezzo: immaginiamo la salvezza, l’intervento del Signore

PRIMA PARTE
2. Si deve immaginare questa richiesta al termine di una lunga preghiera. Per giorni il salmista ha invocato il Signore e adesso sembra al limite della sopportazione. C’è una formula paradossale: Dio mio, esprime legame. “Perché mi hai abbandonato”: è un’accusa.

Tu sei lontano dalla mia salvezza: in alcuni salmi Dio viene definito come mia salvezza. In questo caso Dio sembra lontano dalla sua stessa identità. Questa è l’esperienza più difficile della fede (cfr. Giobbe): trovarsi di fronte ad un Dio che non immaginiamo. Vediamo l’esperienza grande della fede quando Dio sembra dimenticare o trascurare l’uomo. Pensiamo alla fede come una scelta fatta da noi. Nella concezione biblica è Dio che ha costruito il legame con me. Mi posso ribellare, ma non posso cancellare il legame con Lui. Dio sta prima di me: da Lui non mi posso allontanare. Nel nostro salmo spariscono le concezioni tipiche che abbiamo di Dio, di colui che risponde alle invocazioni (Sal 118,5: nell’angoscia ho invocato il Signore; mi ha risposto il Signore e mi ha tratto in salvo).
4-6: ricorso all’esperienza dei padri, il ricordo va alla storia d’Israele: Dio ha liberato e salvato i nostri padri, hanno potuto sperimentare la potente misericordia del Signore.

7-9: dice tutta la distanza tra la salvezza del passato e l’angoscia presente. C’è tutta l’esperienza dell’esclusione: il salmista si sente escluso e rifiutato dal suo popolo.

10-11: ricordo della propria esperienza personale: sei tu che mi hai tratto dal grembo. Se andiamo indietro nell’esperienza della nostra vita non riusciamo a trovare un momento senza la vicinanza, la premura e la tenerezza di Dio. Nei momenti di sconforto occorre avere la lucidità di non permettere che il male presente offuschi la luce del bene vissuto nel passato. Dovrebbe invece avvenire il contrario. Il ricordo positivo della misericordia di Dio nella nostra vita, deve darci la forza di sopportare la sofferenza presente. Dal grembo di mia madre tu sei il mio Dio.

12: il salmista vive una situazione per cui non può cercare aiuto nella società, negli altri, nella famiglia. Il salmista si trova come circondato da persone e situazioni che vogliono il suo male: 13-14. E’ difficile comprendere che a che cosa il salmista si riferisce; senza dubbio sono parole che esprimono una grande paura.
15: il salmista esprime la sua condizione attuale con delle immagini.
La prima immagine è dell’organismo umano che si disfa. Le ossa non riescono più a tenere in piedi il corpo e gli organi perdono la loro identità.
Immagine dell’acqua: aridità della vita senza acqua.

Su polvere di morte mi hai deposto: in realtà come abbiamo letto, sono gli uomini che lo stanno minacciando. Ma il salmista legge questi eventi come voluti da Dio. E allora se da Dio dipende la condizione di morte da Dio dipenderà anche la possibilità di salvezza.
 17-21: il clima diventa ancora più negativo.
20-22: supplica. Prima il salmista aveva chiesto di essere salvato dalla morte, adesso chiede di essere liberato dai nemici. Il Signore, se vuole, può ricondurci alla salvezza, alla pienezza di vita.


SECONDA PARRTE
23-25: ALL’IMPROVVISO IL SALMO CAMBIA DI TONO. C’è stato senza dubbio un intervento di Dio, che è lasciato all’immaginazione. Il salmo era iniziato con espressioni di angoscio e dolore, adesso il Signore si è fatto conoscere, vedere, sentire toccare dal salmista.

Annunzierò il tuo nome ai fratelli: è la prova che è avvenuto qualcosa, che c’è stato un incontro, che il salmista ha percepito il passaggio di Dio nella sua vita. Si è sentito ascoltato, guardato. La prova di questo incontro è la disponibilità e il desiderio di comunicarla (cfr. Isaia, Pietro, ecc.).

Nome del Signore: esprime l’identità del Signore conosciuto dentro un’esperienza. Il nome del Signore è quello che il Signore ha fatto. Se diciamo “Il nome del Signore è il salvatore”, come affermiamo nel Magnificat, non stiamo esprimendo un concetto, una riflessione, ma il contenuto di un’esperienza. Se Dio è salvatore è perché mi ha salvato. Ebbene quando sperimentiamo Dio in questo modo non riusciamo a trattenerlo per noi, ma desideriamo comunicarlo immediatamente. Il nome di Dio è quello che di Dio abbiamo sperimentato, per questo quando pronunciamo il suo nome ci viene in mente qualcosa, un ricordo, una storia, un legame speciale.

 “Annunzierò il tuo nome”, quello che ho conosciuto di te, in mezzo all’assemblea. Prima, all’epoca della sofferenza causata dagli insulti, era fuggito dall’assemblea, dal contesto sociale: ora vi ritorna e coinvolge tutto il suo popolo. Ciò significa che l’esperienza di salvezza del salmista non è appena individuale, non rimane e non può rimanere dentro di lui, ma deve uscire, coinvolgere tutto il popolo nel rendimento di grazie e nella lode.

26-27: il ringraziamento si allarga in particolare ai poveri
28: Il cerchio si allarga all’umanità intera. Perché il regno di Dio è universale e riguarda l’umanità intera.

Il regno di Dio: salvezza di Dio, la sua provvidenza, l’amore e la giustizia di Dio, che riguardano tutti gli uomini. La prospettiva universale è così grande che il salmista giunge ad esprimere qualcosa che prima non si era mai sentito:

30: nella concezione della religiosità di Israele e nei salmi i morti non lodano il Signore. Sono i viventi che sperimentano il dono della benedizione di Dio. Nel nostro salmo sono coinvolti anche loro e quindi il rendimento di grazie del nostro salmo supera anche la soglia che sino ad allora era impensabile, vale a dire la morte, il regno dei morti.

31-32: E io vivrò per lui. Conclusione stupenda del salmista.