sabato 4 settembre 2021

APRITI!





 DOMENICA XXIII/B

(Is 35,4-7a; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37)

Paolo Cugini

 

La lettura fondamentalista della Parola di Dio, cioè l’interpretazione letterale, non solo non va bene perché non tiene conto del contesto storico e culturale in cui è stato scritto un testo, ma soprattutto perché tende a valorizzare dei dati che, presi nel contesto, sono invece marginali. Ascoltando il brano di Vangelo di oggi ci si rende conto come davvero, come dice san Paolo, “La lettera uccide, è lo spirito che dà la vita” (2 Cor 3,6). Non basta quindi leggere il Vangelo, occorre prendersi del tempo, meditarlo, permettere allo Spirito di condurci verso le profondità della Parola.

Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.

Il miracolo del sordomuto in un territorio pagano come la Decapoli, va molto al di là del puro dato materiale. Lo stesso percorso è abbastanza inverosimile. Basta prendere una mappa per rendersi conto che il percorso indicato da Marco non è geografico, ma teologico. E’, infatti, un non senso passare nel territorio della Decapoli per andare da Sidone verso il mare di Galilea, perché non è sulla strada, per così dire, ma bisogna volerci andare. Con questo percorso Marco vuole sottolineare che il messaggio di Gesù è per tutti, non solo per un gruppetto, per i soliti che si riuniscono nella sinagoga. Gesù vuole portare il suo messaggio di salvezza a tutti e tutte e, per questo, modifica il percorso. Sarebbe interessante prendere questi semplici versetti per verificare il desiderio delle nostre comunità di portare il Vangelo a coloro che sono al di fuori del perimetro della chiesa, che volontà c’è di questo movimento missionario, che pensiero esprimiamo per questo percorso che Gesù inaugura visitando il territorio della Decapoli.

Guardando quindi verso il cielo, Gesù emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.

C’è una cura materiale che dice qualcosa di spirituale. Senza dubbio Gesù ha compiuto un miracolo che però, nella prospettiva dell’annuncio del Regno che Gesù sta realizzando, vuole dire qualcosa di più. C’è un orecchio dell’anima, per così dire, che dev’essere curato. C’è una resistenza alla Parola i Dio, alla sua proposta, che viene da molto lontano. Anni di vita trascinata dagli istinti, a servizio del proprio egoismo, lasciano un segno profondo, un’assuefazione cronica alla vita materiale che non permette più di percepire la dimensione spirituale dell’esistenza. Non a caso sono stati gli amici a portare il malato da Gesù affinché lo guarisse. Era messo così male, era così intontito dall’assuefazione al male che non ci sentiva più, che non ascoltava più nessuno.

Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro.

In che modo Gesù guarisce il sordo-muto? Portandolo in disparte, lontano dalla folla: perché? Che cosa significa? C’è una relazione personale che Gesù vuole costruire per comunicare vita. La sua forza donata all’umanità non è un gioco di prestigio da applaudire, ma un dono da accogliere. Anche i gesti che Gesù compie nella guarigione sono importanti: le dita negli orecchi e la saliva con cui gli tocca la lingua. Gesti che indicano che la guarigione che Gesù è venuta a portare è fatta della stessa nostra materia. Non c’è un intervento prodigioso, qualcosa di strano che provoca la guarigione del sordo-muto, ma dei semplici gesti umani, che utilizzano elementi umani. È con la nostra stessa umanità che Gesù ci trasforma e ci guarisce dalle forme di sordità che non ci permettono di comprendere la sua Parola e, di conseguenza, di dirla con la voce e con la vita.

C’è poi l’ultimo aspetto nel cammino di guarigione ed è il guardare in alto ed emettere un sospiro da parte di Gesù, come per dire che non bastano gli elementi materiali, ma occorre mettere tutto nelle mani di Dio. È questo il senso profondo della preghiera, che inizia da una presa di coscienza di se stessi, del proprio cammino, comprese le proprie mancanze, per aprirsi al mistero, cercando la volontà del Padre. Ciò significa che Dio entra nella nostra vista attraverso la nostra umanità.

 

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