DOMENICA XXIII/B
(Is
35,4-7a; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37)
Paolo
Cugini
La lettura fondamentalista della Parola di Dio, cioè
l’interpretazione letterale, non solo non va bene perché non tiene conto del
contesto storico e culturale in cui è stato scritto un testo, ma soprattutto
perché tende a valorizzare dei dati che, presi nel contesto, sono invece
marginali. Ascoltando il brano di Vangelo di oggi ci si rende conto come
davvero, come dice san Paolo, “La lettera uccide, è lo spirito che dà la
vita” (2 Cor 3,6). Non basta quindi leggere il Vangelo, occorre prendersi
del tempo, meditarlo, permettere allo Spirito di condurci verso le profondità
della Parola.
Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne,
venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Il miracolo del sordomuto in un territorio pagano
come la Decapoli, va molto al di là del puro dato materiale. Lo stesso percorso
è abbastanza inverosimile. Basta prendere una mappa per rendersi conto che il
percorso indicato da Marco non è geografico, ma teologico. E’, infatti, un non
senso passare nel territorio della Decapoli per andare da Sidone verso il mare
di Galilea, perché non è sulla strada, per così dire, ma bisogna volerci
andare. Con questo percorso Marco vuole sottolineare che il messaggio di Gesù è
per tutti, non solo per un gruppetto, per i soliti che si riuniscono nella
sinagoga. Gesù vuole portare il suo messaggio di salvezza a tutti e tutte e,
per questo, modifica il percorso. Sarebbe interessante prendere questi semplici
versetti per verificare il desiderio delle nostre comunità di portare il
Vangelo a coloro che sono al di fuori del perimetro della chiesa, che volontà
c’è di questo movimento missionario, che pensiero esprimiamo per questo
percorso che Gesù inaugura visitando il territorio della Decapoli.
Guardando quindi verso il
cielo, Gesù emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito
gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava
correttamente.
C’è una cura materiale che dice qualcosa di
spirituale. Senza dubbio Gesù ha compiuto un miracolo che però, nella prospettiva
dell’annuncio del Regno che Gesù sta realizzando, vuole dire qualcosa di più. C’è
un orecchio dell’anima, per così dire, che dev’essere curato. C’è una
resistenza alla Parola i Dio, alla sua proposta, che viene da molto lontano.
Anni di vita trascinata dagli istinti, a servizio del proprio egoismo, lasciano
un segno profondo, un’assuefazione cronica alla vita materiale che non permette
più di percepire la dimensione spirituale dell’esistenza. Non a caso sono stati
gli amici a portare il malato da Gesù affinché lo guarisse. Era messo così male,
era così intontito dall’assuefazione al male che non ci sentiva più, che non
ascoltava più nessuno.
Lo prese in disparte,
lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò
la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro.
In che modo Gesù guarisce il sordo-muto? Portandolo
in disparte, lontano dalla folla: perché? Che cosa significa? C’è una relazione
personale che Gesù vuole costruire per comunicare vita. La sua forza donata all’umanità
non è un gioco di prestigio da applaudire, ma un dono da accogliere. Anche i
gesti che Gesù compie nella guarigione sono importanti: le dita negli orecchi e
la saliva con cui gli tocca la lingua. Gesti che indicano che la guarigione che
Gesù è venuta a portare è fatta della stessa nostra materia. Non c’è un
intervento prodigioso, qualcosa di strano che provoca la guarigione del
sordo-muto, ma dei semplici gesti umani, che utilizzano elementi umani. È con
la nostra stessa umanità che Gesù ci trasforma e ci guarisce dalle forme di
sordità che non ci permettono di comprendere la sua Parola e, di conseguenza, di
dirla con la voce e con la vita.
C’è poi l’ultimo aspetto nel cammino di guarigione
ed è il guardare in alto ed emettere un sospiro da parte di Gesù, come per dire
che non bastano gli elementi materiali, ma occorre mettere tutto nelle mani di
Dio. È questo il senso profondo della preghiera, che inizia da una presa di
coscienza di se stessi, del proprio cammino, comprese le proprie mancanze, per
aprirsi al mistero, cercando la volontà del Padre. Ciò significa che Dio entra
nella nostra vista attraverso la nostra umanità.
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