QUARTA
DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B
Paolo Cugini
“Ed erano stupiti del suo
insegnamento: egli, infatti, insegnava come uno che ha autorità” (Mc 1,21).
Gesù inizia la sua attività pubblica lontano da
Gerusalemme: ci arriverà alla fine del suo percorso. Già questa è una grande
indicazione di metodo che Gesù ci consegna. Chi ha visitato Cafarnao rimane
sorpreso dalla sua piccolezza, dal suo essere un non spazio, una non-città,
come direbbe un noto filosofo contemporaneo. Gesù riceve il compito di
annunciare l’avvento del Regno di Dio a tutte le donne e gli uomini e lo fa
partendo non dalla grande città, ma dal piccolo paese sconosciuto e povero. È
proprio vero che non è il luogo a fare grande una persona, ma è la grande
persona a far grande il luogo. Ciò che colpisce sin dall’inizio è lo stile di
Gesù, il suo modo di parlare alla gente perché viene colto come una modalità
diversa di dire le cose. Diversa in che senso? Il termine di paragone sono gli
scribi, che avevano avuto grande credito nel popolo per il compito di studiosi
della legge, che dovevano dare responsi, prendere decisioni sul modo di
osservare la legge, ma anche conoscere e far conoscere con un’autorità
generalmente riconosciuta («dalla cattedra di Mosè»: Mt 23,2) i responsi e le decisioni
dati precedentemente, «le tradizioni degli antichi» (ibid. 15,2; Mc 7,3),
di cui facevano gran conto e con la cui osservanza caricavano le coscienze.
Dalle polemiche descritte nei capitoli successivi, si coglie il motivo
principale di questa differenza indicata all’inizio del Vangelo di oggi sul
modo d’insegnare. Diceva infatti Gesù:
“Guardatevi
dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle
piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti.
Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi
riceveranno una condanna più grave” (Mc 12,38-40).
Si tratta, dunque di un insegnamento che, con l’andare del tempo, ha perso
il significato della gratuità e della ricerca biblica, per lasciare il posto
all’apparenza e alla ricerca dell’approvazione esterna a fini personali. Gesù
condanna questo travisamento, l’uso sfacciato della conoscenza biblica per
servire i propri interessi invece di servire il popolo di Dio nella crescita
della conoscenza del Signore e della sua Parola. Quella di Gesù è un’accusa che
diventa una denuncia pubblica e, dunque, uno smascheramento pubblico dell’ipocrisia
degli scribi, del loro modo ignobile d’insegnare la Parola, della
strumentalizzazione della stessa per porsi sopra il popolo e non a servizio.
Se
questa è l’accusa contro gli scribi, qual è allora la novità dell’insegnamento
di Gesù, che “insegna come uno che ha autorità”? Da dove gli viene
questa autorità? Una prima chiave di lettura la troviamo nella prima lettura di
oggi nel libro del Deuteronomio:
“Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te,
tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me” (Dt 18,15).
Gesù
agisce come i profeti dell’Antico Testamento e, in modo particolare, il
riferimento biblico della prima lettura ci suggerisce che il suo modo di agire
assomiglia a quello di Mosè, uomo di Dio, che parlava faccia a faccia con YHWH
e che viveva in mezzo ai suoi fratelli e sorelle. L’insegnamento di Gesù nasce
dal suo profondo rapporto con il Padre, un rapporto così autentico che
trasmette ai fratelli e sorelle che camminano con Lui sulla strada verso Gerusalemme.
Questo suo modo di essere in mezzo al suo popolo segno dell’amore del Padre,
gli dona quell’autorità che non ha bisogno di prendersi con arroganza come
fanno gli scribi, ma gli viene consegnata dal popolo. Sempre sulla linea
profetica, c’è un altro brano – citato, tra l’altro, in corrispondenza al brano
di Marco che stiamo commentando, dalla Bibbia di Gerusalemme – che ci può
aiutare ad approfondire lo stile di Gesù, il suo modo diverso d’insegnare, che
gli conferisce autorevolezza.
“Non
griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà
una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta: proclamerà
il diritto con verità (Is 42, 2-3).
Sono
parole che descrivono quel personaggio misterioso del servo del Signore
indicato in quattro brani nella seconda parte del libro del profeta Isaia (40-55).
Per proclamare il diritto con verità, il servo di JHWH non ha bisogno di alzare
la voce e nemmeno di esercitare la violenza coercitiva, perché il messaggio che
intende comunicare passa attraverso la sua relazione con il Signore, che gli
dona pace, e alla sua fedeltà alla missione a lui affidata: “non verrà meno
e non si abbatterà” (Is 42, 4). È quello stile mite, umile, delicato nelle
relazioni che caratterizzerà anche lo stile di Gesù, quello stile che precede
le parole pronunciate con la bocca e, allo stesso tempo, ne svela il
significato profondo. Lungi dall’essere un insegnamento cattedratico e teorico,
ciò che conferisce autorità all’insegnamento di Gesù è l’essere in mezzo al
popolo con mitezza e docilità, segno dell’amore del Padre che viene a noi nella
pace e nella comunione.
La
Parola, dunque, ci invita a sperimentare l’amore di Dio nella vita quotidiana e
anche nella comunità, facendo l’esperienza dell’uguaglianza tra fratelli e
sorelle, del servizio ai più piccoli, della condivisione. Quando trasportiamo l’ascolto
docile della Parola nella vita quotidiana impegnandoci a creare relazioni umane
improntate sulla stima reciproca e sull’attenzione agli altri, questo
insegnamento diviene segno della presenza di Cristo in mezzo a noi (cfr. Gv
13,35) e possibilità affinché il mondo creda in Lui.
Gesù aveva già riconosciuto come profondamente sbagliato,perchè totalmente all'opposto dell'insegnamento di suo Padre, lo "stile" -mi si perdoni il termine-degli Scribi. Ne ha quindi preso le distanze,condannandolo.
RispondiEliminaÈ stupefacente ed anche drammatico come, nei secoli successivi, la Chiesa si sia poi comportata come ed anche peggio degli Scribi.
Si deve sempre dare la colpa alla natura umana? O c'è di fondo un Male così radicato nell'uomo?