Lo sguardo diverso di Gesù: oltre la logica della
competizione
Paolo Cugini
Per questo io ti
dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui
al quale si perdona poco, ama poco (Lc 7,48).
Viviamo
in un mondo dove ogni relazione sembra essere filtrata dalla lente del
confronto e della competizione. Sin da piccoli impariamo a leggere la realtà
attraverso il nostro istinto di sopravvivenza, che ci spinge a stabilire
gerarchie, a dividere tra chi è migliore e chi è peggiore, a perseguire la
meritocrazia come unico metro di giudizio. Guardiamo gli altri a partire da ciò
che ci manca, e spesso ci troviamo a disprezzare chi vive meglio di noi,
proprio perché la loro serenità o il loro successo diventano uno specchio delle
nostre insoddisfazioni. In questa dinamica, anche la religione rischia di
essere ridotta a un altro strumento di competizione: la fede come trofeo, la
pratica spirituale come medaglia, la ricerca dell’approvazione come fine ultimo.
Eppure,
in questo scenario, la figura di Gesù si staglia in modo radicalmente
differente. Gesù guarda la realtà in un modo che disorienta e, al tempo stesso,
affascina: il suo sguardo sovverte le logiche umane, perché non nasce dal
bisogno di affermarsi sugli altri, ma dall’amore incondizionato e dalla
misericordia. Lui non entra nella scena della vita guidato dal desiderio di
rivalità, non si pone come antagonista. Gesù non valuta le persone secondo
criteri meritocratici, ma secondo una giustizia che si fonde con la
compassione. Non gli interessa ciò che limita o rende manchevole una persona,
ma ciò che può elevarla, ciò che può essere redento e portato a compimento.
Gesù
non si ferma agli aspetti esteriori, alle etichette, alle performance; il suo
sguardo va dritto al cuore, dove si nasconde la vera storia di ogni essere
umano. È questo sguardo che salva, che libera dalla meschinità degli sguardi
egoistici, incapaci di accogliere davvero l’altro senza metterlo alla prova. Lo
sguardo di Gesù è uno sguardo d’amore che non ferisce, ma guarisce; non
giudica, ma comprende; non esclude, ma include. Per questo i poveri, gli
afflitti, gli emarginati, gli esclusi sentivano in lui qualcosa di unico e
sconvolgente: uno sguardo che non li metteva in competizione con il resto del
mondo, ma che li faceva sentire accolti, ascoltati, rispettati.
In
Gesù, ciascuno poteva trovare un cuore di padre e madre insieme, una presenza
solida e affidabile in cui riposare. La sua accoglienza non era condizionata
dal merito, dalla virtù o dal successo, ma dalla semplice realtà dell’essere
umano, nella sua dignità intangibile. Ecco perché lui non dà importanza al
peccato in quanto errore da condannare, ma al peccatore come persona da
sollevare. Tutta la differenza sta qui: non è ciò che facciamo a definirci
davanti a Dio, ma il modo in cui siamo guardati e accolti da lui.
Questo
sguardo di Gesù è ancora oggi sfida e promessa per ciascuno di noi. Ci invita a
uscire dalla logica del giudizio e della rivalità, a scoprire nella
misericordia il vero centro della vita cristiana. Solo accogliendo questo
sguardo potremo davvero sentirci bene, accolti, compresi, e capaci di
accogliere e comprendere a nostra volta.
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