mercoledì 5 aprile 2023

OMELIA GIOVEDI SANTO 2023

 





Es 12, 1-8. 11-14; Sal 115; 1Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15

 

Paolo Cugini

Il Triduo pasquale nel quale siamo già entrati con la messa crismale del mattino, offre alle comunità cristiane un momento centrale a servizio del cammino intrapreso. In questi giorni, infatti, veniamo immersi nel mistero dell’amore di Dio manifestato nella donazione totale di sé da parte del Figlio Gesù. Mistero nel quale anche noi veniamo coinvolti, non solo emotivamente, ma anche esistenzialmente. In fin dei conti, per tutti coloro che vivono il proprio battesimo come punto di riferimento della propria vita, le celebrazioni liturgiche del Triduo hanno molto da dire e offrono molto materiale su cui riflettere. È vero che ogni anno veniamo coinvolti in questa proposta ma, nel cammino di fede; è altrettanto vero, però, che da un anno all’altro c’è molto materiale umano nuovo che merita di essere verificato alla luce del mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo. Ci chiediamo, allora: che cosa dice a noi oggi la celebrazione della cena del Signore?

Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato (Gv 1,18). Questo versetto del prologo del Vangelo di Giovanni lo prendo come spunto per interpretare il gesto di Gesù che lava i piedi dei suoi discepoli. Nel versetto citato Giovanni ci dice che Gesù ha rivelato il volto del Padre. Nelle parole e nei gesti del Figlio si rivela il volto di Dio. Ciò significa che nella lavanda dei pedi Gesù ci ha comunicato-rivelato qualcosa di Dio. Questo mi sembra molto importante. Il Dio manifestato da Gesù non è colui che sta al di sopra di tutti, ma si abbassa per asciugare i nostri piedi. Proprio per questo per meglio renderlo comprensibile alla gente invece di rivestire il sacro con vesti sgargianti, bisognerebbe deporre queste vesti e indossare quelle del servo che si abbassa per asciugare i piedi. Il gesto che Gesù compie nell’ultima cena è prima di tutto una decostruzione, uno smantellamento dell’immaginario sacrale che da sempre abbiamo proposto e che ha riprodotto su scala sociale relazioni di disuguaglianza, oltre ad aver sostenuto il patriarcato. Con questo gesto Gesù ci dice che Dio non è come ce lo immaginiamo noi: è tutt’altra cosa. Il Dio rivelato da Gesù esprime uno dei significati profondi dell’amore: depone le vesti, si piega su di noi, s’inginocchia per lavarci i piedi. Questo è l’amore! Gesù compie questo gesto perché, come ci ha ricordato san Paolo domenica (Fil 2,5s), è totalmente svuotato di sé ed è pieno di amore.

Possiamo tranquillamente dire che il gesto che compie Gesù che si abbassa per lavare i piedi ai suoi discepoli è l’immagine della Chiesa. Siamo comunità di discepoli e discepole del Signore quando tra di noi ci relazioniamo in questo modo. La Chiesa di Gesù è questa: è colei che depone le vesti per inginocchiarsi e lavare i piedi al mondo, all’umanità. È questa pagina che può dirci e comunicarci a che punto siamo nel nostro cammino di sequela dietro al Signore. È quella che Tonino Bello definiva la Chiesa del grembiule. Facciamo fatica a cogliere questo dato perché educati da secoli a identificare il divino con lo sfarzo e il sacro con ciò che è totalmente distante da noi. Al contrario, la rivelazione di Dio avvenuta in Gesù ci mostra che, in realtà, il nostro modo d’intendere la divinità è idolatrica, una proiezione umana. Il Dio rivelato da Gesù è profondamento umano, vicino a noi, ai nostri piedi.

Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti (Gv 13, 3). Nell’azione che Gesù compie nell’ultima cena, se guardata con attenzione, ci si accorge che c’è qualcosa di strano. Intatti, mentre Gesù manifesta il volto del Padre, allo stesso tempo, lo nasconde. Gesù, dice il testo di Giovanni, sa che il Padre ha posto tutto nelle sue mani e che cosa fa? Lo nasconde nel gesto del lavare i piedi ai discepoli. La soluzione del problema viene offerto alla fine del brano quando Gesù dice: Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi (Gv 13,14-15). Per vedere il volto di Dio nella nostra storia dobbiamo fare quello che Gesù ha fatto. La conoscenza che ci viene dal Vangelo non si ottiene sul piano teorico, imparando a memoria dei versetti, ma sul piano dell’azione, facendo quello che ha fatto il maestro. È questo il grande insegnamento. Il mistero di Dio è nascosto nel gesto umile del servizio alla sorella, al fratello, che si disvela a noi quando lo compiamo. Non a caso Gesù, sempre nell’ultima cena, dopo aver spezzato il pane con i suoi discepoli dice: fate questo! C0on queste parole non li invita semplicemente a ripetere i suoi gesti, le sue parole, ma a vivere come lui ha vissuto, donando la vita gratuitamente per i fratelli e le sorelle. Ci sono diversi brani nel vangelo che rivelano questa dinamica. Cito solo il brano della pesca miracolosa nella redazione di Luca (Lc 5,1-11). Dopo aver invitato Pietro a gettare le reti per la pesca, dopo una notte che non avevano pescato nulla, Pietro afferma: sulla tua parola getterò le reti (Lc 5,5). Il testo poi aggiunge: ed avendolo fatto (Lc 5,6). È perché ha fatto quello che il Signore ha chiesto che Pietro riesce a pescare una quantità enorme di pesci e, così, scoprire l’identità di colui che aveva dinanzi.

Entriamo nel Triduo pasquale con l’umiltà dei discepoli, di coloro che sono disposti a mettersi in gioco e a lasciarsi smantellare dei propri idoli. È proprio questo l’atteggiamento che ci permette di fare ciò che ascoltiamo e di vivere ciò che celebriamo nei riti.

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