XXIII
DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C
Lc
14,25;33
Paolo
Cugini
C’è una corrente spirituale piuttosto significativa all’interno del cristianesimo, che è arrivata sino a noi, che identifica la vita cristiana con la sofferenza e, in questa prospettiva sembra che più una persona soffre e più si avvicina a Dio. Forse è per questo motivo che tanti giovani, che desiderano tutt’altro che soffrire, quando vengono a contatto con adulti della comunità che gli presentano questa spiritualità della sofferenza se ne vanno e non tornano più. Il Vangelo che abbiamo ascoltato sembra contenere alcuni versetti che sono su questa linea del cristianesimo sofferenza. Per questo vale la pena soffermarci un poco e tentare di capire.
In
quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro
La
sequela dietro al Signore non è un fenomeno di massa, anche se è diventato così,
ma è una risposta personale ad una proposta esigente. Non dobbiamo stancarci di
sottolineare questo aspetto; solo in questo modo riusciamo a smetterla di scandalizzarci
se le chiese sono vuote, se i giovani non vanno a messa. Imparare a misurare la
validità della proposta del Vangelo non dalle quantità, dai numeri, ma dalla
qualità, dalla bellezza e profondità dello stile di vita, dalla diversità che
propone. È bello essere seguaci del Signore, cristiani, non perché siamo in
tanti, ma perché ci vogliamo bene, perché nella comunità abbiamo imparato a
metterci all’ultimo posto, a deporre le nostre vesti per allacciarci un asciugamano
alla cinta e lavare i piedi ai fratelli e alle sorelle più bisognose.
«Se
uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i
figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio
discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non
può essere mio discepolo.
Ecco
due versetti che esprimono molto bene la radicalità evangelica, la differenza
della proposta di Gesù rispetto a tante altre proposte che incontriamo. La prima
domanda che questi versetti pongono a noi ascoltatori è questa: vuoi essere
discepolo del Signore? La risposta a questa domanda determina il cammino che
siamo disposti a compiere. Essere discepolo del Signore significa essere mossi
dal desiderio da una vita nuova, differente. Significa essere mossi dalla
ricerca di un senso della vita che riempia l’esistenza. Chi nella propria vita
riesce a percepire il vangelo, la presenza del Signore come l’alimento definito
che cerca, allora è disposo a tutto, a compiere qualsiasi taglio, qualsiasi
rinuncia, ad orientare la propria vita. L’amore per Gesù deve arrivare al punto
da fondare qualsiasi relazione, di reimpostare qualsiasi modalità d’esistenza, perché
è l’amore fondante. Questa esigenza spiega anche quella successiva. Colui
che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Di che croce sta parlando Gesù? Della scelta che un discepolo fa nel nome
del Signore. Perché la scelta è una croce? La coerenza delle scelte fatte per
amore del Signore, un amore gratuito che cerca la giustizia, l’uguaglianza, l’attenzione
ai più poveri in un contesto che nega tutti questi valori provoca tensioni,
sofferenze, croce. Non è che seguire il Signore voglia dire soffrire: tutt’altro.
Uno segue il Signore perché sperimenta nella sua Parola una luce nuova mai
vista prima, un balsamo di sollievo mai percepito prima, una pace interiore
definitiva. E allora perché la sofferenza? La sofferenza non la porta il
Signore, ma il mondo, che non accetta la bellezza della sua proposta, la semplicità,
la sia beatitudine. Il mondo è invidioso della gioia che è la presenza del
Signore, non sopporta la pace che vivono i suoi discepoli, odia la loro
serenità, il loro modo di vivere gratuito e disinteressato. Per questo il mondo
fa guerra ai discepoli e alle discepole del Signore. Del resto, lo stesso Gesù
li aveva avvisati durante l’ultima cena quando disse loro: Se il mondo vi
odia, sappiate che prima di voi hanno odiato me. Se foste del mondo il mondo amerebbe
ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo,
per questo il mondo vi odia (Gv 15,18-19). Con la sua presenza Gesù ha
smascherato il vuoto, il nulla della proposta del mondo, che offre una felicità
effimera basata sulle cose, sul possesso, sullo sfruttamento dei più deboli.
Una gioia che è tale solo per pochi. L’azione e la Parola di Gesù aprono le
coscienze, sveglia le persone che si avvolgono dell’inganno subito e scoprano
che la pace vera non dipende dalle cose, ma dall’amore che si ha e che la gioia
non dipende dal potere, ma dal rendere felici gli altri, soprattutto i più
poveri.
Chi
di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a
vedere se ha i mezzi per portarla a termine?
Per
imparare a stare nel mondo senza lasciarci affogare, incatenare dalle sue
logiche, occorre dedicare del tempo per studiare la situazione, per capire dove
sta l’inganno, per smascherare la struttura menzognera della proposta del
mondo. Non solo. Occorre imparare a prendersi del tempo per riempire la nostra
anima dell’amore del Signore, riempire i nostri polmoni della forza che viene
dal suo Spirito. Come dice san Paolo: Attingete forza nel Signore e nel
vigore della sua potenza Ef 6,10). È proprio questo quello che noi facciamo
alla domenica: ci accostiamo all’altare del Signore per alimentarci della sua
gioia, del suo amore, per abbeverarci della sua sete di giustizia e di uguaglianza.
Ci avviciniamo a Lui perché solamente con Lui abbiamo il coraggio di vivere pienamente
quello che ascoltiamo per riuscire ad infischiarcene se il mondo ci odia.
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