domenica 28 agosto 2022

EGLI SI VOLTO' E DISSE

 



XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C

Lc 14,25;33

 

Paolo Cugini

 

C’è una corrente spirituale piuttosto significativa all’interno del cristianesimo, che è arrivata sino a noi, che identifica la vita cristiana con la sofferenza e, in questa prospettiva sembra che più una persona soffre e più si avvicina a Dio. Forse è per questo motivo che tanti giovani, che desiderano tutt’altro che soffrire, quando vengono a contatto con adulti della comunità che gli presentano questa spiritualità della sofferenza se ne vanno e non tornano più. Il Vangelo che abbiamo ascoltato sembra contenere alcuni versetti che sono su questa linea del cristianesimo sofferenza. Per questo vale la pena soffermarci un poco e tentare di capire.

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro

La sequela dietro al Signore non è un fenomeno di massa, anche se è diventato così, ma è una risposta personale ad una proposta esigente. Non dobbiamo stancarci di sottolineare questo aspetto; solo in questo modo riusciamo a smetterla di scandalizzarci se le chiese sono vuote, se i giovani non vanno a messa. Imparare a misurare la validità della proposta del Vangelo non dalle quantità, dai numeri, ma dalla qualità, dalla bellezza e profondità dello stile di vita, dalla diversità che propone. È bello essere seguaci del Signore, cristiani, non perché siamo in tanti, ma perché ci vogliamo bene, perché nella comunità abbiamo imparato a metterci all’ultimo posto, a deporre le nostre vesti per allacciarci un asciugamano alla cinta e lavare i piedi ai fratelli e alle sorelle più bisognose.

«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

Ecco due versetti che esprimono molto bene la radicalità evangelica, la differenza della proposta di Gesù rispetto a tante altre proposte che incontriamo. La prima domanda che questi versetti pongono a noi ascoltatori è questa: vuoi essere discepolo del Signore? La risposta a questa domanda determina il cammino che siamo disposti a compiere. Essere discepolo del Signore significa essere mossi dal desiderio da una vita nuova, differente. Significa essere mossi dalla ricerca di un senso della vita che riempia l’esistenza. Chi nella propria vita riesce a percepire il vangelo, la presenza del Signore come l’alimento definito che cerca, allora è disposo a tutto, a compiere qualsiasi taglio, qualsiasi rinuncia, ad orientare la propria vita. L’amore per Gesù deve arrivare al punto da fondare qualsiasi relazione, di reimpostare qualsiasi modalità d’esistenza, perché è l’amore fondante. Questa esigenza spiega anche quella successiva. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Di che croce sta parlando Gesù? Della scelta che un discepolo fa nel nome del Signore. Perché la scelta è una croce? La coerenza delle scelte fatte per amore del Signore, un amore gratuito che cerca la giustizia, l’uguaglianza, l’attenzione ai più poveri in un contesto che nega tutti questi valori provoca tensioni, sofferenze, croce. Non è che seguire il Signore voglia dire soffrire: tutt’altro. Uno segue il Signore perché sperimenta nella sua Parola una luce nuova mai vista prima, un balsamo di sollievo mai percepito prima, una pace interiore definitiva. E allora perché la sofferenza? La sofferenza non la porta il Signore, ma il mondo, che non accetta la bellezza della sua proposta, la semplicità, la sia beatitudine. Il mondo è invidioso della gioia che è la presenza del Signore, non sopporta la pace che vivono i suoi discepoli, odia la loro serenità, il loro modo di vivere gratuito e disinteressato. Per questo il mondo fa guerra ai discepoli e alle discepole del Signore. Del resto, lo stesso Gesù li aveva avvisati durante l’ultima cena quando disse loro: Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi hanno odiato me. Se foste del mondo il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia (Gv 15,18-19). Con la sua presenza Gesù ha smascherato il vuoto, il nulla della proposta del mondo, che offre una felicità effimera basata sulle cose, sul possesso, sullo sfruttamento dei più deboli. Una gioia che è tale solo per pochi. L’azione e la Parola di Gesù aprono le coscienze, sveglia le persone che si avvolgono dell’inganno subito e scoprano che la pace vera non dipende dalle cose, ma dall’amore che si ha e che la gioia non dipende dal potere, ma dal rendere felici gli altri, soprattutto i più poveri.

Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine?

Per imparare a stare nel mondo senza lasciarci affogare, incatenare dalle sue logiche, occorre dedicare del tempo per studiare la situazione, per capire dove sta l’inganno, per smascherare la struttura menzognera della proposta del mondo. Non solo. Occorre imparare a prendersi del tempo per riempire la nostra anima dell’amore del Signore, riempire i nostri polmoni della forza che viene dal suo Spirito. Come dice san Paolo: Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza Ef 6,10). È proprio questo quello che noi facciamo alla domenica: ci accostiamo all’altare del Signore per alimentarci della sua gioia, del suo amore, per abbeverarci della sua sete di giustizia e di uguaglianza. Ci avviciniamo a Lui perché solamente con Lui abbiamo il coraggio di vivere pienamente quello che ascoltiamo per riuscire ad infischiarcene se il mondo ci odia.

 

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