mercoledì 25 novembre 2020

VEGLIATE Prima domenica di Avvento/B

 



Paolo Cugini

 

L’anno liturgico si apre con la prima domenica di Avvento con un grido che, nel vangelo di oggi, viene ripetuto quattro volte: vegliate! È un grido quasi assordante perché viene ripetuto in modo insistente. Ed è il grido che Gesù ha rivolto ai sui discepoli e discepole prima della sua passione e morte narrate nel Vangelo di Marco. Grido che, come sappiamo, è rimasto inascoltato. Il Vangelo infatti ci ricorda che: “Gesù venne di nuovo e li trovò addormentati” (Mc 14, 40). C’è un sonno che dice di una pesantezza esistenziale, che rivela un modo superficiale di stare con il Signore. Per questo è importante riflettere sull’indicazione che oggi Gesù rivolge a noi: Vegliate! Che cosa significa, allora, questo grido e a chi è rivolto?

Ci aiuta nella riflessione il brano del profeta Isaia della prima lettura. C’è una possibilità di pensare di vivere senza Dio, d’impostare la propria esistenza come se Dio non esistesse. “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie?” (Is 63, 17). Sono le parole del profeta che testimoniano la situazione tragica di un popolo che, nell’esilio in Babilonia, senza la possibilità di accedere al Tempio, non riesce più a percepire la presenza di JHWH e, di conseguenza, si sente abbandonato. Come mai è potuto accadere questo? La risposta del profeta è chiarissima: “Nessuno invocava il Tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a Te” (Is 64,6). C’è stato un periodo in cui il popolo ha iniziato a dormire, in senso spirituale, ha cioè smesso di porre al centro della propria vita il Signore, la sua Parola e, così, lentamente, il cuore si è indurito: “Perché lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?” (Is 63, 17). L’indurimento del cuore come risultato della dimenticanza del Signore produce insensibilità nei confronti della sua proposta.

La liturgia pone questo testo all’inizio del nuovo anno liturgico per aiutarci a verificare se anche noi stiamo sperimentando l’insensibilità nei confronti del Signore, il cuore indurito, sintomo di una chiusura profonda nei suoi confronti. Per rimanere all’interno della metafora del vegliare, la situazione esistenziale e spirituale narrata nel brano di Isaia descrive la situazione opposta, vale a dire, il dormire. Nel senso spirituale del termine, dormiamo quando smettiamo di cercare il Signore, ci abituiamo a fare senza di Lui perché non ne sentiamo il bisogno, non ci svegliamo più alla mattina cercando il suo volto, ascoltando la sua parola. E così, lentamente, diveniamo facile preda della proposta egoistica del mondo che agisce sui sensi ma, soprattutto, agisce in coloro che smettono di pensare, di porsi le domande profonde della vita, smettono di curare la propria vita spirituale. Il vuoto interiore e la tiepidezza nei confronti di Dio sono il risultato di una vita fatta all’insegna della dimenticanza. Ci addormentiamo, quindi, quando smettiamo di pensare al Signore, di cercarlo con tutte le nostre forze, soprattutto nei momenti di maggior bisogno in cui, spesso, ci lasciamo prendere la mano dallo sconforto, basandoci sulle nostre forze, la nostra volontà, le nostre logiche. Vegliamo, invece, quando anticipiamo ogni giorno nella preghiera, quando ogni giorno ci alimentiamo della Parola che orienta la nostra vita, ci rivela il significato evangelico della realtà e, soprattutto, ci sforziamo durante la giornata di viverlo. Con il tempo, questo esercizio spirituale ed esistenziale ci rende pieni di Lui, ci sono gioia anche nelle situazioni tragiche. Gioia e pienezza sono alcuni dei doni che lo Spirito Santo elargisce a coloro che vivono del Signore.

Quali sono i doni che dovremmo augurarci di ricevere all’inizio dell’anno liturgico per rimanere svegli? Ce lo dice san Paolo nella seconda lettura di questa prima domenica di Avvento. Sono sostanzialmente due: “In Gesù Cristo siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza” (1 Cor 1,5). In primo luogo, quest’anno dovremmo augurarci di riscoprire il dono della Parola di Gesù, il suo Vangelo, che orienta la nostra vita, illumina il cammino, ci toglie dall’illusione di essere i padroni del nostro destino. Una Parola che è viva, perché il risorto è vivo in mezzo a noi e, con la forza del suo Spirito, ci aiuta a comprendere la realtà alla luce del Vangelo. In secondo luogo, in questo tempo di avvento chiediamo il dono della conoscenza. Non si tratta di una conoscenza che deriva dalle cose lette, ma dal vangelo vissuto. Aumentiamo nella conoscenza del Signore quando ci sforziamo di vivere durante la giornata la parola ascoltata alla mattina. È un processo lento, quotidiano, che lentamente forma in noi, come direbbe sempre san Paolo, il pensiero di Cristo, il suo modo di concepire il mondo, la storia, la vita. La conoscenza che si rafforza in noi vivendo il Vangelo ci libera dalle illusioni, dalle false religioni, dalle ipocrisie tipiche della persona religiosa. Questo tipo di conoscenza non si apprende sui libri, ma nel cammino personale della vita quotidiana, nelle scelte che facciamo, nel discernimento che cerchiamo alla luce del Vangelo.

La bellezza e il fascino della vita di fede sta nel fatto che, a differenza delle logiche del mondo, non siamo mai messi fuori gioco, ma sempre ci vien offerta un’occasione per riprendere il cammino. Non perdiamola.