Paolo
Cugini
L’anno liturgico si apre con la prima
domenica di Avvento con un grido che, nel vangelo di oggi, viene ripetuto
quattro volte: vegliate! È un grido quasi assordante perché viene ripetuto in
modo insistente. Ed è il grido che Gesù ha rivolto ai sui discepoli e discepole
prima della sua passione e morte narrate nel Vangelo di Marco. Grido che, come
sappiamo, è rimasto inascoltato. Il Vangelo infatti ci ricorda che: “Gesù
venne di nuovo e li trovò addormentati” (Mc 14, 40). C’è un sonno che dice
di una pesantezza esistenziale, che rivela un modo superficiale di stare con il
Signore. Per questo è importante riflettere sull’indicazione che oggi Gesù rivolge
a noi: Vegliate! Che cosa significa, allora, questo grido e a chi è rivolto?
Ci
aiuta nella riflessione il brano del profeta Isaia della prima lettura. C’è una
possibilità di pensare di vivere senza Dio, d’impostare la propria esistenza
come se Dio non esistesse. “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle
tue vie?” (Is 63, 17). Sono le parole del profeta che testimoniano la
situazione tragica di un popolo che, nell’esilio in Babilonia, senza la
possibilità di accedere al Tempio, non riesce più a percepire la presenza di
JHWH e, di conseguenza, si sente abbandonato. Come mai è potuto accadere
questo? La risposta del profeta è chiarissima: “Nessuno invocava il Tuo
nome, nessuno si risvegliava per stringersi a Te” (Is 64,6). C’è stato un periodo
in cui il popolo ha iniziato a dormire, in senso spirituale, ha cioè smesso di
porre al centro della propria vita il Signore, la sua Parola e, così,
lentamente, il cuore si è indurito: “Perché lasci indurire il nostro cuore,
così che non ti tema?” (Is 63, 17). L’indurimento del cuore come risultato
della dimenticanza del Signore produce insensibilità nei confronti della sua
proposta.
La liturgia pone questo testo all’inizio del nuovo
anno liturgico per aiutarci a verificare se anche noi stiamo sperimentando l’insensibilità
nei confronti del Signore, il cuore indurito, sintomo di una chiusura profonda
nei suoi confronti. Per rimanere all’interno della metafora del vegliare, la
situazione esistenziale e spirituale narrata nel brano di Isaia descrive la situazione
opposta, vale a dire, il dormire. Nel senso spirituale del termine, dormiamo
quando smettiamo di cercare il Signore, ci abituiamo a fare senza di Lui perché
non ne sentiamo il bisogno, non ci svegliamo più alla mattina cercando il suo
volto, ascoltando la sua parola. E così, lentamente, diveniamo facile preda
della proposta egoistica del mondo che agisce sui sensi ma, soprattutto, agisce
in coloro che smettono di pensare, di porsi le domande profonde della vita,
smettono di curare la propria vita spirituale. Il vuoto interiore e la
tiepidezza nei confronti di Dio sono il risultato di una vita fatta all’insegna
della dimenticanza. Ci addormentiamo, quindi, quando smettiamo di pensare al
Signore, di cercarlo con tutte le nostre forze, soprattutto nei momenti di
maggior bisogno in cui, spesso, ci lasciamo prendere la mano dallo sconforto,
basandoci sulle nostre forze, la nostra volontà, le nostre logiche. Vegliamo,
invece, quando anticipiamo ogni giorno nella preghiera, quando ogni giorno ci
alimentiamo della Parola che orienta la nostra vita, ci rivela il significato
evangelico della realtà e, soprattutto, ci sforziamo durante la giornata di
viverlo. Con il tempo, questo esercizio spirituale ed esistenziale ci rende pieni
di Lui, ci sono gioia anche nelle situazioni tragiche. Gioia e pienezza sono
alcuni dei doni che lo Spirito Santo elargisce a coloro che vivono del Signore.
Quali
sono i doni che dovremmo augurarci di ricevere all’inizio dell’anno liturgico
per rimanere svegli? Ce lo dice san Paolo nella seconda lettura di questa prima
domenica di Avvento. Sono sostanzialmente due: “In Gesù Cristo siete stati
arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza”
(1 Cor 1,5). In primo luogo, quest’anno dovremmo augurarci di riscoprire il
dono della Parola di Gesù, il suo Vangelo, che orienta la nostra vita, illumina
il cammino, ci toglie dall’illusione di essere i padroni del nostro destino.
Una Parola che è viva, perché il risorto è vivo in mezzo a noi e, con la forza
del suo Spirito, ci aiuta a comprendere la realtà alla luce del Vangelo. In
secondo luogo, in questo tempo di avvento chiediamo il dono della conoscenza.
Non si tratta di una conoscenza che deriva dalle cose lette, ma dal vangelo
vissuto. Aumentiamo nella conoscenza del Signore quando ci sforziamo di vivere
durante la giornata la parola ascoltata alla mattina. È un processo lento,
quotidiano, che lentamente forma in noi, come direbbe sempre san Paolo, il
pensiero di Cristo, il suo modo di concepire il mondo, la storia, la vita. La
conoscenza che si rafforza in noi vivendo il Vangelo ci libera dalle illusioni,
dalle false religioni, dalle ipocrisie tipiche della persona religiosa. Questo
tipo di conoscenza non si apprende sui libri, ma nel cammino personale della
vita quotidiana, nelle scelte che facciamo, nel discernimento che cerchiamo
alla luce del Vangelo.
La
bellezza e il fascino della vita di fede sta nel fatto che, a differenza delle
logiche del mondo, non siamo mai messi fuori gioco, ma sempre ci vien offerta
un’occasione per riprendere il cammino. Non perdiamola.