(Is
8,23b - 9,3; Sal 26; 1 Cor 1,10-13. 17; Mt 4,12-23)
Paolo
Cugini
Siamo
sempre in cammino alla ricerca della comprensione del Mistero. C’è un percorso
da compiere che facciamo fatica a realizzare. Il contesto culturale certamente
non aiuta in questo cammino. Siamo costantemente sollecitati da messaggi che ci
portano a valorizzare l’apparenza e, in questo modo, trascuriamo il cammino
interiore, la cura della coscienza. Sarebbe interessante capire se c’è un modo,
un punto di partenza privilegiato da cui partire per la comprensione del
Mistero che Gesù ha rivelato e che rende possibile la sequela?
si ritirò nella Galilea,
lasciò Nazareth e andò ad abitare a Cafarnao, sulla riva del mare, nel
territorio di Zabulon e di Neftali (Mt 4,12).
Bisogna
partire dalla Galilea. È qui il punto di partenza privilegiato, che apre la
mente al mistero. Mentre la Giudea ha una nobile discendenza – il nome infatti,
deriva da Giuda, uno dei Patriarchi – la Galilea non ha niente di nobile: tutt’altro.
Gli storici ci dicono che era una terra abitata da gente povera, violenta, mal
vista dagli altri. È questo luogo che Gesù scegli per iniziare il cammino e per
chiamare i primi discepoli. La scelta non è casuale. È possibile comprendere il
Mistero che si è manifestato in Gesù scegliendo il punto giusto di partenza. La
Galilea, uscendo dalla metafora, indica che per avere delle possibilità di comprendere
il Mistero occorre mettersi nelle condizioni di accogliere e, di conseguenza, occorre
cercare la povertà evangelica. Abitare nella Galilea, abitare la semplicità
evangelica per seguire il Maestro nell’esodo verso la pienezza di vita.
Spogliarsi per lasciarsi rivestire da Lui.
Galilea delle genti! Il
popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano
in regione e ombra di morte una luce è sorta.
Per
aiutare i lettori a comprendere il senso del cammino da intraprendere, l’evangelista
Matteo cita un brano di Isaia al capitolo 8, in cui si parla del contrasto tra
luce e tenebra. Di che tenebre si tratta? È un’immagine simbolica per parlare
della religione del tempio, che si era instaurata all’epoca del ritorno del
popolo dall’esilio in Babilonia e ricostruita attorno al secondo tempio. È una
religione che media il rapporto con Dio con una serie di precetti e prescrizioni,
con sacrifici cultuali che vedono protagonista non Dio, ma la classe
sacerdotale. Le tenebre sono costituite dalla schiavitù causata da questo
rapporto malato con Dio, che mantiene gli uomini e le donne in uno stato
infantile, sottomessi da una lista immensa di decreti e prescrizioni
impossibili da osservare e che, di conseguenza, creano i sensi di colpa e una
vita da schiavi. Gesù in mezzo a queste tenebre, porta la luce del Vangelo, un
cammino di liberazione dalla religione dei precetti, per impostare un rapporto
nuovo con Dio che, d’ora innanzi non è più un tiranno, ma un Padre.
Convertitevi,
perché il regno dei cieli è vicino. Per entrare nello
spazio dell’umanità nuova dell’amore e della giustizia portato da Gesù occorre
un percorso di conversione, un cambiamento di mentalità. È il nuovo Esodo
proposto da Gesù, il nuovo Mosè. Per questo il testo dice che Gesù andò a
Nazaret sulla riva del mare: è un’indicazione simbolica, che fa riferimento
al Mar Rosso, che segnò il momento di passaggio del popolo d’Israele dall’Egitto
verso Gerusalemme, dalla schiavitù alla liberazione. Cammino, dunque, non
facile, perché come ci ricorda sempre Gesù, il suo vino nuovo del Vangelo non
può essere contenuto negli otri vecchi della religione del tempio. Il cammino
di libertà proposto da Gesù esige persone disposte a lasciare la vecchia
mentalità per assumerne una nuova. La chiamata dei primi discepoli che abbiamo
ascoltato nella pagina di Vangelo di oggi, ha questo significato: chiamati per
entrare nello spazio dominato dall’amore del Signore, dalla sua giustizia e
misericordia.
Vi esorto, fratelli, per
il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare,
perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero
e di sentire (1 Cor 1,10).
Il
cammino che Gesù propone non è individuale, ma comunitario. È nella comunità,
infatti, che impariamo a volerci bene, che sperimentiamo il dono del perdono e
della misericordia. È sempre nella comunità che comprendiamo che Dio non fa
preferenze di persone (At 10,34) e che ci accompagna nello stile accogliente ed
inclusivo che è stata la proposta specifica di Gesù. Seguire Gesù significa, in
questa prospettiva, essere disposti ad abbandonare la mentalità
individualistica del merito, per entrare nella logica della comunione e della
condivisione. L’amore gratuito del Signore si può solo accogliere, non ha
bisogno di sacrifici speciali, di fioretti per essere conquistato. L’accoglienza
dell’amore gratuito del Signore genera comunità accoglienti, disinteressate, disponibili
al servizio tra i fratelli e le sorelle, pronte in ogni momento a ricucire le
divisioni che l’egoismo umano possono causare. Come lo stesso Gesù dirà nel
contesto dell’ultima cena narrata da Giovanni (Gv 13,34-35), la comunione, l’amore
reciproco, è il segno visibile della presenza del Signore Gesù, è la carta d’identità
dello stile della comunità che si ritrova nel nome del Signore. Rispondiamo,
allora, positivamente alla sua chiamata per metterci in cammino dietro di Lui,
disponibili ad accogliere il suo amore gratuito, per costruire assieme a Lui
quell’umanità nuova che rivela al mondo l’amore infinito del Padre.
Nessun commento:
Posta un commento