XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
SOLENNITÀ NOSTRO SIGNORE GESÚ CRISTO RE DELL'UNIVERSO
Ez
34,11-12.15-17; Sal 22; 1 Cor 15,20-26a.28; Mt 25,31-46
Paolo
Cugini
Il brano di Vangelo che la liturgia ci propone
oggi nella solennità di Cristo re dell’universo nell’anno liturgico A, è l’ultimo
discorso di Gesù che si trova nel Vangelo di Matteo prima della narrazione
della sua passione e morte. Si tratta, dunque, di un testo importane, che non a
caso ci viene proposto oggi a conclusione dell’anno liturgico, per aiutarci non
solo a verificare il cammino realizzato durante l’anno sia personalmente, che
nella comunità, ma anche a capire che tipo di Dio abbiamo servito. Le parole di
Gesù ci aiutano a riflettere anche, su che tipo di persone siamo diventate, che
umanità esprimono le nostre scelte, i nostri pensieri. Ascoltiamo, dunque, per
vivere come Lui ci dice.
Quando
il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà
sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli.
Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle
capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
La
scena iniziale della bellissima parabola di oggi, riprende più o meno
consapevolmente, una scena della parabola della zizzania ascoltata qualche mese
fa. Infatti, mentre in quest’ultima Gesù raccomandava i discepoli di non
togliere la zizzania dal campo di grano, per non correre il pericolo di strappare
il frumento, nel caso della narrazione di oggi, che narra simbolicamente il giudizio
finale, il primo atto è proprio una separazione. È interessante la coerenza
interna dei vangeli, che si richiamano continuamente e ci aiutano ad
approfondire il significato delle parole e delle narrazioni. Nel Vangelo di
Giovanni leggiamo che il Padre ha lasciato a Gesù il compito di giudicare: Il
Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio (Gv
5,22). Ciò significa che il tempo presente è il tempo in cui dobbiamo fare di
tutto per farci conoscere dal Figlio, per fare in modo che, nell’ultimo giorno,
non ci dica, come alle cinque vergini stolte di due domenica fa: non vi
conosco o, peggio ancora, al servo della parabola di domenica scorsa che,
invece di far fruttificare il talento ricevuto lo ha nascosto, sentirsi dire:
servo inutile. Il problema, allora, a questo punto consiste nel capire dove
incontrare Gesù per conoscerlo e farci conoscere da Lui.
perché
ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da
bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi
avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi".
È
molto interessante questo passaggio del Vangelo. Ci insegna, infatti, che alla
fine dei giorni saremo verificati non sulla relazione puramente religiosa con
Dio, che realizziamo nei sacrifici, nei riti, nelle celebrazioni, ma nella
relazione con i nostri fratelli e sorelle e, in modo particolare, i più poveri,
gli esclusi. La grande rivelazione del brano di oggi sta nel fatto che Gesù s’identifica
con gli affamati, gli assetati, gli stranieri, in altre parole, con gli invisibili
e gli esclusi di questo mondo. Per il cristiano che riceve lo Spirito del Signore
e si alimenta di Lui nell’eucaristia, il rito è in funzione dell’incontro del
Signore nei poveri. Come diceva sant’Agostino commentando il Vangelo di
Giovanni, il Vangelo è come un collirio che ci aiuta a vedere Gesù dove
umanamente non riusciremmo a vederlo e a riconoscerlo: nei poveri. Per i cristiani
l’attenzione ai poveri non è, dunque, un fatto sociale, ma molto di più: è un
dato sacramentale. È nell’attenzione ai poveri, agli esclusi, agli invisibili
del mondo, che manifestiamo il nostro desiderio di collaborare al progetto del
Signore, che è un progetto di uguaglianza e non accetta che ci sia qualche
figlio e figlia di Dio che venga umiliato nella sua dignità e somiglianza al
Padre.
Poi
dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: "Via, lontano da me,
maledetti, nel fuoco eterno. Il versetto richiama
Genesi, la maledizione su Caino (cfr. Gen 4,11). La maledizione è la scelta di
tutti coloro che non riconoscono nei poveri il volto del Signore, e li
umiliano, li escludono, li disprezzano. Tutti coloro che passano la vita
accumulando beni e denaro, stanno attirando la maledizione su di sé, perché diventano
collaboratori non del progetto di uguaglianza di Dio, ma del progetto di
iniquità che rende il mondo disuguale, costringendo miliardi di persone a
vivere senza dignità, in condizioni infami. La maledizione di chi disprezza i
poveri rivela lo sguardo di Dio su di noi, sulle nostre comunità cristiane, che
a volte si perdono dietro gli orpelli liturgici, perdendo di vista l’essenziale.
Ascoltare come andrà finire la nostra storia e su cosa saremo valutati, ci
aiuta a centrare meglio il nostro cammino di fede personale e comunitario e a
lavorare sull’essenziale.
Andrò
in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita, fascerò
quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le
pascerò con giustizia (Ez 34,16). Bellissima questa
immagine del profeta Ezechiele ascoltato nella prima lettura. Bella perché ci
dice che, in questo cammino di vita nuova e di riconoscimento del volto del
Signore nei poveri, non siamo soli: Lui stesso viene al nostro incontro.
Crediamo in un Dio che ci viene a cercare e lo fa con i poveri della terra, con
i volti che incontriamo nei crocicchi delle strade, con i tanti stranieri di
tante nazioni che vediamo ogni giorno. Lo fa anche con le persone omosessuali,
le lesbiche, i transessuali, che tanto disprezzo ricevano dai benpensanti, che
si sentono con la coscienza a posto per il fatto che hanno rispettato il
precetto della mesa dominicale. Lo fa con le tante donne maltrattate, abusate, fisicamente
e moralmente, che rivelano lo squallore di un mondo maschilista deformato dalla
cultura patriarcale. Vieni Signore al nostro incontro a salvarci dalla nostra
disumanità. Amen.