lunedì 31 ottobre 2022

GESU’ E LA SAMARITANA

 



VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 4


 

Appunti di Paolo Cugini

 

1-6: perché si dice che Gesù doveva attraversare la Samaria? Per un’esigenza apostolica. Tutte le volte che nei vangeli appare il verbo dovere, vuole indicare che c’è un volere divino che agisce nella storia.

Nella letteratura patriarcale il pozzo è a volte unito all’idea di fidanzamento. Abramo trovò Rebecca presso un pozzo; Anche Mosè trovò Zippora presso un pozzo (Es 2,16s). Già due volte Gesù viene indicato con l’immagine dello sposo (2,11; 3,29-30). Gesù è lo sposo seduto ad un pozzo che si incontrerà con una donna che rappresenta un popolo.

7-8: cibo e acqua. Gesù incontra la Samaritana.

9-15: la donna evidenzia le differenze di popoli e il dialogo sembra partire in salita. Gesù, però, sposta il discorso su un altro tipo di acqua. All’inizio emerge un’altra differenza: la donna è in grado di abbeverarsi da sola all’acqua del pozzo, mentre Gesù no, non ha uno strumento per attingere al pozzo. Il dono dell’acqua che Gesù può offrire è legato alla conoscenza di Lui.

Gesù risponde alla domanda della donna comparando i due tipi di acqua: la prima disseta solo parzialmente, mentre quella che Gesù può offrire zampilla per la vita eterna, e cioè mette in comunione con la vita che viene da Dio. Il problema è che quest’acqua per averla è necessaria una condizione: conoscere Gesù e accoglierlo come il rivelatore di Dio. Solo allora Gesù potrà dare la possibilità di rinascere dall’alto, dall’acqua e dallo Spirito.

Anche per la Samaritana, come prima per Nicodemo, le parole di Gesù suonano strane. Egli, infatti, sposta sempre il discorso al livello spirituale, che fonda anche il discorso materiale. Per seguirlo e comprenderlo, occorre fare un passo, cambiare registro.

In questa prima parte del dialogo la distanza tra giudei e samaritani è rimasta inalterata, perché non c’è stata comprensione dei contenuti condivisi. Ecco perché Gesù rilancia il dialogo, anche tenendo conto del “doveva” iniziale: doveva passare per la Samaria.

16-19: In questa nuova fase del dialogo, Gesù obbliga la Samaritana ad essere vera con se stessa, a collocarsi di fronte a lui nella verità, la mette in situazione di scelta e la donna sceglie di essere vera.

Questo aspetto è importante. Chi, infatti, sceglie la verità riconoscendo la sua reale situazione di mancanza e di fragilità, si rende capace di aprirsi ulteriormente alla verità, di andare oltre le materiali parole di Gesù e di iniziare a riconoscere colui che parla: tu sei un profeta. Con questo suo riconoscimento la donna è ora disponibile ad aprirsi sempre di più al dono di Dio.

Dal punto di vista simbolico la donna, in realtà, rappresenta l’umanità pagana che è senza sposo, l’umanità che non riesce ad assetarsi e passa da un marito all’altro, da un dio all’altro, da una verità all’altra. Ora la donna, grazie al cammino di apertura alla verità che ha compiuto, è in grado di andare incontro vero con lo sposo.

20-26: viene ripreso il contrasto Samaritani e Giudei. Qui il campo di discussione è la religione. I Giudei avevano distrutto nel 128 a. C. il tempio che i Samaritani avevano costruito sul monte Garizim e, nonostante ciò, continuavano ad adorare Dio su quel monte; mentre i giudei adoravano Dio nel tempio di Gerusalemme. Gesù, nella risposta, supera questa contrapposizione e non parla a favore di nessuna delle due posizioni. Gesù supera le contrapposizioni dei luoghi di culto, perché il vero contrasto si colloca sul piano della conoscenza. Dio continua a camminare con il suo popolo nella storia e a rivelarsi per mezzo dei profeti. Diversamente da come pensano i Samaritani, la rivelazione di Dio non si è limitata a Mosè e non è contenuta solo nel Pentateuco. La contrapposizione viene superata perché i veri adoratori del Padre sono quelli che l’adorano in Spirito e Verità.

Solo chi è generato da Dio per aver accolto il Figlio Gesù e averlo riconosciuto come il divino rivelatore può adorare il Padre in Spirito e Verità. Il Figlio è l’unico luogo vero d’incontro con il Padre. Ogni privilegio di razza, nazionalità o sesso è annullato dall’affermazione di Gesù.

26: Gesù si rivela alla Samaritana e chi l’accoglie deve annunziarlo. È proprio questo che farà la Samaritana.

27-42: l’Annunzio ai Samaritani

27-30: introduzione. Ci sono due eventi contemporanei introdotti da una duplice informazione. Reazione dei samaritani all’annuncio della donna; la reazione di Gesù allo stupore dei discepoli.

La donna si comporta come avevano fatto Andrea e Filippo. La donna vuole che siano i suoi concittadini a dare una risposta definitiva sull’identità dell’uomo Gesù.

31-38: due acque sono state messe a confronto ed ora due cibi. C’è quello materiale offerto si discepoli e ce n’è un altro che non conoscono. Mentre la donna dialoga con Gesù, i discepoli, invece, dialogano tra loro. Non prende l’acqua della Samaritana e non prende il cibo dei discepoli, perché suo cibo è fare la volontà del Padre. La volontà del Padre è che i Samaritani non periscano ma abbiano la vita eterna e siano salvati per mezzo di Lui (3,16-17).

Gesù gioisce perché l’opera che il Padre gli ha affidato si sta compiendo. I Samaritano lo accoglieranno, crederanno in Lui, si salveranno per mezzo di Lui.

37-38: l’esperienza ecclesiale si sovrappone all’esperienza di Gesù. La volontà del Padre per Gesù è la salvezza di tutti.

39-42: ogni contrapposizione scompare. I Samaritani passano da una fede testimoniata da una donna alla fede alimentata dall’incontro con il Signore. 

43-54: la Samaria è per l’evangelista apertura sul mondo della missione di Gesù. L’accoglienza dei samaritani è segno dell’accoglienza di tutta l’umanità. Un bambino riceve di nuovo la vita, rivive. Nella dinamica del Vangelo questo è segno che Gesù può davvero donare la vita eterna, la vita definitiva a chi crede in lui. La maggioranza non accoglie la Parola di Gesù, ma alcuni l’accolgono e si aprono al dono di Dio. È una verità che vale in modo particolare per Israele, ma anche per il mondo intero (3,16-21). Gesù è venuto perché tutti abbiano vita eterna, quella vita che ha il carattere della definitività. Tutto ciò si realizza quando verrà l’ora di Gesù. 

giovedì 27 ottobre 2022

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 3

 



GESU’ E NICODEMO

 

Appunti di don Paolo Cugini

 

1-10: Nicodemo è un fariseo, un meticoloso osservante della legge ed è uno che insegna quello che Mosè ha detto: tu sei il maestro d’Israele (v.10). è anche un capo dei giudei.

Sappiamo: Nicodemo si presenta come rappresentante dei Giudei e porta a Gesù la conclusione di una riflessione che i Giudei hanno fatto sulla sua identità. Per loro è chiaro che Gesù è un maestro venuto da Dio e che Dio è con lui, per i segni che Gesù ha fatto.

Egli venne di notte: varie interpretazioni. Nicodemo va di notte per non farsi vedere. È più probabile l’interpretazione che sostiene che la notte indica lo stato di confusione in cui si trovava Nicodemo. Si tratta, dunque, della notte dell’anima, quello stato confusionale provocato dalla messa in discussione delle proprie certezze da colui che compie segni che dicono della sua provenienza divina, ma che vive la relazione con la legge mosaica, in modo libero.

Se uno non nasce dall’alto non può vedere il regno di Dio: è un’espressione simile a quella che si trova nei sinottici: se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18,3). L’uomo deve radicalmente cambiare e questa trasformazione equivale ad una rinascita, ad un nascere di nuovo, una rinascita, è qualcosa che non dipende da noi, ma dono di Dio che possiamo solo accogliere. Come fariseo Nicodemo fa fatica a cogliere l’idea del concetto di dono, non solo perché è vecchio, ma proprio per l’impostazione religiosa da cui proviene. Il fariseo, infatti, vive il rapporto con Dio nella logica del merito, per cui la salvezza è qualcosa che si ottiene mediante i propri sforzi.

Se uno non nasce dall’acqua e dallo Spirito: l’uomo carnale non è atto al regno, solo l’uomo che nasce dallo Spirito riceve da Dio la possibilità di divenire figlio di Dio.

Ignori queste cose? Il maestro d’Israele che sempre aveva tra le mani le scritture, preoccupato della morale, di meritare la salvezza, ignorava l’gire libero di Dio mediante lo Spirito. Di ciò ne parlano i profeti (Ez 37), che annunziano che Dio mediante lo Spirito trasforma le ossa in esseri viventi (cfr. Ez 36, 25-27). Per Gesù lo Spirito fa qualcosa di più: trasforma l’uomo in modo radicale, lo fa rinascere, lo fa diventare figlio di Dio (1,12). È di questo dono che l’uomo ha bisogno.

11-15: i giudei non credono alla parola e alla testimonianza di Gesù, anche ora che parla di cose terrene. Gesù è l’unico e definitivo rivelatore delle cose celesti, così come ci testimonia anche il prologo (1,18). Nessuno è mai salito al cielo: né Mosè, né tanto meno il leggendario Enoc. In cielo c’è stato e continua ad esserci solamente il Figlio, colui che si è fatto uomo e che per questo ama definirsi Figlio dell’uomo (1,51; 3,13). Colui che è disceso dal cielo può dare testimonianza delle cose celesti, cioè di quel che sa e ha visto (3,11). Gesù è il definitivo rivelatore del definitivo progetto del Padre sugli uomini.

Come crederete? Gesù presagisce il rifiuto e per la seconda volta (2,19) annuncia la sua passione.

16-21: molti studiosi sostengono che questi versetti costituiscano una riflessione pasquale dell’evangelista.

Tanto Dio ha amato il mondo: è un atto di contemplazione. Si tratta di un amore che si fa dono, perché si concretizza nel donare il proprio Figlio.

17: è un versetto fondamentale perché descrive il progetto del Padre, che è un progetto di salvezza per tutti per mezzo del Figlio. È Lui che dobbiamo conoscere ed annunciare, perché è il suo Vangelo che contiene il cammino della salvezza. Non è venuto per condannare il mondo, ma per salvarlo. Il compito che Dio affida al Figlio è quello di evitare che il mondo perisca, far sì che abbia la vita eterna, salvarlo.

Vita eterna: è la sola vita vera perché possiede il carattere della definitività. Chi la possiede, anche se materialmente muore, in realtà non perisce: continua a vivere la vita di Dio che è in lui.

Dare la vita, salvare. È il compito che Dio ha affidato al Figlio. Come lo realizzerà? Presentandosi come luce, come colui che illumina gli uomini rivelando loro il disegno del Padre e la reale loro situazione. Il cammino della salvezza per ogni uomo e donna passa attraverso la fede nel Figlio unigenito di Dio (3,16-18). Solo colui che accoglie il Figlio possiede fin da ora la vera e definitiva vita. È condannato, invece, colui che non crede nel Figlio. La vera fede è l’adesione alla persona di Gesù, è accogliere la sua parola.

Gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce: fa la verità chi riconosce la sua situazione di peccato illuminata dalla luce della Parola, che viene accolta con fede. Tutto è definito dal rapporto con la Parola di Gesù, che è la luce definitiva del Padre.

 

Nella regione dei giudei

22-26: mentre i sinottici fanno iniziare il ministero pubblico di Gesù in Galilea, Gv sostiene che ci fu in Giudea un periodo di contemporaneità e di somiglianza tra il ministero di Gesù e quello del Battista. In 4,2 si preciserà che non era Gesù che battezzava, ma i suoi discepoli. Anche questo battesimo è di purificazione, vale a dire che non si era ancora realizzata la profezia del Battista che il messia avrebbe battezzato in Spirito Santo. Infatti, in 7,39 si dice che i credenti non hanno ancora ricevuto lo Spirito Santo. Questo è il motivo per cui sorge un dissidio e la preoccupazione dei discepoli del Battista.

27-30: il Battista è consapevole della sua missione, di essere colui che annuncia il messia ed è felice che questo si sai realizzato. Ogni missione si riceve da Dio e può avere i suoi limiti. Il Battista è contento che tutti stanno andando da Gesù. Il Battista paragona Gesù allo sposo, utilizzando, in questo modo, il linguaggio dei profeti sul futuro messia.

È lui che deve crescere: è l’inizio ufficiale della missione di Gesù.

31-36: è l’evangelista che qui parla e riflette sulla trascendenza di Gesù. Il Figlio appare rivestito di ogni potere e dotato della pienezza dello Spirito ed è quindi qualificato per il suo compito messianico. Egli, venendo dal cielo, può dare testimonianza di ciò che ha visto e comunicarci le parole di Dio. Il Figlio si presenta come l’unico Salvatore. 


mercoledì 26 ottobre 2022

SALI' SU UN SICOMORO

 




XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Lc 19,1-10

 

Paolo Cugini

 

Nei vangeli delle ultime domeniche abbiamo visto che nella comunità di Gesù, nella prospettiva che Lui sta presentando, ci sono due categorie di persone che sembrano non trovare posto: i ricchi e i pubblicani. I ricchi a causa della loro avarizia, che non permette loro di condividere, che è uno dei capisaldi della comunità di Gesù; i pubblicani perché ladri, traditori e, di conseguenza, in una situazione sociale che li rendeva impuri, distanti dalle condizioni del Regno di Dio. Lo stesso Gesù, dinanzi alle perplessità che le sue parole avevano causato nei discepoli, afferma che nulla è impossibile a Dio e che, di conseguenza, non esistono casi di separati, casi per i quali non ci sia soluzione. Del resto, è difficile pensare ad una proposta inclusiva e misericordiosa com’è quella di Gesù e poi vedere alcune persone lasciate fuori. Il Vangelo di oggi viene incontro alle nostre perplessità attraverso un personaggio che racchiude in sé le due caratteristiche in questione. Zaccheo, infatti, è un uomo ricco ed è un pubblicano, anzi, il capo dei pubblicani, è quindi il prototipo di coloro che non potrebbero fare parte della comunità. Come si comporta Gesù nei suoi confronti?

Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là.

Ci sono alcuni dati che il Vangelo di Luca ci offre narrando l’evento dell’incontro di Gesù con Zaccheo, che possono e, a mio avviso, esigono di essere letti in chiave spirituale. Zaccheo è un uomo che desidera vedere Gesù. Quest’affermazione richiama alla memoria i brani che narrano la chiamata dei primi discepoli, fatta di persone in ricerca e che desiderano vedere il Signore. Zaccheo ricorda la corsa che Andrea fece per comunicare a suo fratello Pietro: abbiamo visto il Signore! (Gv 1,). È vero che Zaccheo è ricco e pubblicano, ma non è un uomo qualunque, è un uomo in ricerca. Non riesce a vedere Gesù perché era in mezzo alla folla: altra indicazione spirituale importante. Fino a quando rimaniamo nella folla non riusciamo a vedere il Signore, perché esige una relazione personale, che proviene da un cammino personale. Zaccheo per raggiungere il suo obiettivo sale su un sicomoro che, letto in una prospettiva religiosa, significa il cammino che offre la religione del tempio, la logica del merito, un cammino dal basso all’alto, che pretende di vedere Dio con i propri sforzi umani.

Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia.

Gesù fa compire a Zaccheo il cammino inverso: dall’alto verso il basso. Dio nel suo Figlio Gesù, è venuto a visitare il suo popolo, è venuto in mezzo a noi, si è abbassato per entrare in relazione con noi, per conoscerci, per venire a casa nostra. Non c’è più in Gesù Cristo nessuna distanza sacrale, ma prossimità, relazione di amicizia e di comunione. Questo è un dato meraviglioso che il Vangelo ci comunica e, comunicandocelo ci libera dalla falsa religione degli uomini, fatta di precetti e di prescrizioni che ci schiavizzano e ci rendono la vita triste. Zaccheo, invece, incontrando il Signore è pieno di gioia.

Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».

È la mormorazione di coloro che sono ancora ingabbiati dalla religione degli uomini, fatta di schemi che dividono il sacro dal profano, il puro dall’impuro, incapaci quindi, di vedere e gioire della grande novità portata dal Signore. Con Lui entrato nella storia tutto è puro, tutto è sacro. La mormorazione di tutti manifesta il giudizio di coloro che sono imprigionati nelle maglie strette della religione e non riescono a vedere la novità portata da Gesù e dalla fede in Lui alimentata dal Vangelo.

«Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».

Nella relazione personale con Gesù, in casa e lontano dalla folla, emerge il cammino di conversione compiuto da Zaccheo. Non è più un uomo ricco, ma un uomo che condivide i suoi beni e quindi idoneo a far parte della comunità dei discepoli e discepole del Signore. Non è più un pubblicano, perché restituisce i soldi rubati: è un uomo nuovo. Gesù non si lascia imprigionare dai giudizi umani, ma guarda il cuore delle persone.

Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo, infatti, è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

In queste parole di Gesù c’è tutto il progetto del Padre che non vuole che nessuno si perda e, per questo, fa di tutto per raccogliere i suoi figli e le sue figlie dispersi. Non c’è un giudizio negativo su nessuno, perché il suo sguardo va al di là degli errori commessi da una persona che, agli occhi del Signore non sono mai definitivi ma, per tutti c’è una possibilità di salvezza. Entriamo in chiesa alla domenica per alimentarci del Signore affinché ci aiuti ad avere il suo sguardo benevolo sul mondo, ci aiuti a non giudicare nessuno, a non dare per perso nessuno, ma, come Lui, ad essere misericordiosi, ad offrire un cammino di salvezza per tutti e tutte. 


IL DIO DEI VIVENTI

 



XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Lc 20,27-38

Paolo Cugini

 

 

C’è una sensazione che ci accompagna, soprattutto nei momenti importanti della nostra vita, quelli segnati da relazioni di amicizia, di amore, ma anche quei momenti in cui portiamo a frutto progetti importanti, frutto della nostra intraprendenza, delle nostre scelte. È la sensazione che la morte non può essere l’ultima parola; è la percezione che quello che viviamo con intensità continua e che non possiamo essere nati così a caso. L’idea di una vita dopo la morte matura lentamente nella riflessione biblica. Per secoli si pensava che il premio di una vita conforme ai disegni di Dio fosse una vita lunga. Per questo motivo, il dolore e la malattia erano interpretati come punizione, come la risposta di Dio ai nostri peccati. Già a partire dal terzo secolo a. C. appare nella letteratura sapienziale l’idea della resurrezione della carne, che rappresenta una grande novità nel panorama culturale dell’epoca. La filosofia greca, che è senza dubbio la forma più elevata della cultura occidentale, non era mai giunta ad ipotizzare la resurrezione della carne, anche perché la sua proposta era la reincarnazione, che nasce da una visione negativa del corpo come prigione dell’anima. Questa idea della resurrezione arriva sino al tempo di Gesù, ma non tutti l’appoggiavano. Da una parte vi erano i farisei che credevano nella resurrezione, mentre dall’altra c’erano i sadducei che, rifiutando i testi dei profeti e i libri sapienziali, considerando autentici solo i libri del Pentateuco, non prestavano fede alle intuizioni dei libri dei Maccabei che abbiamo ascoltato nella prima lettura e che costituiscono la testimonianza più profonda del mistero della resurrezione.

Il brano di Vangelo di oggi s’inserisce in questo dibattito importante tra scuole teologiche, se così possiamo dire. Da una parte i farisei, con i quali Gesù ha polemizzato nell’episodio ascoltato domenica scorsa, dall’altra i sadducei con i quali Gesù entra in polemica proprio nel brano ascoltato.

 

La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».

Nella storia narrata dai sadducei si coglie molto bene l’intento di screditare Gesù davanti alla folla ridicolizzando la credenza nella resurrezione. Questo è un problema significativo, che può interessare anche una comunità. Quando entriamo in contatto con una realtà nuova, che non conosciamo e che non volgiamo affrontare, rischiamo di fare come i sadducei. Gesù non solo sta al gioco, ma approfondisce il discorso, offrendo in questo modo un materiale che obbliga per così dire, gli interlocutori a riflettere sulle proprie presunte sicurezze. Viene posta dai sadducei il problema della donna nel matrimonio. La donna, come sappiamo, nella cultura semitica fortemente segnata dalla cultura patriarcale, ha valore solo in quanto capace di procreare. Nel matrimonio, in questa prospettiva, non c’è affetto né tanto meno amore, ma c’è solo la preoccupazione di dare continuità del nome del padre e, di conseguenza, c’è solo l’attenzione alla funzionalità biologica della donna. Ecco perché la donna sterile era vista in modo fortemente negativo, come se pesasse su di lei una maledizione.

Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.

 

La risposta di Gesù ha due passaggi significativi. Nel primo Gesù colloca il discorso nell’ambito delle conoscenze biologiche e teologiche del tempo, che vedeva il matrimonio solo dal punto di vista della generazione, della possibilità dell’uomo di dare continuità al proprio ceppo famigliare. Dal punto di vista teologico Gesù sposta l’accento dalla prospettiva terrena a quella celeste perché i risorti essendo come angeli, non sono più figli di qualcuno, ma di Dio e, di conseguenza, non si pone più la questione del matrimonio. Il corpo delle persone risorte essendo come quello degli angeli, non ha una vita sessuale fatta di desiderio, di carenza e, di conseguenza non si pone più il problema del matrimonio, della procreazione, tutti temi legati alla vita corporale.

Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: "Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe". Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Queste parole di Gesù devono avere fatto davvero male ai sadducei, perché Gesù non cita un testo profetico o sapienziale, che i sadducei non riconoscono, ma per avvalorare l’idea della resurrezione, gioca nel campo dei sadducei citando un testo famosissimo del Pentateuco, vale a dire, la rivelazione del nome di Dio nel capitolo tre del libro dell’Esodo. Abramo, Isacco e Giacobbe avendo avuto figli da mogli sterili sono la dimostrazione dell’intervento di Dio nella storia, a favore della vita degli uomini e delle donne, che continua anche dopo la morte. Gesù insegna ai sadducei che già nei testi del Pentateuco era racchiuso e celato il mistero della resurrezione, che indicando il cammino di Dio amante della vita, manifesta il suo progetto che nulla andrà perduto, perché tutto sarà trasformato. È proprio una trasformazione, infatti, che avviene nella resurrezione, come del resto ci ricorda san Paolo: “il corpo si semina corruttibile risorge incorruttibile” (1 Cor 15,42s). La fede in Dio è la fede nel Signore della vita, che non permette che nulla di ciò che ha creato vada perduto. Se questo vale in generale, molto di più per i suoi figli e figlie. 

martedì 25 ottobre 2022

IL GRANELLO DI SENAPE

 



In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami (Lc 13,18s).

Parabola profondissima che sposta l’attenzione dall’esterno all’interno. Imparare a non cercare la grandezza esterna, a non preoccuparsi dell’apparenza. Il Regno dei cieli, la proposta di vita di Gesù percorre altre strade rispetto a quelle del mondo. Gesù conduce un’esistenza terrena in cui è chiarissimo che non cerca un’affermazione mondana, che passa attraverso l’approvazione dei potenti, la ricerca di ruoli sociali significativi. Il senso della sua breve vita pubblica, che è durata tre anni, è tutta realizzato al di fuori dei riflettori, molto distante dalle stanze dei bottoni, alla ricerca dei più poveri, dei reietti della società. Gesù ha cercato e vissuto la piccolezza del Regno, con una vita socialmente e politicamente di basso profilo e, di conseguenza, ha inciso nella società in un modo diverso, non dall’esterno, ma dall’interno, non cercando visibilità e approvazione esterna, ma cercando di liberare le persone dalla schiavitù dell’apparenza.

Non è facile il cammino che Gesù propone, ma è senza dubbio liberante. È un cammino che richiede un costante lavoro su se stesso, un contatto costante con la propria coscienza, che permette di respingere le seduzioni esterne, le scorciatoie esistenziali che, in realtà, ci fanno perdere tempo e, se non si è attenti e vigili, possono farci perdere per sempre. Cammino interiore non come fuga, ma come possibilità reale di mantenere un contatto con la nostra identità, cercando di valorizzare al massimo le esperienze del vissuto quotidiano. Gesù paragona il regno dei cieli, il suo stile di vita, ad un granello di senapa: è questa la grande novità della sua proposta. È un invito ad uscire dalla stressante seduzione dell’apparenza, della ricerca continua dell’approvazione del mondo e, soprattutto, dall’idea che per essere ci sia bisogno del contare qualcosa nel palazzo dei bottoni.

Si vive meglio e in modo più incisivo percorrendo un'altra strada, curando la qualità delle relazioni umane, iniziando la giornata curando la propria anima, mettendola sotto lo sguardo della Parola, nel silenzio della notte.

 

martedì 18 ottobre 2022

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 2

 




 

Appunti di Paolo Cugini

 

2,1-12: le nozze di Cana

Tre giorni dopo: due giorni dopo i quattro precedenti. Ci troviamo quindi, al sesto giorno, quello in cui fu creato l’uomo. La presenza di Gesù è l’ora, l’adesso in cui si passa dal sesto al settimo giorno.

Ci fu uno sposalizio: le nozze sono l’immagine più bella dell’alleanza tra Dio e il suo popolo.

Nella Bibbia l’unione sponsale è il simbolo più alto dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. Essa stabilisce tra i due un rapporto di interesse e di cura, complicità e appartenenza, con sentimenti di tenerezza e unione.

Cana: qanàh- acquistare. Allusione al popolo che Dio si è acquistato (cfr. Es 15,16).

Maria, in quanto madre, rappresenta il popolo di Dio dalla cui carne viene il messia. Maria appare qui e ai piedi della croce.

Vino: è l’immagine dell’amore tra sposo e sposa, tra creatore e creatura in cui si compie la creazione e l’uomo passa dal sesto al settimo giorno.

Donna: Gesù chiama la madre donna, che significa sposa.

Ciò che vi dirà fatelo: la madre e i servi rappresentano il popolo che è disposto a mantenere l’alleanza. Gesù è il profeta del quale Mosè ha detto: a lui darete ascolto (Dt 18,15). E poi: il re disse a Giuseppe: ciò che vi dirà fatelo (Gen 41,55), procurerà il pane a tutti; Gesù è il nuovo Giuseppe che procurerà il vino a tutti.

Il racconto sottolinea la gratuità e la grandezza del dono. Interessante: non si nomina la sposa; lo sposo appare indirettamente solo alla fine.

Nozze: alleanza tra Dio e il popolo

Vino che viene a mancare: l’amore dell’uomo che viene meno

Sei Giara di pietra per la purificazione che sono vuote: alludono alla legge non compiuta. Sei: allusione ai giorni della creazione. Gesù non è venuto ad abolire, ma a compiere l’alleanza (M7 5,17).

Riempite le giare: le giare erano vuote, come l’attesa del messia, come il comando dell’amore rimasto incompiuto, come la sposa senza lo sposo.

È adesso che si attinge.

Maestro di tavola: rappresenta Israele e i suoi maestri e intenditori della promessa.

Acqua: elemento primo della creazione. Vino bello, è segno del battesimo nello Spirito e manifestazione del Signore.

Il brano è il principio dei segni, ed è quindi una chiave di lettura per il contenuto della prima parte del Vangelo.

Riflessione: Dal racconto emerge la continuità dell’unica alleanza, insieme antica e nuova, come il comando dell’amore (1 Gv 2,7s. si attinge infatti, il vino bello del Vangelo dalle giare di pietra simbolo della legge mosaica. Quest’unica alleanza ha valore universale. Il vino, infatti, viene dall’acqua, elemento primordiale della creazione e fa la sua prima apparizione con Noè dopo il diluvio, e il rinnovo dell’alleanza cosmica (cfr. Gen 9,20).

Il dramma di Israele, erede della promessa e popolo dell’attesa, è lo stesso di ogni uomo: la mancanza di vino. Dov’è l’amore, la gioia e la vita di cui siamo fatti e di cui ci sentiamo defraudati? Con Gesù, Parola diventata carne, ognuno può gustare il vino offerto in abbondanza. Con lui si realizza la benedizione promessa ad Abramo e, in lui, tutte le genti (cf. Gen 12,2). Con questo segno Gesù non ha guarito qualcuno da una malattia, come farà altrove; ci ha semplicemente salvati da quel male sottile che distrugge la nostra umanità: la mancanza di vino, l’assenza di amore e di gioia.

 

13-25: la purificazione del tempio

È un gesto profetico in due sensi. Il primo, è sulla linea dei profeti sempre critici verso le istituzioni. In secondo luogo, è un gesto profetico sulla linea del profeta geremia, che anticipa simbolicamente la missione di Gesù.

Gesù parla di distruzione e ricostruzione: il vero santuario sarà il suo corpo, ucciso e risorto, dove si adora il Padre in Spirito e verità (4,24). Il tempio sarà distrutto, ma non da Gesù, ma dai capi, che distruggeranno il corpo di Gesù per mantenere il potere. Questa visita di Gesù al tempio mette in crisi la nostra idea di Dio e di uomo. Il tempio è identificato con il corpo di Gesù. La carne della parola è ormai tenda di Dio in mezzo a noi. In Gesù il tempio raggiunge la realtà di cui è segno: è cielo aperto sulla terra, visione della gloria e vita dell’uomo. 

lunedì 17 ottobre 2022

CHI SI ESALTA SARA' UMILIATO

 


XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - C

Lc 18,9-14

Paolo Cugini

 

 

Gesù nei vangeli non invita mai gli ascoltatori ad essere santi come Dio, ma ad essere compassionevoli come il Padre. Chi vuole portare gli uomini verso Dio inevitabilmente lascia indietro qualcuno, perché la logica del merito premia chi ha mezzi e capacità, mentre i più deboli rimangono indietro. Gesù ha fatto qualcosa di diverso, ha portato Dio verso gli uomini e le donne e, in questo modo, ha permesso che tutti e tutte potessero aver accesso al Padre. Mentre nella scalata verso di Dio quello che conta sono i meriti personali che di conseguenza, lasciano fuori i più fragili, nel cammino che ha compiuto Gesù quello che conta è il suo dono d’amore, che richiede solo di essere accolto gratuitamente. Quello che ci ha mostrato Gesù è un Dio che ama le persone non nonostante i loro peccati, ma proprio per questo li ama. Questo è l’aspetto sconvolgente del messaggio di Gesù, che ancora oggi rimane incompreso, proprio perché scardina completamente la struttura dell’impostazione religiosa.

Nella parabola che Gesù racconta nel vangelo di oggi vengono messi in contrapposizione e, quindi, agli antipodi due figure. Da una parte il fariseo e dall’altra un pubblicano. Fariseo è l’uomo che si separa dagli altri (la parola fariseo significa separato) attraverso la pratica religiosa. Dall’altra il pubblicano, un peccatore ritenuto una persona impura che anche se volesse non potrebbe più cambiare mestiere. Osservando le due preghiere dei due personaggi in questione si viene in contatto con due tipi di spiritualità completamente diversi. Il contenuto della preghiera del fariseo è quella di un uomo pieno di sé, dei suoi meriti, dei risultati raggiunti: Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Lo sforzo di raggiungere la santità come frutto personale dei propri meriti, chiude il fariseo in se stesso, al punto da non vedere attorno a sé dei fratelli e delle sorelle. Il fariseo vede negli altri solamente il negativo, perché il metro di paragone non è l’amore di Dio, ma sé stesso, i propri meriti e risultati. Il fariseo è un uomo che ce la metta tutta per raggiungere Dio: digiuna due volte alla settimana. In realtà, il digiuno obbligatoria era una volta all’anno; ebbene il fariseo esagera, perché digiuna due volte non all’anno ma a settimana: vuole proprio arrivare primo in paradiso! Anche per la decima è la stessa cosa, in quanto non paga solo quello che è prescritto, ma anche per tutto quello che possiede. Eppure Dio non aveva mai chiesto delle regole così dure. Gli stessi profeti ci ricordano che è necessario imparare che Dio vuole misericordia più che sacrifici. Come mai allora il fariseo prende questa tangente della perfezione religiosa a tutti i costi? È il cammino della religione che fa leva sull’orgoglio umano e, di conseguenza, Dio diviene uno strumento non per un cammino di conversione, ma di affermazione personale.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Il pubblicano è la persona che non ha nulla da presentare se non la sua condizione di peccatore di miseria che mette con umiltà dinanzi al Signore. Da una parte, dunque, i meriti e dall’altra il bisogno; da una parte l’orgoglio, la supponenza, mentre dall’altra l’umiltà. Nei salmi troviamo molti passi che ci dicono che Dio ama il cuore umile, perché permette l’entrata di Dio e del suo amore. La stessa Maria nel canto del Magnificat ci ricorda che Dio: ha guardato l’umiltà della sua serva. La sentenza di Gesù è sconvolgente: Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato. Perché i farisei con tutta la sua religiosità non vengono giustificati da Dio, mentre il pubblicano pieno di peccati sì? Non si tratta forse di un’ingiustizia e anche, in apparenza, di un incitamento al peccato? Sono domande lecite visto il paradosso delle affermazioni fatte da Gesù. La risposta l’abbiamo nella frase iniziale del vangelo di oggi in cui Lc ricorda il motivo della parabola raccontata da Gesù: Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. Quando la religione diventa cammino di presunzione al punto di giungere a giudicare in modo spregevole gli altri, vuole dire che c’è qualcosa che non va, che in realtà più che religione si tratta di paganesimo, di idolatria. Questo è il senso della parabola paradossale di Gesù: il pubblicano disprezzato diventa giusto mentre il fariseo no. Il Signore non ci chiede di essere santi, perché ci separa dai fratelli e dalle sorelle. Gesù ci chiede di essere misericordiosi, capaci di costruire relazioni di amore con le persone. Questa è la buona notizia di Gesù.

lunedì 10 ottobre 2022

Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?

 



XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

 

Lc 18,1-8

 

Paolo Cugini

 

Il vangelo di oggi si presenta con il tema della preghiera anche se poi, durante la narrazione viene affrontato il tema della giustizia. Il tema della preghiera appare con il tema dell’insistenza. In ogni modo, vale la pena accompagnare la narrazione di Luca per entrare in uno dei temi centrali del Nuovo Testamento che è, appunto, la giustizia. Possiamo affermare che il termine giustizia ha due sensi nel NT: il primo è tipicamente anticotestamentario, ed equivale a riconoscere l’uomo giusto, cioè innocente, senza colpa, mentre il secondo, più propriamente neotestamentario, indica che il colpevole è restituito all’innocenza che non aveva più o non ha mai avuto. Entra in campo la dottrina della ‘giustificazione’.

In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.

Nella parabola raccontata da Gesù la protagonista è una vedova che invoca giustizia. La predicazione di Gesù si caratterizza per l’annuncio del Regno di Dio, che è una società alternativa che Gesù ha manifestato anche con uno stile di vita semplice, condiviso con i suoi discepoli e discepole. Questa società alternativa è ben visibile nelle parole del Magnificat pronunciate da Maria:

Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote
(Lc 1, 51-53).

C’è una presa di posizione decisa e definitiva di Dio nei confronti dei poveri, di tutte le persone che hanno subito ingiustizia. La giustizia manifestata da Gesù nell’annuncio del Regno consiste nel ristabilire l’armonia iniziale al momento della creazione. In questa prospettiva, ogni ingiustizia è uno sgarbo nei confronti del progetto di giustizia di Dio. I poveri sono il segno di ogni forma d’ingiustizia e, non a caso, nel Regno di Dio, saranno loro a giudicare tutti quanti.

E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo?

È questo il messaggio centrale del Vangelo di oggi: la certezza definitiva della giustizia di Dio portata dal suo Figlio Gesù. Dio è un padre che ascolta la preghiera dei poveri, do coloro che hanno subito ingiustizie. Gesù è la Parola definitiva del padre che pone fine ad ogni forma d’ingiustizia e ristabilisce la giustizia inziale. Non a caso la protagonista del brano è una vedova che, nel contesto sociale del tempo, è annoverata tra le classi più povere. La preghiera insistente dice della fiducia nel progetto di Dio di ristabilire la giustizia e di garantirla assolutamente a coloro che la richiedono.

Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?

Sappiamo già che la risposta è negativa. Infatti, se la fede significa la risposta positiva dei discepoli e delle discepole che hanno aderito alla collaborazione della costruzione del Regno di Dio, Regno di giustizia e di pace, che comporta la rottura radicale con ogni forma di usurpazione, ingiustizia e, dunque, della presenza di distanza con il progetto ingiusto della religione del tempio, allora Luca annota che i discepoli non sono stati fedeli. Alla fine del suo Vangelo, troviamo i discepoli che hanno ripreso a frequentare il tempio e a sottostare alla Legge mosaica. Non si può stare con i piedi in due staffe: è questo uno degli insegnamenti centrali di Gesù. La radicalità evangelica esige la rottura con tutte le forme di oppressione dei più poveri, comprese, dunque, anche le strutture religiose.

 

sabato 8 ottobre 2022

GIOVANNI CAPITOLO 1

 


STUDIO BIBLICO 2022


Appunti di Paolo Cugini

 

Prologo: 1,1-18

Questa pagina è un atto d’amore nella totalità del mistero di Cristo. Probabilmente Gv ha elaborato un preesistente inno cristologico. Questo passo va letto in parallelo con il prologo della prima lettera di Gv.

1-5: in principio. Gesù come Figlio di Dio preesisteva a tutto ciò che esiste. Il Figlio di Dio, colui che è la Parola e la Luce, era già accanto all’uomo nella sua lotta contro il male, il peccato, ancor prima che venisse il Battista. Gv si fa profeta e preannuncia la vittoria finale di Gesù: è le tenebre non l’hanno sopraffatta.

6-8: del Battista viene detto chi era in relazione a Gesù e, quindi, il suo ruolo. Per l comunità cristiana il Battista venne come testimone, per dare Testimonianza alla luce. Non era la luce. Gesù lo definisce come una lampada ardente (5,35), un uomo che è luce per gli altri, ma è luce perché la riceve.

9-14: la Luce preesiste a quella di Giovanni. Questa luce ha tre significative presenze:

1.      Egli era nel mondo, quel mondo che fu fatto per mezzo di Lui. Il mondo non lo riconobbe: forse c’è un riferimento all’idolatria.

2.      Venne tra la sua gente. Riferimento chiaro alla storia della salvezza del popolo d’Israele. La Parola era presente in tutta la storia del Popolo. C’è un riferimento alla disobbedienza del popolo ebraico nei confronti della legge mosaica e per questo non sono capaci di accogliere Colui che è la Parola. Non tutto Israele ha rifiutato Cristo.

3.      Si fece uomo. La Parola assume la realtà del nostro essere umano e fa l’esperienza della nostra debolezza. Tenda: significa mobilità, la usa chi è in cammino. La tenda ricorda l’Esodo. C’è dunque, un nuovo Esodo che inizia. Gesù è il si di Dio a tutte le sue promesse. C’è il riferimento all’esperienza personale di Gv: abbiamo visto la sua gloria: cfr. 1 Gv, 1s.

15-18: nel Figlio Unigenito i credenti hanno la possibilità di conoscere veramente Dio. Se nela fede ascolteremo Gesù, egli ci farà veri figli di Dio. La linea della catechesi di Gv è quella della sua stessa esperienza: dalla contemplazione del Gesù uomo, a poco a poco, penetreremo nel mistero della sua divinità. Ci innalzeremo con Lui dalla terra al cielo.

Un uomo mandato da Dio 19-42

Primo giorno: 19-28: perché gli chiedono se è Elia? Perché una delle ultime profezie dell’AT (Ml 3,23) riguarda proprio il ritorno di Elia. Parlare del profeta in ceti ambienti, era come parlare del messia, per questo il Battista afferma che non è il Profeta. C’è una tradizione che afferma che il battesimo era prerogativa del Messia. Qui in Battista dice che il suo battesimo è preparazione dell’altro.

Secondo giorno: 29-34: come il popolo di Israele anche il Battista non conosce il messia già presente. Sapeva solo che l’avrebbe conosciuto battezzando (1,33). Solo nella narrazione di Gv sappiamo che il Battista: “vide”. Secondo Mc e Mt è Gesù che vede, mentre in Lc si tace. Siccome ha visto, il Battista può dare testimonianza.

Che cosa dice il Battista di Gesù? 5 affermazioni:

a.       È colui su cui si è posato ed è rimasto lo Spirito

b.      È colui che battezza con Spirito Santo: lo Spirito Santo che viene donato è una forza santificatrice e giudicante l’uomo. Nella prima comunità parlare di Spirito Santo significa parlare di colui che permette di dare testimonianza, perché lo Spirito fa nascere dall’alto o di nuovo. Lo Spirito Santo trasforma l’uomo, rendendolo idoneo per la missione.

c.       È l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo: cfr. Is 53, 7-12.

d.      È il Figlio di Dio: equivale a Messia

e.       È più grande di me perché era prima di me: Gesù non è solo colui che viene dopo il Battista, ma è anche e soprattutto colui che lo precede, in conformità con le idee del prologo.

Terzo giorno. 35-42: seguire è il verbo della vocazione, di coloro che intendono fare una scelta di vita: vogliono diventare discepoli del Signore. Chi cercate? La domanda indica una ricerca previa. Il Maestro non è colui che dà solamente delle nozioni, ma colui che insegna un modo di vivere. Per questo è fondamentale sapere dove abita.

Venite e vedrete: il vedere, il constatare è una prerogativa del discepolo (cfr. 1 Gv 1,1).

Andrea: è il primo annunciatore del Messia. Andre ha cercato, ha visto, ha trovato cioè capito chi è Gesù e, per questo, lo annuncia.

Quarto giorno. 43-51: per la prima volta risuona l’imperativo: seguimi! È Gesù che sceglie e chiama. Per convincersi che Gesù è il Messia non bastano le scritture: occorre la visione. Per questo Filippo dice a Natanaele: vieni e vedi.

La comunità cristiana del tempo di Gv ha capito che Gesù è il tempio di Dio. Il compimento delle Scritture va oltre il previsto. La realtà supera sempre le promesse.

 

venerdì 7 ottobre 2022

E gli altri nove dove sono?

 


XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

 

Lc 17,11-19


Paolo Cugini

 

Lungo il cammino verso Gerusalemme. È bene ricordarci che stiamo leggendo il Vangelo di Luca che organizza il materiale che ha a disposizione sulla vita di Gesù nel viaggio che compie da nord a sud, da Nazareth a Gerusalemme. E già questa è un’importante indicazione spirituale. Gesù annuncia il Vangelo mentre cammina, entrando in spazi nuovi, conoscendo persone, situazioni. Il cammino cristiano non è fatto per persone sedentarie, ma per coloro che accettano la sfida di alzarsi, lascare le proprie tranquillità. Oltre a ciò, il versetto citato dice che Gesù non viaggia a caso, ma ha un obiettivo: Gerusalemme. Elemento fondamentale nel cammino della vita di fede è avere un obiettivo, perché significa che si sa ciò che si sta facendo e dicendo.

Entrando in un villaggio. Tutte le volte che nel Vangelo di Luca ci viene detto che Gesù entra in un villaggio, è un’allerta che avverrà qualcosa di strano, che ci saranno tensioni. E infatti, anche in questo brano l’evento che si profila è carico di tensioni e di novità. Villaggio nei vangeli significa luogo in cui si è sempre fatto così: è il luogo per eccellenza della tradizione degli uomini, non disposti a cambiare.

gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.

Gesù risponde alla richiesta dei lebbrosi. Strano vedere dei lebbrosi che escono da un villaggio. Solitamente i lebbrosi venivano espulsi dai centri abitati, e allora come fanno questi lebbrosi ad uscire da questo villaggio? Probabilmente si tratta di un artificio letterario. Sono dieci uomini divenuti lebbrosi a causa della lebbra della tradizione degli uomini, che li ha infettati. È un’interpretazione che può essere interessante per il discorso della fede.

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo.

Uno di loro: colpisce la sproporzione. Sono le proporzioni sproporzionate del cammino della fede dietro a Gesù. La spiritualità che sgorga dalla frequenza quotidiana del Vangelo, ci aiuta ad abitare queste sproporzioni, che richiedono una libertà interiore fuori dalla portata umana, che ha bisogno di un ritorno, di un ringraziamento e, cioè, di un riconoscimento. Sono queste sproporzioni che abitano i genitori, perché i figli difficilmente si voltano per ringraziare. È la sproporzione che abitano i maestri e tutti coloro che vivono relazioni educativi. Senza questa spiritualità evangelica, l’umanità svuotata dalla tensione va alla ricerca di qualcosa che compensi il vuoto provocato dalla sproporzione.

Era samaritano. E qui c’è una grande sorpresa. Va bene la mancanza di gratitudine: ci può stare. Ma che l’unico che torna per ringraziare sia un samaritano, una persona di un popolo ritenuto maledetto dagli ebrei a causa di un passato fatto di tensioni, è difficile da digerire. Che coca ci vuole dire il Vangelo con questa osservazione? Gesù c’insegna a non lasciarci annebbiare la mente dai preconcetti, di non giudicare le persone per la loro appartenenza, nel senso che ogni persona è originale e unica.

Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato! Chi ci salva dalla nostra solitudine, da una vita nuova è la nostra presa di posizione personale, la nostra risposta soggettiva agli appelli che percepiamo dal Mistero che, a volte, passano anche attraverso l’ascolto del Vangelo. Il Samaritano risponde al dono della guarigione: la sua risposta dice della sua fede, della sua fiducia in colui che lo ha guarito. Il ringraziamento è il segno della percezione di un cambiamento che non rimane isolato nella sfera dell’interiorità, ma che si muove verso l’altro e condivide.