martedì 31 gennaio 2023

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

 




Is 58,7-10; Sal 111; 1 Cor 2,1-5; Mt 5,13-16

 

Paolo Cugini

 

 

Abbiamo iniziato ad ascoltare domenica scorsa il discorso della montagna con la pagina delle beatitudini, che possiamo definire il programma della missione di Gesù, e oggi continuiamo l’ascolto con un’altra pagina estremamente significativa, tutta da assimilare. Mettersi alla sequela del Signore significa decidere di cambiare, di non aver paura di mettere da parte la nostra presunta identità. Vivere nella comunità che s’identifica nel Vangelo significa lasciarsi spogliare dalle false identità assimilate inconsciamente, per permettere allo Spirito Santo di ridefinirci. Questo processo di rinascita avviene nella comunità, nella relazione con i fratelli e le sorelle, nella ricerca continua di permettere allo Spirito del Signore di tessere il vestito nuovo della nuova umanità. Ascoltiamo, allora, due passaggi significativi delle letture di oggi.

 

“Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all'affamato, se sazierai l'afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio” (Is 58, 10).

Gesù disse ai suoi discepoli: "Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa (Mt 5,13-16).

Bisogna abituarsi ad ascoltare queste parole non come ad affermazioni generiche, come a delle massime rivolte a chissà chi, ma come a parole di un maestro verso i suoi discepoli, di un padre verso i suoi figli. È questo l’orizzonte che ci permette di entrare all’interno di contenuti che rivelano il senso di un cammino e non di una dottrina; indicazioni esistenziali e non precetti moralistici.

Avere un padre così, un padre che ha fiducia in te al punto di dirti che sei il sale della terra. Un padre che crede così tanto in te al punto di dirti che sei la luce del mondo. Che cosa sono queste parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli se non la rivelazione di un’identità? È Gesù che rivela ai discepoli la loro identità. Potremmo dire che Gesù li ha preparati esattamente per questo e per nient’altro: per essere sale della terra e luce del mondo. Da una parte, le parole esprimono la coscienza che Gesù ha della bontà del lavoro svolto, lavoro di formazione di coscienze; dall’altro, c’è la fiducia in coloro che hanno accompagnato il cammino. Gesù davanti al mondo proclama che i suoi discepoli sono sale della terra e luce del mondo, lo dice perché è sicuro di loro, sa chi sono e come stanno accompagnando il cammino.

È il padre, il maestro che, mentre indica l’identità e il senso di un cammino esprimendo con forza tutta la positività dell’identità del discepolo, del figlio, allo stesso tempo ne mostra le esigenze che questo cammino comporta.

Qual è, allora, il contenuto di questa indicazione? Sale e luce, terra e mondo.

Sale e luce sono due elementi diversi ma che agiscono con un effetto simile. Producono un beneficio per gli altri, ma rimangono nascosti. Camminiamo per le strade del mondo grazie al sole, ma non ci pensiamo e non lo guardiamo. Assaporiamo i cibi che ci alimentano, ma non pensiamo mai al sale che dà il sapore. I cristiani per il fatto che non cercano la gloria degli uomini, ma la gloria di Dio, non sono interessati ad apparire: non ne hanno bisogno. Quanto maggiore è l’apparenza che cerchiamo, tanto minore è l’intensità del nostro cammino di fede. Coltivare una spiritualità del nascondimento significa ricercare nella vita quotidiana lo sguardo del Signore nelle cose che facciamo.

Importante è annotare che da parte di Gesù non c’è nessuna valorizzazione delle singole qualità di un discepolo o dell’altro. Non c’è quell’esaltazione ottusa che porta l’individuo ad una distorta percezione di sé. L’indicazione è al plurale, non al singolare: voi siete. I discepoli sono sale e luce quando vivono in comunione. È la comunità nel suo cammino nel mondo di essere segno dell’amore gratuito e disinteressato di Dio, della sua giustizia e misericordia. È la comunità che è luce nel mondo e sale della terra.  

Terra e mondo. Nella prospettiva del Nuovo Testamento il mondo è la realtà che si contrappone a Dio e si costruisce in modo autonomo al suo progetto di vita. Essere luce del mondo significa vivere nella logica del Vangelo, che è l’amore, la comunione, la giustizia. Essere luce, allora, non corrisponde ad una spettacolarizzazione dell’esistenza, ma sopportare l’odio del mondo, che non accetta di essere accecato dalla logica del Vangelo. La terra è lo spazio in cui la vita si svolge nel suo dinamismo quotidiano. Dare sapore al vissuto quotidiano è il compito della comunità che s’identifica in Gesù. Comunità che non è tale per il fatto che celebra dei riti, ma perché vive quello che celebra e, vivendolo, diviene luce per il mondo e sale della terra.

lunedì 30 gennaio 2023

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 10

 


 

[Annotazioni di Paolo Cugini]

 

Nel capitolo 10, Gesù continua la tremenda invettiva contro i leader spirituali e i capi del popolo ed è conosciuto come il capitolo del buon pastore. È l’immagine che ha avuto più successo nel cristianesimo, ma questo è derivato all’impoverimento che i cristiani ne hanno fatto o dalla loro incomprensione? Ci facciamo questa domanda perché quando Gesù si presenta come il buon pastore – per noi il massimo della dolcezza – coloro che lo ascoltano dicono: questo è pazzo e alla fine del capitolo, per la seconda volta, tenteranno di ammazzarlo. Siamo noi che abbiamo capito tutto e loro erano particolarmente ottusi? Erano loro che avevano capito bene la portata dell’espressione di Gesù, un pericolo micidiale per l’istituzione religiosa, e noi abbiamo addolcito e smussato l’immagine, senza comprenderne la portata? Per comprendere il capitolo del buon pastore, occorre inserirlo nel contesto culturale in cui questa immagine si è formata, e dobbiamo fare un passo indietro nella storia di Israele.

1 Amen, amen vi dico con assoluta certezza io vi dico: chi non entra attraverso la porta, nel recinto delle pecore, ma sale da un’altra parte, quello è un ladro e un brigante. La denuncia fatta ai capi del popolo, alle autorità religiose è tremenda, di una incredibile violenza verbale.

Chiunque non entra attraverso la porta nel recinto (aulé, in greco, aula perché una volta le aule scolastiche erano all’aperto), è un termine che Giovanni usa solo due volte e lo mette in relazione con un altro episodio, secondo le tecniche letterarie del tempo. Aulé non è mai stato usato nell’Antico Testamento, per indicare il recinto delle pecore, ma le oltre 177 volte che è usato, è l’atrio di fronte al santuario, dove c’era la presenza di Dio. Quando ritornerà di nuovo in Giovanni, indicherà l’atrio della casa del sommo sacerdote.

2 Ma chi entra attraverso la porta è il pastore delle pecore. C’è una persona legittima che non ha bisogno di inganni e sotterfugi per impossessarsi del popolo, entra attraverso la porta, ed è il pastore delle pecore. Il profeta Ezechiele aveva detto: quando verrà il momento, io, il Signore sarò il vero pastore ed eliminerò tutti gli altri pastori. Toglierò le pecore dalle loro fauci (era usato per i lupi). I pastori sono peggio dei lupi. Gesù si presenta come il pastore atteso.

3 A questi il portinaio apre e le pecore la sua voce ascoltano: perché nella voce di Gesù risuona la voce del creatore, che chiama ogni persona ad una pienezza di vita. Una garanzia che il messaggio di Gesù sia di origine divina è che ogni qualvolta si annuncia la buona notizia, in ogni latitudine, la gente reagisce dicendo: io queste cose le sentivo già, le avevo già dentro di me. Adesso le sento formulate.

le sue pecore le chiama per nome, Gesù ha un rapporto individuale. L’evangelista si richiama all’uso palestinese dei pastori che, al momento della nascita degli agnellini, 4 davano ad ognuno un nome che li caratterizzava.

e le conduce fuori. Il verbo condurre adoperato dall’evangelista è un verbo tecnico, che nell’Antico Testamento indica la liberazione dalla schiavitù egiziana, compiuta dal Signore, per portare il popolo nella terra promessa. Condurre fuori indica l’esodo. Quando le persone, anche se sottomesse, narcotizzate, traumatizzate, addormentate dalla religione, sentono l’originalità del messaggio di Gesù, la fiammella riprende vigore e rinascono, lo seguono e le conduce fuori. Il rapporto con Gesù non si fa attraverso una legge, ma attraverso una relazione personale; Gesù le chiama per nome, la voce è la parola che non si trasforma in una legge che l’individuo deve osservare, ma in un dinamismo vitale, che è il suo Spirito, che conosce la singolarità di ogni persona.

4 E quando le proprie le ha cacciate (non condotte fuori) fuori tutte, questo verbo ci ricorda 9,34 quando i capi di fronte al buon senso del cieco nato (o del popolo) che aveva riacquistato la vista, non sapendo più come rispondere, reagiscono con la violenza e lo cacciarono fuori. Colpo di scena, non sono state le autorità a cacciare fuori il cieco nato, Gesù lo ha cacciato fuori, perché gli ha aperto gli occhi. Quando una persona apre gli occhi vede il volto di Dio e soprattutto la dignità dell’uomo.

5 Un estraneo non lo seguiranno i verbi sono al futuro perché (non è una relazione di quanto è accaduto) sono un invito per le comunità di tutti i tempi. I vangeli non sono tanto 5 una polemica con il mondo giudaico, ma insegnamenti per le comunità cristiane di tutti i tempi, perché non incorrano nuovamente in quegli errori. Un estraneo non lo seguiranno, ma fuggiranno da lui, è un invito: bisogna fuggire da quanti pretendono dominare, dire che si è in peccato o non, guidare la vita degli altri e si credono autorizzati di imporre quello che si deve fare o non fare in ogni singolo aspetto della vita. Quando una proposta viene fatta attraverso degli obblighi e imposizioni non viene da Dio, chiunque la faccia: e le autorità devono obbligare perché non riescono a convincere.

7 Disse allora di nuovo Gesù: Amen, amen io vi dico: Io sono, è il nome divino e Gesù dichiara, prima volta in questo brano di quattro, la sua condizione divina, la porta delle pecore (ci saremmo aspettati del recinto). L’epoca dei recinti è finita, coloro che accolgono Gesù non sono inseriti in un altro recinto, ma fanno parte di un gregge che segue il pastore e come diceva il salmo, li porta alla piena libertà. È il passaggio dalla religione alla fede. Religione ciò che l’uomo fa per Dio, la fede è ciò che Dio fa per l’uomo. Nella religione si toglie la libertà degli uomini in cambio della loro sicurezza. Il recinto è il luogo in cui le pecore sono al sicuro, ma non sono libere.

8 Tutti coloro che sono venuti prima di me, non è solo un prima cronologico, ma al di fuori di me, con altri intenti, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. I capi sono stati obbediti, ma non ascoltati; il popolo è stato sottomesso dal dominio esercitato in nome di Dio, ma non è stato convinto. È la forza del messaggio di Gesù: anche un popolo dominato dalla religione, sottomesso dalla schiavitù in nome di Dio, appena Gesù fa risuonare la sua parola, il popolo rinasce e lo segue. Tutti i presunti pastori, dirigenti religiosi, sono ladri e briganti.

9 Io sono la porta: se qualcuno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il profeta Osea aveva detto: non voglio sacrifici, ma voglio amore. È finita l’epoca dei sacrifici, ma i capi religiosi ne hanno bisogno perché sacrificando a Dio, sacrificano il popolo e non capiscono la novità portata dal Signore: non c’è più l’epoca dei sacrifici. Sono venuti per rubare, sacrificare in nome di Dio e distruggere.

10 il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano vita e in abbondanza. Il Signore non ci dà una vita normale,ma una vita in abbondanza, di una pienezza tale che al momento della morte la supererà e continuerà a vivere. Ecco il versetto centrale che dà il titolo all’intero episodio,

11 Io sono, rivendica la condizione divina per la terza volta, il bel pastore il articolo determinativo, quello atteso. Non è il buon pastore (la bontà di Gesù); se Gesù si fosse presentato come il buon pastore perché, immediatamente, coloro che lo ascoltano dicono: è un indemoniato, è un pazzo? E alla fine dell’episodio cercheranno di ammazzarlo? L’evangelista (Gesù) non dice: sono il buon pastore. Per indicare la bontà di Gesù, Giovanni non usa il termine greco agatos (buono), ma kalos, bello nel senso di migliore o perfetto. Io sono il pastore, il bello, l’eccellente, quello che è perfetto.

Il pastore quello buono offre la sua vita per le pecore. Il pastore non si limita a proteggere, come dice Ezechiele, ad avere cura del gregge, ma arriva al punto di dare la vita per le sue pecore. Gesù elimina, dal pastore, ogni possibile traccia di dominio, lui è il vero pastore: il dono generoso della sua vita, non nasce da un pericolo per i suoi, ma lo precede. Quando si comprendono e si accolgono certe espressioni del vangelo, la vita cambia.

12 Il mercenario, non è un pastore che si comporta male e non è stato incaricato dal pastore, è colui che agisce per soldi, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; Gesù che ha già messo in guardia il gregge dai ladri e dai briganti contrappone a sé, figura del pastore 8 modello (che dà la vita), quella del mercenario. Il lupo è una minaccia per entrambi, per il pastore e per il mercenario. Il pastore sacrifica la propria vita per la salvezza del gregge; il mercenario, colui che governa le pecore soltanto per interesse e gli interessa di più la propria vita, abbandona le pecore al loro destino e il lupo le rapisce e le disperde. Gesù, il pastore, è venuto a riunire chi è disperso; i mercenari non fanno altro che disperdere quello che è riunito.

13 è un mercenario e non gli importa delle pecore. È un monito alla comunità cristiana: che nessuno si arroghi un servizio per il proprio interesse e prestigio, questo è dannoso. Il termine non gli importa, lo ritroviamo al capitolo 12, Giovani indicherà Giuda: non gli importava dei poveri, perché era ladro. Accomunando i due casi, non importa significa che l’interesse viene al di sopra di tutto; per mantenere il proprio prestigio sono capaci di tutto. È un mercenario e non gli importa delle pecore, svolge un’attività esclusivamente per il proprio interesse.

14 Io sono, è la quarta volta che conferma la sua condizione divina, il pastore quello buono, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, l’evangelista scrive in greco, ma la cultura è ebraica. Nel mondo ebraico si era sessuofobi e non si nominava tutto ciò che aveva a che fare con il sesso, e si usavano giri di parole. È il problema per chi legge la Bibbia, che non è tenuto a conoscere i modi di dire del mondo ebraico, ma se il traduttore non lo aiuta con una buona nota, va in crisi.

15 Come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le mie pecore. È la novità portata da Gesù. Nella religione, l’uomo era orientato verso Dio che era il traguardo della sua esistenza; con Gesù si cambia e l’uomo non deve vivere più per Dio, in funzione di Dio. Con Gesù è Dio che prende l’iniziativa e inonda, attraverso Gesù e il suo Spirito, gli uomini del suo amore e diventano una sola cosa.

16 E ho altre pecore che non sono di questo ovile: Non c’è più spazio per nessun recinto, Gesù viene a togliere le pecore dall’ovile, ma non le riporta in un altro ovile, viene a proporre la libertà, ma è tanta la tentazione di racchiudere il gregge in un qualunque posto. e diventeranno un gregge, forse Girolamo confuso da ho altre pecore che non sono di questo ovile, non tradusse gregge, ma ovile. Dal IV secolo in poi la chiesa non adoperò più il testo originale greco dei vangeli, ma la traduzione latina della Vulgata e su quel testo per ben 1500 anni basò la propria teologia, su una traduzione sbagliata, su una espressione che è l’esatto contrario di quello che Gesù voleva affermare: saranno un gregge (Gesù libera dagli ovili per formare un gregge di persone libere) divenne saranno un ovile. La parola di Gesù, che è veritiera, è che ci deve essere un ovile: la chiesa.

17 Per questo il Padre mi ama, perché io dono tutto me stesso, per poi riprenderla di nuovo. L’evangelista ci prepara per l’incontro scioccante del prossimo capitolo, la resurrezione di Lazzaro, che non è la rianimazione di un cadavere. Qui per vita adopera il termine psyché; Giovanni usa tre termini per vita: bios, inizio e fine della carne, zoe, vita divina, vita di una qualità tale che è indistruttibile, nel centro c’è 11 psyché, anima, respiro, io individuale. Psychè, l’io individuale, riguarda la persona che può fare una scelta nella propria vita: restare a livello di bios, biologico con un inizio-sviluppo- declino–disfacimento; dare adesione ad una vita di una qualità tale che è indistruttibile. Ho fatto questa sottolineatura perché dice: Per questo il Padre mi ama, perché io dono psyché, l’io individuale, per poi riprenderlo di nuovo. La condizione delle persone che passano attraverso la morte, non è di un’anima, di un vapore, di un qualcosa che non si riconosce, è la persona, la psyché, l’io che mi distingue da un altro oltre ad avere la vita eterna, io quello che sono con tutta la mia storia, sono io che continuo a vivere

19 Di nuovo ci fu divisione, è la terza volta, è definitiva. Quando Gesù parla, ha già provocato divisioni tra la folla (è il Cristo, non è il Cristo) e tra i farisei (nell’episodio del cieco nato), ora è la terza e ultima volta, provoca divisione, scisma, fra i Giudei per queste parole. È una divisione fra i capi (di cinque minuti) poi appena Gesù bestemmia, sono compatti per ammazzarlo. Adesso di fronte alle sue parole c’è un momento di crisi. Quelli che giudicano in base alla legge, non hanno alcun dubbio, diranno è un demonio, quelli che pur osservando la legge giudicano in base alle azioni, rimangono in crisi.

20 Molti di loro, la maggioranza, dicevano: Ha un demonio, è impazzito; non è indemoniato, posseduto da un demonio. Se gli esorcisti studiassero la demonologia palestinese rimarrebbero disoccupati perché i demoni, dell’epoca di Gesù erano tutto ciò che non era spiegabile, come l’insonnia, l’insolazione, l’ubriachezza, la moderna depressione. Questi erano demoni specializzati in un settore. C’era un demonio che dava la pazzia; il termine, infatti è impazzito, e la parola greca è la stessa da cui viene mania. Gesù, per quelli che giudicano in base alla legge e ai codici, è un maniaco, un matto da legare.

22 Ci fu allora la dedicazione in Gerusalemme. Era inverno. Sarà l’ultima volta che Gesù si troverà nel Tempio di Gerusalemme ed è l’ultima delle feste che si incontrano in questo vangelo con Gesù come protagonista e le autorità. Ogni volta che Gesù è stato al Tempio, ogni volta che c’è una festa, c’è un conflitto tra Gesù, il Figlio di Dio e quelli che si ritengono i rappresentanti di Dio. La festa della dedicazione, meglio della consacrazione o hanukkah, durava otto giorni a ricordo della consacrazione del Tempio di Gerusalemme nel 165 a. C. per opera di Giuda Maccabeo.

24 Allora i Giudei lo circondarono, il verbo circondare ha una connotazione ostile e anticipa il salmo 22 che poi tutti gli evangelisti adopereranno per la passione: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato. Nello stesso salmo la vittima dell’ingiustizia dice: un branco di cani mi circonda (in greco è lo stesso termine), mi assedia una banda di malvagi. Quelli che circondano Gesù sono i Giudei che per l’evangelista sono una banda di malvagi, si sapeva, ma è insultante sono i cani, animali impuri.

26 ma voi non credete, l’attacco ai capi è senza sconto, perché non siete delle mie pecore. Non sono il suo gregge, non sono il popolo di cui il Signore si prende cura. Al contrario, non essendo pecore, sono lupi e briganti e assassini; sono i nemici del popolo. Gesù senza il minimo rispetto reverenziale verso le massime autorità religiose, dice che non solo non sono il popolo di Dio, ma sono i nemici di quel popolo e già li aveva denunciati come figli del diavolo e come lui omicidi.

27 Le pecore, le mie, sono del Signore, i capi se ne sono impadroniti, la mia voce ascoltano ed io le conosco e mi seguono. In greco c’è una stretta assonanza tra ascoltare e seguire, ascoltare Gesù non è un aspetto statico, perché comporta il seguirlo. Il seguirlo permette di ascoltarlo ancora di più, come l’ascoltarlo permette il seguire.

28 Io dono loro la vita eterna ritorna il filo conduttore del vangelo di Giovanni e nel capitolo 11 avrà la piena realizzazione. La vita eterna, zoe, è una vita indistruttibile, che non farà l’esperienza della morte; non va conquistata, non va meritata, è un dono dato da Dio.

30 Io e il Padre siamo uno. È una bestemmia, rivendica per sé la condizione divina, per di più è pronunziata nel Tempio. Non afferma che lui e il Padre sono uniti, ma che ha la stessa condizione divina del Padre. Il termine uno, è il nome di Dio e nel profeta Ezechiele: il Signore sarà re sopra tutta la terra. In quel giorno il Signore sarà uno, Uno sarà il suo nome. Gesù non dice di essere unito al Padre, potevano dirlo anche le altre persone, Io e il Padre siamo uno, rivendica la pienezza della condizione divina. Identificandosi con il Padre, denuncia i capi del popolo che gli si oppongono e opporsi a lui significa opporsi a Dio. Gesù dice che è Dio, che è Uno, perché in lui si manifesta la stessa azione creatrice del Padre, con la quale Dio comunica la vita al popolo. Gesù ha compiuto le stesse opere del Padre.

32 Replicò Gesù: Molte opere buone vi ho mostrato dal Padre; per quale di queste opere mi lapidate? non imposta la questione sulla dottrina, ma sui fatti. Le opere che ha compiuto sono state tutte comunicazione di vita. Le opere che ha compiuto in questo vangelo sono: la vita al figlio del funzionario regale; la vita all’invalido; la condivisione dei pani e dei pesci in cui invita la sua comunità a farsi pane per gli altri; la restituzione della vista al cieco nato. Sono opere che hanno un unico denominatore comune, la felicità; Dio vuole la felicità degli uomini, non l’infelicità.

33 Gli risposero i Giudei sono compatti Non ti lapidiamo per un’opera buona, Gesù aveva contrapposto alla dottrina le opere, loro contrappongono di nuovo la dottrina che hanno inventato, non sanno come ribattere, ma per la bestemmia: perché tu, un uomo, ti fai Dio. È la lapide funeraria sull’istituzione religiosa e sui suoi rappresentanti. Il progetto di Dio sull’umanità è che l’uomo diventi suo figlio. Nel prologo diceva: a quanti lo hanno accolto ha dato la capacità di diventare figli di Dio; l’uomo è chiamato ad avere la condizione divina. I rappresentanti di Dio (che erano a diretto contatto con lui, come il sommo sacerdote che, entrando nel Tempio una volta all’anno, pronunciava il nome misterioso di Dio e diceva al popolo la volontà di Dio) ritengono la volontà di Dio una bestemmia. Dicendo che Gesù bestemmia, ritengono che da quel momento ogni persona è autorizzata ad ammazzarlo ed è un obbligo religioso.

non è scritto nella vostra Legge: prende le distanze ogni volta che deve riferirsi alla Legge di Dio, vostra. La Legge presentata agli uomini come volontà di Dio è per Gesù un’impostura, perché Dio è amore che non può essere formulato attraverso leggi, ma solo attraverso opere che comunicano vita e amore. Nessuna legge potrà formulare l’amore di Dio che è vita e la Legge non può formulare vita.

35 Se ha detto dei, coloro ai quali Dio diresse la sua parola (e non si può abolire la Scrittura), tanto più sarà Dio colui che è la stessa parola divina,

36 a colui che il Padre consacra e inviò al mondo voi dite che bestemmia, perché ho detto che sono Figlio di Dio? Non è facile cogliere il ragionamento tipico delle dispute rabbiniche sui versetti della Legge. Questo è il ragionamento: se Dio ha detto che sono dei, coloro ai quali ha rivolto la sua parola, quanto più sarà Dio colui che è la stessa parola del Signore.

37 Se non faccio le opere di mio Padre non credetemi; il problema da sempre se in Gesù si manifesta la condizione divina, non è risolto da Gesù con una dottrina o una formula teologica, ma attraverso le opere. Questo non solo prova la divinità di Gesù, ma ci fa comprendere che Dio è amore che ha a cuore la felicità degli uomini e tutte le opere di Dio sono rivolte alla felicità dell’uomo. È il contrario della religione che sguazza nell’infelicità e nella sofferenza delle persone, Dio è più associato al dolore che alla felicità o al piacere, che in un ambito spirituale assume una connotazione peccaminosa.

38 Ma se le faccio, anche se non credete in me, credete alle opere, affinché conosciate e sappiate che in me è il Padre, e io nel Padre. Gesù si identifica nel Padre, nelle stesse opere che intendono dare vita; per questo soltanto colui che ha a cuore il bene degli uomini può riconoscere in Gesù, l’azione divina. Questo non è possibile alle autorità religiose che sono ottuse, che non riconoscono in Gesù l’azione divina e Gesù dice: non importa se non riconoscete me, ma credete alle opere che comunicano vita. Per riconoscere in Gesù la presenza di Dio bisogna che il bene dell’uomo sia un valore importante nell’esistenza dell’individuo. Alle autorità religiose non interessa il bene dell’uomo, sono interessate al proprio bene, all’espansione del proprio potere.

39 E cercavano di nuovo di catturarlo, Gesù non si è mosso sul piano dottrinale, ma sul piano pratico credete per le opere e le sue opere sono state tutte per ridare vita al popolo, ma questo significava toglierlo alle autorità religiose.

40 E andò di nuovo al di là del Giordano, nel luogo dove Giovanni all’inizio battezzava e rimase là. Abbiamo visto che non sorprende che Gesù sia stato ammazzato, ma stupisce come sia riuscito a campare così tanto, perché si è dato continuamente alla latitanza, finché ha deciso di affrontare le istituzioni ed è entrato in Gerusalemme. Ancora non è tempo, perché deve formare il suo gruppo. Se ne va al di là del Giordano, nel luogo dove Giovanni aveva iniziato il suo battesimo.

 

mercoledì 25 gennaio 2023

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

 




Sof 2,3; 3, 12-13; Sal 145; 1 Cor 1, 26-31; Mt 5,1-12°

 

Paolo Cugini

 

Cerchiamo il Signore, ma facciamo fatica a vederlo. Vorremmo seguirlo più da vicino ma, non appena ci avviciniamo, le sue parole ci sembrano strane, troppo dure. La proposta di Gesù, per coloro che vivono nel mondo del benessere, sollecitati ogni giorni ad accumulare cose, a rincorrere una vita agiata, sembra veramente scandalosa, troppo lontana dal nostro modi di sentire e di pensare. E allora ci rifugiamo nelle devozioni, nel ritualismo formale, nell’obbedienza ai precetti così, pensiamo noi, possiamo considerarci al riparo, persone religiose che si meritano il paradiso per quello che fanno. È la strada opposta al Vangelo, che nessuno può presumere di meritare, perché lo possiamo solo accogliere gratuitamente. Quando questo accade, iniziano cammini d’incarnazione, percorsi in cui la fede ci porta a vivere in modo nuovo, meno preoccupati di noi stessi e dei nostri successi e più attenti a chi ci sta intorno. In fin dei conti la conversione alla proposta di Gesù l’ha riassunta molto bene Paolo: smettere di vivere per sé per imparare a vivere per Dio e per gli altri, soprattutto i più bisognosi. È questo il senso della relazione tra la fede e la vita, il sacro e il profano. È autentica quella fede in Gesù che, dopo aver accolto il suo amore, sente il desiderio di condividerlo, di operare scelte coerenti con il Vangelo ascoltato. Quando questo processo di rinnovamento interiore, smettiamo di ricercare il culto per sentirci persone religiose, brave, per andare alla ricerca del regno di Dio, collaborando nella comunità per realizzare un mondo di giustizia, di pace e di condivisione.

Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia,
cercate l'umiltà; forse potrete trovarvi al riparo nel giorno dell'ira del Signore. «Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero» (Sof 2, 3).
Ci sono situazioni che siamo invitati a creare se desideriamo percepire la presenza del Signore, del suo amore, del suo cammino. Possiamo cambiare i contesti: possiamo scegliere. Mi sembra questo il senso della profezia di Sofonia. C’è un popolo umile e povero nel quale il Signore s’identifica: sta a noi decidere che scelte operare per appartenere a questo popolo. Queste parole sono in linea con ciò che abbiamo ascoltato in queste ultime domeniche. C’è uno stile evangelico fatto di sobrietà, di semplicità e di essenzialità che è il terreno privilegiato affinché la Parola di Dio cresca in noi e produca i suoi frutti. Se, dunque, desideriamo camminare sulle vie che il Signore ha tracciato diventa importante pensare, riflettere, capire, pregare: che cosa fare, Signore, per fare in modo di appartenere al popolo umile e povero che tu prepari? Smettere di pensare la propria vita in termini di ricerca di successo, di sicurezze materiali che non fanno altro che porci in situazioni conflittuali, divenendo complici del mono delle disuguaglianze ben visibile nell’Occidente. Il salmo 145 che viene proposto nella liturgia di oggi, conferma quanto detto sopra. È un Dio che sta sempre ed esclusivamente dalla parte dei poveri, di chi ha fame; sta dalla parte degli oppressi, di chi si trova in difficoltà come le vedove, i forestieri. Questa è la giustizia di Dio, che non tace dinanzi ai soprusi, ma interviene, prende parte, in una parola: si schiera.

Beati i poveri in Spirito, perché di essi è il regno dei cieli… Beati i miti, perché erediteranno la terra” (Mt 5,3s).

Pagina bellissima che diventa un balsamo per tutti coloro che ogni giorno vivono sulla propria pelle situazioni di ingiustizia e di esclusione. Gesù oggi dice: beati voi, oppressi. Se il mondo vi tratta male, Dio vi consola ed è schierato dalla vostra parte: potete contare su di Lui. Se siete depredati di tutto al punto che non avete nemmeno un pezzo di terra per coltivare il raccolto per il fabbisogno della famiglia per i ricchi prepotenti si prendono tutto, ebbene Dio vi darà in eredità la terra. Sono immagini forti, ma molto belle, che arrivano diritte al cuore dei poveri e dei diseredati della storia. Questa pagina, comunque, dice qualcosa anche per noi, perché rivela il cammino che dovremmo compiere e il senso dell’azione dello Spirito Santo nelle nostre vita. Saleggiamo attentamente il testo, infatti, nei versetti sono delineati i tratti dell’umanità di Gesù: mite, umile, operatore di pace, giusto, misericordioso. Per tutti coloro che l’accolgono, lo Spirito Santo riproduce in noi i tratti di questa umanità straordinaria, ci fa diventare collaboratori dell’azione creatrice di Dio, che è delicata, non s’impone, è paziente.

Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili (1 Cor, 1,26). È esattamente questo che Paolo capisce. La partecipazione alla costruzione del Regno di Dio non dipende da particolari doti, o da titoli specifici, perché è Dio che opera in tutti coloro che sono disponibili, è Dio che trasforma lo stolto in sapiente, il debole in forte, il nulla in una possibilità nuova di vita. Tutti siamo chiamati per realizzare questo cammino: nessuno è escluso. Tutti e tutte davanti a Dio abbiamo la possibilità di umanizzare la nostra esistenza. La nostra risposta significa la disponibilità a lasciarci trasformare da Lui.

lunedì 23 gennaio 2023

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 9

 




 

[Annotazioni di Paolo Cugini]

 

1 E passando, vide un uomo cieco dalla nascita, uscendo dal Tempio, Gesù incontra quelli che non possono accedere al Tempio. È la religione che con le sue regole, con la sua legge, separa gli uomini da Dio e man mano che andremo avanti nel vangelo, comprenderemo perché l’evangelista attribuisce il peccato del mondo all’istituzione religiosa. Sopra il mondo c’è una cappa di tenebre che impedisce alla luce del Signore di arrivare all’umanità. La tenebra si chiama istituzione religiosa, che è riuscita a convincere le persone che sono in peccato, che sono impure ed escluse da Dio. Per certe persone non c’è alcuna speranza, perché nella religione si insegna che l’uomo impuro deve purificarsi per essere degno di avvicinarsi al Signore. L’unico che può purificarlo è il Signore, ma se è impuro non si può avvicinare e allora non c’è speranza! L’istituzione religiosa è una cappa di tenebre che impedisce agli uomini di scorgere l’amore del Signore. Gesù è venuto a rompere la cappa di tenebre, come dirà poi Pietro, dopo la sconvolgente esperienza, in cui vede il pagano Cornelio, ricevere lo stesso Spirito che lui aveva ricevuto. Per Gesù non ci sono persone impure, è la religione che ha impedito ad alcune persone di avvicinarsi al Signore. Gesù di fronte agli impuri, non attende che si purificano per essere degni di accoglierlo, dice: accoglimi che io ti purifico e ti rendo degno. È quello che ora fa, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita, è un personaggio anonimo ed è uno stile dell’evangelista per dire che è un personaggio rappresentativo, a cui si possono rivolgere quelli che vivono la stessa situazione. La cecità non è una malattia, ma è la peggiore maledizione divina.

Ci sono cinquantadue maledizioni del libro Deuteronomio, e tra esse c’è la cecità. È una maledizione, perché il cieco non può leggere la Legge, la parola di Dio; il cieco era ritenuto un castigato da Dio, come del resto tutte le malattie. Nel trattato delle benedizioni, nel Talmud, dove si benedice per tutto quello che accade nella giornata e nell’esistenza, si legge: chi vede un mutilato, un cieco, uno la cui testa è scolpita dalla lebbra, uno zoppo, uno che è affetto da una infiammazione dica: Benedetto il giudice veritiero. Si riteneva che la persona ammalata fosse stata castigata per le sue colpe.

2 i suoi discepoli lo interrogarono: Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco? Erano talmente sicuri che la cecità fosse un castigo inviato da Dio, che il loro unico dubbio è se ha peccato lui o i suoi genitori. Quando tutto va bene, siamo d’accordo, di fronte a un momento nero c’è il rigurgito dell’uomo religioso e pensiamo: cosa ho fatto per meritarmi questo o il Signore non me lo doveva fare, perché non me lo meritavo. È l’idea dei castighi meritati. Prima del concilio, dopo la confessione si recitava l’atto di dolore dicendo: perché ho meritato i vostri castighi e ci è rimasto dentro, nel sangue. 

3 Rispose Gesù: Né lui ha peccato, né i suoi genitori. Esclude in maniera categorica che il male sia una conseguenza del peccato e dobbiamo convincerci. Quando scoppiò LA PANDEMIA, alcuni prelati della chiesa dissero che era una conseguenza dei peccati degli uomini! Nella Genesi, il libro della creazione, la prima opera di Dio fu la luce. Il mondo era informe, lo Spirito aleggiava sul caos e Dio disse: venga la luce. E la luce fu. Perciò le opere di Dio sono le opere della creazione. In questo individuo che non ha usufruito della luce della creazione, Gesù inaugura le opere di Dio (Gesù rimodellerà l’uomo, con lo sputo sul fango, a sua immagine e somiglianza). Nell’uomo ritenuto maledetto da Dio, peccatore dalla religione, emarginato dalla società (è un mendicante), si manifesta visibilmente l’opera del creatore. È una persona che è stata esclusa dall’azione creatrice, e Dio lo vide e continua a creare.

4 Noi dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. Parlando al plurale, Gesù invita i discepoli ad associarsi alla sua attività. Dai vangeli emerge il tema importante che il creato non è stato terminato, è in corso di creazione. Gesù, al capitolo 5 non osserva il sabato, perché il sabato indicava la fine del lavoro di Dio. Gesù non è d’accordo: il Padre mio lavora e anch’io lavoro. Reinterpreta il racconto della Genesi, che non è il rimpianto di un paradiso irrimediabilmente perduto, ma la profezia di un paradiso da costruire. Nel brano della creazione l’uomo peccatore è escluso dal paradiso, con Gesù l’uomo peccatore entra in paradiso, per lui costruito. Non c’è da rimpiangere un paradiso abbandonato, ma da rimboccarci le maniche per costruire quell’armonia tra uomo e donna voluta dal Signore.

5 Finché sono nel mondo, io sono la luce del mondo. Secondo il profeta Isaia, la missione del Messia non si restringeva ad Israele, andava verso i confini dell’umanità. Gesù non si proclama luce di Israele, ma luce del mondo. Quello che non riuscirà a compiere durante la sua esistenza terrena, sarà compito della comunità continuare a prolungare. Più avanti dirà: quello che io ho compiuto, anche voi lo compirete, anzi farete opere più grandi di quelle che io ho compiuto. Dio ha tanta stima degli uomini che ci chiama a collaborare alla sua azione creatrice, attività che non terminerà con la morte. Nel passo dell’Apocalisse, l’autore dice: beati quelli che muoiono nel Signore e indica che quando si entra nella vita definitiva, l’unica attività che si continua a fare, di quello che abbiamo fatto sulla terra, è collaborare all’azione creatrice di Dio. In questa esistenza terrena siamo chiamati a collaborare all’azione creatrice del Padre e questa attività non terminerà neanche con la morte. Collaborare all’azione creatrice del Padre vuol dire fare opere che comunicano vita, gioia e felicità alle persone. 

6 Detto questo, non c’è alcuna relazione tra il peccato e la malattia e che il Signore vuole portare vita a tutti gli uomini, sputò per terra, la saliva era ritenuta avere delle proprietà medicamentose, per fare del fango con lo sputo l’evangelista legge le azioni di Gesù come azioni del Creatore, quando creò il primo uomo. Nel libro della Genesi si legge che Dio fece del fango, con l’argilla creò il primo uomo. Quando Gesù incontra un peccatore (il cieco secondo la mentalità dell’epoca è un castigato da Dio, è un maledetto, se poi ha peccato lui o i suoi genitori resta in sospeso) non lo rimprovera, non lo manda a purificarsi, lo inonda del suo amore creatore. L’azione di Gesù è prolungare nel tempo l’attività creatrice del Padre e plasma la persona secondo il progetto originario di Dio. Ci aspetteremmo e mise il suo fango sugli occhi, invece unse. L’evangelista usa un verbo che non è appropriato, non si unge con il fango; unse in greco è epecrisen, cris è la stessa radice di Cristo, l’unto. L’evangelista fa un gioco di parole, perché unse non è il termine appropriato e molti manoscritti successivi hanno corretto con il termine più appropriato mise. L’evangelista vuole indicare che Gesù modella l’uomo a sua immagine e somiglianza; lui è il Cristo (Messia in ebraico), l’unto del Signore, l’uomo che ha condizione divina e incontrando l’uomo lo modella a sua immagine e somiglianza. Per questo Giovanni usa ungere al posto di mettere e mise, il suo fango sugli occhi, Gesù, l’uomo sul quale è sceso lo Spirito comunica la propria potenza creatrice al cieco.

Andò dunque, si lavò e tornò vedendo. di Gesù è condizionata dalla risposta dell’uomo. L’evangelista ci presenta quanto accadde nella prima guarigione compiuta da Gesù a Gerusalemme sull’invalido, a cui disse: alzati e prendi il tuo giaciglio. Non dice: alzati e cammina, perché il camminare non dipende da Gesù, ma dall’individuo che ha come condizione prendere il proprio giaciglio.

8 Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, per la prima volta, nel corso della narrazione si dice che è un mendicante, non solo cieco dalla nascita, emarginato dalla religione che lo ritiene un maledetto da Dio, è anche emarginato dalla società, perché è un mendicante, e dicevano: Non è egli quello che stava seduto a mendicare? La domanda ci lascia perplessi. Perché non riescono a riconoscerlo? Era cieco e adesso vede (non è che era monco e gli è spuntato un arto), ma come mai i vicini che lo conoscevano non lo riconoscono? Attraverso queste espressioni l’evangelista vuole indicare l’assoluta novità, visto che non c’era mai stato nell’Antico Testamento un caso di una guarigione di un cieco dalla nascita, ma ci prepara alla profonda trasformazione che avviene interiormente nelle persone che accolgono il messaggio di Gesù.

9 Alcuni dicevano: È lui, altri dicevano: No, ma gli assomiglia. Non meraviglia tanto il cambiamento fisico, ma la profonda trasformazione interiore avvenuta nell’individuo. Quando una persona ritrova libertà, dignità, grazie all’incontro con Gesù, diventa una persona nuova pur restando la stessa. Prima di Gesù la comunione tra Dio e gli uomini avveniva in un luogo, il Tempio; ci volevano delle persone, i sacerdoti; ci voleva una Legge, un culto che permettevano all’uomo di entrare in comunione. Con Gesù la comunicazione è immediata, completa e totale; Dio si fonde con l’uomo e l’uomo che l’accoglie diventa un uomo con condizione divina. Per questo il cieco dice Io sono.

10 Allora gli dicevano: Come dunque ti si aprirono gli occhi? In tutta la narrazione non c’è alcuna espressione di gioia e di allegria per la guarigione dell’individuo, la loro preoccupazione è come ti sono aperti gli occhi. L’espressione aprire gli occhi verrà ripetuta per ben sette volte; il numero sette richiama sia i giorni della creazione, e nell’attività di Gesù si vede la continuazione dell’azione creatrice di Dio, sia la completezza. Questo allarma le autorità, perché Isaia diceva che tra le azioni che il Messia avrebbe compiuto, c’era quella di aprire gli occhi ai ciechi. Non significa restituire la vista ai non vedenti, ma liberare le persone dall’oppressione politica e religiosa. Quando nei vangeli si legge che Gesù apre gli occhi ai ciechi, può essere che abbia restituito la vista ai non vedenti, ma non è quello che l’evangelista vuole trasmettere. Aprire gli occhi ai ciechi significa liberarli da una oppressione che impedisce di vedere i disegni di Dio su di loro. La gente che vive sottomessa, obbediente alle autorità religiose credendo che il sommo sacerdote rappresenti Dio e trasmetta la volontà di Dio, che vive con il senso di colpa e di peccato, quando incontra Gesù si accorge di un Dio completamente diverso.

12 Gli dissero: Dov’è questo tale? Non lo so. L’azione di Gesù è rendere le persone libere, non le lega a sé; l’attività di Gesù è restituire dignità agli uomini, far scoprire loro dignità e libertà, il seguirlo sarà poi un’attività cui loro dovranno pensare.

13 Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco. non c’è manifestazione di giubilo, né di allegria; condussero ha una connotazione negativa e indica essere trasportato contro la propria volontà - lo ritroveremo nei vangeli con Gesù condotto dalla casa di Caifa a Pilato – come se lo avessero arrestato. L’uomo da miracolato diventa un imputato.

14 Or è di sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Ma non poteva farlo un altro giorno? L’invalido della piscina lo era da 38 anni e se lo guariva mezza giornata dopo era contento ugualmente e il cieco dalla nascita sarebbe stato contento lo stesso. Benedetto Cristo, è il caso di dire, che te le vai in cerca, era di sabato! Il giorno di sabato era proibito fare 39 lavori, che secondo la tradizione erano serviti per la costruzione del Tempio e tra questi c’era fare del fango, quello che Gesù ha fatto. I 39 lavori erano suddivisi in altri 39 lavori per un totale di 1521 azioni proibite da compiersi in giorno di sabato.

15 A loro volta i farisei, dunque, gli chiesero come avesse acquistato la vista. A loro interessa sapere la modalità, se ha riacquistato la vista attraverso la trasgressione della legge.

16 Allora alcuni dei farisei dicevano: Quest’uomo non è da Dio, perché non osserva il sabato. Ci troviamo di fronte i farisei, che mettevano in pratica durante la vita quotidiana ben 365 comandamenti, 248 proibizioni per un totale di 613 azioni! Erano persone in cui ogni gesto, ogni attività era scandita dalla preghiera, non c’era nulla che non fosse accompagnato dalla benedizione. Come è possibile che uomini pii, religiosi, attenti che nella propria vita non entrasse nulla di impuro, che vivevano nella perfetta santità (fariseo vuol dire separato, con il proprio stile di vita si separava dal resto della gente) quando incontrano in Gesù la pienezza della divinità non solo non la riconoscono, ma affermano senz’ombra di dubbio: è un peccatore, non viene da Dio? Vedono che uno viene da Dio, se osserva la legge; per Gesù essere da Dio, lo si vede in relazione all’amore per l’uomo.

Altri dicevano: Ma, come può un uomo peccatore compiere tal segno? E c’era dissenso (l’evangelista dice scisma) tra di loro. In qualche fariseo è incrinata l’ostentata sicurezza di quelli che ragionano con in mano il codice di diritto, come può essere peccatore uno che compie tali segni? L’azione di Gesù che comunica vita, luce, al cieco nato, mette in crisi il gruppo dei farisei e l’evangelista mette le basi della tensione sempre esistente nella comunità cristiana. Ci sarà sempre tensione tra chi guarda alla legge di Dio e chi guarda il bene dell’uomo.

17 Allora dissero di nuovo al cieco: Tu che dici di lui, che ti ha aperto gli occhi? Per la terza volta torna l’espressione aprire gli occhi. La situazione qui è capovolta. Coloro che vedono - e i farisei ambivano al titolo di essere guide dei ciechi per il loro stile di vita, di santità e per l’osservanza dei 613 precetti e si ritenevano un faro che illuminava la vita dei ciechi - sono i ciechi (per loro Gesù non viene da Dio, è un peccatore), il cieco, il maledetto da Dio, adesso vede. 

Tu che dici di lui, che ti ha aperto gli occhi? E lui rispose: È un profeta. L’uomo non ha dubbio che in Gesù c’è un inviato da Dio. Mosè aveva detto che Dio, dopo di lui avrebbe inviato un profeta come lui e il cieco dice, ecco il profeta che aspettavate. I farisei che stanno giorno e notte con il naso sulla scrittura, non se ne rendono conto. 

18 Ma i Giudei non credettero i farisei scompaiono ed entrano in campo i Giudei, i capi religiosi e civili di lui che era stato cieco, La denuncia dell’evangelista è tremenda: le autorità religiose per difendere la loro teologia negano l’evidenza e difendono il proprio prestigio e se stessi. Per salvaguardare il proprio interesse sono pronte a tutto, anche al crimine. Il fatto è evidente: il cieco adesso vede, ma poiché questo mette in crisi la loro teologia, che non può essere negata, negano il fatto evidente.

19 E li interrogarono: In realtà è una intimidazione e pongono due domande ben pensate. Questo è il vostro figlio che voi dite essere nato cieco? li stanno accusando di imbroglio e cercano di intimidirli in modo che neghino la realtà del fatto, Come mai ora ci vede?. Non è vero che è vostro figlio e se è vostro figlio, non è vero che era cieco, lo avete fatto per ingannare la gente.

20 I suoi genitori risposero: Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco;

21 come poi ora ci veda, non lo sappiamo, ne sappiamo chi gli ha (è la quarta volta) aperto gli occhi. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di se stesso. L’atteggiamento dei genitori sembra essere vile, scaricando sul figlio la responsabilità dell’accaduto: noi non sappiamo chi gli ha aperto gli occhi: ha l’età (è maggiore, ha 13 anni, il protagonista è poco più di un ragazzo), parlerà lui di se stesso.

22 Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei. È la prova che il termine Giudei non indica gli appartenenti al popolo, ma i capi; anche i genitori del cieco sono giudei, eppure hanno paura dei Giudei. Infatti, i Giudei si erano già accordati, che se uno l’avesse riconosciuto come Messia, venisse espulso dalla sinagoga. I capi del popolo, sommi sacerdoti, scribi, che dovevano presentare al popolo la volontà di Dio e che in teoria, nella preghiera, pregavano per l’arrivo del Messia, avevano il terrore del suo arrivo e avevano già stabilito che se qualcuno riconosceva Gesù, Messia, doveva essere espulso dalla sinagoga.

24 Allora chiamarono una seconda volta l’uomo che era stato cieco e gli dissero: Dà gloria a Dio! Immaginate la soggezione del povero ex cieco di fronte alle massime autorità religiose: dà gloria a Dio. È una espressione ebraica che invita la persona a confessare, anche se va contro il proprio interesse; quindi sii completamente sincero, anche se la tua sincerità va contro il tuo interesse. Noi sappiamo (è tutta la categoria dei capi religiosi) che quest’uomo è peccatore; le autorità religiose impongono il loro punto di vista all’uomo, che non ha diritto di avere una propria opinione.

Una cosa so: ero cieco e adesso ci vedo. L’espressione è di una bellezza unica e fonda la libertà di coscienza dell’individuo. Ci sono voluti 2000 anni alla chiesa per arrivare a questa conclusione: quando esiste un conflitto tra una verità rivelata, tra la dottrina, tra la teologia, la propria esperienza e la propria coscienza hanno il primato. Di fronte ad un conflitto tra la tua esperienza che vivi, che è bella, che stai bene così e una teologia che ti dice sei in peccato, devi rinunciare al tuo stile di vita perché altrimenti sei in peccato, quella ha il primato. La storia purtroppo ci ha insegnato che spesso le persone hanno sacrificato la propria vita e affettività e sessualità perché c’era una religione che diceva: voi siete in peccato.

L’uomo dice: Una cosa so: ero cieco e adesso ci vedo. Per me sta bene. La coscienza dell’individuo ha il primato su qualunque verità o dottrina rivelata.

26 Allora gli dissero: Che cosa ti ha fatto? Per loro è inammissibile che trasgredendo la legge di Dio, si possa compiere il bene; è un fatto imprevedibile che non rientra nel loro diritto canonico. Come ti ha aperto gli occhi? è la quinta volta che glielo chiedono e per cinque volte l’uomo ha risposto, ma non l’ascoltano. L’uomo non si piega all’autorità e non vuole ammettere quello che dovrebbe ammettere, che per lui sarebbe stato meglio rimanere cieco, piuttosto che vedere per opera di un peccatore. Però la forza della vita è più forte di qualunque dogma e l’uomo non ci sta, ora ci vede.

27 Rispose loro: Ve l’ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Forse volete diventare anche voi suoi discepoli? è il massimo dell’ironia. L’uomo ha già risposto, ma le autorità non lo hanno ascoltato. Una gerarchia religiosa che non ascolta il popolo non viene ascoltata; non ascoltano il popolo perché non ascoltano Dio, e non ascoltano Dio perché non ascoltano il popolo. Per la gerarchia religiosa è impossibile ascoltare il popolo, tra loro e i fedeli c’è un abisso. Appartengono ad una casta religiosa e non scendono a contatto con le persone, questo ognuno può ambientarlo nel proprio campo.

28 Allora lo insultarono, non sanno come replicare, e gli dissero: Tu sei discepolo di quello! detestano tanto Gesù, che è Dio, da evitarne di pronunciare il nome. Lo trattano con grande disprezzo. Com’è possibile che quando Dio si manifesta, proprio coloro che pretendono di essere i suoi rappresentanti, non solo non lo riconoscono, ma lo rifiutano e lo disprezzano! Tu sei discepolo di quello!

30 Rispose l’uomo e disse loro: Proprio questo fa meraviglia: che voi non sapete da dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Tra la teologia e l’esperienza, l’uomo si rifà all’esperienza: ero cieco dalla nascita adesso vedo. Ci vuole tanto per capire che quest’uomo viene da Dio? L’evangelista fa un ritratto impietoso dei capi religiosi; per bocca del cieco ne denuncia l’ottusità, non sanno riconoscere mai la presenza di Dio sulla vita. Il popolo, ignorante, ha riconosciuto il salvatore, le autorità religiose lo ignorano, questo fa meraviglia, che voi non sapete da dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi, il loro sapere non è basato sull’esperienza di vita, ma su dottrine da loro stessi elaborate.

31 Ora noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno venera Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Partendo da nozioni elementari di catechismo, l’ex cieco nato smaschera l’ignoranza e l’ottusità delle autorità che pretendono di insegnare al popolo e non conoscono gli elementi più basilari e logici del catechismo. Si ricollega ad una regola elementare: Dio non ascolta i peccatori, ma se uno venera Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. E partendo dall’esperienza,

32 Non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Nella storia di Israele, almeno nella bibbia, non c’è il caso di un cieco nato che recupera la vista. Quest’esperienza comune sappiamo che mai un cieco nato ha recuperato la vista è la prova per il cieco che c’è un intervento divino. Tutti se ne accorgono, meno le autorità religiose, che rappresentano le tenebre nemiche della vita. Dove c’è la vita, lì c’è l’esistenza di Dio, c’è la prova dell’intervento di Dio.

33 Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto fare nulla. Il buon senso del popolo, rappresentato dal ragazzo, ridicolizza le acrobazie teologiche delle autorità che non possono ammettere l’evidenza perché viene scalfita l’autorità e la dottrina. Per non modificare la dottrina negano il fatto. Non sanno come replicare e quando le autorità non hanno argomenti ricorrono alla violenza.

34 Gli replicarono: Sei nato tutto intero nei peccati e vuoi insegnare a noi? Le autorità religiose non hanno nulla da apprendere, sono loro che insegnano al popolo e reagiscono decretando che l’uomo è nato tutto intero nei peccati (nei discepoli c’era un dubbio Ha peccato lui o i suoi genitori?), e non hanno dubbi, è un maledetto.

E lo cacciarono fuori. Lo scomunicano, come hanno fatto con Gesù, quando è uscito dal Tempio. I responsabili della cecità dell’uomo scaricano la colpa su di lui. L’uomo dovrebbe ritornare ad essere cieco per dare ragione ad essi ed essere a posto con Dio. Il loro crimine è che l’uomo per non vivere in peccato, dovrebbe rinunciare alla vita.

35 Gesù udendo le autorità non ascoltano il popolo, non hanno nulla da imparare, Gesù ascolta che lo avevano cacciato fuori, fu a cercarlo. Gesù non lo lascia in balia degli avvenimenti, una volta che ha iniziato il suo lavoro, gli va incontro in una comunicazione incessante e crescente di vita.

E gli disse: Tu credi nel Figlio dell’uomo? ritorna il titolo più applicato da Gesù a se stesso ed è, per la mia esperienza, il meno conosciuto nelle comunità cristiane. La gente sa cosa vuol dire Gesù Cristo, il salvatore, il redentore e conosce gli altri titoli, ma è ignorante per il Figlio dell’uomo, che è per noi il più importante. Perché conosciamo meno questo titolo, il più presente nei vangeli e che Gesù applica sempre a se stesso? Cos’è il Figlio dell’uomo? È l’uomo che, avendo raggiunto il massimo della sua umanità, entra nella condizione divina, non è un’esclusiva di Gesù, è una possibilità per tutti i credenti. È un uomo pienamente libero, che non ha nessuno al di sopra di sé, neanche Dio, perché è lui Dio.

36 Egli rispose: Chi è, Signore, perché io creda in lui?

37 Gesù gli disse: Tu lo hai visto: non dice: tu lo vedi. Aveva detto prima detto: credi nel Figlio dell’uomo, in me come pienezza di vita? e alla domanda del cieco: chi è? avrebbe dovuto dire: tu lo vedi, invece è: Tu lo hai visto, rimandando all’esperienza passata, quando gli aveva messo il fango sugli occhi e alla gente che non lo riconosceva, aveva risposto: Io sono, cioè l’uomo con la condizione divina. È l’uomo modellato a immagine e somiglianza di Dio, come si è riflessa in Gesù. L’uomo ha già visto la condizione dell’uomo-Dio in Gesù. colui che parla con te è proprio lui.

38 Ed egli disse: Credo Signore! E lo adorò. L’ex cieco non scopre qualcosa di nuovo, è capace di dare il nome a quello che aveva sperimentato. Il cieco gli dice: Credo, Signore! E lo adorò. Nell’episodio della samaritana Gesù aveva detto che il Padre cercava tali adoratori: l’uomo espulso dal Tempio, dove si riteneva esserci la presenza divina, non la perde, ma incontra quella vera. L’unico vero santuario, in cui si manifesta la potenza dell’amore di Dio, è Gesù e quanti gli danno adesione.

39 Gesù allora disse: Io sono venuto in questo mondo per aprire un processo, molti traduttori frettolosi traducono giudizio, che in greco ha un altro nome. Qui è processo, non dà il giudizio, questo se lo danno le persone. La presenza di Gesù denuncerà un modo di operare del mondo e apre un processo contro un sistema che l’evangelista denuncia come espressione delle tenebre; la sentenza se la daranno gli uomini, non Gesù. perché coloro che non vedono, vedano, è il caso del cieco nato; Gesù si è presentato come modello dell’uomo, colui che era cieco lo ha accolto e ora vede e quelli che vedono, diventino ciechi. Come fanno quelli che vedono a diventare ciechi? Non lo possono tollerare, perché se riconoscono in Gesù la condizione divina che poi comunica a tutti, loro perdono il potere, il prestigio, il ruolo, l’incarico sociale, gli onori.

41 Gesù rispose loro: Se foste ciechi non avreste alcun peccato; per l’ennesima volta ribadisce che non c’è alcun collegamento tra il peccato e la malattia, ma siccome dite: noi vediamo, il vostro peccato rimane. Gesù demolisce la loro aspettativa. L’indifferenza dei farisei al bene degli uomini, unita alla loro pretesa di indicare la strada, li rende colpevoli della loro cecità. Non sono guide dei ciechi, sono guide cieche. Se una guida è cieca, quelli che la seguono, dice in un altro vangelo, finiscono nella rovina. Sono causa della rovina del popolo.

domenica 22 gennaio 2023

III DOMENICA TEMPO ORDINARIO A

 




(Is 8,23b - 9,3; Sal 26; 1 Cor 1,10-13. 17; Mt 4,12-23)

Paolo Cugini

Siamo sempre in cammino alla ricerca della comprensione del Mistero. C’è un percorso da compiere che facciamo fatica a realizzare. Il contesto culturale certamente non aiuta in questo cammino. Siamo costantemente sollecitati da messaggi che ci portano a valorizzare l’apparenza e, in questo modo, trascuriamo il cammino interiore, la cura della coscienza. Sarebbe interessante capire se c’è un modo, un punto di partenza privilegiato da cui partire per la comprensione del Mistero che Gesù ha rivelato e che rende possibile la sequela?

si ritirò nella Galilea, lasciò Nazareth e andò ad abitare a Cafarnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zabulon e di Neftali (Mt 4,12).

Bisogna partire dalla Galilea. È qui il punto di partenza privilegiato, che apre la mente al mistero. Mentre la Giudea ha una nobile discendenza – il nome infatti, deriva da Giuda, uno dei Patriarchi – la Galilea non ha niente di nobile: tutt’altro. Gli storici ci dicono che era una terra abitata da gente povera, violenta, mal vista dagli altri. È questo luogo che Gesù scegli per iniziare il cammino e per chiamare i primi discepoli. La scelta non è casuale. È possibile comprendere il Mistero che si è manifestato in Gesù scegliendo il punto giusto di partenza. La Galilea, uscendo dalla metafora, indica che per avere delle possibilità di comprendere il Mistero occorre mettersi nelle condizioni di accogliere e, di conseguenza, occorre cercare la povertà evangelica. Abitare nella Galilea, abitare la semplicità evangelica per seguire il Maestro nell’esodo verso la pienezza di vita. Spogliarsi per lasciarsi rivestire da Lui.

Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta.

Per aiutare i lettori a comprendere il senso del cammino da intraprendere, l’evangelista Matteo cita un brano di Isaia al capitolo 8, in cui si parla del contrasto tra luce e tenebra. Di che tenebre si tratta? È un’immagine simbolica per parlare della religione del tempio, che si era instaurata all’epoca del ritorno del popolo dall’esilio in Babilonia e ricostruita attorno al secondo tempio. È una religione che media il rapporto con Dio con una serie di precetti e prescrizioni, con sacrifici cultuali che vedono protagonista non Dio, ma la classe sacerdotale. Le tenebre sono costituite dalla schiavitù causata da questo rapporto malato con Dio, che mantiene gli uomini e le donne in uno stato infantile, sottomessi da una lista immensa di decreti e prescrizioni impossibili da osservare e che, di conseguenza, creano i sensi di colpa e una vita da schiavi. Gesù in mezzo a queste tenebre, porta la luce del Vangelo, un cammino di liberazione dalla religione dei precetti, per impostare un rapporto nuovo con Dio che, d’ora innanzi non è più un tiranno, ma un Padre.

Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino. Per entrare nello spazio dell’umanità nuova dell’amore e della giustizia portato da Gesù occorre un percorso di conversione, un cambiamento di mentalità. È il nuovo Esodo proposto da Gesù, il nuovo Mosè. Per questo il testo dice che Gesù andò a Nazaret sulla riva del mare: è un’indicazione simbolica, che fa riferimento al Mar Rosso, che segnò il momento di passaggio del popolo d’Israele dall’Egitto verso Gerusalemme, dalla schiavitù alla liberazione. Cammino, dunque, non facile, perché come ci ricorda sempre Gesù, il suo vino nuovo del Vangelo non può essere contenuto negli otri vecchi della religione del tempio. Il cammino di libertà proposto da Gesù esige persone disposte a lasciare la vecchia mentalità per assumerne una nuova. La chiamata dei primi discepoli che abbiamo ascoltato nella pagina di Vangelo di oggi, ha questo significato: chiamati per entrare nello spazio dominato dall’amore del Signore, dalla sua giustizia e misericordia.

Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire (1 Cor 1,10).

Il cammino che Gesù propone non è individuale, ma comunitario. È nella comunità, infatti, che impariamo a volerci bene, che sperimentiamo il dono del perdono e della misericordia. È sempre nella comunità che comprendiamo che Dio non fa preferenze di persone (At 10,34) e che ci accompagna nello stile accogliente ed inclusivo che è stata la proposta specifica di Gesù. Seguire Gesù significa, in questa prospettiva, essere disposti ad abbandonare la mentalità individualistica del merito, per entrare nella logica della comunione e della condivisione. L’amore gratuito del Signore si può solo accogliere, non ha bisogno di sacrifici speciali, di fioretti per essere conquistato. L’accoglienza dell’amore gratuito del Signore genera comunità accoglienti, disinteressate, disponibili al servizio tra i fratelli e le sorelle, pronte in ogni momento a ricucire le divisioni che l’egoismo umano possono causare. Come lo stesso Gesù dirà nel contesto dell’ultima cena narrata da Giovanni (Gv 13,34-35), la comunione, l’amore reciproco, è il segno visibile della presenza del Signore Gesù, è la carta d’identità dello stile della comunità che si ritrova nel nome del Signore. Rispondiamo, allora, positivamente alla sua chiamata per metterci in cammino dietro di Lui, disponibili ad accogliere il suo amore gratuito, per costruire assieme a Lui quell’umanità nuova che rivela al mondo l’amore infinito del Padre. 

lunedì 16 gennaio 2023

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 8

 



 

[Annotazioni di Paolo Cugini]

1-11: Gesù e l’adultera. l capitolo inizia con un brano che senza dubbio non è di Giovanni, però è finito nel suo vangelo. Bisogna arrivare al XII secolo per trovare un commento in lingua greca del brano e solo nel V secolo è stato usato nella liturgia. Cosa c’è di tanto scandaloso nel brano dell’adultera perdonata da Gesù, che nessuna comunità voleva ed è stato censurato per 500 anni, prima di entrare nella liturgia eucaristica?

12-20: Gesù luce del mondo. Con Gesù non sono gli uomini che vanno incontro a Dio, ma è Dio che prende l’iniziativa e va verso gli uomini. Il Dio di Gesù non è il traguardo dell’esistenza delle persone; è all’inizio e li inonda del suo amore. Non siamo stati noi ad amare Dio - dice il Nuovo Testamento - ma è Dio che ha preso l’iniziativa. Nella fede è Dio che si vuole avvicinare all’uomo, e l’istituzione religiosa che si intromette tra uomo e Dio, è una barriera che impedisce a Dio di comunicare il suo amore all’umanità. Chi segue me, non cammina nelle tenebre e la tenebra in Giovanni indica l’istituzione religiosa giudaica, che si credeva avrebbe dovuto permettere la comunione con Dio, in realtà l’impediva. I capi religiosi per il proprio interesse avevano presentato l’immagine di un Dio inavvicinabile; avevano inventato il peccato per dominare le persone e per inculcare il senso di colpa, tenendole sottomesse. Gesù è venuto a compiere una liberazione dal dominio della religione, non da un dominio politico dei romani. Gesù in questa immagine, si richiama alla storia di Israele, all’esodo, in cui Dio camminava con il popolo come colonna di fuoco da seguire.

Negli annuncia profetici il messia è chiamo luce delle nazioni e ha il compito di diffondere tra tutti i popoli la legge, che è la luce del popolo (cfr. Is 42,4-6; 49,6; 51,4). Gesù sembra avere la coscienza di essere il realizzatore di queste profezie. La parola di Gesù è coinvolgente, fa decidere, una parola che vuole illuminare ogni uomo. Solo chi lo accoglie come luce viene tolto dalle tenebre. Occorre incontrare qualcuno che già sappia chi è Gesù. Possiamo conoscere Gesù solo se ci lasciamo ammaestrare da Dio, cioè dalla Scrittura.

Gesù dice: ma avrà la luce della vita. Come chi accoglie Gesù come acqua, questa comincia a gorgogliare e lui stesso diventa fonte zampillante di acqua, così chi accoglie questa luce diventa lui stesso luce.

15 Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. Giudicare secondo la carne, indica nel mondo ebraico l’uomo nella sua incompletezza, nella sua debolezza e ha un duplice significato: non riuscendo a percepire lo Spirito in Gesù, non sanno da dove viene né dove va, vedono soltanto la realtà umana. Per loro è inammissibile che in un uomo si manifesti la pienezza della condizione divina.

18 Io sono il testimone di me stesso e di me testimonia chi mi ha inviato, il Padre. Ogni qualvolta in Giovanni troviamo Io sono, indica il nome di Dio. Quando Mosè ha chiesto il nome al misterioso fenomeno che gli è apparso nel roveto ardente, Dio ha risposto Io sono, maniera con cui la tradizione ebraica predicava un Dio sempre presente nel suo popolo. Gesù rivendica la pienezza della condizione divina, motivo per il quale hanno già deciso di ammazzarlo: perché tu sei uomo e ti fai Dio. Il progetto di Dio sull’umanità, che l’uomo diventi Dio, (Gv. 1,12).

19 Gli dicevano dunque:“Dov’è tuo padre?. I farisei cadono nella sua provocazione e chiedono dov’è il secondo testimone, il Padre. Rispose Gesù: Non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, anche il Padre mio conoscereste. È il dramma religioso dell’istituzione religiosa. Un’istituzione religiosa che deve proporre al popolo un Dio, che lei per prima non conosce. Gesù dice che se i capi conoscessero lui, conoscerebbero anche il Padre, perché la sua presenza comporta quella del Padre. Quando Filippo gli chiede: mostraci il Padre, ci basta, risponde: chi ha visto me, ha visto il Padre. Al termine del prologo l’evangelista dice: Dio nessuno lo ha mai visto, solo il Figlio ne è la rivelazione. Centratevi su Gesù, avete tante cose in testa su Dio nate dalle paure, dalle tradizioni religiose, dalle superstizioni, dalle filosofie. Se quello che vedete sulle attività, sull’insegnamento di Gesù corrisponde alla idea che voi avete di Dio, mantenetela, altrimenti sbarazzatevene. E sono molte le idee su Dio, conoscendo Gesù, che devono essere eliminate. Il Dio di Gesù è un Dio amore, che per amore si mette a servizio degli uomini. È un Dio che non condanna, ma salva. Un Dio che non domina, ma che potenzia. Le immagini di un Dio contrario a questo vanno eliminate. Gesù è l’unica immagine di Dio. Chi non conosce Gesù, non può sapere chi è il Padre, il creatore che è sempre a favore degli uomini. Il criterio per capire se una persona viene da Dio o no è la sua attività. Se è a favore degli uomini, viene da Dio, altrimenti bisogna essere dubbiosi.

21-30: Com’è triste rifiutare Gesù. Gesù interpreta la sua ora come un ritorno al Padre. I suoi interlocutori lo interpretano, invece, come un desiderio di uccidersi. Chi non riconosce Gesù pecca contro lo Spirito Santo e di conseguenza, non può certo andare dove sta andando lui. Si tratta di credere che Gesù è, altrimenti non c’è salvezza. Di fronte a Gesù c’è ora la via della morte.

Mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Parla ai farisei, persone maniache della purezza, che stavano attente a non mangiare nulla di impuro, che osservavano 365 comandamenti e 248 proibizioni per un totale di 613 regole da osservare tutto il giorno. Sono riportate in un libro che non può non essere tragicomico, come ogni regola religiosa, anche nostrana. Le 613 regole indicavano ai farisei come comportarsi dal mattino fino a sera: appena ti svegli apri l’occhio destro e dici benedetto colui che ha mandato la luce nel mondo, poi l’occhio sinistro ringraziando il Signore che ha fatto l’aurora… ti benedico Signore perché hai creato l’uomo con sapienza, infatti hai creato dei buchi che stanno aperti e degli altri che stanno chiusi…Gesù dice: siete nel peccato fino al collo, morirete nel vostro peccato, perché per la tradizione religiosa il peccato è la trasgressione della legge; con Gesù il rapporto con Dio non è basato sulla legge, ma sull’accoglienza dell’amore, della vita. È la seconda volta che Gesù parla di peccato e in entrambe le volte lo fa nel recinto del Tempio. Al termine del capitolo V, dopo la guarigione dell’infermo, lo ritrova al Tempio e gli dice: non peccare, perché non ti capiti di peggio. Una volta che Gesù ha liberato la persona, se questa ritorna nell’ambito della religione, causa dell’infermità, per lei non c’è più alcuna speranza. Per i farisei il peccato è in relazione alla legge, se la obbedisci o no; per Gesù è in relazione alla vita e consiste nel privare o privarsi della libertà e per questo è il peccato delle autorità religiose, che privano gli altri della libertà. Quelli che si privano della libertà sono in peccato e paradossalmente, quelli che appartengono al mondo della religione vivono nel mondo del peccato, perché la religione tollera tutto eccetto la libertà degli individui. Ha bisogno di mantenere le persone in una condizione infantile, immature bisognose di un capo, che loro riconoscono come tale, che dica loro cosa fare, come fare e quando fare. È un bambino che ha bisogno del genitore! La persona adulta, matura, si rende indipendente. Il peccato consiste anche nell’esercitare e nell’accettare l’oppressore e infine nel rendersi complici di questa ingiustizia.

Voi morirete nel vostro peccato. Non c’è speranza perché Dove io vado voi non potete venire. Non è che i capi non vogliono andare dove va Gesù, non possono andare, perché per lasciare quel mondo di peccato e seguire Gesù, dovrebbero abbandonare la loro pretesa di dominare il popolo, di ergersi sopra gli altri, di disporre della vita degli altri e di imporre loro quello che è giusto o che non è giusto.

23 E diceva loro: sembra un dialogo tra sordi, Gesù dice una cosa e loro ne capiscono un’altra Voi siete quelli del basso, io in quello dell’alto; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Sono due mondi incompatibili. Quello dell’amore che si fa servizio - il mondo del Padre, che secondo la cosmologia dell’epoca apparteneva all’alto, in alto c’è la luce, la vita, - è contrapposto al basso, dove c’è la morte, dove ci sono le tenebre. Sono due mondi contrapposti. L’amore di Dio che si traduce in servizio verso gli altri, è incompatibile con il mondo del potere, dove c’è il dominio delle persone. Sono due sfere diverse, senza alcuna comunicabilità tra di loro, c’è impossibilità di dialogo. Gesù si muove nella sfera dell’amore del Padre, attento ai bisogni degli uomini, i capi si muovono nella sfera della legge di Dio, attenti solo ai bisogni della casta sacerdotale che loro rappresentano. Sono nell’ambito dell’egoismo, causa di divisione e ingiustizia e sono spinti da una insaziabile ambizione di potere e di dominio delle persone. Sono rosi dentro dal possesso del potere. Non sono disposti a dare la vita per il popolo e per questo non sono capaci di andare con Gesù. Le autorità non alleviano le sofferenze, sanno solo infliggerle.

25 Gli dicevano allora: Tu, chi sei? È la stessa domanda dell’inizio del vangelo, subito dopo il prologo, quando Giovanni Battista comincia a predicare e immediatamente da Gerusalemme si scatenano sacerdoti e leviti, la polizia del Tempio. Raggiungono Giovanni e gli chiedono subito: Tu, chi sei? Era scattato l’allarme. Quelli che detengono il potere non stanno mai tranquilli, sanno di essere in una posizione di ingiustizia e temono che qualcuno li possa spodestare dal loro potere. Chi detiene il potere ha sempre lo sguardo sospettoso. Qualunque persona che può turbare l’istituzione religiosa, è considerata un pericolo. Le stesse parole rivolte dalla polizia del Tempio a Giovanni il Battista sono ora rivolte a Gesù,Tu chi sei? Si scatena l’allarme. Nell’ipocrisia dell’istituzione religiosa si diceva di pregare per la venuta del Messia, che se tutta Israele avesse per una volta osservato il sabato, sarebbe venuto il Messia, ma non sarebbe mai stato osservato! Tutta la predicazione era per la venuta del Messia, che non veniva a causa dei peccati del popolo. Ma in cuor loro speravano che non solo il Messia ritardasse la venuta, ma non venisse mai e dicevano alla gente di pregare per la venuta del Messia, che tra le opere che avrebbe dovuto compiere, ci sarebbe stata l’eliminazione della stessa classe dirigente di Israele. Così si spiega il loro comportamento per la venuta del Battista: Tu chi sei? I sacerdoti erano andati per interrogarlo, la polizia per arrestarlo; se Giovanni il Battista avesse ammesso di essere il Messia, lo avrebbero eliminato.

29 E colui che mi ha inviato è con me: non mi lascia solo, perché io faccio sempre ciò che gli è gradito. È una catechesi: colui che mi ha inviato è con me. Per chi collabora all’azione creatrice di Dio (cioè fa scelte che favoriscano, arricchiscano e restituiscano vita agli altri), per chi orienta la propria esistenza al bene degli altri, Gesù garantisce, ha il Padre accanto a sé. Dio non lascia soli; il Padre è accanto a chi vive per gli altri. Non significa che la vita non riservi le sorprese che purtroppo ci sono (malattie, disgrazie, lutti…); avere Dio accanto non significa che questo Dio ci sgombra la strada dagli elementi spiacevoli che la vita ci presenta, ma dona una forza e una nuova capacità per leggerli e per viverli. È la vita che cambia: si incontra la malattia, la disgrazia, il lutto, ma lo si legge e lo si vive in una maniera nuova un fidarsi completamente del Padre.

31-37: Gesù colui che libera.

31 Diceva dunque ai Giudei: Se voi rimanete nella parola (logos che procede da Dio), quella mia, l’evangelista sottolinea che la parola di Dio è quella di Gesù, per contrapporla alle deca logos, decalogo di Mosè. Li invita a non rimanere più nel decalogo di Mosè ma nel suo logos, un’unica parola che sarà formulata, in questo vangelo, in un unico comandamento contrapposto ai dieci di Mosè.

Gesù vuole trasportarli dall’obbedienza a Dio (chi obbedisce è un inferiore), a un rapporto di piena unione con il Signore con l’accoglienza del suo amore. È passare da servo a figlio, dalla relazione con un Signore a una relazione con un Padre, dall’obbligo alla libertà.

Al capitolo 13, prima di annunciare questo comandamento Gesù lava i piedi ai discepoli. Per Gesù amare significa servire, è chiaro che per i capi, che vivevano in un mondo separato dalla gente, vestivano in una maniera diversa per dimostrare di essere in una particolare relazione con il Signore. Questi che chiedevano dalla gente obbedienza e sottomissione, non sarebbero di certo passati a servirla. 32 conoscerete la verità e la verità vi libererà. Invita coloro che si considerano servi del Signore, ad essere figli di Dio, pienamente liberi, nella vera condizione di ogni figlio di Dio. Quanti orientano la propria esistenza verso il bene degli altri, fanno un’esperienza della verità, che non è un concetto, un’idea, è un’esperienza. Secondo Gesù la verità non è un insieme di enunciati, di dogmi, di regole teologiche, ma è un’esperienza (possibile a tutti) di una potenzialità di una vita nuova in piena comunione con Dio. Gli uomini nella misura del loro atteggiamento di servizio sempre più profondo, verso gli altri e più autentico, scoprono la verità (secondo il vangelo di Giovanni) che il Padre è amore, esclusivamente amore e che non ha altra maniera per rapportarsi con le persone che non sia comunicazione d’amore. Scoprono così la profonda dignità di essere suoi figli. Questa verità libera dalla paura di Dio, che la religione ha inculcato. La religione impone cose senza senso, che nessuna persona che ragiona con la propria testa può accettare e per imporle deve mettere la paura di Dio. Religione e paura di Dio vanno a braccetto. La verità liberatrice del Padre, libera dalla paura e fa scoprire una profonda verità, che è nel vangelo e che è nemica dell’istituzione religiosa.

33 Replicarono: Stirpe seme d’Abramo siamo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: Diventerete liberi? Vedono l’offerta di libertà come un attacco alla loro identità. Si rifanno al padre Abramo e rivendicano di non essere mai stati schiavi, anche se lo furono degli egiziani e dei babilonesi; ma ogni ebreo per il fatto di essere discendente di Abramo, la cui moglie era Sara (cioè principessa), si riteneva di stirpe regale. La religione rende servi, ma sicuri; si rifanno ad Abramo alla loro religione per rifiutare la proposta di libertà da parte di Gesù. 34 E Gesù rispose loro: Amen, amen vi assicuro e l’evangelista ricorre a questa formula per sottolineare l’importanza di quanto viene detto da Gesù chi fa il peccato è schiavo del peccato. Non si rifà ai peccati, alle colpe degli uomini; il peccato è il rifiuto alla pienezza di vita che egli offre all’umanità ed è già apparso in questo vangelo come una cappa che domina l’umanità e precede l’arrivo di Gesù e che Gesù non espierà, ma eliminerà infondendo vita agli uomini. L’istituzione religiosa sarà lo strumento del peccato, che impedisce agli uomini di scoprire la pienezza di vita che il Padre le offre, che è l’amore. Come si può sperimentare un Dio amore, se per ogni cosa mi giudica e mi ritiene in colpa? Basta guardare i libri della Legge e si vede che anche le normali espressioni della vita quotidiana rendevano l’uomo impuro, doveva sempre purificarsi. Quando una persona si sente sempre in colpa e impura come può sperimentare l’amore di Dio? L’offerta d’amore di Dio all’umanità rimaneva celata dalla cappa; il peccato a cui su riferisce Gesù significa che chi obbedisce ad una istituzione ingiusta e su di essa fonda la sua attività, crede naturale comportarsi in maniera ingiusta, diventa complice del peccato e schiavo della stessa. Il monito di Gesù è molto chiaro: non entrare nei meccanismi del potere (di ingiustizia, di dominio, di sottomissione degli altri) perché chi vi entra, vedrà naturale comportarsi nella maniera ingiusta. Si diventa complici perché si dà adesione al sistema e se ne diventa schiavi, perché non si riesce più ad uscirne.

Sono stati i sommi sacerdoti che hanno deturpato il volto di Dio, per renderlo somigliante ai loro interessi. Il peccato dell’istituzione religiosa ha deturpato il volto di Dio per i loro interessi, per sfruttare e dominare il popolo. Chi non sperimenta l’amore del Padre attraverso l’amore degli altri non può conoscere Dio come Padre, ma solo come un sovrano, un tiranno al quale bisogna sottomettersi. Gesù rincara la dose: 35 Lo schiavo non rimane nella casa per sempre, il figlio resta per sempre; Si rifà alla tradizione secondo Mosè, che era uno schiavo nella casa del Signore, Gesù si presenta come libero. Un servo non può liberare gli altri servi, solo il figlio colui che è il proprietario può liberarli

36 dunque se il Figlio vi libera, sarete veramente liberi. È Gesù che viene a liberare le persone, ma la liberazione non può essere imposta, ma solo proposta. Ci sono persone che per la loro struttura psichica, spirituale non possono essere liberate, bisogna lasciarle stare. La proposta va fatta, ma non più di tanto, perché alcune persone sanno quello che sono, hanno paura della propria realtà e hanno bisogno di una serie di paletti, di regole che le rendano sicure. È quello che succede ai capi religiosi. Gesù fa la proposta di liberazione, ma non viene accettata.

L’evangelista e Gesù ci stano insinuando qualcosa di devastante. Le massime autorità religiose, riverite e onorate dal popolo e credute rappresentanti assolute di Dio, detentori della volontà di Dio, sono denunciati figli di un altro padre che non è Dio, ma il diavolo. Quelli che devono presentare la volontà di Dio al popolo, non la possono presentare, perché non hanno nulla a che vedere con Dio, sono emissari del diavolo.

41 Voi fate le opere del padre vostro. L’accusa che Gesù sta rivolgendo ai capi è la più tremenda per un ebreo; li sta accusando di idolatria. Se non imitano Abramo è perché non hanno il Dio di Abramo, sono solo degli idolatri che si sono prostituiti (questo è grave per loro) per interesse ad altre divinità. Le autorità reagiscono prontamente all’accusa, essendo stata paragonata dai profeti, alla prostituzione. Gli risposero: Noi, non siamo nati da prostituzione, non solo rivendicano la discendenza da Abramo, ma sottolineano tu si invece, perché avrebbero potuto rispondere: Non siamo nati da prostituzione. Potrebbe esserci un’eco delle numerose dicerie sulle origini oscure di Gesù, nato da una ragazza madre e negli ambienti ebraici vi erano chiacchiere. Il documento più antico che troviamo, nel Talmud, su Gesù dice: un bastardo nato da un’adultera. È probabile che nella piccata risposta delle autorità ci sia, è l’accusa a Gesù, Noi, non siamo nati da prostituzione.

42 Disse loro Gesù: Se Dio fosse il padre vostro, mi amereste, Si vede che Dio è padre di una persona, da come questa ama. Essere figli di qualcuno si vede dal comportamento, non esistono altre credenziali. Essere da Dio, si vede soltanto se uno ha la capacità d’amore, che in qualche maniera assomiglia a quella di Dio. Sempre nella scuola di questo evangelista, nella prima lettera di Giovanni si legge: perché l’amore è da Dio. Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. Si può capire Gesù soltanto riconoscendo in lui la stessa azione del creatore: comunicare vita ad ogni uomo. I capi che sono insensibili alle sofferenze del popolo e non fanno che aggiungerne, che rendono impossibile la vita alle persone e mettono loro pesi su pesi, regole su regole, non possono né comprendere, né accettare.

43 Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete ascoltare la mia parola. Non solo non accolgono la parola, non l’ascoltano nemmeno. È la denuncia che abbiamo visto più volte in ogni evangelista: di non entrare minimamente nella sfera del potere perché sia chi lo detiene, sia chi lo ambisce, sia chi vi si sottomette ed è la categoria più tragica, è refrattario al messaggio di Gesù.

45 A me che dico la verità non mi credete. Per Gesù solo chi è libero da interessi può dire la verità; quando non si cerca il proprio interesse, ma quello degli altri, quello del Padre, solo in questo caso si dice la verità. Quanti vivono nella menzogna costituita a stile di vita, come il potere civile e religioso, rifiutano la verità, proposta da Gesù, di un Dio che è amore e si traduce in servizio per gli altri. Il loro non è un Dio amore, ma un Dio da temere, un Dio che domina le persone e Gesù rinfaccia a loro questo crimine, di aver deturpato il volto di Dio per i propri interessi. Perché il Dio della religione mette paura, obbliga ed è distante dagli uomini? I sacerdoti per farsi obbedire hanno solo la forza di Dio ed ecco il Dio che mette paura, che domina e che obbliga; non è altro che la proiezione del desiderio di potenza da parte del clero, per dominare le persone. Se dico che questo lo vuole Dio, ed io so qual è la volontà di Dio, se non lo fai ci sono i castighi; le persone hanno paura di trasgredire! Per questo dice A me che dico la verità non mi credete. Chi ha interessi da difendere, userà mezze verità e un linguaggio diplomatico.

Peccato: è il rifiuto della pienezza di vita che il Padre comunica.

Negli altri vangeli Gesù denuncia chiaramente: avete oscurato il comandamento di Dio per fare posto alle vostre tradizioni. Nel versetto 45 avevamo visto: se dico la verità perché non mi credete; per Gesù non c’è verità più importante del bene dell’uomo. Tutto quello che concorre al bene, alla felicità dell’uomo è verità. Se a questa, si aggiunge un’altra verità, un’altra dottrina, prima o poi si ritorce contro il bene dell’uomo. Gesù è radicale: non c’è nessuna verità, nessuna dottrina, nessuna teologia al di sopra del bene dell’uomo, neanche proveniente da Dio. Il traguardo dell’esistenza del credente è il bene dell’uomo. È il conflitto tra Gesù (che si muove nella linea dell’amore del Padre) e le autorità (che si muovono nella linea della difesa della legge di Dio, invocata a difesa dei propri privilegi), che risalta dalle prime pagine di questo vangelo. Mai una volta la legge è a favore delle persone; è sempre a favore della classe sacerdotale, che vi si rifà per difendere il proprio privilegio e prestigio. Non c’è mai conciliazione tra la cosiddetta legge di Dio e l’amore del Padre. Tante volte Gesù vorrebbe fare il bene dell’uomo, e i capi si oppongono in nome della legge divina! Se c’è una contraddizione tra il bene dell’uomo e la legge divina, vuol dire che la legge non proviene da Dio.

47 Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio. Gesù avrà avuto tutte le virtù, non certo la diplomazia: sta parlando con i capi religiosi, che, per indicare il loro status religioso di essere più vicini al Signore, indossano abiti, copricapo particolari, e non ha alcun timore reverenziale! Alla fine dell’episodio cercheranno di ammazzarlo. Dice a loro: non siete da Dio, se non sono da Dio, avranno un’altra origine.

48 Reagirono i Giudei e gli dissero: Non diciamo bene noi che sei un Samaritano e che hai un demonio? In questo vangelo è una costante che le autorità se non sanno ribattere o replicare, passano alla violenza verbale e alla violenza fisica. Non fanno mai un esame di coscienza e non si chiedono mai se hanno sbagliato, passano all’insulto e reagiscono, confermando il proprio pensiero: non diciamo bene noi (questa è la prova) che sei un samaritano e hai un demonio? I capi lo denunciano di essere un nemico del popolo (un samaritano) e un nemico di Dio (un indemoniato): è una sentenza di morte nei confronti di Gesù, perché i nemici del popolo vanno lapidati.

50 Io poi non cerco la mia gloria; c’è chi la cerca e giudica. Gesù può onorare il Padre perché non cerca la gloria, le autorità religiose disonorano quella di Dio nella smaniosa ricerca della propria gloria, sono idolatri e bestemmiano il volto del Signore, perché accentrano su di sé l’interesse e l’attenzione che dovrebbe essere rivolta al Signore.

51 Amen, amen: cioè è certo, è sicuro ed è una formula a modo di sentenza,

se qualcuno osserva la mia parola non vedrà mai la morte. Probabilmente Gesù non aveva nessuno che lo consigliasse, perché peggiora la situazione; gli hanno appena dato del matto, non ha fatto nulla per non meritare l’insulto, ma peggiora la situazione. Cambia argomento, che non ha alcun rapporto con il precedente, e dice se qualcuno osserva la mia parola non vedrà mai la morte. In realtà non è un cambio. La sua linea, immagine di un Dio mai visto, è l’offerta sempre piena d’amore a tutte le persone, anche a chi, come in questo caso, ha deciso di ammazzarlo. In un crescendo fino alla sua morte, vedremo che ogni volta davanti all’odio, davanti alla violenza Gesù avrà sempre una risposta d’amore. A quanti hanno deciso di ammazzarlo, se accolgono la sua parola, se accolgono il suo messaggio, orientato verso il bene dell’uomo, offre una vita capace di superare la morte. Se qualcuno osserva la mia parola, in loro fiorirà una vita di una qualità tale, che non farà esperienza della morte. L’evangelista lo dirà al capitolo 11, con la resurrezione di Lazzaro: per il discepolo di Gesù la morte non esiste. La potenza di vita che è in lui, gli eviterà l’esperienza della morte, perché la vita comunicata da Gesù, da Dio, non conosce la fine. Gesù non libera dalla paura della morte, libera dalla morte. Il suo non è un messaggio consolatorio o confortante per liberarci dalla paura della morte, esso libera dalla morte: se uno osserva la mia parola non vedrà mai la morte. Gesù ci assicura che se noi osserviamo la sua parola, il suo messaggio d’amore: orienta la tua vita per il bene degli altri, non si farà l’esperienza della morte. Gli altri vedranno un cadavere, ma tu continuerai la tua vita. Nel vangelo di Giovanni Gesù dirà: chi vive e crede in me, non morirà mai; ci assicura di qualcosa di straordinario. Verrà un giorno che tutta la nostra parte biologica cesserà di esistere, noi non solo non ne saremo menomati, non ne faremo l’esperienza. La parola di Gesù è questa (e tutte le sue parole sono veritiere): se uno osserva la sua parola non vedrà mai la morte, cioè non ne farà esperienza. Non ci libera dalla paura della morte, ma dalla stessa morte. È quello che aspettavano le autorità religiose, 52 Gli dissero dunque i Giudei: Adesso siamo sicuri che hai un demonio. Ne abbiamo i motivi più che sufficienti! È interessante che il sapere dei capi è sempre rivolto al passato, mai al presente e tanto meno al futuro.

56 Abramo, il padre vostro era il capostipite del popolo, avrebbe dovuto dire nostro, essendo lui pure ebreo, ma prende le distanze, Abramo è il padre di un popolo. Dio, Padre di Gesù, è Padre dell’intera umanità. Il suo orizzonte è molto più ampio di quello dei capi religiosi

esultò quando vide il mio giorno, lo vide e si rallegrò. Nella tradizione ebraica si diceva che Dio, facendo vedere ad Abramo il futuro del popolo, gli aveva fatto vedere anche i giorni del Messia. Gesù dice vide il mio giorno, perché nel vangelo di Giovanni sembra che tutta l’azione si svolga in un unico giorno, il sesto, il giorno della creazione dell’uomo.

57 Gli dissero allora i Giudei: Non hai ancora cinquantenni e hai visto Abramo? Gesù ha detto che Abramo ha visto lui, non che lui ha visto Abramo! Prosegue un dialogo fra sordi: Gesù parla a livello teologico, simbolico; loro a livello pratico, e non lo capiscono.

58 Rispose loro Gesù: Amen, amen vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono (è il nome di Dio). Gesù rivendica la sua esistenza prima di Abramo. Nel prologo di Giovanni avevano visto che Dio, prima ancora di creare il mondo, aveva un progetto: un uomo che avesse la condizione divina e si è realizzato nella umanità di Gesù. Per i capi religiosi Gesù ha bestemmiato ed è quello che volevano.

59 Presero allora delle pietre per lanciarle su di lui; i capi non ammettono che Gesù sia superiore ad Abramo, figuratevi adesso che rivendica la condizione divina! Gesù ha bestemmiato, è un idolatra e va immediatamente ucciso, come prescrive la legge divina. Prendono le pietre, siamo nel Tempio, il luogo più sacro e i capi del popolo, le autorità religiose, i sommi sacerdoti di fronte alla rivendicazione di Gesù di avere la condizione divina, ritengono che abbia bestemmiato.