[Annotazioni di Paolo
Cugini]
1 Detto questo, (ho fatto
conoscere il tuo nome e lo farò conoscere), Gesù uscì,
teniamo presente questa prima particolarità, con i suoi discepoli. Gesù e i
suoi discepoli sono un tutt’uno e da dove esce? Non è soltanto un uscire dalla
sala della cena, è un abbandonare definitivamente l’istituzione religiosa che
ha già deciso di ammazzarlo. Gesù e i suoi discepoli escono insieme dal mondo,
lo abbandonano. Mentre Giuda, il discepolo traditore che adesso apparirà, era
uscito dal luogo della cena ed era stato inghiottito dalla notte, l’evangelista
aveva scritto: prese il boccone e uscì subito ed ecco era notte, Gesù adesso
esce, ma non sarà inghiottito dalla notte. Vi sarà un crescendo di luce che ad
un certo momento diventerà insostenibile, questa è la linea dell’evangelista.
Detto questo Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, è
l’unica volta che nel Nuovo Testamento si parla del Cèdron. Il Cèdron in
ebraico significa oscuro, era un torrentello che scorreva tra il tempio di
Gerusalemme e il monte degli Ulivi. Perché l’evangelista cita il torrente
Cèdron ed è l’unica volta in tutto il Nuovo Testamento? Noi sappiamo che nei
vangeli non ci sono particolari messi a caso, ogni particolare ha un
significato teologico. Il primo richiamo è che il torrente Cèdron venne
attraversato dal re Davide dopo che venne tradito dal figlio Assalonne; scappò
e attraversò il torrente: c’è l’immagine del tradimento. Ma la tradizione
ebraica, identificava il Cèdron con la valle di Josafat. Josafat è un nome
ebraico, composto, che significa Yahvè giudica. La tradizione identificava
questo luogo con la valle di Josafat, e nel libro di Gioele 4,2 si legge:
riunirò tutte le nazioni e le farò scendere nella valle di Josafat e la verrò a
giudizio con loro. In questa valle per Giovanni avviene il giudizio di Israele
a cui è stata fatta una proposta, il popolo e non solo le istituzioni, l’ha
rifiutata. Questo è il giudizio a cui va incontro tutto Israele. Anziché
accogliere il Messia liberatore lo rifiutano e lo uccidono. Già nel prologo
sapevamo come sarebbe andata a finire, l’evangelista aveva detto: venne tra i
suoi, ma i suoi non l’hanno accolto. Escono dalla cena sia Giuda ingoiato dalle
tenebre, sia Gesù che splende più che mai perché in lui risiede la pienezza
della vita. L’evangelista mette un altro particolare di grande importanza,
c’era un giardino, possibile che l’evangelista che sta per narrare la cattura
di Gesù, va pensare che c’era un giardino? I giardini sono pochi a Gerusalemme,
sono nel palazzo del re o nel palazzo del sommo sacerdote. In una città dove da
aprile fino tutto ottobre non piove, l’acqua va razionata, figuratevi se si
possono tenere i giardini che erano un lusso che si potevano permettere
soltanto i re e il sommo sacerdote. Il giardino ha un valore simbolico,
ideologico, infatti l’evangelista lo presenta nel momento della cattura di
Gesù, nel momento della crocifissione, figuriamoci se nel luogo dell’esecuzione
e della sepoltura ci poteva essere un giardino, era una pietraia e il giardino
è l’immagine della vita! Gesù parlando di sé aveva detto che era come il chicco
di grano che cadeva, ma cadendo non si perdeva, liberava tutte le energie,
potenze, che aveva dentro. Gesù ha un’immagine diversa dai suoi contemporanei
riguardo la morte, che era la fine di tutto, era la distruzione. La morte non
solo non distrugge l’individuo, ma è il momento importante che permette a tutte
le energie, potenzialità d’amore che uno ha dentro di sé, di esplodere, di
rivelarsi. Il giardino è l’immagine dove la vita è più forte della morte e
richiama il giardino dell’Eden, il paradiso dove il Creatore aveva collocato
l’uomo che aveva plasmato. Ed è in questo giardino che il chicco di grano va a
cadere non per una distruzione, ma per una fioritura abbondante di vita. L’immagine
del giardino la ritroviamo di nuovo alla resurrezione quando Maria di Magdala è
andata al sepolcro, vede Gesù e pensa che fosse il giardiniere. È un richiamo
al libro della Genesi, dove si dice che il Signore piantò un giardino in Eden e
vi mise l’uomo che aveva modellato. Nella figura di Gesù, quale giardiniere,
l’evangelista presenta Gesù come il nuovo Adamo che sta definitivamente nel
giardino, il luogo della vita, capace di superare la morte. nel quale entrò
lui, ed ecco la differenza, e i suoi discepoli. Abbiamo visto che Gesù uscì con
i suoi discepoli, grammaticalmente ci saremmo aspettati dove entrò lui con i
suoi discepoli. L’evangelista dice che entrò lui e i suoi discepoli. Non sono
minuzie da persona pignola, ma sono ricchezze che il testo ci dà ed è
importante comprenderle. Gesù abbandona la città, simbolo dell’istituzione
religiosa con i suoi discepoli (Gesù e i discepoli sono un tutt’uno), e
rappresenta la rottura con l’istituzione; nel giardino entra lui e i suoi
discepoli. Gesù può entrare pienamente nel luogo della vita, i discepoli vi
entreranno mano mano che saranno capaci di fare dono di sé. Sono pronti a
morire per Gesù, ma non a morire come Gesù. Abbandonano l’istituzione, Gesù con
i discepoli, ma nel giardino entra Gesù e i suoi discepoli. Gesù ci sta in
pienezza nel luogo della vita, i discepoli vi entreranno man mano che
comprenderanno che la vita si realizza quando si dona. Donare la propria vita
non è perderla, ma è realizzarla.
2 Anche Giuda,
in questo vangelo compare per l’ultima volta la figura di Giuda, il traditore,
l’evangelista non adopera ancora il termine traditore, ma il consegnante, colui
che lo consegna; conosceva il luogo perché Gesù vi si riuniva spesso con i suoi
discepoli. È l’ultima volta, nella cattura di Gesù, che appare Giuda, che
l’evangelista presenta come l’opposto di Gesù. Gesù è l’amore che si dona agli
altri, quando l’amore si dona agli altri si comunica vita agli altri, quando si
comunica vita si arricchisce la propria esistenza. Gesù quello che è e quello
che ha, lo mette a disposizione degli altri; quando si arricchisce la vita
degli altri, si arricchisce la propria che diventa indistruttibile. Giuda, fa
il contrario, Giuda è stato definito come ladro, quello che è degli altri lo
sottrae per sé e chi vive per sé, chi vive sottraendo vita agli altri,
succhiando la linfa degli altri, provoca morte degli altri e la provoca anche a
sé. La prima volta che Giuda è stato qualificato come diavolo dallo stesso
Gesù, è stato nella sinagoga di Cafarnao, quando Gesù ha parlato della
necessità di farsi pane per gli altri (il pane è l’alimento che mantiene in
vita) e aveva concluso dicendo: sono forse io che ho scelto voi dodici? Eppure
uno di voi è un diavolo. Il diavolo nei vangeli non è un essere spirituale, è
un individuo in carne ed ossa. È Pietro, è Giuda, persone che si oppongono in
qualche maniera al disegno di Dio sull’umanità. Gesù lo chiama diavolo perché
secondo la Scrittura, la morte degli uomini era stata causata dal diavolo. Nel
libro della Sapienza 2,24 si legge: la morte è entrata nel mondo per invidia
del diavolo. Gesù indicando Giuda come diavolo, lo segnala già come un agente
di morte e durante l’ultima cena tenterà inutilmente di conquistare questo
discepolo offrendogli la sua vita, mettendola nelle sue mani, ma Giuda
rifiuterà. Gesù ha lavato i 4 piedi anche a questo discepolo, ma come scrive
Giovanni, citando il salmo 40,10: colui che mangia il pane con me ha alzato
contro di me il suo calcagno. Giuda ormai si è immedesimato con il diavolo, con
il potere, con il proprio interesse e dopo quel boccone il satana entrò in lui
e si fa strumento delle tenebre per eliminare Gesù che è stato rappresentato
come la luce del mondo.
3 Giuda dunque, preso una
coorte, L’evangelista adopera il termine coorte che significa
un manipolo di sei centurie per un totale di 600 uomini. Ci sono dei dati
riscontrati perché questa coorte poteva andare fino a 800-1000 uomini, preso un
distaccamento, una coorte e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai
farisei con lanterne, torce e armi. A Gerusalemme l’amministrazione della
polizia era così divisa: c’era la coorte di 600 poliziotti romani, che
controllava l’ordine nella città di Gerusalemme e risiedeva nella torre Antonia
posta sopra il tempio. All’interno del tempio, i romani in quanto pagani non
potevano entrare, c’erano le guardie dei sommi sacerdoti e dei farisei e che
sappiamo essere circa 200 unità. Tra i due gruppi c’era una grande rivalità e i
guardiani del tempio dovevano soprattutto stare attenti che nessun pagano
superasse la soglia riservata soltanto agli ebrei. Nelle grandi feste c’era poi
sempre grande confusione e potevano esserci delle sommosse.
4 Gesù dunque conoscendo
tutto quello che doveva accadere uscì e disse loro: “Chi cercate?”. C’è
un dunque che unisce le due espressioni, 18,3 Giuda dunque prese un
distaccamento di soldati; adesso l’evangelista scrive: Gesù dunque conoscendo
tutto quello che gli doveva accadere. Sia Giuda che Gesù portano a compimento i
desideri del Padre loro, Giuda porta a compimento i desideri del diavolo, del
satana, colui che ha deciso fin dal principio e porta segni e strumenti di
morte; Gesù porta a compimento i desideri del Padre suo e nel prologo era stato
scritto che lui era la vita, quindi porta un crescendo di vita.
5 Gli risposero: “Gesù il
Nazoreo”. nazoreo è un termine strano, inventato
dall’evangelista. Lo abbiamo nel vangelo di Giovanni e nel vangelo di Matteo.
Nazoreo di per sé non significa nulla, perché racchiude ben tre significati
diversi: il primo è quello di Nazaret, però se avesse voluto dire che era di
Nazaret avrebbe dovuto dire nazaretano. Nazaret era il luogo della Galilea
abitato da rivoluzionari, da persone bellicose.
Disse loro Gesù: “Io
sono”. Quando nell’ episodio del roveto ardente Mosè chiese
a quel fenomeno che si trova davanti: chi sei, la misteriosa identità risponde:
Io sono, che non è la rivelazione dell’identità di Dio, Dio non ha il nome,
perché un nome definisce una realtà, Dio è senza nome, ma ne indica l’attività.
Stava con loro anche
Giuda il suo traditore. È la terza volta che compare il
termine Giuda e qui non c’era bisogno. Quando nei vangeli c’è qualcosa di
superfluo...é logico che Giuda guidava il gruppo! Giuda arriva lì per catturare
Gesù e l’evangelista dice: con loro stava anche Giuda lo sapevamo!
L’evangelista ci dà questa indicazione di cui non c’era bisogno perché vuole
raggiungere il numero tre, che indica quello che è completo, definitivo.
L’evangelista con questo vuole denunciare il pieno coinvolgimento di Giuda
nella cattura e nella morte di Gesù. Poi Giuda scompare dal vangelo. Questa è
l’ultima volta che compare Giuda in questo vangelo, Giuda ha scelto
definitivamente con chi stare, l’evangelista scrive: stava con loro anche
Giuda, o stare con la vita, con Gesù, o stare con la morte. Ha scelto di stare
con la morte.
6 Come disse: “io sono”,
cercavano il Nazoreo, un bandito e invece trovano Dio. Gesù si presenta come la
manifestazione piena della divinità Io sono. Come disse io sono,
indietreggiarono e caddero a terra. Il racconto di Giovanni non è una
ricostruzione storica degli avvenimenti, ma teologica. Non è possibile che
quando Gesù ha detto il nome divino io sono, tutti sono indietreggiati e caduti
a terra, può darsi gli ebrei! Ma per i romani che Gesù si proclamasse Dio degli
ebrei non poteva essere considerato di meno. Indietreggiare, cadere a terra per
meraviglia, è immagine di sconfitta. Alla fine del capitolo 16 Gesù dice:
coraggio io ho vinto il mondo, non aveva annunciato che vincerà il mondo, ma il
mondo è già stato sconfitto, perché la luce avrà sempre la meglio sulle
tenebre, la vita sarà più forte della morte. Anche quando sembra che prevale la
menzogna al posto della verità, le tenebre al posto della luce, e la morte al
posto della vita, questo non è Risposero: “Gesù, il Nazoreo”. Il fatto che
venga ripetuto Nazoreo indica la pericolosità di Gesù, ecco perché ci sono le
guardie inviate dai sommi sacerdoti. Se Gesù pretende di essere in Messia è
pericoloso per l’intero sistema, ecco perché ci sono le guardie mandate dal
procuratore romano. Gesù come Nazoreo è un ribelle, uno di quei rivoluzionari
che continuamente lotta contro l’oppressione romana.
8 Gesù replicò: “Vi ho
detto che io sono”. Come il nome di Giuda è stato ripetuto tre
volte e poi scompare, qui viene ripetuto tre volte io sono che è il nome di
Dio. Gesù manifesta pienamente la sua condizione divina: Vi ho detto che io
sono. Gesù in questo momento è in una situazione di vantaggio perché
l’evangelista dice che tutti sono caduti, arretrati per terra. Ebbene Gesù
dice: vi ho detto che io sono. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne
vadano. L’ordine di cattura (vedremo successivamente quando Gesù sarà portato
di fronte al sommo sacerdote), non era soltanto per Gesù, ma era per tutto il
suo gruppo. Non è pericolosa soltanto la figura di Gesù, è pericolosa la
dottrina.
10 Allora Simone Pietro,
è un espediente letterario degli evangelisti, che quando vogliono indicare che
il discepolo è in sintonia con Gesù lo presentano come Simone, praticamente
mai; quando oscilla tra fedeltà a Gesù e contrasto lo presentano con il nome e
sopranome Simon Pietro; quando è completamente all’opposizione lo presentano
soltanto il sopranome negativo Pietro. Allora, Simon Pietro, 9 che aveva una
spada, sorprende, sono usciti dall’ultima cena e come ricordino della prima
comunione si è portato una spada. Che ci fa Pietro con una spada? Dal capitolo
13 è iniziata la narrazione dell’ultima cena con Gesù e anche là c’è stato un
incidente. Mentre Gesù lavava i piedi, Pietro è l’unico che si è rifiutato
perché aveva capito il significato profondo di questo gesto: se Gesù che è il
capo, lava i piedi agli altri, io che voglio essere il capo dovrò lavarli agli
altri e aveva cercato di trasformare la lavanda in un rito. Quando Gesù lo ha
messo con le spalle al muro e gli ha detto: se non ti fai lavare, non hai nulla
a che fare con me, Pietro sempre furbo risponde: si, ma allora non solo i piedi
ma anche la testa e le mani, cioè le purificazioni rituali che si facevano in
vista della Pasqua.
11 Gesù allora disse a
Pietro: c’è soltanto il soprannome negativo, l’azione di
Pietro è completamente contraria a quella che Gesù poteva desiderare, Metti la
tua spada nel fodero, per la prima volta nella narrazione della cattura, Simone
appare soltanto con il soprannome negativo Pietro, che indica la sua
cocciutaggine. Gesù, lo ricordo, durante la cena aveva detto: per ora tu non
puoi seguirmi. Pietro ancora una volta non ascolta le parole di Gesù, prova a
seguirlo e c’è il disastro. Simone è incapace di seguire Gesù, perché non è
riconoscibile dal l’unico distintivo che hanno i discepoli di Gesù. Nell’ultima
cena Gesù aveva detto: Da questo vi riconosceranno, se avrete amore gli uni per
gli altri, Pietro porta la spada, non è certo riconoscibile per l’amore, è
l’unico ad agire con violenza. non berrò forse il calice che il Padre mi ha
dato?. Il calice è l’immagine della morte, ma in questo vangelo Gesù non è la
vittima che va verso il supplizio, è la persona che liberamente e
volontariamente accetta di fare questa fine pur di dimostrare la potenza di un
Dio Amore. Il Dio Amore si dimostra che in ogni sequenza della passione, di
fronte alla violenza Gesù risponde soltanto con l’amore. Se Gesù adesso
affronta e accetta la morte, è perché lui è espressione di quest’amore. Non
risponde all’odio con la violenza, combattendo come vorrebbe Pietro.
13 e lo condussero prima
da Anania: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote
quell’anno. Entra in scena un personaggio
importantissimo nel vangelo di 12 Giovanni e in tutto il Nuovo Testamento
perché è il vero detentore del potere. Nelle vostre traduzione avete Anna, ma
siccome in italiano è un nome femminile e crea confusione, io uso il termine
ebraico Anania. Anania era filo-romano, era dalla parte dei dominatori, era
stato sommo sacerdote, ma era completamente dalla parte dei dominatori, sapeva
che appoggiando i dominatori, poteva conservare il suo potere. L’evangelista
mette in scena il primo e l’ultimo sacerdote della vita di Gesù per indicare
che tutta l’istituzione è contro Gesù. Infatti Anania era sommo sacerdote nel 6
d.C. quando Gesù nacque, poi c’è Caifa quando Gesù morì. Gli intrighi, gli
imbrogli, le sopraffazioni con cui Anania aveva conquistato il potere erano
diventati leggendari, era un uomo indubbiamente abile e astuto. Basta pensare
che per ben cinquant’anni ha tenuto le fila del potere in Israele. Non tanto
quando era in carica, c’è rimasto appena nove anni come sommo sacerdote, ma
riuscì a fare eleggere come sommi sacerdoti ben cinque figli.
15 Seguirono Gesù Simon
Pietro, e l’altro discepolo. C’è un discepolo nel
vangelo di Giovanni che non ha nome e che non è lecito battezzare. Purtroppo la
curiosità dei primi cristiani e le tradizioni hanno svuotato di contenuto certe
affermazioni dell’evangelista. Quando nei vangeli i personaggi sono presentati
come anonimi, senza il loro nome, significa che al di là della realtà storica
che c’è, l’evangelista non vuole presentare un personaggio storico ben definito
al quale potersi rapportare. È un personaggio che si chiama rappresentativo,
perché in lui si possono identificare tutti. La curiosità dei cristiani ha
fatto sì che certi personaggi, che vengono presentati anonimi, fossero
battezzati (attribuito un nome) svuotando il contenuto del messaggio
dell’evangelista.
gli rispose: “Io ho
parlato al mondo apertamente, sottolinea io ho parlato
al mondo apertamente, perché chi sta nell’ambito del potere, non parla mai
apertamente. Quando l’agire è determinato dalla convenienza, anche il
linguaggio è condizionato dalla convenienza, le verità saranno mezze verità, la
menzogna sarà spacciata per verità perché tutto è determinato dalla
convenienza. Gesù che non bada al proprio interesse, ma al bene dell’uomo dice
io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel
Tempio dove tutti i Giudei si riuniscono, più che una affermazione è un atto di
accusa. È vero che ha parlato nella sinagoga, ma nella sinagoga di Cafarnao, al
capitolo 6 di questo vangelo è stato contestato proprio dai Giudei quando hanno
capito che Gesù inaugurava una nuova maniera di rapportarsi con Dio. Quando
hanno capito che Gesù era venuto per dare vita all’umanità, sono stati proprio
i Giudei, i capi religiosi che l’hanno contestato. L’evangelista scrive 6,41:
mormoravano di lui perché aveva detto: “io sono il pane disceso dal cielo” cioè
la vita che Dio comunica. nel Tempio, proprio nel Tempio il luogo più santo
della terra, il luogo più sacro di Gerusalemme, là dove si venera Dio, è il
luogo più pericoloso per Dio. Nel Tempio di Gerusalemme, secondo questo
vangelo, per ben due volte tenteranno di lapidare Gesù. Gesù che non corre
nessun pericolo con i peccatori e nessun rischio con i miscredenti, corre
pericoli mortali quando si trova tra gente religiosa e nei luoghi sacri. Per
ben due volte cercheranno di ammazzare Gesù nel Tempio. e non ho mai detto
nulla di segreto. È il potere che parla in segreto. Gesù non ha bisogno di
parlare in segreto e qui l’evangelista vede nell’affermazione di Gesù, un
richiamo (sono molti) all’Antico Testamento, al profeta Isaia, capitolo 45,
dove il Signore dice: Io non ho parlato in segreto.
23 Replicò Gesù: “Se ho
parlato male dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi
percuoti?”. Intanto Gesù - questo va chiarito perché
è un brano di Matteo che ha portato molta confusione in passato e tanti danni
alla spiritualità cristiana - perché non presenta l’altra guancia? Nel vangelo
di Matteo Gesù non ha detto: a chi ti dà uno schiaffo sulla guancia porgi anche
l’altra? L’unica volta che Gesù riceve uno schiaffo non presenta l’altra
guancia! e questo spiega il detto di Gesù quando ti danno uno schiaffo su una
guancia, tu presenta anche l’altra. Gesù non ci chiede di essere tonti, ma di
essere buoni. Molti confondono l’essere buoni con l’essere tonti, questo non è
positivo. Gesù chiede di non rispondere con la violenza a chi ci usa violenza.
Se tu mi dai uno schiaffo e io te ne do un altro, tu mi dai un pugno e io te ne
do un altro, la violenza cresce. Si innesca l’aggressività dell’altro che si
disinnesca cercando – estremo pericolo delle autorità religiose – di fare
ragionare un sottomesso (tanto più qui è una guardia) con la propria testa.
Questo è un crimine intollerabile. Le autorità religiose sopportano chi le
contesta, perché non fa altro che rafforzarle nelle loro posizioni.
30 Gli replicarono e
dissero: “Se questo, è una caratteristica del vangelo che mai
i capi religiosi pronunciano il nome Gesù. È tale l’odio delle autorità
religiose nei confronti di Gesù che in questo vangelo viene come presentato il
Figlio di Dio e Dio lui stesso, che neanche una volta ne pronunciano il nome,
ma sempre con un termine dispregiativo questo, mai con una forma per lo meno di
cortesia. Se questo non fosse un malfattore non te lo avremmo consegnato”. I
capi si dimostrano offesi della domanda e dicono che è chiaro che è un
malfattore. Per le autorità religiose Gesù è un malfattore, uno che fa il male.
L’attività di Gesù, comunicare vita alle persone, è per loro un crimine che va
punito con la pena di morte. Loro vedono come un male il bene compiuto da Gesù
(Gesù ha compiuto solo il bene). Sono quelli che chiamano malfattore un uomo
che ha fatto del bene. Nel capitolo 8,44 Gesù parlando d
32 Così si adempivano le
parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire. Perché
i capi portano Gesù dai Romani? Perché non lo hanno ammazzato? Potevano
ammazzarlo benissimo senza bisogno di portarlo dai Romani, avevano una certa
libertà di giurisdizione e di movimento, ma la pena di morte che era in vigore
presso il popolo ebraico era la lapidazione. Nella lapidazione il condannato
era gettato in una scarpata, si gettava una grossa pietra e poi altre pietre.
L’uomo sarebbe stato precipitato in basso. Loro, per Gesù, non vogliono
soltanto una morte, perché ammazzare una persona come Gesù c’era il rischio che
la gente potesse farne un martire più pericoloso di una persona viva che può
essere controllata. Quando una persona diventa un martire la sua fama, le sue
opere e le sue parole dilagano.
36 Rispose Gesù: “Il mio
regno quello mio, prende le distanze dall’idea di regalità, non è di questo
mondo, non significa come si fa delle volte in maniera
superficiale che sta contrapponendo il regno della terra con il regno celeste
dell’aldilà. Gesù dice che questo regno non è di questo mondo, ma non che non
sia in questo mondo, solo che il suo regno è una maniera completamente diversa
di intendere la regalità, che non c’è mai stata. Il regno quello mio non è di
questo mondo; e fa il paragone, se fosse di questo mondo, i miei servitori
avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ogni re ha dei
servi e delle guardie. Gesù dice che il suo regno non è di questo mondo perché
il suo regno, la sua regalità è completamente diversa. Non ha servitori, perché
è lui stesso che si fa servo dei suoi (nell’ultima cena Gesù quando lava i
piedi ai discepoli). Gesù è lui stesso immagine di un Dio che si mette a
servizio degli altri per cui non ha servitori, comunque la violenza è esclusa
dal suo comportamento, la violenza non è ammessa in nessun modo e non è nel suo
programma.
Io per questo sono nato e
per questo sono venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità.
Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce. Il versetto è importante e si rifà
a quello che abbiamo detto all’inizio, è la chiave di lettura interpretativa
per conoscere la Sacra Scrittura e per conoscere il vangelo. È tutto in questo
versetto. Gesù dice: Io per questo sono nato e per questo sono venuto al mondo
per rendere testimonianza alla verità. La verità nel vangelo di Giovanni è la
verità su Dio e sull’uomo. La verità su Dio è che Dio è amore che si fa
servizio. Questo per noi sembrava abbastanza normale anche se ancora non ci è
entrato profondamente, ma per quell’epoca era inaudito che Dio è amore che si
fa servizio; ma gli uomini non sono i servi di Dio che devono offrirgli? No. È
Dio che non chiede offerte ed è lui che si offre agli uomini.
CAPITOLO 19
1 Allora, si
riferisce a quanto è accaduto, dunque l’inizio è molto solenne Pilato prese
Gesù e lo flagellò. Il verbo “prendere” è stato adoperato dall’evangelista,
nel prologo nel senso di accogliere Gesù, chi non lo accoglie come fonte di
vita inevitabilmente lo accoglie per dargli la morte. Ma Pilato aveva proposto
ai giudei, i giudei sono i capi del popolo, aveva detto: prendetelo voi e
giudicatelo secondo la vostra Legge. Visto che questi rifiutano tocca a Pilato
prendere Gesù; e lo flagellò. L’evangelista, ecco che qui incomincia a
trasformare la realtà storica in teologica dice che Pilato prende Gesù e lo
flagellò. Impossibile che il procuratore romano, rappresentante dell’impero si
metteva a flagellare un condannato a morte. Questa è un’azione che facevano i
soldati; ma l’evangelista attribuendo la flagellazione a Pilato ne vuole
sottolineare la responsabilità. Quindi Giovanni non diminuisce la
responsabilità di Pilato, ma la accresce.
E disse loro: ecco ve lo
conduco fuori perché sappiate e lo ripete per la
seconda volta, che non trovo in Lui nessuna colpa. Ridotto ad un grumo
di sangue Gesù viene condotto davanti alle autorità; quelli, ricordate che
hanno portato Gesù a Pilato definendolo un malfattore, uno che pretendeva di
essere niente di meno che il re dei giudei, ed erano riusciti a far credere
tutto questo, convincendo che era meglio eliminare Gesù perché altrimenti se lo
lasciavano in vita attaccavano i romani e li avrebbero distrutti. Invece per
Roma, per bocca del suo procuratore Gesù non rappresenta nessun pericolo. Per
la seconda volta Pilato dice: io in Lui non trovo nessuna colpa.
Ecco l’Uomo!
questa espressione è famosa perché la conosciamo nella versione latina “ecce
homo” quindi c’è questa espressione: ecco l’uomo, chi è che la pronuncia?
Storicamente e indubbiamente chi pronuncia questa espressione è Pilato, è
Pilato che conduce fuori Gesù e dice: ecco l’uomo, ma l’evangelista omette il
nome. Nel testo greco, anche se poi purtroppo i traduttori per far comprendere
meglio, ma in realtà fanno confusione inseriscono il nome Pilato, ma Pilato non
c’è nel testo greco, quindi è Gesù, allora: ecco, spero di non aver fatto
confusione ecco i due piani quello storico e quello teologico; storicamente chi
è che ha detto: ecco l’uomo, senz’altro Pilato, ma l’evangelista non ci vuol
trasmettere un episodio storico, ma un insegnamento teologico. Omette Pilato,
in modo che è Gesù che si presenta: ecco l’Uomo. Quindi non è Gesù vittima, ma
un Gesù consapevole di se stesso che si presenta come l’uomo realizzato.
6 Al vederlo
chi è che vedono? Vedono l’uomo, vedono l’uomo realizzato, e quello che adesso
l’evangelista ci descrive è importantissimo, al vederlo, i sommi sacerdoti e le
guardie, ricordate prima quelli che detengono il potere e quelli che sono
sottomessi al potere, gridarono: quindi qualcosa di odio che esplode,
crocefiggi, crocefiggi. I sommi sacerdoti e le guardie vedono l’Uomo, il
progetto di Dio sull’umanità e questo scatena il loro odio mortale. Non era
vero il motivo della pericolosità di Gesù, se lo lasciavano stare i romani ci
distruggeranno, il pericolo per l’istituzione religiosa è il Dio che si fa
uomo, e che quindi mette fine ai propri privilegi. L’istituzione religiosa ha
il terrore che le persone che le sono sottomesse crescano e si maturino, allora
hanno bisogno di tenerle soggiogate quindi quando vedono l’uomo realizzato, l’uomo
pienamente libero non sanno frenate tutto il loro odio. Per loro, il popolo
ogni persona deve essere sempre sottomesso alla loro dottrina, hanno il terrore
della persona adulta e libera, quindi cercano di tenere gli uomini sempre in
una condizione infantile, gli uomini a loro sottomessi devono obbedire, non
importa se capiscono o meno.
7 Gli risposero i giudei:
noi abbiamo la Legge e secondo questa Legge deve morire perché si è fatto
Figlio di Dio. Ricordo ancora una volta che quello che
l’evangelista ci trasmette, ed è molto duro, non è per una polemica contro un
mondo quello giudaico dal quale la comunità cristiana ormai si è distaccata, ma
un monito perché all’interno della comunità cristiana non si ripetano le stesse
situazioni. I giudei ricordo sono i capi del popolo ed ecco finalmente che
l’evangelista smaschera l’istituzione religiosa giudaica, la loro Legge è una
Legge che è nemica del piano di Dio ed è capace di dare solo la morte; quindi
questa Legge non esprime il consenso della volontà di Dio.
Non sai che ho il potere
di liberarti o il potere di crocefiggerti? Quello che sta
dicendo Pilato è grave, la assoluzione o la condanna non dipende dalla
innocenza o dalla colpevolezza dell’individuo, indipendentemente dalla
innocenza ho il potere di liberarti o di crocefiggerti. La frase che
l’evangelista mette in bocca a Pilato è parallela a quella di Gesù che aveva
detto della propria vita, Gesù aveva detto che La sua vita aveva il potere di
offrirla e il potere di riprenderla di nuovo (Gv.10,18). Mentre il potere è
capace di darti la morte, l’amore di Gesù è capace di dare la propria vita. La
scelta che Pilato farà tra la vita e la morte sarà anche la sentenza che lui
darà non su Gesù, ma su se stesso. Quindi per Pilato la sentenza di morte o di vita
è indipendente dalla colpevolezza o meno dell’imputato, perché quello che
determina l’agire del potere, in questo caso civile, abbiamo visto in
precedenza quello religioso, non è mai il bene dell’uomo, l’interesse per
l’uomo, ma sempre la propria convenienza; è in base alla propria convenienza
che vengono fatte queste scelte che possono portare alla vita o possono portare
alla morte, quindi il potere sceglie sempre quello che gli conviene ed è capace
di manipolare questa scelta con argomentazioni razionali, importanti.
Per questo chi mi ha
consegnato a te ha un peccato più grande. Torna di nuovo e
adesso lo vedremo sviluppato il tema del peccato chi mi ha consegnato a te; chi
ha consegnato Gesù a Pilato? È stato il sommo sacerdote; allora Gesù qui contrappone
la persona ritenuta più vicino a Dio addirittura si riteneva che il sommo
sacerdote fosse il rappresentante di Dio, e un pagano, dominatore, ritenuta la
persona più lontana da Dio; quindi è più responsabile la persona che si ritiene
più vicina a Dio. Gesù era stato annunciato come colui che avrebbe tolto il
peccato del mondo, e il peccato era il rifiuto della vita, che Dio proponeva;
adesso sia Pilato che Caifa che sono agenti di morte, agenti del potere sono
sotto la cappa di questo peccato; le tenebre che impediscono all’amore di Dio
di arrivare agli uomini. Qui l’evangelista sottolinea come la responsabilità
del sommo sacerdote di Israele uomo considerato vicino a Dio sia molto più
grave di quella di un pagano ritenuto il più lontano, tanto più grave se per
ammazzare Gesù ci si fa scudo di Dio e della sua Legge. 12 Da quel momento
Pilato cercava di liberarlo. Quindi Pilato è il giudice che ha paura di Lui e
non vede in Gesù nessun pericolo e quindi cerca di liberarlo; Ma i giudei cioè
i capi del popolo hanno in mano la carta vincente; hanno provato con le accuse
religiose, Gesù che si fa Figlio di Dio, ma queste non hanno trovato credito,
avevano provato con le accuse politiche, Gesù che si fa re di Israele, ma anche
questo vedendo Gesù non era credibile; adesso, sono astuti, tirano fuori l’asso
nella manica, tirano fuori la carta vincente che avevano lasciato per ultima.
15 I capi gridarono:
toglilo, toglilo! Crocifiggilo. È importante quello che
l’evangelista ci sta indicando, Gesù da Giovanni Battista è stato presentato
come l’agnello che toglie il peccato del mondo; non i peccati, sapete che nella
trasposizione liturgica si dice: agnello di Dio che togli i peccati del mondo e
ci fa pensare che siano i nostri peccati, non è questo, è un peccato al
singolare. Questo peccato nel vangelo di Giovanni è la spessa coltre di tenebre
che impedisce all’amore di Dio di arrivare agli uomini. E chi è responsabile di
queste tenebre, l’evangelista ce lo fa capire. Quindi quelli gridarono:
toglilo, toglilo, crocifiggilo, allora Gesù è presentato come l’agnello che
toglie il peccato del mondo, adesso i responsabili del peccato del mondo cosa
gridano? Toglilo, il verbo greco è lo stesso, quindi Gesù è colui che è venuto
a togliere il peccato del mondo, ma i responsabili del peccato del mondo
gridano toglilo, toglilo, non sopportano neanche loro la vista di Gesù. Perché
sono tenebre e le tenebre non sopportano la luce. Gesù lo aveva detto: chiunque
fa il male odia la luce.
Uscì verso il luogo del Cranio, detto in ebraico
Gòlgota. Il luogo dell’esecuzione di Gesù era un’antica cava
di pietra; il sottosuolo di Gerusalemme è ricco di pietra, le pietre che sono
poi state adoperate per la costruzione del tempio e delle varie costruzioni.
C’era questa cava di pietra che venne lesionata da un forte terremoto, quindi
non poteva più essere adoperata per estrarre le pietre ed era adibita al luogo
di esecuzione pubblica e a fossa comune per le persone che lì venivano
giustiziate. Questo luogo, un’altura di circa 8 metri, per la forma che aveva
veniva chiamata Cranio, e da Cranio viene il latino Calvario, poi tutta la
tradizione lo ha fatto diventare il monte Calvario, quindi la salita di Gesù al
monte Calvario.
19 Pilato scrisse anche
l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: Gesù il Nazoreo, il
re dei giudei; Dunque, la responsabilità di Pilato è
ancora una volta sottolineata dall’evangelista per il quale è Pilato colui che
scrisse l’iscrizione da porre sulla croce. Quando abbiamo parlato che il
condannato prendeva su di se il patibolo, al collo gli veniva messa una
tavoletta con scritto il motivo di questa condanna. Ebbene per Gesù c’è
scritto: “Gesù il Nazoreo”, un termine inventato dall’evangelista perché è un
termine che non esiste, in questo “Nazoreo”, che ha soltanto Giovanni,
l’evangelista racchiude vari significati, anzi tutto Nazareth il luogo di
provenienza di Gesù, ma soprattutto Nazareth era un covo di rivoluzionari, all’epoca
di Gesù, Nazareth era in una parte montagnosa della Galilea, era uno dei luoghi
dove gli Zeloti che erano i partigiani dell’epoca o terroristi visti dall’altra
parte, si rifugiavano dopo aver concluso le loro scorrerie contro i romani,
quindi dare a Gesù del Nazzareno significava già di essere una testa calda.
25 Stavano presso la
croce di Gesù, il verbo stare adoperato
dall’evangelista è stare in piedi; piccolo passo indietro, ricordate l’ordine
di cattura era per tutto il gruppo di Gesù. Non è pericoloso soltanto Gesù, è
pericolosa la sua comunità perché fintanto che c’è un solo discepolo libero che
annuncia il suo messaggio, l’istituzione religiosa non sta tranquilla, quando
portano Gesù dal sommo sacerdote, da Anania, lui non si interessa a Gesù, è
legato e tra poco lo ammazza, gli chiede due cose dei discepoli e della
dottrina, è questo che lo preoccupa, quindi l’ordine di cattura era per tutto
il gruppo di Gesù ed è stato Gesù che in un’azione di forza ha detto: se
cercate me lasciate che questi se ne vadano via. Quindi Gesù è stato il pastore
che ha dato la sua vita per le sue pecore, hanno arrestato Gesù e gli altri se
la sono squagliata li ritroveremo poi più avanti che stanno chiusi in casa per
paura dei giudei, ma non tutti: ci sono alcuni discepoli di Gesù che non si
sono nascosti, ma hanno deciso di seguire il loro Maestro fin sulla croce per
cui questi personaggi, che adesso troviamo presso la croce di Gesù, non è il
quadretto dogmatico di persone che stanno lì a compatire e consolare Gesù, sono
quelli che sono andati sul luogo dell’esecuzione e si sono dichiarati pronti a
fare la stessa fine di Gesù.
26 Gesù allora vedendo la
madre, perché non dice sua madre? L’evangelista doveva
scrivere Gesù vedendo sua madre, invece dice: vedendo la madre, non è soltanto
la madre di Gesù, ma è la madre della nuova comunità; l’evangelista ci sta
preparando qualcosa…, non presenta una scena di morte, ma una scena di vita,
addirittura vedremo la sepoltura di Gesù l’evangelista anziché adoperare il linguaggio
del funerale, usa il linguaggio nuziale, quindi le bende etc. vedremo allora
vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che Egli amava, da dove scappa
fuori questo qui? Stavano presso la croce di Gesù da due a quattro donne;
vedendo la madre e vede il discepolo che amava, da dove è scappato fuori
questo? perché l’evangelista non ce l’ha descritto, vedete ancora una volta
stiamo vedendo che l’evangelista non sta facendo una cronaca, ma una teologia;
chi è questo personaggio: il discepolo che Egli amava.
29 Vi era là un vaso
pieno di aceto; è importante il simbolo dell’aceto che
verrà ripetuto tre volte, mentre il vino è simbolo d’amore, l’aceto è simbolo
d’odio, quindi c’era la un vaso pieno di aceto posero perciò una spugna piena
di aceto, da come è costruita la frase prendono questa spugna, si imbeve
completamente dell’aceto contenuto nel vaso posero perciò una spugna piena di
aceto su, e qui c’è un problema che poi i copisti dei vangeli cercarono di
modificare perché sembrava incoerente l’evangelista scrive: su un issopo e
gliela accostarono alla bocca. Cos’è l’issopo? È la nostra maggiorana, è
impossibile prendere un rametto di maggiorana metterci sopra una spugna, per di
più imbevuta di aceto, siccome questo issopo si scrive in greco “hyssopoi”;
alcuni copisti pensarono ad un errore perché è impossibile mettere questa
spugna in un rametto allora alcuni pensarono “hyssoi” per cui tradussero canna,
che è l’immagine tradizionale che conosciamo.
Gesù disse: è compiuto!. Cos’è
compiuto? È compiuta la creazione dell’uomo, l’evangelista ha posto tutto il
racconto della creazione nella chiave di sei giorni come nel libro della Genesi
e Gesù quando fino all’ultimo è stato capace di avere una proposta d’offerta
d’amore a quanti lo circondano, dice: è compiuto, ecco l’uomo creato a immagine
e somiglianza di Dio ed è l’uomo che sempre e comunque ha una capacità d’amore.
E, chinato il capo,
consegnò lo spirito. Nessun evangelista scrive che Gesù morì,
Gesù è morto sulla croce, ma gli evangelisti non fanno una cronaca, ma una
teologia, nessun evangelista parla di Gesù come morto. Qui Giovanni dice:
chinato il capo, chinare il capo non è un’azione di un morente, ma di un vivo
quello dell’addormentarsi, Gesù reclina il capo nella posizione tipica del
dormiente, ricordate nell’episodio di Lazzaro Gesù aveva detto: Lazzaro si è
addormentato, perché? perché il sonno della morte non solo non interrompe la
vita di Gesù, ma è l’occasione perché si manifesti in pienezza poi alla
consegna dello spirito. E, chinato il capo, consegnò lo spirito l’evangelista
ha usato questo verbo “consegnare” sempre in maniera negativa.
33 Venuti però da Gesù;
allora: “vennero dunque i soldati spezzarono le gambe al primo”,
abbiamo visto che l’evangelista dice che Gesù è stato crocefisso in mezzo,
allora : ci sono le tre croci, spezzarono le gambe al primo, e poi dovevano
spezzarle a Gesù, invece guardate che giro che fanno, spezzano le gambe al
primo poi vanno dall’altro e poi solo alla fine vanno da Gesù. Naturalmente è
un’immagine teologica che l’evangelista ci da per far vedere la centralità
della figura di Gesù, per presentare la sorpresa e vedendo che era già morto,
non gli spezzarono le gambe. L’azione quindi descritta da Gv. non è coerente
dal punto di vista storico, se Gesù è stato crocefisso in mezzo non si vede
perché i soldati devono fare tutta strana cerimonia passando da Gesù per
ultimo. L’artifizio letterario serve all’evangelista per concentrare
l’attenzione su Gesù e sul significato dell’azione dei soldati. Gesù è già
morto, non c’è bisogno quindi di spezzargli le gambe.
35 Chi ha visto ne da
testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché
anche voi crediate. L’evangelista interrompe questa
narrazione molto drammatica dal punto di vista narrativo, per una solenne
affermazione di fede che riguarda la comunità e riguarda anche noi.
L’evangelista è cosciente di non aver trascritto la cronaca dei fatti della
crocefissione di Gesù, ma è una lettura teologica che è importante, dice
l’evangelista: “chi ha visto” il verbo “vedere” in greco si scrive in due
maniere: uno che riguarda la vista fisica e in greco è “Blephèo”; l’altro
invece che riguarda il capire, il percepire e in greco è il verbo ”Horào” ed è
lo stesso che noi adoperiamo quando io posso dire, vedi quel quadro? ed è la
vista fisica; ma se spiego e dico: ma non vedi che ti prendono in giro; non
implica la vista fisica ma implica la comprensione.
36 Questo infatti avvenne
perché si adempisse la Scrittura: non gli sarà spezzato nessun osso.
Ecco notiamo l’insistenza che ha Giovanni per associare Gesù all’agnello di
Dio, Gesù muore nel giorno e nel momento, in cui si immolavano gli agnelli nel
tempio, l’ora terza e nel libro dell’Esodo c’è proprio questa indicazione: non
gli romperete nessun osso. Gesù per l’evangelista è il vero agnello pasquale il
cui sangue libera dalla morte e la cui carne da la forza per iniziare l’esodo
verso la pienezza.
40 Essi presero allora il corpo di Gesù e lo legarono con teli di lino e qui la sorpresa, l’evangelista dovrebbe usare il termine “bende” e invece adopera teli di lino che sono le lenzuola per il letto nuziale; l’evangelista pur descrivendo quello che storicamente è un funerale lo riveste di significati e fa vedere non solo la morte, l’assenza di vita, ma il trionfo della vita, è il trionfo della vita quale al momento delle nozze. insieme con oli aromatici, come usanza seppellire dei giudei. Cosa significa come usanza dei giudei? Perché i cadaveri non venivano legati, i cadaveri venivano lavati con acqua e aceto e poi sopra veniva posto un lenzuolo per coprirlo, non veniva legato, perché qui, in questo caso, legano Gesù ? Bisogna riandare alla resurrezione di Lazzaro, che l’evangelista ha scritto anticipando quello che sarà la morte e gli effetti della resurrezione di Gesù.
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